Continuano gli scambi culturali tra Reggio Calabria e l'Ungheria grazie alla sinergia tra il Circolo Culturale L'Agorà", il Centro Studi  italo-ungherese "Àrpàd" e varie istituzioni magiare.
La manifestazione ha ricevuto il merito di avere per l'occasione l'Alto Patronato dell'Ambasciata della Repubblica di Ungheria e la collaborazione dell'Accademia di Ungheria.
Parlare di Sàndor Màrai è come sfogliare un album di fotografie che raccontano le ferite  inferte alla cultura del vecchio continente del  novecento, alle sue tradizioni.
La scomparsa quindi di un modo di essere, non solo ungherese, ma europeo.
Màrai Sàndor, un intellettuale che soffre dell'avvento dei tempi nuovi e della crisi dei valori morali, degli ideali causati dall'avanzata di quelli materiali e reali.
Tali situazioni li troviamo presenti nelle sue opere, che sono una autobiografia dell'autore stesso.
Infatti nella sua opera "Le braci" [ ... l'amicizia non è soggetta a delusioni, perché non pretende nulla dall'altro; l'amico può essere ucciso, ma neanche la morte può cancellare l'amicizia  nata durante l'infanzia: il suo ricordo continua a vivere nella coscienza degli uomini come quello di un muto atto eroico. E proprio di questo si tratta, di un atto eroico, nel senso tacito e fatale del termine,ossia senza strepito di armi, ma pur sempre di un atto eroico come lo è ogni comportamento umano privo di egoismo...] (1).
Màrai Sàndor - prosegue Gianni Aiello nel corso del suo intervento- ha avuto il merito di contribuire e diffondere l'interesse degli appassionati di tutto il mondo per la letteratura ungherese: una produzione che ha antiche radici, prendiamo ad esempio la sequenza di iscrizioni nel classico alfabeto  runico ungherese;
la cronica "Gesta Hungarorum" di un anonimo e "Gesta Unnorum e Hungarorum" di Simon Kézai, narrati in lingua latina;
Janus Pannonius, Bàlint Balassi, Miklòs Zrìnyi; Petöfi  Sàndor emblema del romanticismo letterario ungherese e del risorgimento politico dell'Ungheria;
Ferenc Molnar autore del romanzo di fama internazionale, "I ragazzi della via Paal", tradotto in trentacinque lingue;
la baronessa Emma Orscy che nel 1905 pubblicò il romanzo storico "La primula rossa";
Imre Kertész, sopravvissuto ad Auschwitz, nel 2002 insignito del Nobel per la Letteratura
Questi, naturalmente alcuni degli esempi.
Dalla penna di Màrai Sàndor esce un'analisi lucida e dolente allo stesso tempo di quel periodo della storia continentale: ma anche la narrazione del suo paese e si di se stesso, come in "Divorzio a Buda" : [... abitare nel quartiere della Fortezza era segno di distinzione, anche per coloro i cui antenati non erano né conti né calzolai nel quartiere della Fortezza; era espressione di una raffinatezza un poco affettata, in cui confluivano una certa caparbietà, un senso di nostalgia per il passato e la tradizione della propria patria, di ricercatezza e ambizione e, nello stesso tempo, vi si ravvisava anche una particolare visione del mondo, nella quale, nonostante una certa  animosità reciproca e qualche sospetto, si riconoscevano tutti coloro che vivevano in quelle strette viuzze, in quelle case dai muri  impregnati dal tanfo di muffa, i conti, i funzionari ministeriali dal doppio cognome nelle loro stanze di affitto, gli zotici rimasti a vivere lì e gli ebrei benestanti, in buona parte  convertiti al cattolicesimo, i quali, senza dar  troppo nell'occhio, imitavano alla perfezione nel loro modo di vivere le raffinatezze dei nobili inquilini dei palazzi signorili...].  (2)
"Confessioni di un borghese", il primo suo volume di memorie, le immagini dell'avanzata dell'Armata Rossa sulla sponda del Danubio, alla descrizione relativa alle rovine di Budapest ridotta ad un cumulo di macerie.
