

Si  parla  ancora di lui, di Gioacchino Murat, (1767-1815) Re di Napoli, che fu il primo  precursore dell'unità d'Italia, portando una ventata di modernità nel Meridione  con le numerose riforme  che vennero  attuate in appena un decennio di   amministrazione, periodo in cui la Calabria intravide cultura, crescita  sociale,  benessere.
    Nel bene e nel male, non importa, ma si parla .  
    C'è chi lo adora, c'è chi lo denigra, c'è chi lo  ignora, chi invece conosce perfettamente il periodo storico che abbraccia le  gesta del valoroso Gioacchino e del decennio francese (1806-1815) di «marca»  napoleonica tanto da organizzare quest'anno la decima edizione del simposio  dedicato al Re Murat, è il sodalizio reggino, al cui interno opera un  laboratorio di idee e di ricerca, il “Centro Studi Gioacchino e Napoleone”  .                                 
    A distanza di sei anni, il discendente diretto del  Re di Napoli, S.A.R. il principe Joachim Louis Napoleon Murat, è stato presente  per ascoltare gli illustri relatori, insieme ad una delegazione dell'Unione  della Nobiltà Napoleonica con a capo l'avvocato Raffaello Cecchetti di Brugnolo  , quindi   un modo elegante  per festeggiare ma anche di fare cultura.
    Questo non vuole essere solo il resoconto relativo  al convegno ma, se vogliamo, anche una sorta di diario, dalle cui pagine si  possono annotare fatti, aspetti e persone che, se pur  non hanno avuto un ruolo come relatori nella  giornata di sabato 16 ottobre, hanno avuto il merito di far constatare a S.A.R.  il principe Gioacchino Murat ciò che il suo illustre antenato ebbe a verificare  quasi due secoli prima regnava in questa parte del territorio del Regno di  Napoli.
    Dopo queste premesse passiamo ad una descrizione di  ciò che è avvenuto nei giorni precedenti alla data inerente la decima edizione  della giornata di studi "Gioacchino Murat: un Re tra storia e  leggenda". 
    Si inizia giungendo a Pizzo che dista da Reggio  poche ore, ma le numerose  interruzioni autostradali, dovute ai lavori  di manutenzione e rifacimento dell'assetto viario, rendono il viaggio più lungo  e fastidioso, questo avviene quando si attraversa un enorme cantiere  autostradale.
    Giunti nella città napitina, dopo una breve  passeggiata, ci attende una lunga riunione,   alla presenza dei presidenti  e  legali rappresentanti di associazioni, nonché alla presenza di S.A.R. il  Principe Murat. 
    La stessa  si  è protratta fino alle  prime ore del  pomeriggio, dove è stato concordato l'atto costitutivo denominato "Rete  Murat" che "le parti si danno atto che la sottoscrizione di statuto  verrà sottoposta alla ratifica di ciascuna delle associazioni presenti". 
    Con il ritorno verso Reggio, ci lasciamo alle spalle  l'assolata cittadina, dove qualcuno impreca una bottiglia de "La Bière de la Grande Armèe",  qualche altro invece... cerca ancora qualche altra cosa.
    In macchina il viaggio risulta piacevole, si ammira  il paesaggio, il panorama, si ricorda la manifestazione di sei anni addietro,  qualche telefonata per confermare la visita con relativa intervista presso  un'emittente televisiva della città dello Stretto.
    La delegazione fa visita agli studi televisivi di  RST, dove dopo qualche battuta tra i presenti si passa di seguito all'  intervista che sarà trasmessa dall'emittente reggina il giorno successivo 
    Il giorno successivo, venerdì 15 ottobre,  appuntamento in mattinata davanti al sagrato del Tempio della Vittoria. 
    La giornata è buona e si è in anticipo e c'è il  tempo per qualche breve escursione turistica nei  pressi della piazza, dove è ubicata una  statua alata del 1600, conosciuta anche come "Angelo Tutelare". 
    Di seguito una breve descrizione degli esterni della  chiesa con i suoi alto rilievi che rappresentano figure di soldati del primo  conflitto mondiale. 
    Alle ore 10.00 circa del venerdì, la celebrazione  religiosa ha così inizio, vi assistono gli iscritti al sodalizio reggino, la  delegazione  dell'Unione della Nobiltà  Napoleonica, dei semplici fedeli. 
    La   Santa Messa viene officiata da don Nuccio Santoro che durante l'omelia ha  ricordato alcuni aspetti  umani della  figura del Re di Napoli.  
    Da documenti d'archivio altre funzioni  religiose erano state effettuate nei  confronti del sovrano, ma naturalmente quando questi in vita e quasi tutte per  celebrare le vittorie  in cui egli si era  particolarmente distinto e quasi tutte le funzioni erano accompagnate dal Te  Deum. 
    Dopo lo svolgimento della funzione religiosa c'è  stato l'appuntamento con S.E. l'Arcivescovo Vittorio Mondello con il quale la  delegazione ha avuto modo di conversare su diverse  tematiche quali quelle relative ad aspetti  storici, culturali, sociali e religiosi.
    Di seguito la visita alla Cattedrale e  successivamente un'altra visita istituzionale presso la sede  dell'Amministrazione Provinciale.
    Il colloquio con il Presidente Pietro Fuda è  risultato alquanto dinamico e lo stesso ha tracciato alcune idee  progettuali che intende portare a termine e  nella fattispecie diversi progetti relativi al turismo.
