L'incontro ha avuto il merito di far riscoprire ai presenti un momento importante di storia industriale della regione ma anche della provincia reggina, quando vi era un interessante bacino di interesse verso tali aspetti, sia per quanto riguarda la manovalanza che sopratutto  dal punto di vista economico:  elementi, questi che caratterizzavano l'economia del territorio.
Tali aspetti hanno radici antichissime, infatti, sin dai tempi, remoti, fase preistorica, i primi scambi avvenivano tra gli abitanti del   territorio della provincia reggina e quelli delle isole attraverso l'uso del baratto di prodotti estrattivi che venivano usati nel corso della vita quotidiana del periodo, ad esempio la caccia, l'agricoltura, la pesca o il semplice ornamento di oggetti di uso comune, come avveniva per l'ossidiana che giungeva sul territorio come merce di scambio.
La tradizione estrattiva in Calabria compie il suo percorso attraverso i secoli ed i millenni e  lo scorrere del tempo, delle amministrazioni e delle popolazioni che si susseguono sul territorio ne lasciano profonde tracce, sia per le caratteristiche e la tipologia della lavorazione: greci, romani, bizantini, arabi, ungheresi durante il periodo medievale nella zona del cosentino (estrazione del salgemma), in alcuni documenti del 1094 viene riportato la presenza di forni nel circondario di Stilo e di quello di Pazzano, mentre in altri si fa riferimento ad un'ordinanza di Ruggero il Guiscardo che concedeva ai padri Certosini l'utilizzo e [... lo sfruttamento di quel bacino minerario-siderurgico per usi civili e militari:  attrezzi agricoli e domestici e armi bianche e corazze peri cavalieri ...] (1)                                 
Oggi molte delle miniere esistenti sul territorio calabrese sono disattivate, non per esaurimento dei giacimenti ma per i crescenti costi di estrazione. Se tali giacimenti non rivestono per ora interesse sotto il profilo economico, ne hanno invece moltissimo per il mineralogista che, da studioso, trae da questi indizi, elementi utili  per ulteriori approfondite indagini: le sollecitazioni emersi dal convegno sono due, una rivolta una rivolta al turismo e l'altra alla ricerca, elementi questi, se ben combinati potrebbero essere elementi di sicuro sviluppo
economico per il territorio, come, del resto, avviene altrove.
Dopo i saluti del presidente del Circolo Culturale L’Agorà, Gianni Aiello, la parola è  passata a Natale Bova, segretario del sodalizio organizzatore che ha evidenziato alcuni tratti storici relativi all'oggetto della manifestazione, tratteggiandone alcune vicende, sia dal punto di vista storico, economico che sociale, visto anche l'entourage lavorativo che  ruotavano in quelle strutture, come il caso della Ferdinandea dove vi erano [...intorno a mille addetti, di cui una parte veniva  utilizzata nella miniera e nelle foreste, fonderie armeria, e la restante nella produzione e nel trasporto del carbone e del minerale. Il  comprensorio lavorativo, nel quale operavano anche tecnici e operai specializzati, garantiva beneficio e potenzialità di sviluppo economico  al territorio di nove paesi....] . (2)
Ma il distacco tra la capitale  Napoli e la provincia era un fenomeno antico e pertinenza del regno borbonico, anche se durante l'amministrazione napoleonica ciò venne ad attenuarsi, infatti, Giuseppe Bonaparte, prima, e di seguito Gioacchino Murat, mostrarono notevole interesse per tali realtà economiche,  come, nello specifico, per quanto riguarda il  territorio reggino, per la Mongiana che raggiunse notevoli livelli di produzione alquanto variegata, tanto che nel 1810 venne annessa anche una fabbrica di canne di fucile, i cui semilavorati venivano successivamente inviati via mare in quel di Torre Annunziata.   
Ritornando al "distacco" tra la Capitale ed il resto del Regno, anche per quanto riguarda gli aspetti economici, come quelli relativi alle realtà della Ferdinandea, non erano ben visti alla sede centrale dove gli economisti Barracco ed il Morello al momento della stesura del programma economico  relativo all'«Industria italiana», sostennero che «il popolo calabrese è agricolo, nè può essere altro che agricolo: farsi manifatturiero non può, perchè tutto riceve da Napoli; anche a dargli mille fabbriche non saprebbe che farne, vivendo in parte dove non potrebbe vendere i suoi prodotti» . (3)
Ma nonostante ciò, tale percorso continua nel tempo, come dice il segretario del sodalizio organizzatore, Natale Bova,  parlando di tale realtà lavorative. Infatti quando il territorio della Mongiana divenne nel 1852 Comune indipendente, gli ufficiali a cui era stata affidata la conduzione della fabbrica, assunsero le vesti di sindaco, giudice, ufficiale di stato civile e consiglieri comunali.
