La trattazione del nuovo appuntamento ha avuto
come tematica il dibattimento sul Codice Civile Napoleonico che
venne promulgato il 21 marzo 1804:
30 ventoso dell’anno XII, secondo la denominazione data alle
stagioni dal calendario repubblicano francese.
Nell'edizione originale e ufficiale erano raccolte
le 36 leggi che regolamentavano le istituzioni del diritto civile
francese.

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Questo
codice riconosceva l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, i
diritti civili (di stampa, di coscienza, di lavoro) e il diritto alla
proprietà, il Code
Napoléon
fu un'opera originale e al tempo stesso di transizione, al
quale fecero seguito quattro
nuovi codici che furono:
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il codice di procedura civile, promulgato nel
1806, il codice di commercio del 1807, il codice di procedura penale del
1808 e il codice penale del 1810.
Il
Codice civile francese del 1804, ancor oggi in vigore in Francia, pur con
molte modifiche, impostato sui principi di uguaglianza e libertà
dell’individuo, influenzò la codificazione successiva in Europa ed
anche in Sudamerica.
Daniele
Zangari ha evidenziato attraverso una breve introduzione di come si
arrivò all’emanazione della nuova legislazione nel 1804.
Infatti,
l’innovazione
essenziale della costituzione dell’anno VIII,
promulgata il 13 dicembre 1799 (siamo nel Consolato),
consiste nella restaurazione del potere esecutivo
e nell’abbandono del principio dell’elezione, che le
costituzioni repubblicane avevano introdotto persino
nell’amministrazione della giustizia. |
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Gli
stessi principi furono estesi da Napoleone alla vasta riforma
amministrativa che egli intraprese.
Dovunque
gli “eletti” furono sostituiti con dei funzionari.
I
dipartimenti furono amministrati dai Prefetti, le città più importanti
dai sindaci, nominati dal primo Console, mentre i prefetti nominavano i
sindaci dei piccoli Comuni.
In
materia giudiziaria, ricomparvero i vecchi parlamenti sotto forma di Corti
d’Appello; i loro membri, così come i giudici dei tribunali di prima
istanza e dei tribunali penali cessarono di essere eletti per essere
nominati anch’essi dal primo Console.
In
materia finanziaria
Napoleone Bonaparte distinse accuratamente tra amministrazione del tesoro
e delle imposte e politica monetaria con la creazione della Banca di
Francia.
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Le
36 leggi che costituivano il codice civile furono votate nel 1804, proprio
nel momento del passaggio dal Consolato all’Impero, che iniziava
ufficialmente con l’incoronazione di Napoleone avvenuta il 2 dicembre
dello stesso anno.
Il
Codice Civile fu l’opera che più profondamente impresse, su tutta
l’Europa occidentale, l’influenza francese.
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Gianni
Aiello nel corso del suo breve ma
coinciso intervento ha sottolineato l’importanza del periodo storico,
non solo per il territorio ma anche per l’intero Mezzogiorno e nel
contempo ha citato due storici quali Umberto Caldora “… il governo
dei napoleonici è soprattutto significante per aver decisamente
districato il Mezzogiorno agli sviluppi anacronistici e nocivi di un
medioevo ormai scaduto per aver incamminato in modo efficace verso forme
di esperienze più moderne, introduttive anche a quella evoluzione
liberale e democratica in precedenza intrapresa da altre regioni
d’Italia. … “ o Winspeare
“… il regno del capriccio e
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dell’oppressione” , vedi i
pesanti gravami feudali cui si era soggetti (la morte: si pagavano 2 carlini per ogni vedova ed ogni sacerdote;
possesso di animali: e per il non possesso; fiere; piccolo commercio; le
stalle; la pesca; le feste): questi alcuni dei “gravami”
più irragionevoli ed umilianti.
Gianni
Aiello ha concluso sul significato del “5maggio”, che: «… sicuramente
non per esaltare l’ode di manzoniana memoria, forse quella è una sorta
di autopurificazione della coscienza del |
suo
autore, ma ricordare un
meridionale, per poco non italiano e
che la polvere ed il fango di Mont S.Jean (volgarmente passata ai posteri
come “Waterloo”) non fu una sconfitta, anzi le idee rivoluzionarie, di
cui Lui era il portatore, continuarono per molto tempo ad incendiare gli
animi non solo europei»
.


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L’avvocato
Carlo Baccellieri del Foro di Reggio Calabria ha relazionato su "Lo
stato delle leggi nel Regno delle Due Sicilie prima di Napoleone e la
colonia di San Leucio",
effettuando un breve excursus storico del periodo in questione.