    Nel pomeriggio vi è stato l'incontro con la stampa  locale, dapprima con  i giornalisti della  redazione reggina de  il Quotidiano con i  quali vi è stato un interessante colloquio e dal quale è stata realizzata  l'intervista e che di seguito potete leggere linkando sul logo della testa  giornalistica sotto riportato.
    Successivamente vi è stata la visita presso la  redazione giornalista dell'altra emittente televisiva della città,  RTV 
    Il servizio giornalistico è stato curato da Lucio  Musolino che abilmente ha tratteggiato con   gli ospiti sia la rilevanza storica della figura che il periodo  storico in cui Murat ha vissuto. 
    Il palinsesto di sabato 16 ottobre ha visto la  visita all'Archivio di Stato di  Reggio  ubicato  in via Lia Casalotto e  l'incontro con il Direttore dott.ssa Lia Domenica Baldissarro, e tal proposito  tratteggiamo un breve excursus storico della struttura in questione.  
    Gli Archivi di Stato nel Regno delle Due Sicilie  vennero istituiti con Decreto n. 1150 del   3 dicembre 1811 - Bullettino delle leggi del Regno di Napoli - Anno  1811. 
    Da luglio a tutto dicembre- pp. 317-323 (n. 1150)]  (1)
    Successivamente a tale importante provvedimento  la  struttura archivistica reggina venne  istituita nel 1852, in  ossequio alla legge borbonica del 12 dicembre 1818  n. 1379 (con la denominazione di “Archivio  provinciale di Calabria Ultra Prima”) e nel 1866 venne trasferita alle  dipendenze dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria. 
    Divenne Archivio Provinciale di Stato nel 1932 e  Sezione di Archivio di Stato nel 1939, infine nel 1963, con il DPR 30 settembre,  n. 1409, assunse l’attuale denominazione di Archivio di Stato.   
    Il materiale documentario dell’Archivio relativo al  decennio francese riguarda lo Stato civile (atti di nascita, di morte, dei  matrimoni)  istituito con decreto 29  ottobre 1808, e, della compilazione di tali registri vennero incaricati gli  ufficiali dello Stato Civile.
    Rivestono un   particolare interesse anche gli Archivi finanziari dai quali si può  evincere lo status economico dei ceti sociali, e la circolazione dei beni ed il  ricollocamento delle ricchezze.
    Il Catasto venne istituito con decreto n. 335 del 4  aprile 1809  con lo scopo di “demolire”  lo stato di confusione in cui versava la finanza pubblica, quindi rinnovare la  struttura del vecchio catasto onciario, e di ripartire equamente l’imposta sul  territorio. 
    A tal fine venne istituita la tassa fondiaria. Altri  fondi documentaristici relativo al periodo storico sono: 
    I)         Direzione della registratura e dei demani di Monteleone, capologo della  Calabria Ulteriore e  dove aveva la sede  l’Intendenza; 
    II)       Burò  circondariali delle registratura e dei demani di Ardore, Bianco, Bova,  Casalnuovo, Catona, Gerace, Laureana , Mammola, Palmi, Polistena, Reggio,  Seminara, Stilo; 
    III)       Giudicati di pace di Ardore, BiancoBova, Calanna, Casalnuovo,  Castelvetere, Gerace, Grotteria, Laureana, Melito, Oppido, Palmi, Polistena,  Reggio, Sant’Agata In Gallina, Scilla, Sinopoli, Staiti, Stilo, Villa San  Giovanni; 
    IV)        Tribunale di prima istanza di Monteleone; 
     Successivamente vi è stata la visita  presso  l'istituto  superiore interpreti e traduttori "Nuova  Europa", colloquio con i ragazzi, il corpo   docenti ed il direttore  Don  Calarco.  
    L'entusiasmo dei ragazzi dell'istituto scolastico  reggino risulta ben evidente e ciò si è potuto evincere sia per l'attenzione  che gli stessi hanno manifestato, sia per le domande che hanno rivolto agli  ospiti. 
    E si giunge al momento del convegno, che risulta  alquanto atteso, visto anche la risposta di pubblico presente alla  manifestazione. 
    La manifestazione ha inizio con la lettura relativa  al percorso che il  sodalizio  organizzatore ha effettuato fino al momento e, nonostante le difficoltà che  l'associazione culturale reggina trova lungo il suo iter, riesce a realizzare  incontri di qualità come quello attuale.  
    Da ciò si è potuto evincere che è intenzione da  parte degli  organizzatori di pubblicare  gli atti relativi alle manifestazioni inerenti al tema trattato, in modo da  dare una  maggiore ed ulteriore  pubblicità al  periodo storico trattato e  che è stato di  notevole importanza non  solo per il territorio ma per tutto il Mezzogiorno. 
    Ne sono testimonianza le numerose riforme attuate  durante l'amministrazione dei napoleonidi nell'intera area geografica del Regno  di Napoli . Il periodo chiamato "Decennio francese" ha inizio con  l'entrata in Napoli da parte di Giuseppe Bonaparte il 14 gennaio 1806. 
    Viene nominato re dal fratello Napoleone nel  febbraio successivo e rimane in carica fino al 15 luglio 1808, quando divenne  re di Spagna. 
    Gli succede Gioacchino Murat che governa fino al  marzo 1815.
