Torna
il nuovo appuntamento dedicato al periodo dei napoleonidi che si pone
come obiettivo la promozione del decennio francese nel Regno di
Napoli, con particolare attenzione alla provincia reggina.
Un incontro
supportato da basi scientifiche e, quindi, ben lontano dai riflettori
delle piazze estive e festaiole, quindi qualcosa di serio.

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La
relazione di Daniele Zangari ha avuto come tema
"Napoleone Bonaparte: condottiero e politico", prendendo
spunto dalla nascita del tribunale di giustizia della
storia, con sede all'Aja in
Olanda, i cui giudici al
primo giorno di loro insediamento "processarono" niente di meno che |
l'Imperatore
Bonaparte, per le "nefandezze commesse dal
Il
tribunale condanna Napoleone all'ergastolo con la seguente
motivazione:
"al momento dei fatti come Imperatore di Francia e
comandante
in capo dell'esercito francese, aveva il controllo assoluto delle
truppe e pertanto era
responsabile dei delitti commessi dai soldati".
Distruzione,
saccheggio, deportazione sono crimini previsti, infatti della Corte
internazionale.
Come
esordio il tribunale dell'Aja avrebbe potuto processare ben altri
personaggi storici (come il
generale Cialdini) che si sono macchiati di crimini
veramente efferati.
Napoleone
non può essere accusato sicuramente di tali crimini.
La
lealtà e la pregevole grandezza dell'arte bellica di Napoleone rifulse
nelle varie guerre contro la coalizione europea soprattutto ad Austerlitz
con gli austro-russi e a Jena
contro la Prussia.
Napoleone
era un uomo vivace, sempre in piedi e sempre in moto.
Sapeva
farsi amare dai suoi soldati, sapeva, secondo le circostanze, commuoverli,
placarli, esaltarli, infiammarli alla lotta.
Vero
"fulmine di guerra" arrivava sempre là dove il nemico meno se
lo aspettava e in poco
tempo lo sbaragliava.
Assetato
di gloria e di potere, sognava di rifare l'impero di Carlo Magno.
Sicuramente
Napoleone amava molto l'Italia.
Più
volte, dopo aspre battaglie, ebbe a proclamare: "i reggimenti
italiani si sono coperti di gloria!
".
Vero
è che Napoleone si presenta col suo genio militare, come un capo
d'esercito fortemente realista,
positivo e nazionale.
Egli
risveglia, stimola il fondo guerriero della nazione.
Se
consideriamo in Napoleone il legislatore e il sovrano, dobbiamo
esaltare
in lui l'ideologo (in seguito infatti nascerà il bonapartismo quale
particolare categoria del mondo politico moderno, la cui definizione è
dovuta al sociologo R. Michels).

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Il
20 giugno del 1792 Bonaparte era ancora un giovane ufficiale di
artiglieria, ma già
aveva compreso l' immenso significato dei tempi che stava vivendo. |
Napoleone
così scriveva al fratello Giuseppe: "i giacobini sono dei folli
che non hanno il senso
comune!".
Per
Napoleone il potere era caduto nella piazza in mano della popolazione
agitata dai giacobini che
dominavano l' Assemblea.
Bonaparte
non si porrà mai il problema tra repubblica e monarchia, ma egli
cercherà sempre di capire dove sta il potere, come conquistarlo e
tenerlo.
Questo
è in fondo tutta la storia della sua vita.
La
conquista di Tolone ha costituito la prima tappa della sua marcia verso
il potere.
Un
giorno del 1796, nel corso della campagna d'ltalia, a Milano
Bonaparte
si intratteneva con Miot, ministro della Repubblica in Toscana,
e con il conte milanese Gaetano
Melzi.
Così
ci riporta Andre Castelot nel suo libro "Bonaparte, Paris 1968",
riferito all'incontro di Miot con
Bonaparte: «ciò che io ho fatto fin qui, dice
il generale Bonaparte, non è ancora niente.
Io
non sono che all'inizio della
carriera che devo percorrere. Credete voi che tutto questo sia per fare
la grandezza degli avvocati del
Direttorio, dei Carnot, dei Barras, che io
trionfo
in Italia?
