Un uditorio attento e numeroso si è reso protagonista nella nuova edizione della giornata di studi in argomento che è stata ospitata presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria.

Il prestigioso ente culturale aveva già altre volte ospitato

tale manifestazione, come ad esempio l'edizione del 2008 , quando vennero esposti nelle sale dell'Archivio di Stato

di Reggio Calabria i gioielli appartenuti al Re di Napoli Gioacchino Murat.

Tra l‘altro piace ricordare che nel corso delle precedenti edizioni sono stati ospiti del Circolo Culturale “L'Agorà” e del Centro studi “Gioacchino e Napoleone” diversi personaggi del mondo culturale come docenti universitari di diversi atenei, ricercatori, discendenti della famiglia Murat e di quella dei Bonaparte.

L'edizione del 2005 ha rivestito dei risvolti particolari e nel contempo originali, in quanto non si è svolta nel consueto interno perimetrale di una sala convegni ma ha avuto come scenario l’Area dello Stretto.

Nel 2009 invece altri luoghi della memoria del periodo dei napoleonidi sul territorio, questa volta sulla terra ferma.

Il tema “Gioacchino Murat: Un Re tra storia e leggenda” organizzata dal Circolo Culturale “L'Agorà” e dal Centro Studi “Gioacchino e Napoleone” giunge quindi alla sedicesima edizione e nel corso di tali incontri sono stati analizzati diversi momenti del "decennio francese" che ha inizio il 14 gennaio 1806, giorno dell'entrata in Napoli di Giuseppe Bonaparte, fino all'amministrazione di Gioacchino Murat, che rimase a governare fino al marzo 1815.

Nel corso di tali incontri si sono confrontati autorevoli studiosi, sono stati analizzati diversi documenti storici del periodo argomentato che la storiografia ufficiale ha oscurato la sua azione democratica, tesa al liberismo ed alla costituzione di una Nazione, un Regno unito, indipendente, secondo i modelli illuministici.

Quindi ritornando al tema “Gioacchino Murat: un Re tra storia e leggenda”, piace evidenziate che tali giornate di studio poggiano le loro basi sull’analisi di variegati documenti, facenti parte di un periodo storico che ebbe il merito di portare in Italia le esperienze e le conseguenze della rivoluzione francese, tramutando il quadro politico e sociale del nostro territorio, ancora ancorato ad un sistema feudale ormai logorato sia dal tempo che dalla storia.

I lavori della giornata di studi sono stati aperti dal direttore dell'Archivio di Stato di Reggio Calabria Mirella Marra che nel corso del suo intervento ha evidenziato ai presenti il piacere  di ospitare il sedicesimo incontro, così come altre edizioni.

Siamo ancora qui - continua Mirella Marra - a riflettere su questa figura. É un'occasione particolarmente importante perché al tavolo dei relatori c'è un erede di Luciano e Giuseppe Bonaparte, dicevo è un incontro particolarmente importante per noi perché nel 2004  l'Archivio di Stato di Reggio grazie alla dott.ssa Baldissarro che mi ha preceduto nella direzione ed al dott. Aiello che ha ospitato l'erede del Re di Napoli Gioacchno Murat, oggi grazie a quella sinergia ospitiamo presso l'Archivio di Stato di Reggio Calabria, in copia i documenti   relativi al fondo Murat provenienti da Parigi e relativi al territorio calabrese e che erano stati versati nel 1969 da un erede della famiglia Murat proprio nell'Archivio Nazionale parigino.

Si tratta di documenti di straordinaria importanza e bellezza, al di là di quello che può essere il fascino delle carte di fine settecento inizio ottocento della nostra zona, come una serie di lettere che Murat indirizza all'Imperatore Napoleone Bonaparte dal Campo di Piale nel 1810 quando erano in atto le operazioni di sbarco in Sicilia.

Dal contenuto di tale rapporto epistolare si evince lo stato d'animo di Murat, sono spaccati di vita, le sue emozioni di condottiero, il suo desiderio di conquistare la Sicilia di rendere ulteriormente valoroso il suo esercito.