"Terra, Terra !...", altro album di memorie dove : [... I contadini se ne andarono con le mucche nel bosco, sotterrarono le patate, nascosero le donne - proprio come al tempo dei Turchi. Ben presto si accorsero che la maggior parte dei russi era non solo avida e predatrice, ma anche corrotta: perciò ci si misero a trafficare. Il russo si prendeva i cavalli e il giorno dopo arrivava una nuova carovana, migliaia di cavalli  razziati condotti da soldati assetati di alcol; allora i contadini, per un litro di acqua vite - questa era il prezzo- compravano un altro cavallo...]  (3)
Ma naturalmente è così in ogni suo dettato letterario, dove Màrai Sàndor descrive minuziosamente ogni cosa, paragona gli eventi, i tempi andati, se vogliamo egli svolge una sorta di letteratura d'inchiesta, basta vedere il modo attento in cui descrive i soldati e gli alto  graduati dell'Armata Rossa nel romanzo "Terra,Terra!..." e queste attente riflessioni, attitudini di Màrai Sàndor  portarono le sue opere ad una dura censura, anche nel suo paese, l'Ungheria che era posto sotto il blocco sovietico.
Dopo l'intervento di Gianni Aiello la parola è passata a Orsolya Balla, segretario generale dell'Accademia di Ungheria che ha trattato il tema relativo a "Il Màrai letterato".
Màrai Sàndor è uno degli scrittori ungheresi più conosciuti in Italia e forse anche a livello internazionale.
È diventato un ungarikum, forse dopo Ferenc Molnàr, autore de "I ragazzi della via Pàl" è lo scrittore ungherese più letto dagli italiani.
Questo scrittore oggi è riconosciuto anche in Ungheria tra i maggiori letterati del Novecento nonostante i contrasti e i dissapori del suo passato, ma forse anche per questo, oggi finalmente lo possiamo collocare nel posto che si merita nella letteratura ungherese.
Màrai è un personaggio molto interessante anche dal punto di vista storico, essendo nato nel 1900 e avendo vissuto quasi per tutto il XX secolo.
Di lui conosciamo maggiormente l’opera narrativa ma bisogna  menzionare oltre i suoi romanzi anche le sue poesie, novelle, anche qualche opera teatrale, e forse pochi lo sanno che iniziò la sua carriera da giornalista.
Màrai studiò giornalismo all’università di Leipzig per poi spostarsi a Francoforte e a Berlino. Come corrispondente della Frankfurter Zeitung di seguito venne inviato a Parigi dove però non riuscì ad integrarsi totalmente, cominciò a sentire quello stato di emarginazione che lo accompagnò per tutta la vita.
Quindi nel 1928 fece ritorno in Ungheria e in questo periodo iniziò a scrivere i romanzi. (Il primo romanzo venne scritto ancora a Parigi Bèbi, o il primo amore).
Nel 1934 pubblicò “Le confessioni di un borghese”.
Gli avvenimenti storici, la situazione politica di quegli anni, nel 1948 lo costrinsero di lasciare definitivamente la sua patria, perchè prima non condivise l’operato  di Horty che rappresentava la politica di destra, e poi ebbe  contrasti anche con il regime dittatoriale del socialismo degli anni ’40.
Dopo la sua emigrazione scomparvero dalle librerie tutte le sue opere, era un personaggio di cui era meglio non parlare anche se apertamente non era un condannato del sistema.
Questo può far capire come era Màrai nella sua vita.
Una persona che non trovò da nessuna parte la sua stabilità, si era sempre sentito emarginato, come dice Gyorgy Ronai, per la sua aristocrazia mentale.
Si era quindi sempre sentito uno straniero immigrato, ma venne diciamo emarginato anche dai suoi compatrioti per le sue ideologie.
Bisogna sapere che Màrai nel 1917 fondò il Movimento Clandestino degli Scrittori Comunisti, quindi era in contrasto con gli emigranti che lasciavano l’Ungheria per sfuggire dal comunismo.
Questa sensazione di emarginazione lo vediamo in tutte le sue opere dove si rifugiò per nascondersi dalla realtà.
Negli anni Ottanta cercarono di richiamarlo in Ungheria ma lui si oppose con dignità e non diede nemmeno il permesso di pubblicare le sue opere in Ungheria.
Solo all’inizio degli anni Novanta le librerie si riempirono di nuovo dei suoi scritti.
Il che non vuol dire però che i suoi libri non venissero letti in Ungheria durante il regime comunista, perchè le pubblicazioni estere – sempre in lingua ungherese – entravano clandestinamente in Ungheria.
Nel 1990 postumo ebbe anche il premio Kossuth, il premio maggiore per il campo della scienza, arte e letteratura.
Màrai venne conosciuto e riconosciuto a livello internazionale grazie alla pubblicazione italiana, tradotto da Marinella D’Alessandro, de Le Braci nel 1998, quindi esattamente 10 anni fa continuando poi un anno e mezzo dopo alla Fiera del Libro di Francoforte e nel 2002 in Francia.
È curioso che questo romanzo scritto nel 1942 enne pubblicato già nel 1958 in Francia, ma nè questa edizione nè quella del 1995 non richiamò l’attenzione del pubblico.