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Credete che questo
sia forse per fondare una repubblica! Quale
idea! Una repubblica di trenta milioni di uomini! Questa
è solo una chimera ... Occorre alla nazione un capo, un capo
illuminato dalla gloria, e non
dalle teorie per le quali i francesi non capiscono niente!». |
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A
Milano, il generale
Bonaparte comincia ad assumere atteggiamenti da sovrano.
Bonaparte
ha freddamente analizzato la situazione: essa deve svilupparsi secondo un
processo inevitabile.
Quando
essa sarà arrivata a un certo punto,
questo sarà il momento per lui di imporsi.
A
Miot, a Torino, nel novembre 1796, egli confida: "il momento non è
ancora venuto ... Un
partito alza la testa in favore dei Borboni, io non voglio
contribuire al suo trionfo.
Io
voglio indebolire un giorno il partito repubblicano,
ma voglio che questo sia a mio profitto".
Stanislao
di Girardin scrive nel suo Journal: "arrivato all'Isola dei Pioppi,
il Primo Console si è fermato di
fronte alla tomba di Jean Jacques Rousseau
e ha detto: -sarebbe stato meglio, per il riposo della Francia, che
quest'uomo non fosse mai
esistito! -E perché cittadino console? chiese - E'
lui che ha preparato la Rivoluzione francese - Credevo cittadino
console che non toccasse a voi
lamentarvi della Rivoluzione - Ebbene! rispose,
l'avvenire imparerà se non fosse stato meglio per il riposo della
stessa
terra, che ne Rousseau, ne io, fossimo mai esistiti -
Fatto
questo profilo, Napoleone personifica la risposta ironica e dura dei
militari del sec. XIX ai Sogni letterari del XVIII.
Bonaparte,
il giorno della promulgazione del Concordato il 18 aprile1802, va alla
messa a Notre -Dame.
Le
campane, per la prima volta, hanno suonato
a Parigi dopo dieci anni.
Al
primo Console viene chiesto come ha trovato
la cerimonia. Questi così risponde: - molto bella, mancavano almeno
un milione di uomini che si sono fatti uccidere per distruggere ciò
che noi ristabiliamo -
L
'idea di conciliare i due principi contrari della Tradizione e della
Rivoluzione
giovò alla sua fortuna personale ma non fondò niente.
La
questione è ancora aperta: Bonaparte ha servito o no la Rivoluzione?
Nella
misura in cui egli non ha potuto conciliare i principi opposti -ed
essi erano inconciliabili -egli
non ha portato alla Rivoluzione il colpo decisivo
che egli avrebbe portato se si fosse contentato di essere luogotenente
generale del Regno come gli propose Luigi XVIII.
Le
guerre dell' Impero non avrebbero avuto luogo, l'Europa non sarebbe
stata certamente delle idee della
Rivoluzione.
Il
mondo avrebbe continuato per
lungo tempo ad andare senza troppi scossoni.
Napoleone
ha falsato tutto.
L
'interrogativo sollevato dal Manzoni conserva ancora tutta la sua
attualità.
Interessante
è stata anche la relazione di
Gianni Aiello che ha trattato "Il
viaggio di Giuseppe Bonaparte nella provincia reggina", avvenuto nel
1806 ,
quando insieme a circa 1000 uomini, suddivisi in
quattro
compagnie di granatieri e volteggiatori ed un
drappello di cacciatori a cavallo, comandati dal generale
Saligny, effettuò il tragitto storico.

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Giuseppe
Bonaparte giunse a Palmi il 16 aprile 1806, il giorno successivo fu
a Bagnara, dove ricette
il decreto dell’Imperatore, suo fratello, Napoleone sottoscritto a
Parigi il 30 marzo che lo nomina Re di Napoli e di Sicilia, poi a Scilla,
dove si trattenne due ore
.
Il
18 aprile alle 5 pomeridiane fu in riva allo Stretto dove
passò a rassegna le truppe del generale
Reynier.
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«A
Reggio - dice Gianni Aiello - i balconi erano addobbati
con arazzi, con le truppe ben schierate lungo le strade ornate
di archi coperti di corone di alloro, e foglie di aranci, fino all'arco
trionfale eretto all'ingresso della Città» .
