Continuano i rapporti interculturali e di amicizia con l'Ungheria, tramite le iniziative di vario target da parte del Circolo Culturale “L'Agorà” ed il Centro studi italo-ungherese “ÀRPÀD”, laboratorio di ricerca del sodalizio reggino.
Tali manifestazioni hanno  il merito di consolidare le fondamenta culturali tra il tra i due paesi e recuperare quella memoria e ricomporre il mosaico della storia del territorio composto da tanti tasselli, da tanti colori, esperienze, tra cui quella relativa alle presenze ungheresi che si sono susseguite con lo scorrere delle lancette del tempo.
Si è trattato di due manifestazioni ospitate presso la  Scuola di Studi Superiori “Dániel Berzsenyi” di  Szombathely (Szombathelyi Bezsenyi Dániel Tanárképzõ Fõiskola) ed aventi come tema “Prigionieri austro-ungarici a Reggio Calabria durante il primo conflitto mondiale” e “Le milizie ungheresi nella Calabria medievale”.
Nel corso della manifestazione che si è tenuta nella mattinata della prima giornata si è parlato del tema rientrante nel periodo storico del novecento e relativo alla presenza di alcuni prigionieri austro-ungarici a Reggio Calabria durante la “grande guerra”.
Gianni Aiello nel corso della sua relazione supportata dall'ausilio di immagini ha esposto al pubblico presente sia i motivi che hanno causato lo scoppio del primo conflitto mondiale che le motivazioni logistiche che hanno indotto il governo italiano del periodo ad ubicare i campi di prigionia anche nella parte meridionale della penisola.
Infatti i documenti ritrovati da Gianni Aiello, dopo accurate ricerche, arricchiscono il tema dei prigionieri di guerra austro-ungarici durante le fasi della prima guerra mondiale (1914-1918), proprio con la presenza di un campo di prigionia nella parte più peninsulare dell'Italia, cambiando così la “geografia” relativa all'ubicazione di tali strutture militari.
La collocazione sul territorio italiano dei campi di prigionia era dovuta alle esigenze logistiche del periodo bellico in questione, dovute anche ai timori del governo sabaudo relativi alle incertezze che lo scenario della guerra offriva.
Infatti dopo l'ubicazione dei primi luoghi atti ad ospitare i prigionieri austro-ungarici nel Nord Italia, si pensò di distribuirli in altre parti  del territorio ben lontani dai luoghi di combattimento, visto che vi era il forte timore che potessero verificarsi azioni di sfondamento da parte del nemico.
Tra l'altro c'è da evidenziare che oltre ai problemi derivanti dai continui cambiamenti di fronte vi era anche quello relativo al forte sovrappopolamento delle strutture che ospitavano i prigionieri e, quindi, la necessità di ubicare altrove altre strutture anche per motivi di ordine pubblico derivanti da quanto detto in precedenza.
Dai dati ufficiali si evince che le cifre relative ai dati numerici dei prigionieri austro-ungarici in Italia risultano aver toccato le 180.000 unità durante il periodo di belligeranza, mentre tali dati superarono le 400.000 unità alla fine del conflitto.
Ritornando al tema centrale della conferenza, si tratta – come ha evidenziato il relatore Gianni Aiello- di sei documenti dello stato civile – atti di morte che testimoniano la presenza a Reggio Calabria di militari , aventi l'età compresa tra i 23 ed i 46 anni, facenti parte dell'esercito austro-ungarico e deceduti presso il presidio ospedaliero di Reggio Calabria.
I prigionieri in questione trovavano alloggiamento presso alcuni baraccamenti ubicati presso il castello aragonese della Città dello Stretto ed erano utilizzati per lavori di manutenzione ordinaria, come lavori di opere civili, sistemazione di strade ed altre indicazioni come stabilivano le disposizioni governative del periodo storico in questione.
Infatti altre indicazioni ne stabilivano il loro utilizzo anche in lavori agricoli, così come contemplato nel dettato della Convenzione dell'Aia del 1907 che stabiliva l'utilizzo dei prigionieri non graduati sia per lavori pubblici che privati.
In Italia le autorità competenti applicarono quanto stipulato nel 1907  solo in data 25 maggio 1916 secondo le indicazioni di  una circolare del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio fatta pervenire ai Prefetti che stabiliva che i prigionieri fossero utilizzati “in lavori agricoli ed industriali esterni al campo di prigionia”.
Tra l'altro c'è da ricordare che nella pubblicazione dell'archeologo italiano Paolo Orsi relativa alla campagna di scavi effettuati sul territorio calabrese fa cenno a diversi prigionieri austro-ungarici che in quel periodo storico venivano utilizzati in tali attività.
Infatti  egli ne descrive il loro utilizzo durante le fasi degli scavi archeologici in alcune zone del territorio.
Le indagini archivistiche effettuate da Gianni Aiello hanno il merito di “spostare” il baricentro logistico dei campi di prigionia in Italia durante il primo conflitto mondiale: con tale importante scoperta la “geografia” esistente dei luoghi destinati alla raccolta dei prigionieri.
Infatti nel corso del suo intervento, grazie all'ausilio visivo di immagini, Gianni Aiello ha illustrato ai presenti le varie disposizioni logistiche delle strutture carcerarie atte ad ospitare i militari degli eserciti degli imperi centrali e nello specifico di quelli austro-ungarici.
Oltre ai luoghi storicamente conosciuti come quelli di Mantova, Cavarzere, Alessandria, Genova, Asti, Bracciano, Cuneo, Voghera, Avezzano, tanto per citare qualche località dell'Italia peninsulare, vi sono quelli delle isole come quello ubicato nell'isola dell'Asinara in  Sardegna, mentre per la Sicilia quelli di  Palermo e Vittoria.
Quindi da queste cifre e dalla recente scoperta dei documenti Reggio Calabria va a  rappresentare la parte più meridionale della penisola italiana in materia di campi di prigionia durante il primo conflitto mondiale.
Dalla lettura dei documenti si sono ricavate interessanti  informazioni e nello specifico quelle relative a:

A riguardo il luogo del decesso dei soldati facenti parte del Regio Esercito austro-ungarico è quello del presidio ospedaliero della città di Reggio Calabria, dove probabilmente trovavano ricovero per le apposite cure.
A tal proposito Gianni Aiello nelle sue conclusioni ha avanzato l'ipotesi che la causa della loro morte potrebbe essere stata o l'influenza della “Spagnola” che proprio in quel periodo disseminò lutti ovunque oppure quella relativa all'inalazione di gas tossici durante le operazioni militari.

ShinyStat
6 dicembre 2007