    Durante l'amministrazione di Giuseppe Bonaparte  vennero intraprese una serie di  riforme  di grande valore che ebbero una valida nel campo politico, economico,  amministrativo, finanziario, sociale e religioso e tali  specificità vennero completate  da Gioacchino Murat che diede grossi imput al  Meridione.
    L'amministrazione francese ebbe il merito di  realizzare nuove ed importanti strutture   che trasformarono l'assetto amministrativo operante sul territorio che  assumeva la vecchia divisione in due province, quella Citeriore e quella  Ulteriore, entrambe le province furono suddivise in distretti e governi,  successivamente denominati circondari .  
    Il decennio francese con le numerose riforme ebbe il  merito di incidere profondamente nella struttura stessa del regno,come quella  relativa all'eversione della feudalità, alla nuova regolamentazione della  proprietà fondiaria, alla conversione dei beni ecclesiastici in privati, quindi  si può tranquillamente affermare che durante tale periodo vi fu  una generale   ripresa della vita amministrativa, economica e sociale del territorio. 
    Gianni Aiello ha trattato il tema relativo a “La  provincia  reggina raccontata durante il  decennio”  , basandosi to sul commento  relativo ad alcuni documenti e   pubblicazioni inerenti il periodo storico e nella fattispecie  "Lettere dallaCalabria" di Duret de Tavel (Rubettino Editore) ed  "Occurences in Calabria in 1809-1810" di  Philip James Elmhirst, stampato nel 1819 e  giunto ai nostri giorni grazie alle ricerche ed alla passione dello  studioso Mario Martino (Edizioni Promoteo). 
    La relazione del ricercatore reggino  è stata caratterizzata da un intreccio di  linguaggi descrittivi di diversa tipologia e dalla quale sono emersi diversi  aspetti relativi agli usi e costumi, al folklore, all'agricoltura, alla caccia,  alla pesca, all'architettura, agli aspetti strutturali delle città del periodo,  agli usi alimentari dei suoi abitanti, alla descrizione della figura del Re di  Napoli Gioacchino Murat: «Da questi documenti possiamo tracciare un itinerario  diverso rispetto a  quello  che ci hanno lasciato gli storici di regime -  dice Gianni Aiello- e nel contempo si riesce ad avere una diversa visione e  conoscenza del territorio». 
    La relazione di Gianni Aiello è stata un continuo  incrociarsi di date, fatti, personaggi e luoghi che fanno da scenario al  contesto  storico oggetto della giornata  di studi e che rappresenta l'unico appuntamento nella regione dedicato al  periodo dei napoleonidi.
    Dalla lettura dei documenti si può evincere come il  prigioniero  inglese descrive  l'accoglienza che gli abitanti del luogo avevano nei confronti degli ospiti  come quando «... il povero sindaco, nell'impossibilità di procurare una  sufficiente quantità di pane per il distaccamento ci fornì una grande  quantità  di pesce...» 
    Ciò  che  accomuna le due pubblicazioni è la descrizione che viene fatta a riguardo la  figura del  sovrano di Napoli, Gioacchino  Murat: in Elmhirst si evince il rispetto che lo stesso, pur essendo un inglese,  aveva nei suoi confronti: «... quel magnanimo principe, che, se avesse  continuato a regnare sul Regno di Napoli, avrebbe senza dubbio elevato la sua  gente ad un rango rispettabile tra le nazioni europee.». 
    Il Duret De Tavel ne descrive l'aspetto epico e le  doti umani in una lettera dall'accampamento di Melia del 6 giugno 1810 dove:  «... il re indossava una ricca divisa, molto simile a quella di un araldo  d'armi, e montava un cavallo focoso che conduceva con grazia precedendo un  numeroso stato maggiore. Quest'ingresso fu veramente stupendo. Il re non  trascurò niente per apparire con sfarzo agli occhi dei suoi nuovi sudditi. Lo  stesso giorno ricevette le autorità civili, che rimasero affascinate dal suo  aspetto, dalla sua disponibilità a ricevere tutti, della sua generosità  nell'accordare tutto...» (2)  
    Quello che accomuna i due  lavori è la   descrizione dello stato di normalità, nonostante i fattori  politici,  della vita quotidiana in quel periodo  come la coltivazione dei campi, la  pesca  del pescespada nel tratto di mare tra Bagnara e Palmi. 
    L'intervento di   Gianni Aiello si conclude con un altro particolare che volta si  diversifica da quelli precedentemente trattati nel corso della sua relazione, e  nella fattispecie riguarda l'antropologia, quella relativa al fenomeno dei  vattienti , che viene trattato dal relatore in due periodi storici ben  distinti:«... nel 1472, nella bolla concessa dal vescovo di Squillace alla  confraternita di S.Caterina di Guardavalle (CZ) si legge che le confraternite  dei disciplinati erano " in multis Regni partibus (...) ... nella seconda  metà dello stesso secolo viene attestata l'esistenza dei disciplinati nella  chiesa di S.Gregorio di Gerace. ... Nel 1500 sono  esistenti (e quindi la loro origine e più  antica) le confraternite dei battenti a Roccella Jonica...»  (3)
    Gianni Aiello, infine confronta tale esperienza con  quanto descritto in un altra pubblicazione dove: «... nel XIV e XV secolo si  possono osservare molte congregazioni di disciplinati anche nell'Italia  Meridionale (battentes o fustigantes) che effettuavano tali riti anche in  pubblico, soprattutto durante il periodo di Passione ... » (4)
    Di tale esistenza si ritrovano le tracce proprio  durante il decennio francese, infatti da una fonte archivistica si evince che  da una lettera  del 25 aprile 1806 «...  fra le popolazioni  accorse da luoghi al  passaggio del Re, che hanno  vivamente  eccitata la sua sensibilità, e fissata la sua attenzione, vi è stata quella di  Mammola. 
