"Una rivolta, in fondo in fondo,  è la lingua degli inascoltati"

 

 

M. L. KING (religioso statunitense, 1929-1968), 

"Chaos or Comunity, IV"

 

 

    

 

Una sequenza di immagini di persone che scendono dai pulman, da treni, che arrivano con le navi e che si dirigono in lungo corteo per le vie della Città dello Stretto tra due cordoni delle forze dell’ordine, mentre qua e là, si intravedono labili tentativi di incidenti, di scontri: questo lo scenario del 24 ottobre 1972.

 

È la manifestazione nazionale per il Mezzogiorno organizzata dalla Federazione lavoratori metalmeccanici presso il Teatro Comunale "Francesco Cilea", cui fa seguito una manifestazione nella stessa città di Reggio, alla quale partecipano, tra gli altri, i segretari Lama, Storti e Vanni.

La stessa manifestazione, quella del 24 di ottobre, si trova inserita cronologicamente tra alcune date, costellate da una serie di attentati

dinamitardi, come quelle del 20 quando a Reggio sono sono lanciati, nel corso della notte, ordigni esplosivi contro le sezioni del P.S.I. , del P.C.I. e la sede del sindacato della U.I.L.; del 17, un attentato dinamitardo nei locali della biblioteca comunale, dove si sarebbe dovuto effettuare una conferenza sindacale; del 15 dello stesso mese, quando, sempre a Reggio viene colpita con alcuni lanci di materiale esplosivo la sede del Partito Comunista d’Italia Marxista Leninista.

Mentre il 27 di ottobre a Villa San Giovanni un attentato dinamitardo colpisce la sede della sezione del M.S.I. "Luglio 1970".

Tutto questo fa da scenario all’altro attentato, quello ferroviario, nei pressi di Lamezia Terme che causerà il ferimento di cinque feriti ed alle parole emanate, durante il comizio tenuto a Reggio Calabria, proprio il 24 ottobre, dove il sindacalista Pierre Carniti dichiara a tal proposito: […quel treno che portava via gli emigranti... non volevano consentire che tornasse per farli partecipare a questa grande manifestazione. Siamo in presenza, amici e compagni, e non la sottovalutiamo affatto, siamo in presenza di una criminalità organizzata, che è anche indicativa, però, del suo isolamento. Si tratta di gente disperata, perché ha capito che l'iniziativa di lotta dei lavoratori, di questa stessa manifestazione sindacale, rappresenta un colpo durissimo. Ecco perché reagiscono con rabbia, reagiscono con disperazione. E oggi, come cinquant'anni fa, questa reazione conferma che il fascismo con il manganello e il tritolo è al servizio dei padroni e degli agrari contro i lavoratori e contro il proletariato. Ma dunque compagni, debbono sapere che non siamo nel '22 e che la classe operaia, le masse popolari, le forze politiche democratiche hanno la forza ed i mezzi per difendere le istituzioni democratiche dall'attacco e dall'aggressione fascista. E ciascuno farà la sua parte in questa direzione. Oggi non sono calati a Reggio, amici e compagni di Reggio, i barbari del Nord, ma con gli impiegati e con gli operai del Nord sono tornati a Reggio i meridionali!...]

Le cose che risaltano immediatamente sono i seguenti termini  “gente disperata”, “fascisti”, ma si parla anche degli sbocchi occupazionali, del lavoro, quel lavoro promesso con il famoso “pacchetto Colombo”, che si concretizzò con il fallimento della “Liquichimica” di Saline Joniche - che precedentemente ai moti del '70 doveva sorgere in Sicilia -  con le altre "promesse" di un ennesimo “centro siderurgico”, quando, quello di Taranto, già dava segni di cedimento sul mercato.

Le altre cifre sono quelle indirizzate ad uomini di diversa estrazione ideologica, ad una città intera che rivendicava il diritto alla propria identità storico-culturale, quindi non “gente disperata”, ma “esasperata per quello che avevano subito” e non “fascisti”.

Infatti c’è da sottolineare altri tre punti fondamentali a tal proposito ("fascisti"): il primo è che nella seduta del 12 agosto 1970, l’esponente missino Giorgio Almirante, parlando alla Camera dei Deputati, durante il suo intervento invocava misure repressive nei confronti dei rivoltosi di Reggio Calabria; il secondo è che alla “cosiddetta” parteciparono anche gli anarchici, “Lotta Continua”, l'ex comandante partigiano Alfredo Perna, si sottolinea “partigiano”, quindi che combatté contro il regime fascista e la Repubblica Sociale di Salò, periodi storici che erano molto cari al sopra citato Giorgio Almirante; mentre l’ultimo punto che la lotta per il capoluogo, non è stata, come qualcuno, di recente, ha sottolineato sulla stampa nazionale, “… un’esplosione di ribellismo plebeo manovrata dall’estrema destra…”.

