« … Sono molto sorpreso e contento che una giovane associazione come il Circolo Culturale L’AGORA’ di Reggio Calabria sia riuscita a realizzare tutto questo .  Durante il mio breve soggiorno ho avuto modo di conoscere persone molto semplici ed attive come gli abitanti dei luoghi visitati in questi giorni nella provincia reggina come Scilla, Piale, Seminara. Durante il mio breve soggiorno ho avuto modo di  conoscere persone molto semplici ed attive come gli abitanti dei luoghi visitati in questi giorni nella provincia reggina come Scilla,  Piale, Seminara, Pentidattilo, Reggio Calabria: tutto molto bello !  Ringrazio vivamente Gianni Aiello che ha voluto ed ha creduto in questo progetto, e tutti coloro, come il Presidente della Provincia di Reggio Calabria e il Sindaco della città, che si sono prodigati per la messa in opera di questo appuntamento .  Merçi beaucoup, vremant !!! » : questo è quanto  ha evidenziato Joachim Murat , erede dello sfortunato Re di Napoli che, insieme alla figlia Elise e a due ministri della Real Casa, ha voluto essere presente al convegno "Gioacchino Murat: un Re tra storia e leggenda" , giunto alla quarta edizione ed organizzato dal Circolo Culturale L’AGORA’ presieduto da Gianni Aiello .
Una storia, quella di Murat, gravitante nelle orbite del romanticismo , dal desiderio di indipendenza dal cognato Napoleone, alle eroiche battaglie dalle quali né uscì sempre con onore e dalle  quali ebbe gli elogi sia da parte dei nemici che  degli amici, per uscire di scena con la fucilazione avvenuta a Pizzo Calabro il 13 ottobre del 1815 è scaturita da un processo sommario . 
 Il nome dello sfortunato Re di Napoli, nato a Labastide nel 1771 si lega alla leggenda: poiché il suo corpo non venne mai rinvenuto, si narrava che la testa del lungocrinito sovrano fosse stata recisa e poi fatta pervenire a Ferdinando di Borbone .
Ciò che avvenne della sua salma non è dato sapere con certezza. Alcuni affermano che sia stato sepolto in un cimitero locale in una fossa comune; altri che sia stato gettato in mare.
Si racconta anche che di notte la gente di Pizzo, colpita dagli avvenimenti immaginava di udire rumori di catene nella navata della chiesa.  Lo spirito di Murat reclamava vendetta.
Alcune volte la Chiesa, secondo la fantasia popolare, si illuminava all’improvviso, e una  voce cavernosa saliva dai sotterranei .
Una donna giurava di aver visto Murat coperto di ermellino lasciare la tomba.    
Per molti anni poi, alla stessa ora e allo stesso giorno in cui la flotta del Re era stata  sorpresa dalla tempesta, uno strano fenomeno  atmosferico si verificava puntualmente con lampi  e tuoni.
La gente impaurita diceva che era "A tempesta i  Gioacchinu" , la tempesta di Gioacchino.  
I lavori del convegno si sono aperti rispettando un minuto di silenzio per commemorare l’anniversario della fucilazione del Re di Napoli .
Ad introdurre i lavori è stato Orlando Sorgonà, che nel corso della sua introduzione ha esordito dicendo che: «183 anni fa, all’incirca verso   quest’ora,
Gioacchino Murat veniva  fucilato, osserviamo quindi un minuto di ossequioso silenzio, anche  in rispetto dell’approssimativo e arbitrario  processo che lo ha condannato a morte.»
Hanno relazionato il professor Giuseppe Caridi ,  docente di storia moderna presso l’Università della Calabria e dell’Ateneo messinese che ha affrontato le tematiche riguardanti "Gli aspetti  politici ed economici del decennio francese", trattando argomenti relativi alle soppressioni della feudalità (che era stata introdotta dai  Normanni otto secoli prima), dei monopoli e del brigantaggio che, sostenuto dagli anglo-borbonici, venne debellato nella primavera del 1811.    
Parlando del decennio francese bisogna dire che alle genti calabresi mancava l’idea della libertà e la consapevole volontà dell’indipendenza nazionale, questo era anche dovuto all’arretratezza culturale e  all’isolamento che tali popolazioni, loro malgrado, avevano subito. 
La mancanza di strade, di approdi commerciali avevano fatto il resto. 
Questo periodo è caratterizzato da profonde innovazioni che consentono al Mezzogiorno di partecipare alle trasformazioni politiche, sociali ed amministrative indette dai francesi .
Nel 1811 Murat riserva i posti della Pubblica Amministrazione ai cittadini del Regno, escludendo i francesi, ma Napoleone emana un decreto con cui stabilisce che tutti i cittadini francesi sono anche napoletani e l’idea autonomistica di Murat tende a svanire  per il carattere accentratore del cognato.