    Uomini e donne di questa terra in numero di presso a  tre mila si son presentati sulla strada con corone di spine sul capo,  piangendo, battendosi il petto con pietre rotonde...».  (5) 
    L’avvocato Carlo Baccellieri relazionando sul  tema relativo a “La cucina calabrese nel XVII  secolo” ha dichiarato che «fare una storia della gastronomia è già difficile di  suo, sia perché si tratta di una cucina oggettivamente povera, sia perché  mancano quasi del tutto documenti, ad una breve, anzi brevissima conversazione  su  alcune ipotesi che  possono riguardare la gastronomia in quel  periodo» .
    Un periodo breve ma molto intenso che ebbe un  rilevante significato per la storia dell'Italia   meridionale e fu molto incisivo, non solo sul  piano dei rapporti sociali (versione  della  feudalità), dell'amministrazione e  della giustizia (introduzione del codice napoleonico), opere pubbliche, ma  anche nei costumi del popolo e della vita quotidiana. 
    Certamente rappresentò  una significativa "rivoluzione" che  avvicinava le popolazioni del  Sud,  isolate e depresse, alle grandi novità che erano emerse dopo la Rivoluzione Francese  e che avevano fatto la loro prima e sconvolgente apparizione con la Repubblica Napoletana  del 1799. 
    Probabile quindi che vi sia stato nello stesso  periodo l'ingresso di alcune novità anche nel settore della gastronomia, di cui  la Francia  era  l'incontrastata maestra e regina, e  ciò sia per  l'indubbio potere di  attrazione di tutto ciò che  era  francese, la cui autorità discendeva non solo dalla grandeur e dal prestigio  dell'Impero, ma anche dalla forza delle armi delle armate  napoleoniche,   sia per i contatti diretti con i Francesi dell'amministrazione e  dell'esercito  calati al Sud in quel  periodo. 
    Uno studio serio non è stato ancora fatto ma  per  avere un prima idea di quale fu  questo apporto  si possono fare alcune  ipotesi partendo dal  lessico. 
    I vocaboli di origine francese nel nostro  dialetto sono numerosi, anche se non  moltissimi e sono transitati in tre periodi diversi: una prima volta durante  l'epoca Normanna  (1000-1100), una  seconda volta durante il periodo angioino (1262--1442) ed una terza volta nel  periodo che va sotto il nome del "decennio   francese", oltre, s'intende a quei vocaboli  entrati di   recente nella lingua italiana. 
    Molti di questi vocaboli, forse la maggior parte,  hanno attinenza al cibo. Per alcuni si potrebbe parlare di sviluppo parallelo  dal latino come : 
    broche (brosc) – broccia -  forchetta 
    buffet (buffè ) - buffetta -  tavola 
    boutique (butich) -   putia -  bottega 
    tiroir (tiruar)-    tiretto -  cassetto 
    travailler (travaiè) -  travagghiari -  lavorare 
    boucherie (buscerì)-   bucceria  - macelleria 
    ros olis -   rosoli -  rosolio 
  racine (rasin) -   racina -   (uva)   
Altri invece sembrano abbastanza moderni tanto da  poterli attribuire al  periodo che va  dalla Repubblica Partenopea del 1799 alla seconda restaurazione del 1815 dopo  il congresso di Vienna. 
    In questa terza trance si possono inserire le voci: 
    gemelle (gamel) – gamella - gavetta
    burride (burrid) – buridda - puzza di sporco
    purèe (puré) -  puré - puré
    ragout – ragù - ragù
    boite (buaht) – buatta - scatola di latta   per alimenti
    andouille - 'nduia -  'nduia
    morceau -  (morso) - murseddu 
    sortou - sartù 
    gàteau (gatò) – gattò -  gattò
    tire-bouchon – tirabusciò - tirabusciò
    pomme (pom) – puma - mela
     moouchoir  (musciuar) – muccaturi - fazzoletto
Gamella è un termine militare e come tale è  necessariamente legato a vicende dell'esercito francese. 
    Buridda è l'equivalente di una pietanza  francese,  non entrata nell'uso  alimentare calabrese, confezionata a base di uova e di pesce che provoca un  odore sgradevole non appena riposa per qualche ora, puzzo che i soldati  francesi attribuivano alle gamelle mal lavate.
    Sebbene alcune di queste voci siano comuni  all'italiano od al napoletano, si ha notizia  che le corrispettive pietanze erano già in uso nei primi decenni dell'800. In proposito è da  tenere presente che quello fu un periodo che, anche a causa delle migliorate  comunicazioni con Napoli per via della sistemazione del più importante asse  viario del tempo, che in parte seguiva la vecchia  strada consolare romana, restaurata da  Gioacchino Murat  a partire dal 1810, la  borghesia calabrese ebbe modo di   frequentare la capitale ed attingere tutte le  maggiori novità del momento comprese quelle  del campo culinario. 
