LA STORIA
dei
moti, scaturita dalla violenta soppressione di unsemplicee pacifico corteo, rappresenta una pagina della storia della
nostra città che è da rivedere con l’utilizzo di documenti, relazioni
dell’epoca, utili per una serena ed
Gianni
Aiello
esatta lettura dei fatti che sconvolsero
sia le
strutture che i
cittadini.Furono
coinvolti tutti i cittadini di ogni rango, di ambo i sessi, di ogni classe
sociale e sarebbe ancora oggi un grave errore accreditare a quelle
manifestazioni un tentativo eversivo di resurrezione fascista visto che Reggio
fu l’unica città d’Italia, nella quale si ebbe il coraggio «…
di efficacemente indire una manifestazione di giubilo la notte di S.Silvestro
1924 per la ventilata notizia della caduta del fascismo . »
: circostanza
questa, richiamata nel Senato del tempo dell’allora direttore del Corriere
della Sera, Senatore Albertini, al fine dimostrativo non era affatto vero che il
fascismo riscuoteva i consensi di tutto il popolo italiano.Questa rilettura, quindi, non vuole rappresentare motivo di nuove
spaccature: quindi nessun rigurgito ma solo un aspetto storico che riguarda
quella Reggio Calabria che scese in piazza perrivendicare il diritto alla propria identità storico-culturale.
E’
momento di riflessione sono state le nostre cinque giornate “Reggio 1970-2000:
trent’anni dopo”, dalle quali sono emerse alcune questioni di importanza
considerevole frutto degli intervenuti che ci hanno regalato dei momenti
particolari offrendoci un interpretazione inedita dei fatti di Reggio: facendoci
vivere qualcosa di veramente coinvolgente .
Quello che alla fine è venuto
fuori da tutti gli interventi è stato un interesse direi generale per
l’istituzione di un qualcosa di stabile (sia esso museo oarchivio, le proposte su tale argomento sono state le più diverse) che
ricordi in maniera permanente la rivolta di Reggio, come i filmati riusciti
dagli scaffali impolverati della memoria che hanno dato un sussulto ai presenti
in sala, e per questo, da tempo, Noi ci stiamo prodigando per la sua attuazione
.
L’esperienza di
gennaio, relativa a “Reggio 1970-2000: trent’anni dopo”, è stata
importante e formativa sia come Circolo che come componenti dello stesso:
lontano dai riflettori e dagli esibizionismi che quotidianamente si ha modo di
leggere sui giornali locali, abbiamo avuto modo di constatare un qualcosa chedi rado si vede in giro e cioè il contatto umano, l’interesse.
L’essere partecipe
di gente semplice che si è dimostrata disponibile a donarci gratuitamente ciò
che per loro a distanza di trent’anni rappresenta un pezzo della loro vita,
dei loro ricordi, affinché possa servire a fare memoria per le nuove
generazioni e momento di riflessione del convegno e per il qualeil Circolo Culturale L’Agorà in netta contro tendenza rispetto a
quanto usualmente avviene, ha scelto di non chiedere alcun tipo di
contribuzione pubblica per realizzare l’intera manifestazionedi inizio anno.
Un
pensiero va a coloro che non ci sono più e che ci hanno lasciato da poco: essi
scesero nelle strade per un ideale, perdendo le cose più care e preziose di cui
erano in possesso come la vita, gli affetti familiari .
Non riusciamo a
capire come soltanto oggi si riconosce che la città ha sofferto e patito
angherie, soprusi, violenze, prevaricazioni che sono emerse nell’arco della
Nostra manifestazione, sicuramente non schierata partiticamente,difficile e
scomoda da trattare, ma caratterizzata dalla presenza di libere e competenti
testimonianze che nell’aderire hanno arricchito la Nostra iniziativa culturale
.
Ciò
che fa sorgere delle forti perplessità è l’unanimismo attorno a questa
pagina del popolo di Reggio Calabria che ha avuto centinaia di giovani arrestati, di uomini che hanno guidato, solo
per l’amore verso la città,la
rivolta.