Premesso doverosamente tutto ciò passiamo adesso alla manifestazione vera e propria “Reggio 1970-2000: trent’anni dopo” dedicata a ciò che accadde tre decenni or sono e che per la stessa che si è strutturata nell’arco di cinque giorni, il sodalizio reggino ha volutamente scelto di non chiedere nessuna, si sottolinea nessuna, collaborazione economica pubblica per realizzare l’esposizione e la “tre giorni”, nel rispetto di coloro che morirono in quel periodo e distinguendosi, anche nei confronti di coloro che “fanno” cultura sono ed esclusivamente in funzione dei contributi, quindi il Circolo

 

Culturale L’Agorà è in netta controtendenza rispetto a quanto usualmente avviene, contraddistinguendosi, anche per questo, da ciò che spesso si verifica nel mondo associativo, lanciando quindi un chiaro messaggio a tal proposito.

Le giornate di studio si sono articolate durante l’arco di cinque giornate dedicate alla "Protesta" di Reggio,  relativa ai fatti del 1970.

L'appuntamento  è stato caratterizzato da proiezioni del periodo e interviste con la gente per vedere cosa  pensava e cosa sia rimasto nei loro cuori a distanza di tempo. 

E' stata allestita anche una sezione documentaria costituita da dieci pannelli fotografici (sui quali ogni visitatore ha lasciato una propria firma, un pensiero, che è  stato un prezioso elemento di valutazione).

In contemporanea ad una mostra fotografica inaugurata il 17 gennaio 2000 nei locali dell'Accademia di Belle Arti  si è tenuto il convegno riguardante i fatti della cosiddetta "rivolta" che nel luglio del 1970 ha avuto per protagonista la città di Reggio Calabria e di coloro che vi  parteciparono.                                                                         

La rivolta di Reggio segna un momento di crisi della Repubblica italiana ed è stato uno dei fenomeni sociali e politici più rilevanti della storia del Mezzogiorno del dopoguerra.

Essa ha avuto caratteristiche originali che la rendono non

assimilabile ad altre sommosse di tipo antistatale e ad altri episodi come quelli di Avola e Battipaglia. 

E'  stato un evento spartiacque che ha segnato la fine di una fase della storia del Mezzogiorno e del Paese (e che pure non ha suscitato un adeguato approfondimento, sia in sede di analisi storica sia in sede di riflessione politica) e questo, naturalmente si è cercato di evidenziare, approfondire proprio nell’arco delle giornate di studio, organizzate dal Circolo Culturale L’Agorà, per creare un serio momento di riflessione.

Quindi un tentativo di rilettura per capire cosa è cambiato, in questo arco di tempo, da quei terribili giorni in cui a Reggio ma in tutto il Meridione vi era il divario con il resto del Paese sfociato anni prima nei fatti di Melissa, Cutro, Isola Capo Rizzato in Calabria, Avola in Sicilia e di Battipaglia in Campania, avvenimenti che insieme a quelli di Reggio non devono essere considerati episodici o casuali, ma malcontento dovuto al divario economico del Mezzogiorno nei confronti del resto del Paese.

 

Bisogna pensare ai fatti di Reggio senza pregiudizi in modo da non strumentalizzare la protesta popolare accostandola ai colori di un’area politica.

Cosa certa è che quel periodo rappresenta un capitolo alquanto scomodo ed imbarazzante non solo per la storia locale.

I cinque giorni, dedicati al trentennale di quei tristi giorni, dove persero tutti, sono stati esclusivamente  un momento di riflessione, vista anche le autorevoli presenze,  e non un motivo di nuove spaccature: quindi nessun rigurgito ma solo un aspetto storico che ha riguardato o in positivo o in negativo la città di Reggio Calabria, quella stessa Reggio che scese in piazza ritenendo di battersi per una causa giusta, un ideale che nulla a che fare con  il termine “rivolta” ma con quello di protesta nei confronti dei partiti nazionali e dei politici calabresi.

Le cause del 1970 hanno motivazioni antiche, infatti, sin dal 1948, inizia la protesta per il capoluogo: i Consigli provinciali e comunali di Catanzaro e di Cosenza in data 11 ottobre, con ordine del giorno in cui «… si affermava che Reggio non aveva alcun requisito per essere designata come sede di uffici regionali».

Comitati di cittadini sorsero sin da allora in difesa di tale diritto, accogliendo esponenti di tutti gli schieramenti politici che si riunirono in un’assemblea di sindaci della provincia reggina, convocata nella sede del Comune capoluogo in data 21 ottobre (da notare che già in data 31 dicembre dell’anno precedente vi era stata un’altra assemblea nel salone dell’Amministrazione provinciale della città dello Stretto e presieduta dall’avvocato Malavenda) per difenderne la causa.

La traversia burocratica si prolungò nel tempo, infatti il 1° marzo del 1969 vi fu un’assemblea di parlamentari, sindaci, e vari rappresentanti di partiti che venne convocata dal presidente della Provincia di Reggio.

In tale riunione si ribadì il diritto per il capoluogo regionale, sin da quel periodo esisteva in città il “Comitato di agitazione per la difesa degli interessi di Reggio”.

In data 15 marzo dello stesso anno vi fu una manifestazione studentesca che si prolungò sino al 18  dello stesso mese con l’occupazione per alcune ore in ferrovia, mentre il 21 il Consiglio comunale di Reggio Calabria votò un ordine del giorno per Reggio capoluogo.

E si giunse al 17 gennaio del 1970 quando in una riunione romana fra i segretari provinciali della Dc delle tre province calabresi scaturì la volontà per Catanzaro capoluogo e la delegazione reggina si oppose, mentre nei giorni successivi il presidente del Comitato di agitazione, Francesco Gangemi, si dimise dalla Democrazia Cristiana.