Nel
1734 era in corso in Europa la guerra di successione polacca, e sul
territorio italiano si battevano gli
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eserciti spagnoli e francesi, da una
parte, e austriaci dall’altra. Carlo di Borbone, figlio del re di Spagna
Filippo V e di Elisabetta Farnese, che tre anni prima aveva preso possesso
del ducato di Parma e Piacenza, fu posto alla testa, ancora diciottenne,
di un’armata spagnola e mosse da Parma alla conquista dell’Italia
meridionale che costituiva un vicereame sotto il dominio austriaco ed il
10 maggio entrava trionfalmente a Napoli.
Gli
austriaci si ritirarono nelle Puglie ma vennero inseguiti e sconfitti
nella battaglia di Bitonto.
Dopo
sedici anni di dipendenza austriaca venivano riunite le sorti della
Sicilia a quelle continentali dell’Italia meridionale.
Il
nuovo monarca introdusse nel Regno segni della cultura spagnola, come le
corride che si svolsero per tutto il ‘700 e parte dell’800 e costituì
il Regno di Napoli e di Sicilia con capitale Napoli ed a Palermo venne
riaperto il Palazzo Reale.
Gli
inizi del Regno furono travagliati poiché nel 1740 era sopravvenuta la
guerra di successione austriaca, nella quale era rimasto coinvolto anche
questo nuovo Regno di Napoli che con un proprio esercito si era
vittoriosamente battuto, insieme ad un esercito spagnolo a Velletri,
sempre contro gli Austriaci.
Particolarmente
rilevante si presentava il problema della giurisdizione centrale, cui si
opponeva quella praticata dai baroni: mancavano codici, le sentenze non
erano motivate, le leggi scritte e consuetudinarie cui bisognava fare
riferimento erano disorganiche, le procedure erano farraginose, il ceto
forense era chiuso, settario ed anche corrotto.
Nel
Regno di Napoli, anche a causa del susseguirsi delle varie dominazioni,
esisteva all’epoca una enorme confusione nel campo delle leggi come
l’antica legislazione romana, il codice lombardo, il codice normanno, le
costituzioni della casa di Svevia, le leggi Angioine, queste alcune delle
leggi che ancora trovavano applicazione nel Regno, oltre alle
leggi che emanava il sovrano, quindi in questo guazzabuglio era
difficile orientarsi ed ancora più difficile ottenere giustizia.
Di
questa situazione sia avvaleva la categoria dei “paglietta” cioè
degli avvocati che, specialmente a Napoli, erano numerosissimi, circa
4000, la cui opera era indispensabile a chiunque avesse qualcosa da
difendere per potersi orientare nel caos delle leggi.
Ecco
come lo storico Pietro Colletta li definiva: “Sono i curiali timidi
ne’ pericoli,vili nelle sventure, plaudenti ad ogni potere, fiduciosi
delle astuzie del proprio ingegno, usati a difendere le opinioni più
assurde, fortunati nelle discordie”.
Altri
problemi che insistevano sul Regno erano quelli delle limitazioni del
potere statale poste dalla Chiesa di
Roma,, dei baroni che
continuavano a mantenere una forte influenza sul potere politico.
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La
monarchia instauratosi a Napoli con Carlo di Borbone ebbe il merito di non
ricalcare le caratteristiche delle vecchie monarchie del così detto
Ancien Regime, ma di tendere a un graduale adeguatamente della istituzione
nella direzione della concezione del potere inteso come assolutismo
illuminato. Per
quanto riguarda la struttura amministrativa del Regno esisteva
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un governo
composto da ministri (detti anche segretari) nominati dal Re.
Sussisteva
un nuovo Consiglio di Stato (diverso da quello esistente nel periodo del
vicereame), con funzioni consultive al cui vaglio passavano le più
importanti decisioni da adottare e che rappresentava una sorta di
Consiglio dei Ministri.
Un
altro Consiglio di Stato riguardava gli affari della Sicilia.
E
a proposito dell’organizzazione interna va ricordata la riforma dei
servizi dell’amministrazione centrale, che fu effettuata con una
drastica riduzione del personale sovrabbondante, il che snellì e rese più
funzionali gli uffici.
Non
vi furono invece cambiamenti di rilievo nelle istituzioni periferiche e in
quelle municipali napoletane: rimasero infatti immutate per la città di
Napoli le funzioni dei Seggi, degli Eletti, delle deputazioni.
Fuori
della capitale esistevano le Province. Per fare un esempio la Calabria era
divisa in Citeriore ed Ulteriore, poi divisa in Ulteriore I a
e II a
.