... nonostante i sedici anni compiuti
da qualche
giorno ...
Ho
partecipato ai moti del luglio 1970, non come politico o pseudo-rivoluzionario
ma come giovanissimo reggino che aveva compreso, nonostante i sedici anni
compiuti da qualche giorno, che i reggini,
Enzo
Rogolino
Reggio e la sua Provincia stavano
subendo
un
grande e grave torto .
Se un’intera città reagiva in quei termini, a
parte lo spontaneo campanilismo, era perché aveva bene in mente le assenze
croniche ed ataviche del Governo nazionale.
Un potere centrale che ricorda il Sud e Reggio
quasi sempre a mò di colonizzatore, non poteva garantire alcun certezza.
La proposta governativa era chiara: cedere il
capoluogo, (con la valenza amministrativa che è insita in questi casi) ed avere
in cambio solo una promessa quella dell’industrializzazione.
Troppo poco per una città che era ed è costituita
da una classe impiegatizia, unica vera risorsa occupazionale.
Catasto, Comune, Ferrovie, Ministeriali questa la
spina dorsale economica di Reggio, inevitabilmente compromessa da scelte
nazionali e dall’ignavia di politici locali svenduti alle logiche nazionali.
Della promessa industrializzazione rimangono solo
cattedrali nel deserto e la disoccupazione ai vertici nazionali
.
... come non ricordare, infatti, i
severi giudizi di quasi tutti gli inviati speciali, impietosi nei
confronti di Reggio ...
E'
un fatto ormai storicamente accertato che la grande stampa italiana abbia
riservato il più deleterio dei conformismi nel condannare, ai tempi della
"rivolta", Reggio "reazionaria e
Aldo
Sgroj
fascista" che aveva
"osato sfidare
e le istituzioni democratiche" .
Come non
ricordare, infatti, i severi giudizi di quasi tutti gli inviati speciali,
impietosi nei confronti di Reggio, che nel '70 "aveva osato chiedere
giustizia dopo anni ed anni di incomprensibili silenzi e di colpevole abbandono.
Certo, non mancarono le eccezioni ma i giochi furono fatti ben presto con
conseguenze letali per la città, isolata e condannata di fronte
all'intero Paese.
Passarono alcuni anni e vennero i tempi dell'autocritica
che ha ridato, sia pure in parte, ad una città moralmente distrutta, ma non
rassegnata, il conforto delle prime "verità" che ben presto hanno
cancellato i soliti luoghi comuni che avevano segnato il destino di
Reggio.
Ricordiamo i tardivi "pentimenti" arrivati venti anni dopo, quando,
cioè, chiesi a quasi tutti gli inviati speciali di dare un loro giudizio su
quanto avvenuto nel '70.
Ascoltiamoli.
Alfonso
Madeo, inviato del "Corriere della Sera" non esitò a parlare
di «reducismo
giornalistico sterile quando detestabile»
e di un «non
evento reggino».
Per concludere. "Un tragico errore"
.
Franco Pierini "Il Giorno" :
«Reggio
aveva fortissimi ragioni per ritenersi abbandonata ed immiserita dalla politica
di Roma»
Bruno
Tucci "Il Messaggero" «Gli
osservatori che scesero a Reggio in quei mesi etichettarono la rivolta in un
modo solo: fascista. Sbagliando, lo possiamo dire con grande onestà ora che gli
anni sono trascorsi»
Mario
Cicelyn "Il Mattino"«La
rivolta dei reggini non fu una rivolta fascista. Lo Stato fece rispettare la
legge. Ed a Reggio fu fatta ... ingiustizia .»
Ennio
Simeone "Unità"
«I
fatti hanno dimostrato quanto fosse aberrante puntare sulla realizzazione del
centro siderurgico di Gioia Tauro per ilriscatto di
Reggio
e quanto poco
lungimirante fu chi lo promise, ben sapendo che sarebbe diventato un monumento
al pubblico spreco».