    Vi fu probabilmente un altro veicolo attraverso il  quale una parte, sia pure modesta, della   gastronomia venne introdotta in Calabria: con le facilitate  comunicazioni viarie le famiglie borghesi mandavano le figlie in collegio a  Napoli ed i migliori erano quelli delle suore francesi e per questo tramite  venne introdotto l'uso dello zucchero in alcune salse e nelle frittate. 
    Inoltre  i  figli maschi spesso frequentavano l'Università ed entravano in contatto con le  novità gastronomiche importate a Napoli dalla Francia.
    Infine, la coscrizione obbligatoria introdotta da  Murat nel 1808 fu un altro veicolo di comunicazione che mise in comunicazione i  giovani calabresi col resto  dell'Europa. 
      Cosa so  mangiava quindi in Calabria durante il   decennio francese? 
    Dalle scarne notizie attraverso le cronache del  tempo degli ufficiali francesi e dei viaggiatori stranieri possiamo avere  qualche certezza e fare qualche supposizione. 
    Innanzitutto si mangiavano i sempre celebri  maccheroni ossia "i maccaruni i casa" probabilmente a ragù, così  chiamato per via dello  stracotto di  carne e pomodoro che serviva  a condirli.  Questo era sicuramente il piatto nazionale. 
    Si mangiava il pesce spada in grande abbondanza,  fresco e salato, nelle zone di Bagnara , Scilla e Reggio e del quale il  maggiore dell'esercito francese, Lubin Griois, ci da una vivida descrizione  della pesca fatta con le luntre, anche se   l'ufficiale non aveva un gran concetto della cucina calabrese:  "Generalmente non ci sono alberghi. Esistono brutte taverne dove si trova  vino, gallette (u biscottu i ranu) pesce (baccalà e stoccafisso) e maiale  salati ..." . 
    Si usava molto il "biscotto" di grano, il  pesce, le olive, grande abbondanza di arance e limoni, tutti gli ortaggi  introdotti da circa due secoli dal nuovo mondo, fagioli, patate, pomodori, mais  con il quale alcune zone si confeziona il pane, ed insalate. 
    Notevole era sicuramente il consumo della carne di  maiale e dei suoi derivati sotto forma di insaccati e capicolli.
    A questo proposito una particolarità è costituita  dalla "'nduia", un insaccatto originariamente tipico della zona di  Spilinga, confezionato con le interiora del maiale e molto peperoncino. 
    In Francia, comunemente nei mercati della Provenza,  potete trovare l'andouille che è l'equivalente francese confezionato con i  medesimi ingredienti, compreso il pepe rosso. 
    È quindi evidente l'origine unica, certamente  francese visto il nome. 
    La circostanza poi che in Calabria l'insaccato sia  circoscritto in una piccola zona ci fa pensare che un qualche francese, magari  unmaresciallo di cucina o una vivandiera dell'esercito francese, o un coscritto  (i  francesi avevano introdotto la leva  obbligatoria) rientrato a casa, lo abbiano   importato in un solo posto. 
    Da tener presente che il vitto nell'esercito  francese nel periodo napoleonico, sebbene si dovesse considerare migliore  dell'alimentazione comune delle famiglie contadine francesi nello stesso  periodo, si avvaleva però in larga misura del "quinto quarto" del bue  che era costituito appunto dalle interiora. 
    Qui è d'obbligo il riferimento ad un'altra pietanza  calabrese, il "murseddu" catanzarese che prende il nome da  "morceau" francese che significa morso. 
    Il "murseddu", com'è noto, si compone  di  interiora di manzo (quinto quarto di  bue) cotte nel pomodoro, arricchito con abbondante peperoncino, e con il quale  si farcisce una  "pitta" (ossia  una ciambella) di pane e si mangia necessariamente a morsi, senza mai l'aiuto  di posate.
    Era 'a cullaziuni che operai e contadini consumavano  a metà mattinata. 
    Anche questa pietanza - chiaramente di nome francese  può aver avuto origini nel "decennio". Probabilmente a quel periodo  risale anche il "gattò" che prende nome dal francese  "gateau" che indica una torta. 
    In Calabria è diventato un timballo farcito con  salame, uova sode e provola, arricchito con formaggio e strutto. Si hanno  notizie che la pietanza era in uso anche nei primi decenni  dell'800. 
    Per finire parliamo del "sartù", pietanza  napoletana, ma tradizionale in Calabria nei pranzi di carnevale. Si compone di  un timballo di riso prima bollito, impastato con ragù e  formaggio, e poi farcito- nella versione  riggitana molto diversa da quella napoletana- con uova sode, polpettine,  piselli, carne di ragù e provola. 
    Questo timballo si prepara in una pentola dalle  pareti molto alte che si pone nel forno. 
    Quando è cotto si sforna e si pone al centro della  tavola a disposizione dei commensali. 
    Da qui il nome francese di surtout che indica, nella  prassi quotidiana, un vasellame da mettere   a centro tavola. 
    Anche questa pietanza era già in uso nei primi  decenni dell'800.  
    La parola è poi passata a Remo Malice  dell'Università degli Studi di Messina che relazionato su “La scultura  neo-classica nel periodo napoleonico” , incentrando, quindi la sua relazione  su  una delle migliori espressioni  italiane del   neoclassicismo, quella di  Antonio Canova.
