Si ringrazia la redazione del periodico reggino "IL DIBATTITO" ed il dott. Francesco Gangemi per la disponibilità .
 

[... La Rivolta di Reggio è stato un momento corale, partecipato, vissuto nella direzione del riscatto da tutte le forme di servitù e di sottomissione ...]  -  Francesco Gangemi -

 

 

Cadeva l'anno 1968 e si doveva procedere alla elezione del nuovo Parlamento. 

Nelle Segreterie dei Partiti (ed io mi riferisco, in modo specifico alla DC, partito nel quale militavo sin dal 1948) vi era il consueto trambusto per la scelta dei candidati al Senato ed alla Camera dei Deputati.

 

avv. Gangemi

 

Contrariamente al solito  - ed  un poco perché si prevedevano gli eletti con scarsissimo margine per nuove candidature -  non vi fu ressa, ed anzi, l'apposita Commissione procedette con speditezza e senza che siano sorte, all'interno di essa, grossi nodi. 

Addirittura, dopo il vaglio della Commissione Provinciale e di quella Regionale (io facevo parte di entrambe perché designato dal Comitato Provinciale della DC nella prima e dalla Commissione stessa nella seconda) restava un posto libero nella lista dei candidati alla Camera che doveva  - a norma di regola di Regolamento -  essere aggiunto alla Direzione nazionale, non essendo stato espresso in sede locale. 

La Commissione Centrale, presieduta dall'allora Segretario Politico on.le Aldo Moro, si riunì alla Camilluccia e dopo varie ed interminabili consultazioni e  mi

venne prospettato di candidarmi alla Camera.

Accettai ed accettai perché  - pur sapendo l'esito della competizione -  ero allora e fui sempre dell'opinione che - a differenza dei tanti che si dicevano e si dicono "sacrificati" nell'appendersi al collo il laticlavio ed al taschino la medaglietta parlamentare -  ritenevo che una adesione convinta e partecipata alle proprie idee imponesse anche, e soprattutto, di non usare la calcolatrice di ciò che può tornare dopo una determinata esperienza, ma obbligasse, invece, (moralmente) a testimoniare.  Divenni candidato alla camera dei Deputati ed accentrai quasi tutto il mio interesse sulla Città di Reggio Calabria che, per la verità, mi regalò, forse immeritatamente, la gioia si essere il secondo eletto della Città stessa, ad appena qualche centinaio di voti da Vincelli che, invece, il primo eletto.  

Decisi di chiudere la campagna elettorale a Reggio il venerdì immediatamente precedente la consultazione.     

Mi tenne a battesimo, se così si potesse dire, Piero BATTAGLIA, Sindaco. 

Nell'occasione di quel comizio, con facilissima profezia, trattai, con grande calore ed entusiasmo, proprio il problema del Capoluogo di Regione, sottolineando

la necessità di essere vigili ed attenti per impedire prevedibili colpi di mano che si venne prospettato di candidarmi alla Camera.

Desideravo e volevo che la accettazione di un incarico, così tortuosamente difficile ed anche suscettivo di valutazioni che si potevano, in via naturale, accompagnare alla simpatia della

gente, della mia gente, non dovesse e/o potesse significare calcolata, strategia al fine di conseguirne utilità di natura elettoralistica, per restare come, credo di essere rimasto, fedele non tanto e non solo all'impegno che andavo ad assumere quanto anche, e soprattutto, allo "spirito" della testimonianza che volevo rendere ala mia Reggio che amo, oggi come allora, senza alcuna né recondita e né palese, ambizione di qualsivoglia natura .                              Svolgemmo una serie di riunioni del Comitato che registrava, cammin facendo, sempre più numerose adesioni, come quelle di William D'Alessandro, del comm. Giuseppe Romeo ex Sindaco di Reggio, del prof. Nino Lupoi, ex Presidente della Provincia (e che sarebbe stato, dopo, Consigliere Regionale, di Natino Aloi e di tanti altri che, ovviamente, non sono in grado di ricordare . 

 

           

 

Uno degli argomenti che venivano coerentemente sviluppati  proprio per il fatto che il regime fascista con un autentico colpo di mano, aveva spogliato Reggio di un buon numero di Uffici Regionali, auspice e mallevatore, credo Michele Bianchi, era una ragione in più  per ripristinare, secondo correttezza e logica, ciò che, nei millenni, non era mai stato contestato da nessuno.  

E fu proprio  dalla consapevolezza che la storia, la tradizione e la pacifica indicazione di tutti gli elementi ad indurre i catanzaresi, in ciò avallati, dai cugini cosentini, ad estrapolare la teoria  cosiddetta "baricentrica" secondo la quale - ad onta della quasi totalità di tutte le altre regioni italiane- per la Calabria dovesse vigere un principio, diciamo "ombellicale" e legare l'ubicazione della sede del capoluogo non già là dove esso era stato posto nei millenni e nei secoli, ma secondo una visione (inventata di sana pianta) di strettamente geografica.

L'attività del Comitato di agitazione, il primo costituitosi su iniziativa di un gruppo di ferrovieri reggini si era posto l'obiettivo di condurre una battaglia sul piano della ricerca storica e documentale e di sensibilizzare la coscienza cittadina alla esigenza di riaffermare con forza, ma pur sempre nei limiti della dialettica democratica, il diritto della Città.         