Purtroppo
per queste errate valutazioni Reggio ha pagato un altissimo prezzo che per
lunghi anni ha bloccato ogni tentativo di avviare seri programmi di sviluppo.
L'augurio è che possa riguadagnare - e le premesse non mancano - il troppo
tempo perduto verso un avvenire decisamente migliore che le spetta di diritto.
È,
quel che più conta, senza dover dire grazie a nessuno !
... le mie idee riflessioni ...
Premesso
che nel '70 avevo solo due anni e che le uniche barricate che ricordo sono
quelle della culla in cui dormivo !
A distanza di trent'anni e grazie a delle
interviste, fatte
Demetrio
Amadeo
esperienza,
a contatto con la gente, ho tratto
delle
idee-riflessioni in merito a
ciò che esporrò brevemente in cinque punti qui a seguire
1.
Il boicottaggio delle classi politiche reggine che hanno venduto gli
interessi della propria città, in nome di ben altri interessi (forse
personali) ;
2.
La strumentalizzazione della stampa dell'epoca, usata a piacimento da
parte dei partiti politici, per mascherare degli accordi già avvenuti e
per cui alcune persone ignare di questo e spinte da un ideale
hanno perso la vita;
3.
L'eccesso di zelo da parte delle forze dell'ordine dell'epoca che
forse non sempre hanno agito con imparzialità e professionalità;
alcune interviste
realizzate per le via di Reggio
con la
gente .
4. L'ignoranza in materia da parte dei giovani reggini di oggi, che in
merito ai "fatti di Reggio" dimostrano poco o nessun
interesse. E qui credo che dovrebbero invece documentarsi e riflettere sui
suddetti avvenimenti se non altro per rispetto alla città in cui sono nati
e vivono e per imparare cosa significa avere dei sani ideali e non farsi
strumentalizzare al fine di perdere quelli che sono i veri obiettivi da
raggiungere;
5. Il ricordo ancora vivo nelle generazioni di "ieri" che hanno
vissuto in presa diretta i fatti e in cui ho notato rabbia per avere perso
un qualcosa che storicamente faceva parte della città, commozione per per
le persone che allora persero la vita , amore per la città di Reggio .
Queste sono le mie idee riflessioni in merito agli avvenimenti del
'70, che ripeto, non ho vissuto in prima persona per motivi anagrafici .
... la sconfitta della
democrazia ...
I moti di
Reggio più che occasione di confronto, di impegno programmatico
e di azione tesa al bene dell'intera Calabria, diventarono teatro di una
scomposta campagna strumentale mistificazione della realtà.
Matteo
Gatto Goldestein
Il Governo Centrale
che aveva, da sempre,
dimostrato disinteresse assoluto verso le problematiche
nel tempo solevate dai Reggini, trovò il modo, durante i Moti, di chiudere la
"partita" con l'invio dei cingolati, estremo oltraggio ad un popolo
che aveva inteso protestare, nella sua globalità, fieramente per il
riconoscimento dei propri diritti.
La protesta fu, in effetti, la rivolta dei
"Lazzari" contro quel malcostume politico imperante e che, a distanza
di vent'anni, sarebbe esploso in tutta la sua virulenza.
La Rivolta provocò ai
potenti di turno solo fastidioso ronzio alla loro anime "perbene".
Le
angosce ed i patimenti alla Città dai "notabili" del tempo ("il
re non fa corna" predica una certa moralità corrente ed elastica per
alludere alla scontata libertà del "principe" di tradire i
"sudditi") saranno sempre presenti nel fondo dei nostri sentimenti, in
quelle attese segrete che non ci possono essere impedite né negate.
E' stato ed
è profondamente ingiusto negare "nobiltà" alla gente più umile ed
onesta che, senza colorazione politica, scese in piazza per reclamare il diritto
alla vita di una Città spesso
martoriata dagli uomini e dalla natura.