    Quanto sopra espresso risulta evidente  nella sua importante produzione artistica,  dalla quale emerge tutto il fascino del classicismo greco secondo le direttive  impartite dal Winckelmann: «la nobile semplicità e la quieta grandezza». 
    La sua scuola artistica ha inizio nella laguna  veneziana e nelle sue prime opere si evince l’influenza dello scultore barocco  del Seicento Gian Lorenzo Bernini. 
    A Roma, dove si recò nel 1799,  ebbe il modo di confrontarsi e di avere  continui scambi culturali con i maggiori protagonisti dell’arte neoclassica  frequentando le scuole di nudo dell'Accademia di Francia e del Capitolino. 
    Canova, con le sue opere scultoree, ebbe il  merito di far rivivere la bellezza ed il  fascino delle antiche statue greche. 
    Le sculture di Canova sono realizzate in marmo  bianco e caratterizzate da una gradevole lavorazione che tra ispirazione dal  concetto fondamentale del classicismo quale la   bellezza ideale. 
    Il relatore ha posto all’attenzione dei presenti  sulle modalità descrittive delle opere del Canova e nello specifico sulla loro  classificazione: quella mitologica come «Ercole e Lica», «Teseo sul Minotauro»,  «Le tre Grazie»,  «Amore e Psiche» e  quella relativa all’arte funebre come i monumenti di Maria Cristina d’Austria,  e dei due pontefici Clemente XIII e Clemente XIV. 
    Il relatore afferma che il Canova durante il  periodo napoleonico ebbe un notevole successo  per il suo stile tanto da essere convocato a Parigi nel 1802 dall’Imperatore  Bonaparte che gli affidò la realizzazione di un busto del quale sono giunti ai  nostri giorni soltanto alcuni calchi in gesso. 
    Divenne il ritrattista ufficiale dell’Imperatore dei  francesi e realizzò una serie di opere come un’opera bronzea raffigurante  Napoleone Bonaparte nella posa di “Marte pacificatore”, e raffigurò in una  eccellente posa artistica di  tizianesca  memoria Paolina Borghese semidistesa  su  un triclino dai chiari riferimenti mitologici raffigurante “Venere vincitrice”  che nella sua  mano custodisce il pomo  della vittoria offerto da Perseo alla dea più bella. 
    Una passione per il classicismo che accompagnò il  Canova fin dai primi passi a Venezia dove realizzò una serie di opere  indirizzate per stile e fattura a tale periodo come “Icaro e  Apollo”, “Orfeo e Euridice” e “Dedalo e  Icaro” . 
    Morì nel 1822, nel luogo natio di Possagno in  provincia di Treviso. 
    Ultima relazione, ma non per importanza, è stata  quella dello storico calabrese Mario Spizzirri dell'Università degli Studi di  Cosenza che ha trattato “L’esercito calabrese durante il periodo napoleonico”  .  
    Mario Spizzirri è Commissario Straordinario  dell’Istituto per la storia del Risorgimento   italiano per la provincia di Cosenza. 
    Noto per essere uno dei più attenti specialisti in  Calabria  di catasti onciari è apprezzato  studioso di tematiche storico-militari per i suoi studi qualificati e saggi  sull’Esercito Italiano dall’Unità d’Italia ai nostri giorni, in particolare,  del Corpo dei Bersaglieri , ma è anche e soprattutto, probabilmente, l’unico  storico dell’Arma dei Carabinieri in Calabria. 
    È membro di prestigiosi Istituti Storici  Italiani e calabresi tra cui il Centro  Nazionale di Studi Napoleonici, l’Istituto per la Storia del Risorgimento, il  Centro Interuniversitario  di studi e  ricerche storico-militari, l’Università dei Saggi “Franco Romano”,  Istituto  a livello universitario di  ricerche e stages  sull’Arma dei  Carabinieri, la   Deputazione per la storia patria della Calabria,  l’Accademia  Cosentina, la Roscianum. 
    Per le sue particolari benemerenze è stato  insignito, tra l’altro, di ben  due cavalierati quello dell’Ordine Sovrano  della Corona di Ferro  e quello del Sacro  Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.   
    Il relatore   nel corso della sua interessante   disamina storica ne ha ha trattato gli   spetti strutturali e nel contempo ha illustrato ai   presenzi alcuni importanti figure  di   graduati che si erano arruolati al seguito delle armate  francesi. 
    Il tutto ha inizio con  la conquista del Regno di Napoli il problema  quando  re Giuseppe Napoleone (1806-1808)  ebbe l'arduo  compito  della (ri)costituzione dell'esercito. 
    L'armata francese d'occupazione  era, d'altronde, eterogenea e formata, per la  quasi totalità, da truppe francesi, italiane (provenienti da reparti  settentrionali della penisola), polacche (già al servizio della Repubblica  cisalpina ed Italiana), svizzere (un   Reggimento) o comunque straniere (formate da ex prigionieri di guerra  che erano stati inquadrati nell'Armata imperiale) e da pochi  meridionali, sopra tutto membri delle  famiglie avvinte  dalle idee propugnate  dalla Rivoluzione Francese.  
    Per ordine di Napoleone gli ufficiali napoletani,  corsi e di altre regioni della   penisola  italica dovettero prestare servizio nel   Meridione e inquadrare i soldati che si presentavano volontariamente,  attratti dalle  buone condizioni di  ingaggio.   