Il professore Renato Crucitti nel corso del suo intervento ha parlato  della grande varietà di minerali che si trovano in Calabria e naturalmente della loro connessione ai vari ambienti che caratterizzano l'intero Arco Calabro dove, tra l'altro, esistono mineralizzazioni prealpine con metamorfiti a solfuri (piriti, calcopirite, galena blenda, arsenopirite, pirottina), magnetite e grafite; mineralizzazioni alpine (barite, cinabro, galena, calcopirite, torio, manganese, zolfo, salgemma, lignite) che interessano le unità ofiolitiche , di S.Donato Ninea ed i sedimenti dei depositi miocenici.
«In pratica - dice il relatore - i giacimenti minerari più interessanti risultano distribuiti proprio all'interno di particolari tipi di rocce ed assetti geostrutturali come quelli che costituiscono l'arco Calabro-peloritano caratterizzato anche dalla ben nota attività sismica.
Meno noti , invece e spesso colpevolmente trascurati son i numerosi ed importanti giacimenti minerari che, come i terremoti, sono connessi alle condizioni geostrutturali ed ai processi geodinamici che caratterizzano il territorio della regione».
Alla gran varietà di litotipi esistenti (in Calabria sono stati individuati oltre duecento tipi di rocce)  ed ai fenomeni di sollevamento tettonico cui è sottoposta la regione calabrese, sono, infatti associati importanti «ambienti geodinamici» che presiedono alla formazione degli accumuli di minerali utili.
La Calabria, quindi, oltre ad essere la regione a più alta sismicità, è anche una delle zone d'Italia più ricche di depositi minerari metallici e litoidi.
D'altra parte sulla disponibilità ed utilizzazione di giacimenti minerari nella regione non mancano i dati che ne documentano l'attività nel passato remoto, come nel periodo  medievale, vedi le miniere d'argento di Longobucco e S.Donato nella provincia di Cosenza.
A tal riguardo il prof. Renato Crucitti ha citato anche il letterato Vincenzo Padula che in alcuni suoi testi narra dell'intensa attività  mineraria che a tal proposito ci ha tramandato: "Al 1701 alcuni ottennero in feudo le miniere di
S.Donato, di scavare fino alla concorrenza di 20 miglia. S ene prese possesso a maggio del 1705.  Saggi felici. Da 3 cantaia e 3 rotoli si ottennero 67 libbre e 1/2 di rame perfettissimo. L'anno appresso si scopersero 2 grotte,  e nel  dicembre si aprì la fonderia. Per più anni vi lavoravano 100 forzati sotto la sorveglianza degli Austriaci. Era direttore uno Jusquall. Si ottennero oro, argento, mercurio, rame cinabro.  Si lavorò fino al 1736; e si cessò per  rivolgimenti politici, l'infedeltà degli impiegati e l'ingordigia del duca di S.Donato" e poi "Carlo VI ne tentò le marine e vi trovò argento, piombo, cinabro oltre marino in terra di Umbria. Carlo VI mandò da Boemia il chimico Khez, e si fanno monete col motto: "Ex visceribus meis", d'argento", da notare che il primo 5 grana di argento venne fatto con quello di Longobucco.
Il percorso storico effettuato durante il convegno organizzato dal Circolo Culturale L'Agorà conferma che la Calabria è stata sede di attività minerarie ma solo per quei luoghi nei quali il minerale si trovava in quantità tale da giustificarne l'estrazione. Si citano il salgemma, il carbon fossile e l'uranio per il Cosentino, lo zolfo per il  Catanzarese e, tra i minerali metallici, il ferro per il Reggino.