Lo Stato
tanto superficiale nei suoi esponenti di spicco, felicemente ed assurdamente
indemenziato nella propria corsa, tentò di togliere ai Reggini il giusto
diritto ad una corretta vita democratica: l'emarginazione permise loro, malgrado
tutto, di sottrarsi, finalmente, agli avvoltoi!
Ed è questo
"finalmente" che dovrebbe far riflettere sulle reali responsabilità
di quella -e non solo quella- classe dirigente che credendo di affermare la
Libertà e la Democrazia impose il suo esatto contrario .
Uno Stato, quello, che, almeno in
Calabria, andando tanto di corsa o a rilento, a seconda dei
punti di vista, non riuscì a capire che stava morendo non
di vecchiaia ma di un tragico, voluto e lento infarto.
Ecco,
di quell'epoca questa Città fu icona e vittima, di quella
diffusa e invasiva "malattia" si cerco di
assassinarla !
Ma, al contrario di tutte le favole, la
Rivolta di Reggio finì
in modo drammatico, così come
tragica è stata spesso la Sua storia.
Però, come nelle
favole, ha contenuto in sé, malgrado tutto, un seme di
insegnamento.
Ma il dramma di allora come di ora non è
tanto che nessuno più racconta le favole, quanto che
nessuno è più capace di ascoltarle !
Si è arrivati ad
esprimere giudizi di fuoco su questa Città considerata
fascista e teppista, capace di disprezzo delle regole
democratiche a tutti i livelli, così proponendo una chiave
di lettura volutamente sintomatica e superficiale con una
conseguenziale ricostruzione dei fatti assolutamente
inesistente perché priva di qualsiasi obiettivo riscontro e
senza aver accuratamente vagliato i motivi di una Rivolta
che, si badi bene, interessò un popolo nella sua interezza.
Gli Uomini di quella sacrosanta Rivolta ebbero il
coraggio di guardare la realtà senza il velo di Maja per
elevarsi, nel loro intimo, fino a raggiungere quella
serenità che può giungere solo dalla certezza di aver
operato al meglio delle loro capacità e possibilità, nei
confronti di una classe dirigente inetta ed incapace.
Trovare la serenità laddove gli altri leggevano solo
interessi economici o solitudine, sconfiggere l'isolamento
in cui, da sempre, è stata costretta questa Città priva di
qualsiasi
credibile e seria
programmazione, così lanciando
un messaggio di umanità e di vera democrazia dentro e fuori
i confini di questo Stato: questo il loro impegno, questa la
loro e unica eredità !
Quel popolo ha tentato,
inutilmente, di girare foglio dicendo le cose come stavano.
Gente come Mancini, Misasi, Pucci & Co., con la
benedizione di Colombo e l'appoggio di molti politici servi
di questa Città, soffocarono, anche col sangue, i Moti
dimostrando irresponsabilità che indignò Uomini liberi e
mortificò persino la Costituzione.
A distanza di trent'anni
dalla fine di quei Moti, chi visse quella indimenticabile ed
esaltante pagina di Democrazia non può non augurarsi che
gli Storici riescano, un giorno, a chiarire gli esatti
limiti e contenuti di quella Rivolta raggiungendo EMET
confortati dall'esatta valutazione di quei fatti e guidati
solo ed esclusivamente dalle Loro coscienze !
... io c'ero e facevo la ronda di
notte ...
All'alba
del 23 febbraio 1971 più di mille uomini su mezzi cingolati, con polizia e
carabinieri, proteggevano le ruspe dell'Esercito che eliminavano dalle traverse
dei rioni periferici le numerose
barricate che da molti mesi avevano reso pressoché impossibile
l'accesso al centro urbano.