    Le popolazioni locali rurali erano o rimaste fedeli  ai Borboni (vedi la guerriglia endemica che insanguinava intere province,  specialmente in Abruzzo e in Calabria) o del tutto estranee alla nuova  dinastia, quasi in un atteggiamento apatico di neutralità tra vecchia e nuova  epoca, in vaga attesa di come si sarebbero svolte le cose.  
    Di tutto ciò ben si rese conto Gioacchino Murat  quando, divenuto Gioacchino Napoleone, re di Napoli e di Sicilia (1808-1815),  cercò, sostituendo, allontanando e/o naturalizzando gli  elementi stranieri e francesi, di creare un  esercito autoctono; per formare alcuni reparti da inviare in Spagna fu,  infatti, costretto ad  obbligare  all'arruolamento forzato i galeotti prelevati dalle patrie galere.  
    Dopo qualche anno di regno, istituita la coscrizione  obbligatoria, riuscì in parte ad ottenere qualche risultato con elementi locali  (prevalentemente napoletani), inquadrati e comandati da ufficiali meridionali.  
    Ciò fu un successo e un grande merito di Murat che,  col suo  carattere coraggioso ed  estroverso, poco a poco, si era accattivato la simpatia di gran parte dei suoi  sudditi.  
    Il risultato lo si   potette  rilevare nella Campagna  di Russia (1812) ove le truppe   napoletane si distinsero specialmente nell'assedio di  Danzica.  
    Fin dal settembre 1809 era stato emanato un decreto  relativo alla costituzione del 5^ reggimento fanteria di linea al quale venne  dato il nome di "Real Calabria" con volontari e coscritti calabresi ,  che si organizzò sotto la guida di un comandante di provata esperienza, il  olonnello reggino Arcovito, già comandante del   3^ reggimento. 
    Il 1° gennaio 1810 ne era stato costituito soltanto  il 1^ battaglione, con 580 uomini. 
    Alla fine dell'anno il reggimento che partecipò,  poi, allo  sbarco che partecipò, poi,  allo sbarco in Sicilia, era già forte di 1327   uomini. 
    Nella primavera del 1812 il 5^ reggimento partì con la Grande Armata,  insieme  al 6^ e al 7^ e  parteciperà alle campagne di Russia e  Germania (assedio di Danzica).
    Rientrato in   patria sarà di nuovo in combattimento nelle campagne del 1814  e del 1815, quando il 2 maggio si distinse  nella  battaglia di Tolentino,  Il generale Angelo  D'Ambrosio di Bernardo e di Vincenza Rizzi  che,  qui a Reggio, ebbe i suoi natali il  22 settembre 1774. Entrò a far parte, giovanissimo, nella carriera militare:  era già cadetto all'assedio di Tolone (1793) e, dopo la 1^ conquista  del Regno da parte delle armate francesi  (1799) andò esule a Corfù a Venezia e a Padova ove divenne amico del  Pindemonti, del Foscolo, dell'Alfieri e del Canova.  
    Rientrato a Napoli dopo la pace di Firenze (28 marzo  1800), entrò nell'armata franco-napoletana di Re Giuseppe e nel luglio 1806 fu  in Spagna, in Catalogna e per quegli eventi venne premiato con la Legion d'onore  dall'imperatore dei Francesi. 
    Nel 1809, tenente colonnello, fu l'ottimo  organizzatore del reggimento "Real Sannita". Nel 1810, già  colonnello, fu in Calabria, al seguito di Murat che voleva invadere la Sicilia  e toglierla ai Borbone e agli Inglesi.  Durante una sortita sulla spiaggia sicula venne fatto prigioniero e inviato  a  Malta. 
    Liberatosi avventurosamente, nel 1811 fu ancora in  Calabria agli ordini del suo concittadino, il generale Arcovito. 
    Nell'aprile 1812 fu promosso generale e, subito  dopo, si trasferì con la sua brigata in  Germania, a Danzica. 
    Si prodigò per proteggere la ritirata dalla  Russia dei resti della Grande Armata. 
    Nominato tenente generale partecipò alla breve e  ambigua campagna condotta dal Murat, nel 1814, contro il principe Eugenio  ...  Re Gioacchino che lo stimava molto,  lo nominò  suo aiutante di campo e lo  gratificò con la commenda dell'Ordine delle Due Sicilie.  
    Partecipò alla   battaglia di Tolentino ma, nelle prime fasi, venne ferito gravemente. 
    Il barone Luigi Arcovito, tenente generale  dell'esercito murattiano, era nato a Reggio il 29 maggio 1778 da Santo e  Margherita Ditti.  
    Allievo nel collegio dei subalterni della marina  svedese divenendone ufficiale. 
    Rientrato a Napoli ed immesso nei ranghi degli  ufficiali di vascello era stato, poi, fatto transitare nelle forze di terra col  grado volante dei cacciatori di Calabria Ultra e, dopo l'esperienza della  Repubblica Napoletana, si era messo al servizio della Francia. 
    Nel 1806 col grado di colonnello era rientrato a  Napoli al seguito di Massena. 
    In quell'anno era stato inviato in Calabria, al  seguito di Reynier, dopo i fatti di Maida per riconquistare e pacificare la  regione. 