Non era quindi una questione “di pennacchio spagnolo” ma qualcosa di più che scaturiva dall’edificazione della struttura regionale che generò un serio dibattito sull’ubicazione del capoluogo regionale, emblematico anche il caso di L’Aquila e Pescara, ma li la cosa ebbe breve durata e conseguenze diverse da quelle della città dello Stretto che fu la rivolta popolare più lunga del Novecento.

Prima dell’istituzione degli enti regionali non vi era una sede ufficiale del centro guida sia a livello burocratico che politico, poi la realizzazione di tale istituto, venne scelta Catanzaro, non per la sua centralità, non lo è dal punto geografico, pensiamo ad esempio alla città di Palermo, capoluogo della regione siciliana, rispetto a Messina o Catania, come tra l’altro fatto notare da uno dei relatori, nella fattispecie il docente universitario Pasquale Amato, presso la facoltà di Scienze Politiche di Messina.

Tale scelta, quella relativa alla sede del capoluogo regionale,  venne fatta perché tale città era sede della Corte d’Appello, che successivamente venne designata pure nella Città dello Stretto.

 

C’è da evidenziare, purtroppo, che tutto ebbe inizio a causa di una brutale reazione da parte delle forze dell’ordine indirizzata nei confronti dei partecipanti ad un semplice e pacifico corteo di civile protesta nei confronti delle scelte che si stavano effettuando nei confronti dell’indirizzo della sede capoluogo regionale.

Gli aderenti alla manifestazione che avevano occupato, in segno di protesta indirizzata a tali valutazioni, i binari ferroviari vennero selvaggiamente attaccati: fu quella la miccia che fece scoppiare la rabbia di coloro che successivamente vennero definiti “gente disperata”.

Ma ci sono altri aspetti che a tutt’oggi devono ancora essere chiariti e che sono stati ben evidenziati durante l’intera manifestazione: come ad esempio ciò che alcuni quotidiani nazionali si ostinano a pubblicare e nella fattispecie il termine “Boia chi molla” che è un motto già in uso a metà ottocento (periodo risorgimentale). Fu il grido di battaglia degli insorti delle cinque giornate di Milano. Fu poi, durante la dittatura fascista, il titolo di un foglio dei fratelli Rosselli stampato a Parigi in italiano (i fratelli Rosselli erano antifascisti italiani esuli in Francia); infine durante la Repubblica di Salò (RSI), divenne anche il motto di un reparto repubblichino.

Ma altra cifra da non sottovalutare è che ancora oggi un grave errore accreditare al periodo storico in questione un tentativo eversivo di resurrezione fascista visto che Reggio fu l’unica città d’Italia, nella quale si ebbe il coraggio “… di efficacemente indire una manifestazione di giubilo la notte di S. Silvestro 1924 per la ventilata notizia della caduta del fascismo” : circostanza questa, richiamata nel Senato del tempo dell’allora direttore del Corriere della Sera, Senatore Alberti, al fine dimostrativo non era affatto vero che il fascismo riscuoteva i consensi di tutto il popolo italiano.

 

Durante le tre serate di lavori (19-20-21 gennaio) sono emerse, fra tutte le cose che sono state dette, alcune questioni di importanza considerevole, come la qualità degli interventi, tutti molti interessanti, l'attenzione dataci dalla carta stampata e dalle tv  locali,  

presenti massicciamente per tutta la durata del convegno, gli interventi del pubblico molto sentiti e motivati.  

   

 

17.01.00

 

21.01.00

 

Molto interessanti sono state le qualità degli interventi dei relatori e l'impatto che hanno avuto sull'uditorio, come al sindacalista Giuseppe Aprile, all'onorevole Piero Battaglia, al dott. Giuseppe Vittorio Canale, ai consiglieri provinciali Giuseppe Galtieri e Vincenzo Rogolino, al marchese Felice Genoese Zerbi, all'onorevole Giuseppe Reale (che non essendo tra i relatori, ha detto, nel suo intervento, fatto tra i banchi del pubblico delle cose veramente importanti): costoro  hanno regalato all'uditorio, soprattutto ai più giovani, dei momenti particolari offrendo una interpretazione inedita dei fatti di Reggio, facendo quindi vivere qualcosa di veramente coinvolgente.

La serie di appuntamenti sono state condotte abilmente da Gianfranco Cordì - responsabile della sezione "cinema" del sodalizio organizzatore – che all'interno del suo intervento che  ha ha avuto  come titolo "Il linguaggio attraverso le immagini", un modo di vedere come  gli esperti della celluloide hanno presentato l'argomento relativo alle proteste popolari, proteste  che come si sa non hanno confini né temporali né geografici .

 

L'intervento di Cordì  ha rappresentato un momento di riflessione quindi, un tentativo di rilettura per capire cosa è cambiato, in questo arco di tempo, da quei terribili giorni in cui a Reggio  ma in tutto il Meridione vi era il divario con il resto del Paese: divario sfociato anni prima nei fatti di Melissa, Cutro,

Isola Capo Rizzuto in Calabria, Avola in Sicilia e di Battipaglia in Campania (avvenimenti che insieme a quelli di Reggio non devono essere considerati episodici o casuali, ma frutto del malcontento dovuto al dislivello economico del Mezzogiorno nei confronti del resto del Paese) . 