Italo
Falcomatà
Con questa decisione, il
Governo prendeva
atto del fallimento della sua "politica" nei confronti della città in rivolta per "continuarla" con altri mezzi,
ovviamente ritenuti più convincenti del suo "pacchetto" illustrato
alla Camera dal presidente Colombo quattro mesi prima.
Franco Cipriani decano
del giornalismo reggino, aveva indicato i due elementi
di quel dramma:
«Una popolazione che è ».
Qualcuno, dunque doveva riprendere in mano la tela
lacerata e riavviare il dialogo con la città «abbandonata a se stessa e
al suo furore».
Ci voleva mestiere; non era cosa da poco.
Il governo
aveva perduto la pazienza, i partiti pure.
Così anche la stampa nazionale.
Solo
i sindacati erano rimasti al loro posto con la costanza di chi, a differenza
della politica, non avendo altro modo per raggiungere l'obiettivo, sta dentro le
contraddizioni per capirne la genesi e maturare la proposta risolutiva.
Al loro
osservatorio si presentavano due realtà in lotta: il Nord delle fabbriche alle
prese con gli istituti della partecipazione operaia (i consigli di fabbrica), i
contratti caldi, gli scioperi selvaggi; il Sud con i morti di Avola, il
fallimento delle leggi speciali, la depressione economica del Napoletano, la
disoccupazione imponente, l'inedita ondata di protesta contro l'emigrazione e
l'esplosione della più grande città della Calabria.
Un paese intero con le sue
difficoltà, diviso apparentemente negli obiettivi e nei bisogni: ma vivo,
in lotta.
Il modo di essere della popolazione reggina, dunque, al loro
osservatorio non si presentò con le caratteristiche della rivolta, ma della
lotta.
Che è cosa diversa.
Non fu facile convincere gli altro osservatori di
questa latente specificità.
Ci volle un bel pò di tempo.
Ma non soffriva di
questo il paziente artigiano.
Alla fine fu chiara a tutti la "linea" e
fu facile condensarla in uno slogan: "Nord e Sud uniti nella lotta" .
E vennero a Reggio da tutta l'Italia continentale ed insulare.
Con rischio.
A
Reggio, in corteo sul corso Garibaldi: un facile bersaglio. Attingibile da cento
traverse, da mille terrazze e balconi.
Ma lo slogan era suggestivo anche per gli
irriducibili.
Si sarebbe parlato di lavoro per Reggio, che così passava da
dibattito politico a quello sindacale, che aveva il suo peso e dava garanzie di
fronte ai possibili voltafaccia del potere centrale.
Del "pacchetto
Colombo" nulla fu realizzato: né il 5° Centro
né le due
iniziative turistiche a cura dell'Efim, né quelle industriali nei settori della
meccanica, dell'elettromeccanica, della chimica.
Niente! In quanto ciò che si
è messo in piedi è crollato miseramente ben presto.
Degli oltre diecimila
posti di lavoro promessi oggi non resta niente, se non la strada da continuare e
il grande magico strappo del porto di Gioia Tauro.
Io c'ero. Facevo parte del
comitato di vigilanza degli insegnanti, cui era stato affidato il compito di
organizzare con auto private un sistema di controllo notturno del centro storico
al fine di segnalare movimenti sospetti, depositi di pietre, tentativi di
ostruzione o barricate, bottiglie vuote messe lì "per caso" .
L'ultima notte, quella tra il 21 ed il 23 ottobre, tra gli altri, c'era in
macchina con me un professore di filosofia, Saverio Catalano, cieco dalla
nascita.
Era voluto venire anche lui a pattugliare il centro storico.
Ogni
tanto, per rompere tensione paura, canzonando, gli raccomandavamo in dialetto:
"Saverio, apri gli occhi ..." .
E giù le risate di tutti, allegre di
più le sue .
mercoledì
23.10.1997
...
la "rivolta", strumentalizzata dalla destra come dalla sinistra,
ma soprattutto dal potere centrale che, apparentemente ignorandola, ha
saputo sconfiggerla ...