La
Provincia era retta da un Preside nominato direttamente dal Sovrano che lo
sceglieva fra la nobiltà o la casta degli alti ufficiali dell’esercito
purché di nobile casato.
Il
Preside accentrava nelle sue mani tutti i poteri, che esercitava in luogo
del Re e in maniera assoluta, amministrando anche la giustizia
direttamente o a mezzo di magistrati e uditori da lui nominati.
Esistevano
poi le Università (cioè i Comuni) controllati da un Governatore.
L’amministrazione era gestita dal “Sindaco” e da alcune persone
elette dai cittadini convocati con l’assenso del Governatore in
“pubblico parlamento”(l’organismo era formato da tutti i capi
famiglia incensurati).
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A
elezioni avvenute il barone esercitava lo “ius confirmandi” e
di solito l’organo eletto diveniva strumento degli arbitri feudali.
In
alcuni casi invece dello”ius confirmandi” esisteva addirittura
lo “ius erigendi” che prevedeva la facoltà di scelta da parte
del barone, senza possibilità di interferenze da pare del Comune
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Accanto
a queste organizzazioni esistevano le “Libere università”, cioè
Comuni “non infeudati” o che avevano potuto riscattare con
laute somme di denaro la propria infeudazione liberandosi dalle angherie
dei baroni.
Comunque
il rapporto con il feudatario e il grado di libertà conseguito da ciascun
Comune variavano caso per caso, in base alle contrattazioni che si erano
svolte, e non erano sottoposte a regole generali.
E’
evidente quindi che, anche se la nuova monarchia era aperta alle tendenze
illuministiche, all’interno del territorio del Regno permanevano ancora
in modo assai vistoso mentalità e situazioni di tipo feudale che
opponevano forte resistenza ad ogni tentativo di riforma. Particolarmente
potenti erano i baroni di Sicilia che avevano sempre goduto di una
maggiore autonomia.
Pertanto
i poteri forti, che secondo gli intellettuali dell’epoca,
rappresentavano un freno allo sviluppo del Regno, erano la Chiesa ed il
sistema feudale.
La
chiesa possedeva una buona parte delle proprietà terriere sulle quali lo
Stato non poteva imporre tributi. Inoltre queste proprietà erano di fatto
sottratte a qualunque trasferimento.
Conventi, chiese, cappelle ed ogni altro luogo i culto, godevano del
diritto di asilo che, in molti casi, si trasformava in una sorta di
immunità per i malviventi.

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Enorme era poi il numero dei preti e degli
alti prelati.
A
questa situazione Carlo riuscì, in qualche modo, a porre rimedio mediante
il concordato del 1741 mediante il quale si stabilì una riduzione del
diritto di asilo, una limitazione delle giurisdizioni ecclesiastiche, una
tassazione, sia pure
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ordinazioni, la
necessità dell’assenso regale alle bolle del Papa.
Nel
complesso l’attività del sovrano fu apprezzata in più occasioni, che
li procurarono il consenso popolare,
come dimostra il mesto commiato che accompagnò la sua partenza da
Napoli, quando, chiamato a cingere la corona di Spagna, dove assunse il
titolo di Carlo III, lasciò nel 1759 il Regno al giovanissimo figlio
Ferdinando I o IV, di nove anni.
L’opera
riformatrice di Carlo fu continuata da Ferdinando IV che, salito al trono
il 6 ottobre 1759, governò sotto la tutela del Principe di S.Nicandro e
di fatto tramite il Ministro Tanucci, membro del Consiglio di reggenza, il
quale non mancava di far notare al Re che la maggiore remora ad ogni
progetto di rinnovamento era costituito dalla giurisdizione dei baroni.
Egli
attuò una politica anti-ecclesiastica culminata con la cacciata dei
gesuiti nel 1767, con l’incameramento dei loro beni e con l’abolizione
delle regalie della Chiesa al Papato di Roma, ma non raggiunse lo scopo di
abbattere i più radicati centri di potere poiché riuscì solo ad
intaccare le prerogative e i privilegi dei baroni, che erano una delle
cause della cronica debolezza del Mezzogiorno e l’attività riformatrice
rallentò, specie dopo il licenziamento del Tanucci nel 1776 per
iniziativa della fazione asburgica ormai prevalente su quella spagnola.
Il
relatore conclude il suo interessante intervento tratteggiando gli aspetti
relativi alla creazione della Real Colonia di San Leucio,
Il
progetto venne attuato tra
il 1773 ed il 1787 e nel
1789 San Leucio venne dichiarata ufficialmente Real Colonia e dotata di un
codice di leggi ispirato al programma di rinnovamento sociale di stampo
illuministico redatto nel 1769 da Bernardo Tanucci, allora Ministro del
Regno.