L'attenzione che rivolge ai suoi soldati, il desiderio di comunicare, di informare il valore dei suoi uomini, l'impeto d'amore che hanno questi soldati nel combattere.

La parola è passata ad Antonino Megali, socio del sodalizio organizzatore che ha trattato il tema "La Calabria di Duret De Tavel".

È a partire dal Settecento - esordisce Megali - che si registra un notevole incremento di viaggi, grazie anche alle migliorate condizioni di strade, ponti, locande, mezzi di trasporto. Nel secolo dei Lumi si spostano per motivi di lavoro o d’Istruzione giovani aristocratici,letterati,avventurieri. Minore il numero di italiani che amano scoprire il loro paese rispetto agli stranieri. Soprattutto il Sud è la loro meta preferita nonostante siano convinti che l’Europa finisca a Napoli: il resto è Africa. (Goethe la pensava diversamente. Nel suo ”viaggio in Italia” scriveva: l’Italia senza la Sicilia non lascia immagini impresse nell’animo. Qui è la chiave di tutto ).

Il piacere delle esplorazioni,delle escursioni induce ad affidare alla carta ricordi ed esperienze.

Torna così in auge la letteratura odeporica.

A rigore, quello che andiamo ad esaminare, non è un diario di viaggi. L’autore, Duret de Travel,è un anonimo soldato al seguito del generale Partouneaux costretto a trascorrere tre anni in Calabria con l’armata francese. Per far conoscere i suoi spostamenti , usi e costumi della regione manda delle lettere al padre. Queste raccolte nel volume sono solo una parte della corrispondenza. Diciamo  subito che de Tavel non è paragonabile a un de Rivarol che pure ci definì “selvaggi d’Europa”, o a un abate Saint Non che rifiutò questa definizione o infine con l’inglese Swinburne, acuto e originale osservatore della realtà calabrese. Tuttavia queste cronache di guerra descritte nelle lettere finiscono col diventare un vero diario di viaggio. Perché in queste lettere non troviamo solo imboscate di briganti,spedizioni contro insorti,scontri tra “coquilles de noix”, gusci di noci come Murat che amava le sue imbarcazioni e le “cittadelle natanti” inglesi. L’autore si dilunga in descrizioni di paesi e città calabresi non trascurando usi e costumi degli abitanti,informandoci sul clima, prodotti, commercio e perfino sulle danze locali come la pecorara e la tarantella.

Le sue osservazioni-dettate solo dalla curiosità-sono talvolta utili e stimolanti,spesso stravaganti e dilettantistiche. Il buon Duret de Travel si trova con l’armata francese a Napoli,città che definisce”la più deliziosa che abbia mai visitato”.

Lo colpisce “il clima, il Vesuvio che domina il più bel golfo del mondo, le grandi strade ben pavimentate,le case coperte da terrazze,gli svariati e superbi panorami, il suo aspetto ora ridente ora terribile”.

Nella stessa città e nello stesso periodo questo è il quadro che il Consiglio provinciale inviava al Governo: ognuno conosce lo stato di questa metropoli, una folla di gente miserabile e di prostitute brutta le nostre strade, ragazzi senza famiglia, senza tetto, nudi e malsani, infestano gli abitanti con i loro lamenti si cibano di cortecce, carogne o malfatto pane,ed ammonticchiati gli uni sugli altri dormono per le strade”.

Ma al nostro ufficiale giunge l’ordine di trasferirsi da questa meravigliosa capitale nella parte più remota di questo regno: la Calabria. Il nostro compito -scrive- si limiterà a dare la caccia a bande di briganti, attraverso le montagne e le foreste di cui il paese è pieno, e a vegetare poi in squallidi villaggi abitati da una razza di uomini che ci vengono descritti come dei selvaggi incredibilmente perfidi e crudeli .

E tutto dall’inizio sembra dargli ragione. Nel viaggio verso Cosenza incontra neve e pioggia e, nel villaggio di Lauria, soldati massacrati da un gruppo di briganti.