    Partecipò, poi, nel 1807, alla riconquista di Capri. 
    Per quell'impresa Murat lo nominò cavaliere  dell'ordine delle Due Sicilie. 
    Era ancora in Calabria, a Reggio nel 1810, al  seguito di Murat per tentare la conquista della   Sicilia. 
    Era, in quella fase, il comandante del "Reale  Calabria". 
    Venne, poi, nominato barone e nel 1814 fu promosso  tenente generale.  
    Partecipò alla battaglia di Tolentino. 
    Il barone, maresciallo di campo Luigi D'Aquino di  Carmine e di Isabella Mangone era nato a   Cosenza nel giugno 1775. Intrapresa la carriera  delle armi, nel 1799, durante lo sfortunato  esperimento della Repubblica Napoletana, era già capitano e aveva, poi, seguito  la sorte delle  armate repubblicane  francesi. Rientrato a Napoli  nel 1806,  al seguito di Giuseppe Bonaparte e Massena, era subito inviato in Spagna,  a  Barcellona e in Catalogna. 
    In quella sanguinosa   campagna il D'Aquino, da maggiore, ebbe modo  di  manifestare il suo coraggio e il suo  valore e si coprì di gloria. 
    Promosso tenente colonnello e insignito del titolo  ti cavaliere dell'ordine delle Due Sicilie, nel 1810 era di nuovo a Napoli e,  da lì, col grado di colonnello, fu inviato in Calabria al comando del  reggimento "Regina", approntato per l'invasione della Sicilia. 
    Nominato barone, nel 1813 era in Germania e si  distingueva a Lipsia. 
    Da maresciallo di campo partecipava alla  battaglia di Tolentino. 
    Il maresciallo di campo Ferdinando Sambiase era nato  a Calopezzati di Calabria Citeriore il 6 maggio 1776 da Vincenzo e da Giovanna  Ruffo. 
    Rampollo di una delle più importanti famiglie della  Calabria Citeriore, entrò, subitamente, nella carriera delle armi per cui, nel  1797, era   già tenente colonnello di  cavalleria del  reggimento "Real  Ferdinando".
    Ritiratosi a vita privata nel 1805, accettò, poi, i  Napoleonidi e, nel luglio 1809, venne nominato comandante delle guardie  d'onore. 
    Nel 1810 era al campo di Piale e, nel 1812,  partecipava alla Campagna di Russia ove, per congelamento, subiva l'amputazione  di alcune dita delle mani e dei piedi. 
    Nel dicembre di quell'anno veniva promosso maresciallo  di campo. A Tolentino fu gravemente ferito ad una gamba. 
    Il barone Luigi Amato, tenente generale, nacque ad  Amantea in Calabria Citeriore nel 1753 da   Cristofaro e da Caterina Marincola.   Cadetto nel reggimento "Messania", nel 1772 fu  promosso luogotenente. Partecipò all'assedio  di Tolone e, nel 1799, era già maggiore. 
    Nel 1806, all'arrivo dei Francesi, era nominato  colonnello della Gendarmeria. 
    Nel 1808  era  già generale di divisione e  comandante  delle armi nelle Calabria. 
    Nel 1811 divenne tenente generale, barone e  governatore degli Abruzzi.  Le  conclusioni sono state di S.A.R. il principe Murat che si è  ritenuto ampiamente soddisfatto della  brillante  manifestazione organizzata in  modo impeccabile da parte del sodalizio reggino che è riuscito a  realizzare questo importante evento culturale  di  grande prestigio e che ha  richiamato  l'attenzione di numerosi  studiosi ed  appassionati del periodo  napoleonico e naturalmente di quello murattiano.
    S.A.R. il Principe Murat nel ringraziare gli organizzatori  ha evidenziato che «... ho visto in alcuni depliants pubblicitari la dicitura  relativa alla vostra regione indicata come   "sogno di sole", io questa sera dico anche che è un sogno di  storia, di cultura, quello stesso sogno che il mio antenato aveva capito  magnificamente della Calabria e che credeva  in essa e nelle sue potenzialità, facendo del   Mezzogiorno uno Stato moderno. 
Volevo   semplicemente dire questa sera che il "decennio  francese" è il "decennio  italiano" e che  Gioacchino Murat fa  parte integrante dell'Italia  e della sua  storia.»
    La manifestazione, perfettamente riuscita, ha avuto  il merito di avere tra il pubblico numerose presenze proveniente sia dal  Meridione che dall'area Centro - Settentrionale della Penisola, segno evidente  che l'incontro, arricchito anche dalla prestigiosa figura del discente diretto  di Re Gioacchino Murat, ha una sua collocazione culturale, non solo locale, ben  precisa, segno è che i sacrifici fatti   dal sodalizio reggino cominciano a dare i loro frutti.

 
        
  
 
   
   
 
     
 (1) Archivio  di Stato di Reggio Calabria;
     (2) Duret De  Tavel, "Lettere dalla Calabria, Rubettino, 1996, pa. 156;
     (3) M.  Pretto, "La Pietà  popolare in Calabria" , Editoriale Progetto 2000, Cosenza, 1988,  pag. 290 ;
    (4) F. Ferlaino, "Vattienti", Qualecultura  Jaca Book, Decollatura,1991,  pag.  202;  
  (5) Archivio di Stato di Reggio Calabria.
 
  
   
    
     
 
 
 
  
 