Ritornando a quei tragici momenti, c’è da ricordare che il potere centrale, rappresentato dal democristiano, interessante il ruolo che ebbero gli inquilini dei quartieri alti dello “scudo crociato”, Emilio Colombo, il quale pose il veto a qualsiasi tipo di trattative con i delegati di quel malcontento popolare che accadeva a Reggio Calabria.

 

 

 

 

Ma per ben evidenziare la chiusura che vi era, l’alto rappresentante istituzionale e di partito dispose anche l’invio, in diversi periodi, di soldati, forze dell’ordine, reparti speciali, mezzi cingolati, oltre ad un’ordinata attività di distruzione informativa di quello che succedeva in riva allo Stretto, dando quindi una tipologia dei fatti distorta di ciò che accadeva, infatti l’attenzione dei  mass media nazionali cominciò a scemare nei confronti di quello che accadeva a Reggio, mentre restata vivo lo spirito d’informazione da parte dei giornalisti stranieri.

 

Ritornando alla manifestazione, c'è da evidenziare che sono emerse alcune questioni di importanza considerevole specie negli interventi del sindacalista Giuseppe Aprile, che ha parlato della

sua esclusione alla carica di segretario generale della UIL a causa del suo essere "reggino", del dott. Giuseppe Vittorio Canale, Procuratore dei cittadini del Movimento Federativo Democratico, che ha lanciato l’idea atta d'una possibile istituzione di un "museo" dedicato ai fatti della rivolta di Reggio.

Il sindaco di allora, l’Onorevole Piero Battaglia ha rilasciato una dichiarazione nel corso della prima giornata dicendo che:  «i cittadini di Reggio non si sono ribellati solo per la vicenda capoluogo il popolo protestava per lo stato di emarginazione in cui versava, per il diritto al lavoro che gli veniva negato, perché perdeva di giorno in giorno la fiducia nelle istituzioni . 

Nessun esponente del Governo di allora si è messo in collegamento con la città e tutti i nostri tentativi furono vani».

Il docente universitario Pasquale Amato invece, nel corso del suo intervento ha detto: «Scippare Reggio del suo ruolo naturale è stato un atto di "pirateria" che ha portato a disastrose conseguenze. Mi riferisco non solo al trasferimento di importanti uffici amministrativi, ma a tutta una serie di provvedimenti collaterali come la decisione di costruire l'aeroporto internazionale

di Lamezia Terme che fortemente hanno penalizzato la nostra città. E se adesso la Regione Calabria è diventata l’ultima d’Italia è anche perché non ha il capoluogo nella città più importante, ma nella più debole e nella più facilmente governabile » , nel corso del suo intervento ha detto che « scippare Reggio del suo ruolo naturale è stato un atto di "pirateria" nei confronti di Reggio e che

 

 ha portato a disastrose conseguenze».

Gimo Polimeni (Assessore comunale alla cultura) ha ribadito durante la serata che «L’unità e la modernità della Calabria sono ancora da costruire.  Ed è proprio con  questo problema che la classe dirigente sarà chiamata a confrontarsi nel prossimo futuro».

Infatti Reggio Calabria rimase sotto stato di assedio per tutto il corso di quel periodo, isolata dal resto della Penisola, anche per il blocco della tratta ferroviaria, e la città era duramente provata da ciò che accadeva per le vie, piazze, contornate dalle barricate, dagli attentati dinamitardi che interessarono diverse sedi istituzionali.

La ribellione di Reggio non fu uno di quegli avvenimenti che possano liquidarsi con diagnosi  affrettate e un errore grave dimenticare in quali decadenti realtà socio-economiche. 

Il suo bilancio fu devastante, oltre ai parametri relativi agli aspetti che colpirono la collettività  dal punto di vista economico, c’è da registrare anche quello degli affetti, infatti tragicamente trovarono la morte in quel periodo, oltre ai fatti che si scatenarono in città, vi sono da annoverare quelli  del 22 luglio dello stesso anno, quando a Gioia Tauro deragliò il “Treno del Sole” , da Palermo si dirigeva a Torino, causando la morte di RitaCamicia, Rosa Fazzari, Andrea Gangemi, Nicoletta Mazzocchio, Adriana Vassallo ed il ferimento di 139 persone, ma anche l’altro tragico incidente sull’autostrada del Sole che da Reggio Calabria portava a Roma dove morirono, al chilometro 50 tra Ferentino ed Anagni, cinque anarchici che si dirigevano nella Capitale, dove dovevano recapitare documenti di denuncia a riguardo di ciò che accadeva in riva allo Stretto: tali atti scomparirono nel nulla! .

 

L’incontro, organizzato dal Circolo Culturale L'Agorà, ha evidenziato gli avvenimenti cittadini di quegli anni secondo le diverse prospettive dei protagonisti dell’epoca e a fare "memoria" di uno dei momenti più drammatici della storia recente della città : quella del ’70 fu una tragica estate

con quattordici morti, sparsi tra Reggio, la sua provincia ed il resto della Penisola, centinaia di feriti ed arresti e fermati.