Alcuni suoi commilitoni muoiono per la neve e il freddo; il battaglione sbaglia strada col risultato di arrivare in ritardo a Castrovillari.

Raggiunge Cosenza dopo aver marciato in mezzo a risaie, profondi fossati, paludi e altri torrenti.

De Tavel si sente finalmente sollevato, anche se sorpreso, quando ospitato da un sacerdote avrà di fronte una ricca biblioteca con “tutto ciò che gli storici antichi e moderni hanno scritto sulla Calabria” o quando conosce a Rossano un avvocato che scrive con eleganza in francese, anche se lo parla con qualche difficoltà. Trova nella generalità malsane le case, illuminate da lucerne a olio, puzzolenti per il legno d’ulivo usato per riscaldare gli ambienti.

I Francesi trovano anche l’occasione per divertirsi. De Tavel parla di balli e di ricevimenti dove anche le signore “affascinate dalle nostre maniere,sono diventate molto socievoli, con grande scandalo dei mariti, naturalmente dei despoti gelosi, ma che  si credono obbligati a qualche riguardo verso di noi.

Ma frequentando i Francesi, i loro costumi,invece di corrompersi, non possono che  raffinarsi”.

Enfatizzati molti scontri con i briganti. Come quando parla della banda di Scarola, formata da ben 2000 persone. Il bandito era vestito di velluto e di merletti con un seguito di cavalli carichi di doppie di Spagna e dominava i passi del Pollino.

I Francesi dopo lunga fatica riescono ad accerchiare ed a uccidere i banditi. I vincitori si impadroniscono di un bottino così ricco, che “furono visti giocare con quadruple di Spagna”.

Il tenente francese, in queste sue lettere, si dilunga nella descrizione fisica di molti luoghi e sia pure con qualche riserva, ne mette in evidenza la loro bellezza.

Ed è proprio la nostra Reggio che riesce a piegarlo. Sentitelo. “È impossibile immaginare qualcosa di più bello delle campagne che la circondano e che producono molte varietà di frutti deliziosi.

Dalle montagne scorgono molti ruscelli che serpeggiano tra gli aranceti e i limoneti e rendono fertile il terreno e fresca l’aria.

Questo enorme giardino ornato da boschetti profumati offre l’incanto di un Paradiso terrestre. La costa riserva ovunque panorami meravigliosi e lo Stretto sembra un fiume maestoso che si è aperto il passaggio tra due alte montagne. Le correnti purificano l’aria e generano una brezza che tempera la calura estiva.

In una parola,il clima,il sole, la posizione di Reggio offrono ai sensi tutto ciò che di più seducente la favola e la poesia hanno saputo creare”.

Sorprendenti sono i giudizi su Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat .

Quando si sparge la notizia che il re lascerà la capitale commenta: “Soltanto le dame  di Napoli avranno motivo di rimpiangere questo galante sovrano”.

Poi infierisce ancora su don Peppe (così lo chiamano a Napoli per scherzo) accusandolo di aver lasciato nel disordine la Province e l’amministrazione dello Stato, di aver lasciato vuote le casse, di essere stato un re poltrone e bonario e Murat?

Piacque ai Napoletani, piacque ai Calabresi e anche i popolani si lasciarono sedurre dal soldato impulsivo, generoso, espansivo.

Lo stesso colonnello borbonico Carbone lo dovette riconoscere mettendo in evidenza che anche i preti di Calabria dimostravano simpatia per Murat, sia pure insinuando che il re solo per calcolo si mostrava devoto e praticante.

Il nostro Duret de Travel parla invece di attese deluse. Sostiene che crede a tutte le accuse contro l’esercito francese, si circonda di perfidi consiglieri, sostituisce i francesi che occupano posti nelle Province con elementi locali, si lascia circuire da infidi napoletani.