Accanto
alle maestranze locali, vennero impiegati a San Leucio artigiani francesi
(soprattutto di Lione,
genovesi, piemontesi e messinesi.
Interessante
è l’elencazione che Giovanni Tescione fa nella sua monografia “L’arte
della seta a Napoli e la Colonia di San Leucio”.
In
questa colonia, per la quale venne emanato un codice che doveva governare
gli abitanti, Ferdinando volle creare uno stato ideale secondo uno schema
che i più considerano paternalistico, ma che non mancava di elementi di
democrazia, anche se la stessa venne definita come l’utopia di una
società perfetta, mente altri videro una società di tipo socialista,
altri un capriccio di Ferdinando.
Forse
nessuna di queste valutazioni è rispondente all’effettiva portata
dell’esperimento di San Leucio.
Evidentemente
Ferdinando volle provare in un ambito ristretto ciò che gli esponenti
dell’illuminismo, primo fra tutti Gaetano Filangieri, andavano
predicando, e tale figura, quella del Filangieri, viene
trattata anche nella successiva relazione.
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Luciano
Giovene di Girasole del Foro di Napoli su "La diffusione del
codice napoleonico e il suo influsso sul codice per lo Regno delle
Due Sicilie" e non mancando di tratteggiare altri aspetti
storici come quelli risalenti al periodo di Filippo Augusto quando
esisteva in Francia uno Stato che affermava la sua vocazione
unitaria nella lotta contro i poteri soprannazionali, contro i
feudatari e gli enti locali; in questo Stato, |
pertanto, gli organi centrali desideravano aumentare i propri poteri.
Lo
stimolo all’unificazione del Diritto era il senso dell’unità di
Stato, tanto che già dal secolo XVII vennero redatte norme uniformi in
tema di procedura e possesso così come nel 1731 furono adottate norme
uniformi in materia di donazioni.
Ma
il dualismo del potere che opponeva il Re ai Parlamentari, il dualismo
giuridico che opponeva il droit ècrit (romanistico) del Sud al droit
contumier (germanico) del Nord e
le numerose specificità del diritto feudale erano di ostacolo
all’unificazione.
La
spinta a codificare venne dalle istanze razionalistiche; la Rivoluzione
e gli eventi politici che ne seguirono rimossero gli ostacoli.
Infatti,
la Rivoluzione consentì la creazione di organi dotati dei poteri
giuridici necessari per codificare, e dell’autorità politica occorrente
per superare gli ostacoli alla codificazione.
Il
potere rivoluzionario di per sé non avrebbe potuto redigere un codice
civile di più di 2000 articoli coerenti e ben formulati.
Ma Donello,
Argou, Domat, Pothier, avevano ideato e raffinato un insieme di
definizioni e regole che dovevano offrire gli spunti per il legislatore.
Quindi
le condizioni favorevoli permisero di procedere con celerità alla
redazione del codice; questo promulgato nel 1804 entrò in vigore nel 1806,
e, il suo nome, prima Code Civil fu più tardi sostituito dall’altro Code
Napoleon ed è storicamente il primo dei codici civili che da allora
è stato adottato al mondo.
Tali
imput rappresentarono anche in Italia un risveglio degli studi filosofici
e del diritto, infatti dopo la Scienza nuova di Gianbattista Vico
(1725) che, aveva tracciato la storia ideale dell’umanità, l’Italia
era alla testa della giurisprudenza europea; infatti, ricordiamo che si
deve a Giovanbattista Vico ed al suo genio di istruzione del cogito ergo
sum di Cartesio nonché l’individuazione di alcuni principi che
trasferiti nella prassi giurisprudenziale napoletana vennero approvati e
conservati dapprima nel 1806 dai francesi a Napoli
all’atto dell’ingresso della giurisdizione francese e poi nel
1812 in Sicilia con la riforma dell’ordinamento giudiziario che entrò
in vigore nel 1819 con Re Ferdinando di Borbone il quale conservò anche
la Suprema Corte di Cassazione di Palermo.
Successivamente
tutti i codici civili promulgati dal 1834 al 1865 si ispirarono al modello
francese sul quale già si era fondato quello napoletano che aveva riunito
all’empirismo ed al razionalismo la filosofia storica napoletana dei
vari Vico, Pagano, Gaetano Filangieri che con la sua opera, la Scienza
della Legislazione si evince il modo ed il metodo atto a migliorare la
società attraverso quei sistemi legislativi risalenti al mondo greco ed a
quello romano.