Il trentennale della "rivolta" ha
portato una notevole produzione di testi, per la maggior parte, cronacistici e
ripetitivi.
L'ultimo della serie, quello del giovane
Daniele
Zangari
Francesco Scarpino,
"Un Popolo in rivolta",
è forse l'unico che dall'analisi alla
proposta.
Suggestiva l'idea della creazione di una regione da "Calabria
Ultra", con l'unione delle province di Reggio e Vibo
Valentia.
Ricalca un pò il segno, a suo tempo accarezzato, di una Regione dello Stretto.
Va rimarcato il fatto che quasi nessuno dei veri protagonisti della
"rivolta" ha voluto o forse potuto scrivere un libro.
Non l'ha fatto
Ciccio Franco, nè Totò Dieni, i protagonisti della "rivolta"
.
Che ci sono stati come in tutte le rivolte che contano.
Forse a Reggio è
mancato il Saint-Just della situazione.
Sta di fatto che la "rivolta",
strumentalizzata dalla destra come dalla sinistra, ma soprattutto dal potere
centrale che, apparentemente ignorandola, ha saputo sconfiggerla, non ha potuto
esprimere altro se non la disperazione di un popolo assurto nella lotta a
simbolo di tutto il Sud
tradito.
Rivolta spontanea, immediata, autentica nei suoi contenuti morali, politici e
sociali, ma che, come tutte le rivolte di popolo, aveva bisogno di una guida, di
più guide, di una èlite
pensante.
E certamente nella Città e nella Regione non mancavano né gli uomini, né la
volontà perché la rivolta gettasse il "pennacchio del capoluogo per
manifestare il suo vero, genuino contenuto di rivolta popolare contro uno Stato
inadempiente, falso e
bugiardo.
Ma, indubbiamente molti oscuri protagonisti di quelle giornate che sostennero
quella lotta sulle barricate e altrove furono animati nella loro azione non solo
dall'orgoglio sentimentale di vedere riconosciuto Reggio capoluogo della
Calabria, ma dall'ansia di spezzare una secolare catena di inadempienze che
attraverso l'Irpinia, la Capitanata, la Lucania, Avola, Napoli, Battipaglia si
saldava a Reggio Calabria e qui si trovava la cesoia acché fosse tagliata con
la formazione di una piattaforma politica unitaria, al di fuori di tutti i
partiti.
Doveva essere una scelta di campo senza etichette politiche, ma rivolta
al solo fine del bene del Meridione d'Italia, come argomento validissimo e
strumento politico per tentare un dialogo di tipo nuovo ed efficace
con lo
Stato.
Ma le forme irrazionali e lacunose con cui si espresse la
"rivolta" era indice di mancanza di volontà e incapacità di dare ad
essa una piattaforma politica ed una forza ideale.
La "rivolta" avrebbe potuto
estendersi a tutto il Meridione, mentre è rimasta circoscritta poco oltre il
circondario di Reggio, a parte alcune manifestazioni di solidarietà in diverse
città del Sud.
La "rivolta" è nata contro qualcosa, contro un
sistema, sicuramente contro la partitocrazia e il clientelismo.
Ma è mancata di
un retroterra culturale che avrebbe potuto canalizzare l'energia esplosiva che
nasce da ogni rivolta.
Solo il "Centro Studi per la Rinascita del
Sud", sorto nel 1973, intorno al periodico di lotta meridionale "Vento
del Sud", ha tentato di dare una svolta culturale alla "rivolta".
Ma forse era già tardi, i fuochi si erano già spenti ormai da tempo.
Il
"Potere" aveva avuto il sopravvento, spegnendo ogni velleità ideale.
Sta di fatto che il potere coloniale, che ancora imperversa su tutto il
Meridione, difficilmente permetterà l'affrancamento delle Genti del Sud che dal
1861 hanno perso la loro identità e la loro memoria storica.