Giuseppe
Bonaparte trascorse
tre giorni, soggiornando nel palazzo Bisignano, ed il sindaco del periodo,
Antonio Cimino, gli consegnò le chiavi della Città e lo stesso, insieme
ai nobili reggini ed all'Arcivescovo
frà Bernarndo Maria Cenicola venne invitato a pranzo nella stessa
giornata del suo arrivo.
Dai
documenti trattati da Gianni Aiello si è potuto evincere che il pranzo
venne allietato dagli strumenti delle bande musicali dei reggimenti
imperiali francesi che erano acquartierati in città.
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Il
viaggio di Giuseppe Bonaparte proseguì verso la zona sud di Reggio,
passando per Pellaro e proseguendo lungo la fascia jonica come Capo
d'Armi, Capo Spartivento, Gerace, Brancaleone.
Tra
l'altro il Re di Napoli Giuseppe Bonaparte, lungo il suo tragitto, nei
pressi di Monasterace, ricevette una delegazione di deputati di
Stilo che lo esortava a visitare quella città, ma il Sovrano per ragioni
logistiche non poté, suo malgrado, accettare l'invito.
Il
viaggio proseguì verso l'alto jonio, attraversò la Puglia ed il 10 di
maggio, verso sera, rientrò a Caserta.
La
relazione di Daniele Castrizio,
dell’università
degli studi di Messina si
è basata sugli
aspetti numismatici trattando "L'ideologia dell'Impero nella
monetazione napoleonica".
«L'impatto
che la monetazione napoleonica ha avuto in Italia - esordisce il
relatore - è stato difficile, in quanto ogni stato batte secondo
pesi e sistemi suoi. Si è cercato quindi di trovare dei punti
di ragguaglio in monetazione diverse.
Napoleone
ha avuto l'arduo compito di mettere ordine nella monetazione.
Il
franco diventa moneta unica, la lira viene ragguagliata al franco, quindi
si viene a creare una vasta area di circolazione, che comprende monete tra
di loro interscambiabili ed è dal punto di vista dell'economia un buon
fatto».
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Il
relatore effettua un percorso sia storico che iconografico dando una
lettura delle monete anche dal punto di vista simbolico che oscilla
tra periodo classico e mitologia. Napoleone ha una monetazione -
secondo il relatore - alquanto monotona e ne percorre le tappe
effettuando un excursus storico sia degli avvenimenti sia delle
emissione delle monete. |
Sono
stati presi in visione i diversi tagli delle monete , come il
"Marengo" battuto dalla zecca di Milano, e rievocante alla
vittoriosa battaglia.
Il
relatore si è soffermato sul riferimento al simbolismo romano del
periodo di Ottaviano e poi di Augusto, con un Napoleone a capo scoperto,
quando era primo Console, e con la corona di alloro romana, quindi
il messaggio appare chiaro: un Napoleone che mira a diventare unico
Sovrano.
Nella
primissima emissione monetaria relativa al periodo imperiale, sulla
monete viene riportata la dicitura" Napoleone Imperatore", ma la
cosa interessante - prosegue il Castrizio - è che il capo risulta
privo della corona d'alloro, in quanto, il significato del simbolismo
appare chiaro: Napoleone Bonaparte non vuole assolutamente forzare i
tempi, così come fece Augusto, visto che la moneta era anche uno
strumento di propaganda, quindi per non turbare l'opinione pubblica.
Il
relatore è passato alla visione dei vari tagli delle monete del
periodo commentando dei vari pezzi il simbolismo in esse
contenuto, dove vi è un'enorme chiarezza nelle stesse, rispetto
alla monetazione precedente quella napoleonica risulta molto razionale,
dove nulla viene lasciato al caso.
«Napoleone
- conclude il relatore - rinuncia per chiarezza, dando il chiaro valore
della moneta, rinuncia ad uno dei suoi grandi vantaggi: infatti il sistema
monetario applicato, sia dalle amministrazioni precedenti che da quelle
successive, si basava dall'uso delle due facce della moneta, diritto e
rovescio per lanciare messaggi politici, Napoleone, invece, rinuncia
al messaggio politico sul rovescio, lasciandolo all'indicazione
dell'opera, quindi una monetazione molto pratica.»