Sulla base di una tale impostazione che non aveva e non poteva avere, nemmeno un germe, contenuti o prospettive di reazione spropositata - come avvenne, dopo, con la degenerazione che, ripeto, fu  

assolutamente occasionale ed imprevista ed imprevedibile - intendimento del Comitato di agitazione era quello di costringere politici, parlamentari e rappresentanti del Governo di prendere atto di una "indicazione" che proveniva dalla storia, dalla tradizione, dal riconoscimento ufficiale della situazione così come consacrata in situazioni, in documenti, in tradizioni.  

Il presupposto dal quale si partiva era che, così come per tutte le altre Regioni, non v'era stato bisogno alcuno di una indicazione legislativa essendo la "capitale" emersa in via del tutto naturale, anche per la Calabria, si dovesse tener conto di una indicazione naturale suffragata dalla storia bimillenaria della Città.         Fu a questo punto che Catanzaro, con la connivenza tacita o esplicita di molti politici reggini, sfoderò le armi della cosi detta "centralità" geografica e del numero degli uffici regionali sedenti in quella Città. Si dimenticano due cose e, cioè :

  1. che nessuna Regione aveva indicato il Capoluogo (che poi, in effetti, non fu nemmeno indicato sulla base di previe intese con le altre province) sulla base geografica della Città;

  2. che i diversi uffici regionali sedenti in Catanzaro rappresentavano il frutto di una spoliazione di Reggio avvenuta durante il fascismo e non potevano, quindi, costituire presupposto per la rivendicazione di diritti che, in effetti, erano state solo illegittime, e forse anche un pò squallide, espropriazioni. 

Si potrebbe dire che, sulla questione di Reggio, vi fu una convergenza rarissima tra tutte le forze politiche dell'epoca (MSI compreso sia pure con motivazioni diverse legate alla dichiarata avversione all'istituto regionale) nessuna esclusa che si era precostituita contro Reggio una dichiarata, tenace, granitica avversione coagulata da interessi precisi e tale scelta fu anteatta e decisa in sede politica molto prima degli accadimenti, nessuno si aspettava (e temeva, quindi), la reazione popolare nei termini e con lo spessore che, poi, in effetti, vi è stato, avendo calcolato, erroneamente, che al massimo, si sarebbe trattato di un problema "ordinario" di pubblica sicurezza: e lo dimostra il fatto, se altre considerazioni non fossero pertinenti, che il Questore si trovava, al momento dell'esplodere della Rivolta, in periodo di ferie ordinario.      

La Rivolta di Reggio è stato un momento corale, partecipato, vissuto nella direzione del riscatto da tutte le forme di servitù e di sottomissione, mafia compresa; e sarebbe ingiusto, oltre che non conforme al vero, tradirne, per interessi connessi a

qualsivoglia ottica anche paragiudiziaria, la spontaneità, lo spirito e l'anima.  

Il tentativo ultimo - estratto dal cilindro del prestigiatore- di accreditare la Rivolta sia stata una delle tante espressioni della "ndrangheta" è talmente meschino e deprivato di qualsivoglia, pur minima, consistenza, che non meriterebbe nemmeno di essere accennata se non avesse -come, almeno io credo, abbia- la velleità di sradicare, ora per allora, nelle coscienze e nell'anima di quelli che quei giorni non vissero, né da protagonisti e né da spettatori, l'immagine o il ricordo di un momento in cui un popolo intero ebbe l'ardimento, il coraggio e la consapevolezza di potere scrivere, con le proprie mani e con il proprio sangue, le prospettive di una Città offesa, ingiuriata, delusa, strangolata ma non piegata.   

La Rivolta di Reggio -proprio ed esattamente all'opposto di quel che si vorrebbe, ora, sostenere- è stato un momento corale, partecipato, vissuto nella direzione del riscatto di tutte le forme di servitù e di sottomissione, mafia compresa; e sarebbe ingiusto, oltre che non conforme al vero, tradirne, per interessi connessi a qualsivoglia ottica anche paragiudiziaria, la spontaneità, lo spirito e l'anima.      

La "rivolta"  - e questo deve essere un concetto assai chiaro e storicamente definito - non ha avuto, né in senso spiccatamente politico, né ideatori e né programmatori, ma si è trattato, piuttosto di un moto spontaneo ed istantaneo, del popolo di Reggio -certo sulla base di eventi oggettivamente accaduti e, soprattutto di impatto immediato- che, da sé solo, decise di ribellarsi alla prepotenza delle Istituzioni che si manifestava in occasione della scelta del Capoluogo di Regione: e non è tutto.                             

La causa prossima, poi è stata l'infelice condotta delle forze di polizia nella serata del 14 luglio 1970.   

Ma occorre -proprio per capire come la situazione sia stata caratterizzata dalla spontaneità e dalla imprevedibilità che non si può coniugare (come è stato, invece, fatto) con presunti disegni eversivi, se non addirittura, mafiosi- partire dagli inizi che molti, invece hanno

dimenticato, e forse, nemmeno casualmente: essendoci stato, sempre, un interesse politico, ancora oggi, a coniugare la "rivolta" come fenomeno eversivo e/o mafioso che avrebbe dovuto "sconsacrare" il carattere popolare di essa ed avrebbe dovuti, soprattutto, giustificare le "batoste" elettorali subite da tutti i Partiti tradizionalmente governativi o dell'area di sinistra.      

Il mio tentativo (e non è nemmeno certo che ci riesca sino i fondo come vorrei) è che, a distanza di trenta anni, la "rivolta" acquisti, finalmente, il suo giusto spessore storico e resti, come è stata nelle intenzioni e nelle testimonianze di tantissimi, noti ed assolutamente sconosciuti, un gesto intero ed autentico di amore per questa Città "Mater et caput, urbs nobilis, insignis, fidelissima, provincae prima" .