I popoli
dell'ex-Regno delle Due Sicilie devono ritornare ad essere protagonisti della
loro storia in un'Italia federale ed ed inserita quale Regione Meridionale in
un'Europa confederata ed indipendente.
Oggi,a distanza di 140 anni dalla
conquista piemontese, senza voler contestare ormai il fatto unitario, bisogna
rivendicare l'autonomia politica, riprendere la nostra libertà politica,
riacquistando beni e valori che dal 1860 in poi ci sono stati tolti con la
forza, con l'ingiustizia e il raggiro: dalle nostre materie prime ai nostri
prodotti agricoli, dalla nostra forza lavoro ai nostri risparmi, dalle nostre
tradizioni, alla nostra cultura.
Il Sud ha considerato l'unità politica
d'Italia come una conquista dell'imperialismo piemontese e si è sempre sentito
disprezzato, scoraggiato e defraudato, vittima di una continua spoliazione.
In
definitiva, la "rivolta" di Reggio ha rappresentato il momento
coagulante della secolare tragedia del Sud.
Se il richiamo della nostra memoria
storica e della nostra antica civiltà saprà risvegliare le coscienze dei
meridionali e renderli più forti e sicuri nell'affrontare il domani e di nuovo
protagonisti della storia, allora sarà possibile una vera e autentica rinascita
del Sud .
... l'esito politico
di quella scelta è stato l'oblio nazionale che ha nociuto alla Città
ancor più delle devastazioni procurate dai moti stessi ...
Ho vissuto, allora, poco meno che ventenne,da sinistra una storia
"definita di destra" e ricordo la delusione e la rabbia di una intera
Città scippata della sua storia antica, nel vedere con
Pino
Galtieri
arroganza ingiustificata
Catanzaro città
capoluogo di regione .
Ma soprattutto il fallimento politico di
quella Amministrazione Comunale ma, anche, di una certa classe politica
(governativa) debole, incapace, succube, soggiogata, se non proprio asservita,
ai politici delle altre due province calabresi .
ll "furto",
si furto, chiamiamo le cose per nome, era nei fatti già stato confezionato e
pronto alla consegna dopo un accordo romano tra i parlamentari delle province di
Catanzaro e Cosenza, alcuni dei quali, "colmo dei colmi", da poco
eletti nell'assise regionale con il solito contributo decisivo dei politici
reggini.
Questo scatenò la "guerriglia civile"
che tanto e per tanto tempo ha, poi, isolato Reggio escludendola da ogni logica
di
sviluppo, da ogni considerazione
del Governo centrale ed etichettò per oltre
venti anni la Città "Fascista" .
Sarebbe oltremodo ingiusto oltre che immorale per quei morti, per quei
perseguitati, quei carcerati che hanno risposto d'istinto a quella scelta
dettata dallo strapotere politico di una certa politica campanilistica
foraggiata dall'inavvedutezza di certi politici reggini e Reggio ha pagato per
la loro mediocrità ed incapacità.
Sorprese allora, più che il colpevole
astensionismo della Democrazia Cristiana e dei partiti satellitari parte
organica dell'allora compagine governativa, l'indecisionismo della sinistra
reggina che trasformò la rivolta, la ribellione di un popolo, in una lotta di
parte, offrendo "gratis et amore Dei"
la Città alla destra che abilmente sfruttò l'occasione ponendosi quale
riferimento
abusate e strumentali, di un popolo stanco ed
oppresso dalla disoccupazione che credette d'essere vittima dell'ennesima
ingiusta mortificazione.
L'esito politico di quella scelta è anche stato
l'oblio nazionale che ha nociuto alla Città ancor più delle devastazioni
procurate dai moti
stessi.
Reggio è di Tutti e non è di Nessuno ma, soprattutto, rendano onore a coloro
che al prezzo della vita hanno lottato per una rivendicazione che una
classe politica attenta e capace avrebbe certamente risolto in sede politica,
vanificando ogni inopportuna strumentalizzazione .