Oggi, molte di queste miniere sono disattivate, non per esaurimento dei giacimenti ma per i crescenti costi di estrazione. Il prof. Renato Crucitti ha rivolto la sua attenzione alla parte recente della storia calabrese, che va dal  periodo a cavallo del secondo conflitto mondiale al dopo guerra, quando nella regione vi era una discreta attività estrattiva di minerali presenti e relativi alla produzione di oltre due milioni di  tonnellate di minerali non metallici (grafite, baritina, feldspati) e di oltre cinquantamila tonnellate relativa a quelli metallici come il ferro, il manganese, il rame.
Da non dimenticare, prosegue il relatore, la produzione di idrocarburi, nell'arco di tempo  compreso tra il 1950 ed il 1969, calcolata intorno al milione di metri cubi. Si è passati poi alla costituzione geologica della Calabria, la cui ossatura fondamentale è formata da rocce cristalline di antichissima età, annovera la presenza di differenti minerali.
Purtroppo la regione è ancora poco conosciuta per difficoltà di vario genere, tra le quali, non ultima la natura impervia del terreno e mille altre difficoltà che si oppongono a chi voglia esplorare compiutamente la regione.
Si può però affermare con sicurezza che nella montagna calabrese numerose sono le specie  mineralogiche e qualcuna anche di un certo rilievo che si possono suddividere in «graniti»  presenti lungo il litorale jonico dove costituisce la zona orientale della Sila e delle Serre, «gneis» nella zona occidentale della Sila, nella catena litorale  da Paola a Cosenza, lungo l'altopiano di Maida e Chiaravalle e nel massiccio dell'Aspromonte, infine «filladi e  micascisti» che per la loro marcata scistosità rappresentano le rocce dell'Aspromonte.
Esse sono alquanto metamorfosate, profondamente alterate sia per quanto riguarda l'aspetto e la struttura e l'elemento caratteristico è caratterizzato da un disposizione grigio-verdastra lucente, alquanto fogliettata.
Quindi, la costituzione geologica della Calabria ha favorito la presenza di vari minerali, come quelli che si possono ammirare lungo il corso superiore della fiumara del Valanidi: si tratta di azzurrite e malachite che riveste le pareti rocciose circostanti di bellissime incrostazioni di un intenso colore bleu oltremare, questo avviene per l'azione dell'acqua proveniente da una falda acquifera.
La relazione del prof. Renato Crucitti si conclude proprio con l'ultima immagine che rappresenta il minerale ubicato nel territorio del Valanidi che a causa di diversi cambiamenti morfologici ha cambiato alcuni dei tratti somatici che non permettono di far notare la presenza delle miniere in essa ubicate.
Orlando Sorgonà ha tratteggiato gli aspetti delle reali fonderie di Arangea e delle miniere del territorio reggino, di cui resta solo qualche toponimo a testimonianza di quella  "corsa all'argento" che caratterizzò le speranze del territorio e dei suoi abitanti.
A riguardo i toponomini, uno è quello identificato come l'Argenteria, un'area collinare, ubicata lungo il corso della fiumara del Valanidi, dove vennero realizzate delle  gallerie, da parte di operai specializzati, provenienti dalla Sassonia, per l'estrazione dell'argento e testimonianza di quanto detto è  un importante e prezioso reperto custodito presso il piccolo museo San Paolo di Reggio  Calabria.
Si tratta,  di un voto indirizzato a Dio, da parte di Carlo III di Borbone e della sovrana  Amalia, come segno augurante per le attività estrattive,  e sul retro di questo manufatto, un piatto rotondo, usato durante le celebrazioni religiose, su cui veniva poggiato il calice (del quale non vi sono tracce) e sul cui retro si trova incisa la seguente iscrizione: «Primitiae  Dea a Carolo isp. Imp. Et  Amalia Poloniae et  Sax. Utique Siciliane dominantibus, ex oenofodinis. 1750».
La fonderia era costituita - prosegue Orlando Sorgonà - da due edifici congiunti lunghi 41 metri e larghi 22, mentre per quanto riguarda le pertinenze dello stabilimento minerario vi erano fornelli, macchine atte alla tritatura, due laviere.
Nella sua parte esterna erano ubicati una fucina  ed una struttura atta a deposito per il carbone, quattro forni a suolo piatto riuniti in coppia per effettuare l'operazione della purifica e della successiva fase, quella della tritatura  dei pezzi minerari.