Ma nonostante i napoletani quando dopo tre anni giunge all’ufficiale la notizia del ritorno nella capitale, è in preda a un “entusiasmo, simile a quello di coloro che dopo aver subito una lunga detenzione sono tornati liberi, alla vita”.

Concede di lasciar sì luoghi di una bellezza sorprendente, pinte e fiori rari, affascinanti rovine, antiche colonie greche cariche di cultura.

La deliziosa capitale del regno però è un’altra cosa; là - scrive -  alla bellezza e al clima, si aggiungono i godimenti e l’istruzione che può offrire la civiltà europea.

Così de Tavel ribadisce il suo sperticato amore per Napoli come con altrettanta onestà ammette che i suoi giudizi sulla Calabria e i Calabresi non sono obiettivi né  privi di prevenzione.

Dopo l'intervento di Antonino Megali, la parola è passata a Gianni Aiello, presidente del Circolo Culturale "L'Agorà" che ha relazionato su "La Calabria nelle carte Murat".

«Abbiamo iniziato 16 anni fa -esordisce Gianni Aiello- ed in questo arco di tempo abbiamo avuto modo di verificare attraverso l'ausilio di documenti archivistici incontestabili che quello che una "certa storia" che ci è stata tramandata è l'esatto contrario di quello che è stato rilevato, studiato sulle fonti depositate presso i luoghi della memoria».

Prosegue Gianni Aiello: «In questo periodo c'è stato il modo anche di confrontarci con altre realtà culturali che abbiamo ospitato  in qualità di autorevoli relatori (docenti universitari, ricercatori), ma anche con i discendenti sia della famiglia Bonaparte che di quella Murat che con la loro presenza hanno ulteriormente impreziosito i nostri incontri».

Nel corso del suo intervento Gianni Aiello ha commentato la documentazione archivistica, costituita da due faldoni in copia, giunti a Reggio Calabria dall'Archivio Nazionale di Parigi grazie alla sinergia tra il Circolo Culturale “L'Agorà” ed i discendenti del Re di Napoli.

Ritornando al tema della discussione trattata da Gianni Aiello si tratta in buona sostanza di cinque fascicoli relativi agli aspetti planimetri e cartografici del territorio, datati 1788-1815; di undici fascicoli  legati al “Primo Impero” e datati 1810-1815 ed un fascicolo datato 1875 relativo alla corrispondenza tra Vincenzo Galati (discendente del canonico Masdea) e  Luciano Murat.

In un rapporto epistolare datato 14 ottobre 1815 si legge che “… funerale pubblico, e messa salma  nella Chiesa Cattedrale … …l’onore di prestare all’eroe Gioacchino …” a tal proposito  Gianni Aiello nel corso del suo intervento rileva che quanto contenuto in quella corrispondenza lascia dei dubbi con quanto contenuto in pubblicazioni relativi a tale argomento, come quanto pubblicato da Enzo Capialbi in “Murat al Pizzo – La fine di un Re” (1894) dove “ … la salma, sanguinosa per sette ferite ricevute,  fu deposta nella fossa mortuaria della Chiesa Parrocchiale… E’ ben vero che nessun onore, nessuna distinzione fu accordata al cadavere del Re soldato,  di cui si voleva proscrivere anche la memoria ...” e sempre nella stessa pubblicazione “… Egli ha distrutto la triste leggenda  che il capo del Re  suppliziato fosse stato staccato dal busto,  ed inviato in Napoli  al Re Ferdinando,  che lo conservava in un boccale ripieno di spirito ...”.

Come si può notare da questi primi esempi ci sono delle forti discordanze con quanto riportato nell'indirizzo epistolare del Vincenzo Galati dove si parla di "onore riconosciuto all'eroe Murat".

Gianni Aiello continua la sua esposizione sempre argomentando tali aspetti e riporta altre testimonianze a tal riguardo come quella del saggio pubblicato a Parigi nel 1847 dal titolo “Memorie del Generale Guglielmo Pepe intorno alla sua vita”, dove nella corrispondenza (25 maggio-1° novembre 1817) lo stesso autore riporta riferendosi a Gioacchino Murat che “... alcuni giorni dopo, la testa, recisa dal corpo  e messa in un vaso di vetro pieno di spirito di vino,  fu mandata a Napoli, e riposta nella reggia.”, proseguendo poi con un'altra pubblicazione quella di Alessandro Dumas.