Ritornando ai giorni attuali e quindi alle giornate di studi c’è da evidenziare che l'idea di un "luogo della memoria" per la rivolta di Reggio è stata riproposta dall’avvocato Francesco Arillotta e dal giornalista RAI Franco Bruno mentre dagli altri relatori vi è stato un interesse per l’istituzione di un qualcosa di stabile (sia esso museo, archivio o fondazione, le idee su tale argomento sono state le più diverse) che ricordi in maniera permanente la rivolta di Reggio Calabria come i filmati che sono riusciti dagli scaffali impolverati della memoria che hanno dato un sussulto ai presenti in sala .

Il cadavere di Bruno Labate, venne trovato in via Logoteta il 15 luglio, una traversa del corso Garibaldi, vicino ai palazzi istituzionali quali (Provincia, Comune e Prefettura) e precisamente nella salita della Standa: era un dipendente delle ferrovie ed era iscritto al sindacato della Cgil, risulta quindi doveroso precisare la sigla sindacale, il suo orientamento politico, i propri iscritti, uno, proprio quel Bruno Labate, che usciva dal lavoro per andare a

 

casa  ed invece non vi ha fatto più ritorno in quella nefasta giornata.

Cosa che ebbe purtroppo a ripetersi in seguito, era il 17 settembre, con la morte di Angelo Campanella, 45 anni, autista

dell'azienda municipale degli autobus, padre di 7 figli, viene colpito a morte nei pressi del  ponte Calopinace, mentre, anche lui, rientrava a casa.

Stessa cosa, ironia della sorte, accadde dopo un anno esatto al barman Carmelo Jaconis, 25 anni.

Tre episodi “strani” che hanno come vittime persone estranee alla rivolta, lavoratori che si recavano a casa, dopo una giornata di lavoro, ed in quel clima incerto, invece trovarono la morte.

Quindi per rispondere con i fatti a chi ancora, a tutt’oggi, e chissà ancora per quanto tempo, per meglio significare il clima che vi era a Reggio Calabria in quel periodo, ed anche per sottolineare che quella fu, solo ed esclusivamente una rivolta popolare, si riportano alcuni passaggi di un comunicato del 29 gennaio 1971 a firma del Comitato d’Azione per Reggio Capoluogo:

 

 […] Esercito alle porte, polizia che penetra nelle case, pestamenti a sangue di studenti e lavoratori, Commissari di polizia e reparti della «Celere» che provocano sadicamente e ingiuriano anche le donne nella maniera più volgare, arresti, denunzie […]

[…] La beffa per Reggio, vilmente tradita da una dissennata ed incapace classe politica, si tinge d'amaro. Non ha sentito Bucciarelli l'anatema contro Reggio scagliato ancora con forza dal Presidente della Regione calabrese prof. Guarasci? Non ha ascoltato il Presidente della Commissione Affari Costituzionali le stridule voci dei rappresentanti politici al Consiglio Regionale tutti in trincea contro i sacrosanti inalienabili diritti di Reggio? […]

  […] I «Baroni rossi» e tutte le variopinte  «sinistre» partono dissennatamente all'attacco con la bava alla bocca. La loro bandiera ingloriosa e tinta a veleno, resta quella di luglio, quella, cioè, della «rivoluzione stupida e infame» (ricordate certo cotesta definizione di Mancini nell'Avanti!). […]

[…] «L' UNITA'» dal 28 gennaio, pag.12, si scaglia violentemente contro i lavoratori di Reggio denunziando «La mancata applicazione della direttiva emanata dal prefetto ai capi degli uffici statali e parastatali di far funzionare gli uffici «di operare le trattenute di stipendio al personale che si assenta senza gravissimo motivo» un sedicente comitato di lotta per i diritti del popolo di Reggio e quello meridionale, con un volantino ciclostilato ad inchiostro rosso, copre le spalle alle malfamate consorterie politiche che operano contro Reggio affermando: «che cosa vogliono infine le squallide squadre con a capo il losco e tristo figuro Ciccio Franco dal popolo serio e lavoratore». […]

 

[…] Non v'è giorno che ad ogni angolo di strada non si registri il laceramento di tessere del partito comunista e socialista. Casi eclatanti riportati anche dalla Stampa – sempre  più fedele nella registrazione del fatti e sempre più equilibrata, fatte le dovute eccezioni, nel commentare l'esplosione della rabbia antica delle nostre genti -, ultimo quello

del giovane ed affermato cardiologo dott. Franco Palermo che ha stracciato di fronte ai Giornalisti la tessera a suo nome rilasciata della Federazione provinciale del PCI recante Il n. 1655688, testimoniano del dramma d'anima di tanti vecchi  militanti dei partiti di estrema sinistra che onestamente abbandonano la vecchia trincea politica da PSI , del PCI, che sanno oggi di viltà e di tradimento, […]  (1)

[…] vorrebbero Reggio peggio che Praga? Danzica Budapest Poznan Berlino Est. Magari coi carri armati ‑ alle porte della Città ‑ che soffocassero nel sangue l'ansia di Giustizia di tutto un popolo …  […]

Nella seconda giornata l’avvocato Francesco Arillotta riprende quando detto nella prima da Giuseppe Vittorio Canale e dice «Non abbiamo le relazioni del prefetto, del questore , dei militari e poi i documenti e le testimonianze sono sparse nelle case e negli archivi di "quelli che c’erano" : perché non metterle assieme?» .  