Nei pressi dell'intero stabile estrattivo sorgeva un villaggio abitato dagli operai, dai minatori, dai militari e dai tecnici provenienti dalla Sassonia, secondo le cronache del tempo le unità lavorative che insistevano sul luogo  superavano le 700 unità,che nel corso degli anni daranno vita al popoloso quartiere, che a tutt'oggi ne conserva la toponomastica: Arangea.
L'argento veniva estratto anche nelle zone di Bagaladi e San Lorenzo, dove erano ubicate cinque miniere, mentre altre zone di scavo si trovavano in contrada Cerasino, mentre una  galena di piombo venne ritrovata nel 1755 a Rosalì, dove vennero aperte tre piccole gallerie e la cui estrazione venne effettuata per un breve periodo, a causa del suo esaurimento.
Dalla relazione del Sorgonà si evince che nella zona dell'Arangea venivano effettuate quattro tipologie di estrazioni minerarie: il rame, il piombo, il ferro e l'argento, oltre al materiale che proveniva dalla Sicilia.
Dagli studi del Cortese in "Descrizione geografica della Calabria" si evince che nella  zona di Trunca vennero realizzate delle gallerie strettissime, simili a quelle della valle Aurina  in Alto Adige, dove si estraeva del rame di buona qualità; mentre altri scavi vennero effettuati nelle zone di Santa Trada, S.Aniceto,  Montebello e nella zona di Condofuri.
Ma la speranza di una economia estrattiva e quindi benessere per il territorio ed i suoi abitanti, va via via assumendo la sua fase calante, sia per la continua crescita dei costi, sia per la particolare struttura alquanto instabile del territorio dove le miniere e gli stabilimenti erano ubicati e che era continuo oggetto di inondazioni ed allagamenti e di conseguenza anche di crolli parietali.
A tal proposito in una nota informativa del 1823 il Melograni ebbe a riportare a riguardo il  Valanidi che «... lo scavo principale era il cunicolo della Stroffa, che ora è tutto sepolto e riempito dalla fiumara, il cui letto è salito tanto che ha coverto la cima del cunicolo ...» .
 Se gli affioramenti calabresi non rivestono per ora interesse sotto il profilo economico, ne  hanno invece moltissimo per il mineralogista che, da studioso, trae da questi indizi,  elementi utili per ulteriori approfondite indagini, ancor più preziose per ricostruire le vicissitudini geologiche del territorio.
I dati emersi dalla giornata di studi, organizzata dal Circolo Culturale L’Agorà in collaborazione con il Comune di Reggio Calabria,  la Biblioteca Comunale “Pietro De Nava” ed i laboratori di ricerca del sodalizio reggino, tali gruppo di ricerca Mnemos, centro studi “Gioacchino e Napoleone” e Centro Studi italo-ungherese “Árpàd”, mettono in difficoltà chi nel tempo ha seminato il concetto che la  parte meridionale della Penisola fosse, da sempre soggetto da un "naturale" e pertanto "immutabile" vocazione agricola, come peraltro evidenziato da Gianni Aiello, il quale nel suo intervento ha citato le posizioni degli economisti Barracco e Morello, come naturale conseguenza del suo clima mediterraneo e di una alterazione cromosomica dei suoi abitanti.(4)
L'incontro, organizzato dal sodalizio reggino, ha voluto essere anche una forma di provocazione culturale e di sollecitazione verso gli enti locali, dove insistono i diversi punti relativi alle varie miniere, di varie epoche storiche, che se ripresi, potrebbero essere dei validi esempi di archeologia industriale, e quindi fonte di benessere dal punto di vista turistico, come avviene in altri luoghi dove insistevano tali siti lavorativi, come in Sardegna, Sicilia.
L'appuntamento ha avuto come scenario la  sala convegni della Biblioteca Comunale "Pietro De Nava" e rientra in una serie di manifestazioni denominati  "Pomeriggi Culturali".

ShinyStat
22 marzo 2007

(1)  FLAVIO RUSSO, Rivista Militare - periodico dell'Esercito, n. 5 - settembre/ottobre 1997, pp. 130,137;
(2)  GIANNI AIELLO, Il massimo della pena - le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888, Reggio Calabria,199, pag. 5;
(3)  GAETANO CINGARI, Storia della Calabria dall'Unità ad oggi, Laterza Editore Bari, 1982, pag. 34;
(4)  FLAVIO RUSSO, opera citata.