Prima
dell'ultima relazione,
Gianni Aiello ha presentato alcuni ospiti, giunti appositamente per
l'incontro: Maria Paola Bouche, discendente di Carolina Bonaparte e
l'avvocato Franco Polimeno, discendente di Demetrio Cogliandro, un
militare reggino presente ad Austerlitz .
Tale
battaglia costituì il capolavoro tattico
di Napoleone Bonaparte : all'inizio degli scontri l'esercito francese si
dispose sulla difensiva invogliando i Russi ed Austriaci ad attaccare e a
tentare di circondare la Grand Armèe disposta sull'altopiano del Pratzen.
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Ma
proprio quando gli avversari sembravano avessero la meglio,
Napoleone ordinò l'attacco e l'annientamento del nemico con il
grosso delle truppe e, in breve tempo lo costrinse alla resa : era
il 2 dicembre del 1805. |
La
testimonianza del pronipote di quel soldato napoleonico è importante in
quanto conferma che molti esuli reggini del 1799 andarono in Francia e si
arruolarono al seguito di Napoleone Bonaparte.
La serata
si è conclusa con il
prof. Mario Spizzirri,
esperto di storia militare presso l’università degli studi di Cosenza e
Cavaliere dell'Ordine Sovrano della Corona di Ferro, che ha trattato le
tematiche relative a "Concetti tattico-strategici nelle battaglie
napoleoniche" ,
Napoleone
e i suoi generali operavano con un esercito (l’Armée) che, a
quell’epoca, era erede contemporaneamente dell’Ancien Régime e della
Rivoluzione.
L’esercito
di Luigi XVI (il sovrano che sarà ghigliottinato) era, dal punto di vista
tecnico, il migliore esercito
dei Re di Francia e ciò è dimostrato dalla risolutiva partecipazione
alla guerra di indipendenza americana (Lafayette).
La
rivoluzione provocò l’emigrazione in Inghilterra o in altri Stati
confinanti (Russia, Austria, Prussica) di gran parte degli ufficiali ma la
coscrizione e la rapida carriera (promozione) dei sottufficiali fece si che
l’esercito (l’Armata Reale) francese potesse disporre di un numero di
effettivi prima impensabile.
Con
Napoleone sotto le bandiere francesi militarono popoli di tutta l’Europa
(Belgi, Olandesi, Svizzeri, Tedeschi, Italiani, Polacchi), armati ed
inquadrati sul modello francese.
Era l’abitudine dell’Imperatore
quella di costituire le Divisioni (Corpi d’Armata) con Reggimenti di
fanteria provenienti da nazioni diverse.
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«Prima
di analizzare i sistemi di manovra e di battaglia adottati da Napoleone
- prosegue il relatore - è
necessario, a mio avviso, esaminare gli elementi che sono alla base di
ogni piano dell’Imperatore, ossia di considerare quelle regole vitali di
combattimento di cui parla, diffusamente, Chandler. |
Tra
esse, perciò, distinguiamo:
1)
fare la guerra attaccando: il soldato che se ne sta seduto nella
sua postazione (trincea) aspettando che gli avversari lo attacchino è già
quasi sconfitto prima che col nemico si siano scambiati i primi colpi.