Venne stampata a Napoli nel 1864 con il titolo “Storia dei Borboni di Napoli” dove: “... narra la tradizione, senza che noi garantiamo il fatto, che il capo di Murat fu troncato e spedito al re Ferdinando perché se qualche falso Murat si presentasse […]  gli si potesse mostrare la testa del vero.  Quel teschio era, dicesi, conservato in un boccale di acquavite, in un armadio segreto di re Ferdinando: morto il re, sarebbe stato trasportato  nel palazzo della vecchia prefettura di polizia,  poco lontano dal comando della piazza, che fu rifatto nel 1849. 

In quell’anno ritrovassi infatti un capo umano  in un vaso deposto in una nicchia segreta scavata nel muro.  Un commissario di polizia a nome Campobasso fu spedito sul luogo,  e mentre teneva in mano quel capo, il pavimento sprofondò, e Campobasso si fiaccò le gambe ed il capo nella caduta e morì pochi giorni dopo.  Napoli intera parlò di questo fatto e susurrossi che quel teschio fosse quello del re Gioacchino ...”.

In ultimo, ma non per ordine d'importanza - continua Gianni Aiello - passiamo al saggio storico di Giustino Fortunato "L'ultimo autografo politico di Re Gioacchino Murat", pubblicato a Firenze nel 1917, dove viene riportato "...com’è possibile credere, che avendo l’idea di riacquistare  il Regno, veniva a sbarcare, con tanta poca gente,  in questo paese, che mi è stato sempre nemico,  malgrado lo avessi sempre beneficato?", questo è un'altro passaggio importante che mette ulteriormente in discussione quanto trascritto in quel rapporto epistolaretra Vincenzo Galati (discendente del canonico Masdea) e  Luciano Murat e facenti parte del carteggio Murat.

Dopo essersi soffermato sul carteggio relativo al rapporto epistolare ed i relativi confronti con alcuni saggi storici sopra argomentati, Gianni Aiello è passato alla disaminadel carteggio denominato “Primo Impero (1810-1815)” e nello specifico al rapporto epistolare costituita da 27 lettere del Re di Napoli relativa alla Campagna di Calabria (periodo 17 maggio – 20 settembre 1810) da tale di documentazione si ricavano informazioni relative alle operazioni militari ed alle situazioni logistiche relative alle stesse e nel contempo vengono indicati i luoghi dove le stesse si svolgono e, nel contempo vengono indicati anche il passaggio di diverse imbarcazioni nell'area dello Stretto che viene nominato come “Canale”.

Oltre a questi dati vi sono altre cifre come relative ad indicazioni sui militari non solo al seguito del Re di Napoli Gioacchino Murat ma anche precise informazioni a riguardo il generale Stuart, notizie fornite queste probabilmente da agenti segreti operanti in quel di Messina.

Passando poi all'altra documentazione archivistica Gianni Aiello ha trattato la corrispondenza tra Gioacchino Murat e l'Imperatore Napoleone Bonaparte relativa al periodo (9 ottobre 1810 – 1 gennaio 1811) e dalla lettura della quale si possono ricavare informazioni relative al resoconto delle operazioni militari del periodo precedente all'estensione di tali lettere.

Tra l'altro piace evidenziare – continua Gianni Aiello – che tale rapporto epistolare riguarda anche diversi momenti della presenza dei napoleonidi in Calabria come l'estratto della corrispondenza generale di S. M. il Re Goacchino dopo la sua partenza dalle Calabrie fino al suo rientro nella capitale periodo (16 maggio – 27 settembre 1810).