Tale
opera, esportata nei maggiori paesi europei,
ebbe il merito di ricevere diversi riconoscimenti ed apprezzamenti
tra cui quelli di diverse
personalità del periodo come Beniamino Franklin, di Goethe e dello stesso
Imperatore Napoleone Bonaparte.
Il
Codice per lo Regno delle Due Sicilie venne promulgato a Napoli nel
1819, ed è un rifacimento del Codice Napoleonico del 1806 e documenta la
sovrapposizione di due aspetti processuali diversi, uno facente capo alla
tradizione illuministica del processo, l’altro legato al cosiddetto Ordo
Judicarum fondato sui canoni della vecchia procedura medievale che
erano stati privati dell’etica e quindi sottratti al potere politico che
in qualche modo avrebbe potuto condizionarlo.
Nel
Codice per lo Regno delle Due Sicilie
vi
erano, tuttavia, alcune differenze nella pratica come ad esempio quella
della eliminazione del tentativo obbligatorio di conciliazione nel Codice
Napoleonico ove anche le sentenze emesse dalla Suprema Corte di Cassazione
non vincolavano il giudice di rinvio ma, e qui l’aspetto politico
prevale, a Sezioni Unite interveniva anche il Ministro e, qualche volta il
Re il cui parere, ovviamente, era vincolante.
Le
Code Civil, considera i diritti del cittadino come preesistenti alla
legge, la quale ha lo scopo di riconoscerli.
Infatti,
compito del giudice è dichiarare se il diritto del privato esiste o meno;
il potere discrezionale del giudice e la funzione costitutiva della
sentenza sono ridotte, la volontaria giurisdizione è poco sviluppata (il
tutore ad esempio non è di nomina giudiziaria) .
Nel
Code Civil anche la dottrina dei vari diritti soggettivi è poco
sviluppata, salvo la teoria dei diritti reali di origine romana.
I
singoli diritti soggettivi non codificati verranno nella prassi a
delinearsi attraverso la responsabilità civile.
La
titolarità del diritto tende ad essere esclusiva ed a essere
incompatibile con gli atti di disposizione del non dominus
(tuttavia vale la regola possession vaut titre).
La
teoria della formazione del contratto è allo stato embrionale.
L‘autonomia
contrattuale è, invece, quasi totale.
Il
formalismo è quasi sconosciuto, anche s prende le sue rivincite nel capo
dei mezzi di prova.
Manca
una parte generale del diritto civile.
Le
persone giuridiche non sono regolate, i rapporti giuridici, le loro
variazioni, le fattispecie in genere, mancano di un regolamento generale
espresso.
Manca
una dottrina generale del negozio come atto giuridico.
Le
Code Civil è in sostanza un codice romanistica storicamente legato ai
punti d’arrivo della scienza giuridica francese esercitatasi sul diritto
romano ad eccezione degli spazi lasciati al diritto consuetudinario (ad
esempio la regola possesso vale titolo), e alle idee
giusnaturalistiche, spesso affermatesi nell’alveo dell’area
romanistica.
Il
relatore ha concluso l'interessante intervento parlando della continuità
del modello giuridico francese
attraverso la presenza di ripetitori, ossia di codici a modello francese,
riadattati per speciali bisogni e capaci di suscitare consensi ed
imitazioni, come il codice civile egiziano del 1949, che ha avuto sei
imitazioni,
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Raffaello
Cecchetti di Brugnolo dell'Università di Pisa su "Il codice
napoleonico a duecento anni dalla sua emanazione" che nel
corso della sua relazione ha evidenziato l'importanza di tale
emanazione che è stata esempio per altri modelli giridici.
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Ha
concluso la giornata di studi la Contessa Zenaide Giunta, discente
della Famiglia Bonaparte, discende
da Giuseppe Bonaparte (Re di Napoli, Re di Spagna e
delle Indie) e da Luciano Bonaparte (Principe di
Canino e di Musignano), entrambi fratelli dell’ Imperatore
Napoleone I. La Contessa Zenaide Giunta ha manifestato la sua
approvazione verso questi tipi incontri atta a fare memoria storica.
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La
Contessa Zenaide Giunta alla fine del suo intervento è stata
omaggiata oltre che di una targa ricordo anche di una statuetta
stilizzata in acciaio raffigurante l'Imperatore Napoleone Bonaparte,
autore il Maestro Antonio Pepe che ha consegnato personalmente
l'opera al gradito ospite che |
è
stata omaggiata anche di una targa ricordo offerta dal sodalizio
organizzatore.
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