La proposta nasce da tre presupposti: il primo è che i protagonisti stanno sparendo, il secondo è che oramai della "Rivolta" occorre parlare in termini storici, il terzo è che i giovani non devono conoscere le singole esperienze dei protagonisti, ma avere uno sguardo complessivo sui fatti .

Per l’onorevole Francesco Catanzariti il malessere sociale della nostra città non è stata l’unica causa che ha fatto "scoppiare" la rivolta, ma certamente l’humus su cui le coscienze dei cittadini hanno visto crescere la loro voglia di ribellione anche per reagire nei confronti di politici che hanno relegato la città a un ruolo «indegno» .

 

Il giornalista della Rai calabrese Franco Bruno contestualizzando la "Rivolta" nella realtà dell’epoca, ha sottolineato, tra l’altro, due circostanze: la prima è l’isolamento in cui Reggio si è trovata in seguito «all’attacco della partitocrazia» . 

La seconda è che «persino chi ha partecipato, il giorno dopo la fine, ha 

iniziato a provare un senso di vergogna per quello che aveva fatto». 

Per il dirigente dello SDI Carlo Colella la rivolta fu un movimento popolare: « Non nacque "fascista" pensate che il Secolo d’Italia fu persino bruciato in piazza Italia . Nella sinistra c’era chi come Minasi del PSIUP invitava a mettersi a capo della rivolta . E  fu un gravissimo errore per la sinistra non "avallare" la Rivolta»

Nell’ultimo appuntamento il Senatore Renato Meduri  per bocca del figlio (il quale ha letto il messaggio) ha ricordato la tensione morale, sociale e politica di quelle cruente giornate indirizzando qualche invettiva ai "cattolici-comunisti", dell’epoca che osteggiarono la sollevazione popolare.

La prima parte della serata conclusiva si è svolta in un clima di amarcord tra premiazioni e attestati di stima: è stato premiato Benito Foti, che è riuscito a far condannare lo Stato italiano per la lungaggine dei processi cheriguardavano gli esponenti della rivolta,  Muccio Baccillieri "Speaker ufficiale" della rivolta ha mostrato i suoi "reperti" : alcune registrazioni dei comizi dell'epoca che è intenzionato a donare al museo della rivolta che i promotori del convegno hanno in animo d’istituire. 

 

Si tratta di registrazioni inedite del periodo dove si possono ascoltare le voci di Ciccio Franco, Piero Battaglia, Fortunato Aloi e tanti altri protagonisti in sedute consiliari o nelle contro assemblee organizzate dal Comitato di Azione, ed a tal proposito sono stati letti

alcuni comunicati tra cui quello dattiloscritto e datato 11 luglio 1971:

[…] REGGINI !!!, il giorno 14 Luglio, alle ore 19, in occasione del primo anniversario dell'inizio delle rivendicazioni per il Riconoscimento inalienabile  della nostra Reggio ad essere confermata CAPOLUOGO DELLA CALABRIA, il Movimento Democratico "14 Luglio" ed il Comitato femminile per Reggio Capoluogo hanno indetto la celebrazione dì una messa in suffragio del primo caduto per la nostra città BRUNO LABATE […]

[…] Il giorno 14 Luglio, alle ore 19, questo Comitato d'azione coglie la occasione di rinnovare l'unione ideale di tutto un popolo e per riprendere il dialogo con le eroiche popolazioni dì Sbarre, S.Caterina, S.Brunello, Gebbione, Tre Mulini, Modena e del Rioni tutti, dialogo interrotto dell'impiego massiccio della forze di polizia, dei mezzi cingolati e del carri armati […]

[…] I cortei partiranno alle ore 18 dalla periferia per unirsi con quelli del Centro in Piazza Italia alle ore 19.

Per tutta la serata le insegne luminose dei negozi e le luci delle vetrine dovranno restare spente in segno dì lutto […]

 

Dopo la lettura di tali documenti si sono di seguito viste delle  immagini con interviste all’ex-sindaco Piero Battaglia, all’onorevole Giacomo Mancini ed al defunto senatore Ciccio Franco, insieme

a scene di guerriglia urbana, commentate dal giornalista Gad Lerner.

Ci  sono stati poi gli interventi dei vari ospiti .

Interessante è stato l'intervento dell’ingegnere Eugenio Castellani ha detto «ci siamo sentiti tutti offesi dalle decisioni di quei notabili della politica, che non avevano tenuto in alcun conto i sentimenti dei reggini. 

«Siamo stati presi in giro con le grandi officine di Saline Joniche, con le O.me.ca. che si è tradotta in clamoroso fallimento e con il quinto centro siderurgico mai realizzato di cui resta il porto di Gioia Tauro, miracolosamente decollato ma demitizzato visto che comunque resta solo di movimento». 

L’onorevole Aloi ha detto che la rivolta non è stata «una masaniellata, come diceva qualcuno, ma una spontanea ribellione popolare » .    

Il dott. Daniele Zangari ha evidenziato nel suo intervento relativo "Dalla rivolta di Reggio alla lotta per la rinascita del Sud" che i fatti di Reggio hanno rappresentato il primo atto di ribellione alla partitocrazia.