I dati riportati dalle indicazioni archivistiche di Gianni Aiello scaturite da un'attenta relazione hanno fatto si che il pubblico presente alla giornata di studi in questione abbia potuto assistere ad una interessante pagina della storia del Mezzogiorno, caratterizzata non solo da operazioni militari ma anche da consistenti attività amministrative indirizzate al miglioramento della vita sociale, come le numerose riforme effettuate durante il decennio.

Dopo l'intervento del presidente del Circolo Culturale "L'Agorà" è stata la volta dell'illustre ospite presente alla giornata di studi sul periodo napoleonico organizzata dal sodalizio reggino.

La Contessa Zenaide Giunta di Fiume esordisce nel suo dettagliato intervento parlando dell'importanza del decennio francese (Gennaio 1806 – Marzo 1815) sul territorio e della sua lunga onda che si è protratta successivamente a tale periodo.

Anche se il suo arco di tempo è stato di breve durata, esso ha avuto la capacità, nonostante il suo inserimento in una fase molto delicata e nel contempo difficile per l'intero Mezzogiorno - prosegue la discendente della famiglia Bonaparte -  di realizzare, quindi di dare inizio ad un cambiamento, nonostante le evidenti "resistenze" da parte di coloro che per diverse circostanze erano legati al vecchio ordine.

L'importanza del decennio francese poggia la sua importanza sullo svecchiamento delle vetuste impalcature amministrative e sul rinnovamento degli aspetti sociali e culturali, quindi ad una svolta epocale e dalla quale non si poteva più tornare indietro.

Infatti da quanto sopra indicato si rilevano le letture di queste importanti cifre relative al periodo in argomento e nello specifico, per quanto riguarda il tema istituzionale, basta richiamare l'attenzione verso gli indirizzi relativi all'eversione della feudalità, le leggi riguardanti il clero, l'introduzione del Codice civile, elementi questi che traghettano le vecchie strutture amministrative verso lo Stato moderno.

A tal proposito si ricorda tra gli altri l'istituzione delle intendenze, dei tribunali, della creazione delle prime province, le riforme in campo universitario come la nascita di nuovi poli scientifici come quello denominato "Corpo e della Scuola di ponti e strade".

L'attenzione non fu rivolta soltanto alle università ma anche alle scuole, infatti nel 1806 Giuseppe Bonaparte stabilì con apposito decreto che in ogni Comune del Regno fossero designati un maestro ed una maestra, mentre per l'anno successivo se ne richiedevano i risultati ottenuti, tramite relazione intendentizia.

Altri passaggi innovativi li troviamo anche a riguardo il tema economico ed il relativo studio del territorio e delle sue effettive potenzialità.

Inoltre c'è da ricordare il tema relativo agli aspetti ed agli studi delle infrastrutture come la creazione di punti di collegamenti viari verso le aree periferiche del Regno, la ricostruzione dei luoghi con relativi piani urbanistici.

Anche il tema dei beni culturali è stato oggetto di interesse come la valorizzazione del patrimonio storico ed artistico, un esempio quello relativo al finanziamento degli studi archeologici.

«C'è da registrare quindi» - prosegue la Contessa Zenaide Giunta di Fiume - «una vera e propria trasformazione degli aspetti sociali, amministrativi e politici dell'intero territorio che fino a quel momento era legato ad un impianto tipicamente feudale» .

Da questi elementi - prosegue l'illustre ospite - si evince che i risultati della rivoluzione francese non rimangono circoscritti all'area transalpina ma, grazie all'operato di Bonaparte giungono anche in Italia ed anche nell'area Meridionale della penisola.

A tal proposito la Contessa Zenaide Giunte di Fiume

ricorda l'operato del suo antenato Giuseppe Bonaparte che regnò a Napoli solo due anni.

Naturalmente tale arco di tempo fu breve per potere fattivamente operare, ma nonostante ciò il sovrano effettuò una serie di rilevanti operazioni amministrative indirizzate al rinnovo delle impalcature  del vecchio regime sistema.

Tale politica venne perseguita e portata a termine dal suo successore al trono di Napoli Gioacchino Murat.

22 ottobre 2010