2)
Una difesa ben ponderata e circospetta deve essere seguita da un
attacco rapido ed audace ossia attaccare da una posizione forte, il centro
operativo, sapendo che le vie di comunicazione sono sicure, dopo aver
lasciato trascorrere il tempo sufficiente perché il nemico sveli le sue
intenzioni ed i suoi errori di posizione e di calcolo;
3)
Non lasciare quasi nulla al caso ossia informarsi bene sul
potenziale e sulla consistenza delle truppe avversarie con relativo
anticipo;
4)
Stabilire una strategia principale e, in subordine, ogni
alternativa possibile per fronteggiare qualsiasi intessa circostanza
(niente si ottiene in guerra se non per mezzo di precisi calcoli);
5)
Tenere in conto ed, eventualmente, sfruttare l’imprevedibile;
6)
Proteggere il segreto militare;
7)
Sfruttare le risorse locali
8)
Avere, in senso assoluto, la cieca obbedienza delle truppe e dei
subalterni;
9)
La velocità (rapidità dei movimenti) e la padronanza dei fattori
spazio e tempo;
Solo,
in tal modo, si può ottenere, a detta degli studiosi militari di
Napoleone, la Blitzrieg (la guerra lampo) e il tutto, associato al lavoro
di una mente matematica (l’Imperatore proveniva dall’artiglieria) di
capacità eccezionali in grado di sostenere, senza alcun cedimento, la
fatica .. quella era l’impronta di un Genio;
10)
Adunata e non concentramento delle truppe, ossia il dislocamento
della maggior parte delle unità a distanza di marcia dalla località
prescelta per lo scontro e disporle, oltretutto, in modo da poter far
fronte a qualsiasi improvviso ed inaspettato sviluppo col minimo di
disorganizzazione;
-
Adattabilità e mobilità dello strumento operativo;
-
L’esercito deve essere riunito (rènui) e la maggior forza
possibile deve essere concentrata (concentré) sul campo di battaglia;
-
Fondere le varie fasi della battaglia: attacco + sfondamento +
inseguimento in un’azione continua;
-
La costituzione dei Corpi d’Armata;
-
Importanza del morale e del Comando;
-
Il coraggio quale prima caratteristica del soldato e la
perseveranza quale seconda; il coraggio non si compra (illusione della
gloria, vanità e credulità dei suoi uomini); parlare al cuore per
elettrizzare i soldati; ricompense militari accuratamente ordinate per
gradi (Legion d’onore, titoli nobiliari e relativi possedimenti e
prebende: ducati, principati, troni etc), promozioni militari,
cameratismo.
-
Guerra psicologica contro gli avversari;
-
La strategia, per Napoleone, era l’arte di usare in maniera
esatta tempo e spazio: programmazione ed esecuzione dei movimenti
dall’inizio di una campagna di guerra fino al momento decisivo;
Per
Napoleone la battaglia costitutiva soltanto una parte della programmazione
strategica.
Tenere in conto le lezioni di Federico il Grande (istruzioni
segrete) e da Bourcet (principi della guerra di montagna)».
Napoleone
applicò il suo genio alle idee di altri e riuscì a produrre il più
abile ed infallibile sistema di manovra dei suoi tempi:
Segreto
di Napoleone: individuare il cardine o la cerniera della disposizione
strategica del nemico e, come tale, sceglierlo per un attacco iniziale e
fulmineo che sovente non veniva mai sferrato con grosso delle forze;
-
Divenire padroni della posizione centrale e, quindi, distruggere le
singole parti delle forze nemiche.
-
Schemi tattici
-
Scienza ed arte di guidare gli uomini e le artiglierie durante le
operazioni cruciali;
(Tattica
spicciola): tecniche dei combattimenti corpo a corpo e reparto contro
reparto;
Scelta
dell’obiettivo;
Importanza
di avanzare in battaglia con numerose, piccole colonne ai fini della
mobilità;
-
Scelta delle armi: privilegio dell’artiglieria; colpo d’occhio;
-
Battaglia frontale – doppia battaglia frontale – battaglia
strategica (lampo) ossia annientamento del nemico utilizzando la
cavalleria leggera (lancieri, cacciatori, dragoni e ussari);
In
guerra tutto ciò che può essere utile è lecito, “il fine giustifica i
mezzi” Machiavelli .
Impegnare
il nemico in condizioni tali che una eventuale vittoria abbia il massimo
delle conseguenze politiche e militari;
Immobilizzare
l’avversario con un attacco o una semplice minaccia frontale portando,
invece, il grosso delle proprie forze, per mezzo di un ampio movimento
aggirante sul fianco e sul retro del nemico costringendolo così a
combattere a fronte rovesciato e con le proprie linee di rifornimento
tagliate.
Dal 1809 i successi, comunque, diventano più difficili e
sovente meno decisivi.
Il
genio di Napoleone non si era affievolito ma la qualità dei suoi soldati
si era, enormente, abbassata.
Gli eserciti nemici, inoltre, avevano
imitato l’Esercito del
vincitore e, fattore basilare, il loro armamento non era per nulla
inferiore a quello dei francesi;
L’Imperatore,
a tal proposito, cercò di aumentare gli effettivi utilizzando formazioni
più numerosi e massicce;
Tallone
d’Achille: non aver cercato e
incoraggiato l’applicazione di nuovi
mezzi di guerra; l’epilogo: campagna di Russia, Lipsia, Waterloo.
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