Il relatore continua la sua amarezza affermando che «... Chi ha vissuto quei giorni non può dimenticare il cigolio delle auto blindo che all'alba di un giorno di carnevale invasero la città, come in un qualsiasi regime totalitario. Il 13 luglio del '70 c'era una Regione Calabria povera, campione dell'emigrazione, del colonialismo politico, economico e  culturale.  Oggi, forse, qualcosa incomincia a cambiare; c'è sempre una Calabria povera, c'è sempre lo sfruttamento coloniale dei potentati economici e finanziari del nord, ma i calabresi incominciano ad avere un pò più di fiducia in se stessi.»

 

Dopo di che Daniele Zangari ha parlato di "Vento del Sud" sorto il 1° settembre del 1973 dalle ceneri della rivolta, raccogliendo di quella lotta di popolo l'eredità politica e morale.

Il tentativo di "Vento del Sud" non ebbe

successo, esso comunque durò fino al  1991, quasi vent'anni, un periodo ricco di analisi, ma soprattutto di proposte, che aspettano ancora una risposta. 

Sarà compito degli studiosi che lo vorranno, di riprendere tutto quanto "Vento del Sud" ha prodotto per valutarne i contenuti.

Tra i documenti che sono stati commentati nel corso della manifestazione si riporta il testo del “Comitato d’Azione per Reggio Capoluogo”, che aveva sede in via San Francesco da Paola al numero civico 102, che intitolava il documento “Tradimento” ecco quanto riportato nello stesso che risulta privo di data ma stampato in una nota tipografia della stessa città:

 […] Reggini, ancora una volta i partiti ci hanno ingannati e traditi. A Catanzaro ‑ assenti i rappresentanti reggini della D.C. e del P.S.U. ‑ il centro sinistra, sotto la pressione dei comunisti (che fino alle ore 21 di ieri sera avevano occupato l'aula del Consiglio per protestare contro il rinvio) e cedendo al ricatto dei socialisti di Mancini, ha deciso di procedere nei lavori dei consiglio e ‑ rinviando, a tarda notte, la seduta a questa mattina alle 10,30 ‑ ha voluto forzare la situazione e metterci di fronte al fatto compiuto: tutto ciò con la presenza e la partecipazione dell'attivo ed infaticabile Segretario Regionale della D.C., Diego Versace  […]

[…] Il Comitato d'Azione invita i Parlamentari i Consiglieri Regionali, Provinciali e Comunali reggini ‑ qualora con intendano essere bollati col marchio dei traditori ‑ ad assumersi le responsabilità che la particolare gravità del momento richiede, occupando il loro posto accanto al popolo che li ha eletti e li vuole combattenti attivi ‑ non solo nelle aule parolaie ‑ di questa lotta per il trionfo della Giustizia e la rinascita economica, sociale e morale della nostra Reggio […]

 

L’intervento che sicuramente più ha impressionato è stato quello del marchese Felice Genoese Zerbi: mentre tutti gli altri relatori hanno argomentato dati alla mano o deducendo razionalmente da alcune premesse di base, il marchese ha spiegato la "sua" rivolta dicendo «è stata comunque una

grande vittoria per la città se dopo trent’anni la classe politica è obbligata a trovare alibi e scuse per giustificarsi. Ma non siamo riusciti a raccoglierne l’eredità visto che il potere continua ad essere gestito da lobbies sorde agli interessi della città».

Durante la serata conclusive sono emerse anche il ruolo (e le colpe) non marginali delle sinistre, aspetto poco trattato quando si parla della rivolta di Reggio questo grazie al supporto dei Consiglieri provinciali Giuseppe Galtieri, utilizzando documenti nuovi (Vincenzo Rogolino).

Giuseppe Galtieri  parlando dei fatti del 1970 ha ricordato dell'attivismo esasperato dell'allora Sindaco Piero Battaglia che dava inizio alla protesta di un popolo che rivendicava il diritto di Centro Pilota della Regione Calabria di "Città leader" anche, e non solo, in forza di antiche e nobili origini. «Quello spasmodico attivismo, a "carte scoperte" suonò per molti come l'epifeno meno di un male radicato nella classe politica della nostra Reggio: la "sudditanza" del politico reggino rispetto ai colleghi delle città consorelle»  .

Il Consigliere indipendente di sinistra ha fatto notare che quei fatti hanno arrecato vantaggio al candidato politico di Catanzaro e Cosenza e quindi decretando il fallimento di  "alcuni" politici locali che con i loro errori ha pagato un'intera città. 

 

Nel corso dell'incontro Giuseppe Galtieri ha ribadito che ha distanza di trenta anni dalla sanguinosa rivolta, l'analisi retrospettiva non consente, purtroppo, di fare piena luce su ruoli, circostanza, complicità, connivenze e  

responsabilità: «l'unica cosa certa resta l'insipienza  e l'inettitudine politica di chi non ha saputo difendere gli interessi della Sua Città rendendosi, inopportunamente, responsabile della "rivolta" ma anche colpevolmente incapace di evitarne la strumentalizzazione di ciò che era solo una sommossa popolare ed, in quanto tale, andava controllata nell'alveo di una contrattazione solo ed esclusivamente politica e non esasperata sino ad una guerra civile che per poco non si è innescata» .