I Calabresi non avevano ancora preso visione che il vecchio ed arretrato mondo feudale stava  crollando e che andavano ad aprirsi verso nuovi scenari che riflettevano le luci dell’era  moderna : ma i "bravi Calabresi" , come li definì il Murat non capirono tutto ciò ed abbracciarono, la maggior parte di essi, la causa "patriarcale" borbonica .   
Interessante è stato il supporto del professor Franco Mosino che ha trattato il "Manoscritto   della sentenza di morte di Re Gioacchino" ,  copia che ha trovato casualmente sulle  bancarelle romane di Porta Portese .   
Il professore ha parlato anche delle visite di Gioacchino Murat nella città dello Stretto, della istituzione del Regio Liceo, l’attuale Liceo classico "Tommaso Campanella", della  pubblica illuminazione di cui Reggio beneficiò e delle numerose feste che sui effettuarono nella città in onore del Re Gioacchino .   
Di seguito, Gianni Aiello, presidente del sodalizio reggino, ha proiettato dei documenti inediti dell’epoca manifestando il suo disappunto per la mancata conservazione della memoria storica, visto che Reggio è l’unica città italiana a cambiare denominazione delle  strade, e ad abbattere monumenti, come la pregevole statua di Ferdinando IV, sita nella Piazza de’ Gigli (l’attuale Piazza Italia) fatta  a pezzi dopo l’entrata delle truppe garibaldine o le variazioni della toponomastica a secondo del cambiamento dei governi come il corso Gioacchino Napoleone, in Borbonico, o nell’attuale corso Garibaldi.    
 Il giovane ricercatore, commentando alcuni documenti che rilevano la bontà d’animo del generale napoleonico Carlo Antonio Manhes (come la clemenza verso alcuni prelati che volle liberare), ha messo in discussione i pareri espressi da alcuni storici come Calà Ulloa, Carlo Botta e Pietro Colletta (quest’ultimo  collaboratore del Manhes) che giudicarono negativamente l’operato del generale definito dallo storico Carlo Botta  come "colui che sarà benedetto e maledetto fin  che vi saranno le Calabrie" .   
Il decennio francese, come afferma il Croce, può considerarsi lo spartiacque tra il medioevo e l’età moderna; con esso il feudalesimo muore e l’uomo acquisisce una dignità nuova che si esprime nei valori della libertà e nell’uguaglianza di tutti davanti alla legge .
Sono intervenuti infine gli ospiti d’oltralpe che hanno rimarcato come il Re Murat abbia  portato Reggio al centro dell’attenzione per la sua  posizione strategica e per le sue bellezze  naturali e che egli volle, per primo, l’Italia  unita e libera dando la sua vita per questo scopo in quel di Pizzo Calabro il 13 ottobre di  ben 183 anni fa . 
 Un notevole contributo alla buona riuscita di questa manifestazione è stato dato dai ragazzi del Liceo linguistico di Reggio Calabria diretto   da Don Calarco, dall’Azienda Promozione e  Turismo, dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, dal professore Mario Spizzirri, dal Presidente del Consiglio Regionale,  dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Reggio, dalla Banca Commerciale, agenzia di  Reggio Calabria e dal gruppo di ricerca MNEMOS .
Il convegno si è concluso con un intervento ed i  saluti finali del Presidente dell’Amministrazione Provinciale Antonio Cosimo Calabrò, grazie al quale, è stato possibile dare ospitalità agli illustri ospiti .       
Il Presidente dell'Amministrazione Provinciale dott. Antonio Cosimo Calabrò ricordando la  figura di Gioacchino Murat ha detto: «Volevo sottolineare la pregevolezza dell’iniziativa e la necessità di recuperare la consapevolezza che  noi abbiamo una storia ricchissima sia di questo territorio che del bacino del Mediterraneo.  Murat è una figura romantica, ha dato un imput positivo e molte delle cose che noi abbiamo sono un’eredità che ci ha lasciato. La mia impressione, a riguardo il re di Napoli, e che nel momento in cui ha tentato di riconquistare il Regno, lo ha fatto perché aveva amato questa terra, quindi un gesto romantico.  La sua morte è ancora avvolta nel mistero: Murat che insegue un doppio sogno, quello dell’uomo della rivoluzione e quello dell’uomo che  insegue un Regno: un’idea fortemente originale.   Il periodo del decennio francese con le sue innovazioni è stato un passo in avanti non solo per la Calabria ma per l’Europa intera . Mi auguro che in futuro ci possano essere ulteriori  appuntamenti su questo argomento» .  
Il nome di Murat si perpetua nei suoi discendenti, forse l’epigrafe che essi avrebbero voluta scolpita sulla tomba del loro illustre avo è quella che si riscontra in una lettera che Lord Byron inviò a Tom Moore datata 4 novembre 1815: «Povero caro Murat, che brutta fine ! Sono convinto che le sue bianche piume fossero  un punto di riferimento in battaglia, proprio come quelle di Enrico IV» .

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13 ottobre 1998