Ed a tal proposito c’è  da registrare la presenza in città in quel periodo di chi ha evitato, che tali situazioni sfociassero in altre ancor ben più gravi, come la figura del questore Santillo che con la sua mediazione non ha permesso in diverse occasioni, ad esempio dopo i funerali di Bruno Labate si verificarono dei duri tentativi di assalto a sedi istituzionali e governative, che la situazione degenerasse ulteriormente, ma anche dell’arcivescovo metropolita Giovanni Ferro.

Le fasi conclusive della manifestazione organizzata dal Circolo Culturale L'Agorà riguardano le dichiarazioni dell’allora Ministro dell'Industria, Emilio Colombo, che rivolgendosi in Parlamento ai reggini, si augurava che questa popolazione potesse «imboccare la via della pacificazione, ma che ove avesse voluto malauguratamente perversare in questo atteggiamento di rivolta, in questo secondo caso la forza sarebbe un dovere, sarebbe una decisione dolorosa e amara» . 

Ed in termini di ordine pubblico la svolta si ebbe all’alba del 23 febbraio 1971 quando l’ultima roccaforte della rivolta di Reggio cadde.

La "Repubblica di Sbarre" venne  espugnata  da mille agenti di pubblica sicurezza supportati da quindici "M-113" , i mezzi cingolati in dotazione all’Esercito, precedentemente era toccato al "Gran Ducato di Santa Caterina", popoloso quartiere a Nord della città dello Stretto.

 

Ritornando al discorso alla Camera da parte dell'onorevole Emilio Colombo, che annuncia alla Penisola un seria attenzione nei confronti di Reggio Calabria, questo attraverso lo strumento del  Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).

Tale istituto assegnò alla regione Calabria 1300 miliardi indirizzati alla realizzazione di un centro siderurgico nella piana di Gioia Tauro (con un bacino occupazionale previsto per 7500 unità) ed altri 360 miliardi per una serie di indirizzi nel campo della chimica (Sir, Liquichimica) e meccanico (Efim) che avrebbe interessato una sfera occupazionale di 7300 lavoratori.

Ma ciò, insieme ad altre promesse inerenti l’ubicazione sul territorio di altre piattaforme produttive che restarono solo sulla carta, quindi mai realizzate, quindi una industrializzazione che non avvenne, senza sviluppo e che produrrà danni ingenti alla regione calabrese e nella fattispecie alla provincia reggina.

Infatti il Quinto Centro Siderurgico che doveva sorgere nella Piana di Gioia Tauro non venne mai stato tradotto in pratica, a causa della crisi internazionale nel settore dell’acciaio di cui già da tempo il Governo centrale ne era a conoscenza e tali provvedimenti diedero inizio al termine "cattedrali nel deserto".

Un bilancio, quindi pesantissimo, di quel che avvenne in riva allo Stretto prima e dopo i fatti del 1970, con morti, di cui diversi in circostanze ancora da chiarire, con migliaia di feriti ed arresti,  devastazioni di intere aree messe a coltura e litorali costieri che arrecarono ulteriori danni economici al territorio, ma anche  processi ad una città che si era ribellata al governo centrale, che ne causò la completa militarizzazione, in vero e proprio stato di assedio con l’arrivo dei mezzi cingolati in riva allo Stretto.

 

A tal proposito un altro documento dattiloscritto del periodo, questa volta proveniente dalla “Repubblica di Sbarre” del 16 ottobre 1970, dove […] Ore 7,30 la situazione si aggrava per i seguanti fatti: la Repubblica è invasa dalle; fotograficamente documentate; seguenti forze dell’ordine: GIP: 128 uomini

(celere) – GIPPONI: 84 uomini (celere) - IDRANTI 20 uomini(celere) – DUE RUSPE 6 uomini (celere) – 11 PULMAN – 242 uomini (celere).- GIP 64 uomini (Carabinieri) – GIPPONI - 275 uomini (Carabinieri).- TESTUGGINI AVANZATE 200 uomini (celere).- Sono state sparate oltre 200 bombe lacrimogene; le TESTUGGINE con le BOMBE a mano pronte per l’uso; TUTTO QUESTO SCHIERAMENTO DI FORZE ERA OPPOSTO AD UN GLORIOSO COMMANDO DELLA REPUBBLICA PER REGGIO CAPOLUOGO COMPOSTO 11 RAGAZZI E 4 DONNE (la celere spara 6 colpi di pistola…!!!)  […]

Concludiamo con ciò che ebbe a dire di quel periodo l'antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani: “Alla radice della violenza esplosa c’era un problema di dignità negata e l’esigenza di essere ascoltati, che hanno avuto come risposta l’occupazione militare, come se si trattasse non di esplosioni drammatiche di bisogni che, al di là delle strumentalizzazioni reazionarie, richiedono adeguate soluzioni politiche, ma di una provincia che osi ribellarsi al potere coloniale”

e rinviamo, per una migliore lettura e comprensione degli avvenimenti alla cronologia degli avvenimenti che si scatenarono in riva allo Stretto trent'anni orsono ed anche nella pagina denominata "retrospettiva".

 

 

 

(1) sequenze tratte da "LE ORE"  n. 8 del 22 febbraio 1971 , pp. 14-17;

 

 

 

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