Però è da dire che grazie all’edizione francese del 1995 l’editore italiano decise di pubblicarlo anche in Italia.
Da allora praticamente in ogni anno viene pubblicato un romanzo di Màrai.
Non avendo abbastanza spazio in questa conferenza di presentare tutta l’attività letteraria di Màrai ho scelto di parlarvi di tre suoi romanzi, che nel 2005 sono stati pubblicati anche in un unico volume dal titolo „Le tre   facce dell’amore”.
I romanzi sono Le braci, L’eredtà di Eszter e Il divorzio a Buda.
Da queste tre opere si possono capire molto bene  le caratteristiche stilistiche di Màrai, tutti e tre riportano in qualche modo gli stessi elementi descrivendo l’amore da tre punti di vista diversi, perfezionandosi sempre di più e arrivando al culmine con quello che è stato scritto più tardi, cioè Le braci.
Tutti e tre sono romanzi psicologici che sono più l’analisi dell’animo dei personaggi che non romanzi che raccontano una storia di azioni.
Molti dicono di Màrai che fosse troppo scontato, i personaggi automatici, costruiti, prevedibili, e già all’inizio del racconto si possa sapere il finale.
Ma forse questo è il segreto di Màrai, forse proprio per questo i suoi romanzi scritti più di mezzo secolo fa possono essere ancora così attuali.
Màrai non stupisce con svolti inaspettati, ma  con il perdersi delle descrizioni degli stati.
Riesce a descrivere un umore, descrivere l’atmosfera, usa aggettivi molto significativi e per questo forse se il trama fosse pieno di azione lo stile di Màrai perderebbe molto, perchè queste due caratteristiche messe insieme farebbero trasbordare i suoi racconti.
In ordine cronologico il primo dei tre romanzi è il Divorzio di Buda che Màrai scrisse nel 1935.
Il trama del romanzo è perfino troppo semplice, un giovane giudice che vive una vita tranquilla, con un lavoro onorato, un matrimonio apparentemente felice con due figli, un giorno  si ritrova a giudicare il divorzio di due suoi conoscenti lontani, un compagno di scuola che riteneva sempre un personaggio positivo ma con  il quale non riuscì mai a scambiare due parole e una ragazza che conobbe e frequentò superficialmente durante la giovinezza senza avere nessun scopo con lei.
Komives, il protagonista, il giorno che esamina la pratica della coppia conoscente, dopo il lavoro va ad un parti della media borghesia, ma tornando a casa trova il compagno di scuola una volta che gli racconta che aveva ucciso la moglie (più tardi sappiamo che l’ha solo lasciata uccidersi), gli racconta gli avvenimenti della propria vita, il fallimento del loro matrimonio il cui causa era il sentimento della moglie verso il giudice, e chiede con insistenza il giudice se negli ultimi anni sognava la moglie e vuole sapere anche i particolari più intimi.
Lui non risponde ma questo non rispondere vale un riconoscimento.
Già qui incontriamo il motivo del „segreto”, la ricerca di sciogliere di decifrare questo segreto, che anche in seguito fa quindi parte dei romanzi di Màrai.
Già in questo romanzo il lettore rimane con la sensazione di un romanzo non terminato.
Il Divorzio a Buda è più però di un romanzo psicologico, descrive anche i motivi storici e sociali della crisi, la malattia latente della classe media, gli effetti della guerra e del comunismo.
Il protagonista del romanzo disse di sè stesso di essere nato al confine di due mondi.
In Màrai, che venne appunto da una realtà borghese che vide frammentarsi lentamente, si  rafforzò la convinzione che il mondo da lui  ritenuto ideale inevitabilmente stesse andando  verso la rovina e ne vide diverse spiegazioni.
Per difesa si rifugiò ancora più intensivamente dietro le mura protettive delle sue opere, nella creazione vedeva la possibilità di rimanere indipendente.
In diversi generi cercò di scrivere, di esternare le proprie ansie. Komìves, il giudice protagonista, come anche Màrai stesso pensò che sia figlio di un „momento dolorosamente spezzato”, quando come lo scrive nel romanzo „la classe borghese viveva ancora in pace e sicurezza, godeva i benefici degli averi famigliari e il pericolo della guerra veniva segnalato solo da „segnali di lampi spettrali”,ma capì già che la nuova generazione che predicava la costruzione „con due mani fruga tra le macerie della distruzione”.
Era un elemento importante di quest’epoca idilliaca l’esistenza e la credibilità della „legge”.
La legge che per Màrai significa ordine, significa disciplina, la legge secondo la quale dovrebbe funzionare il mondo, ma lui questa legge, la vede scomparire piano piano, per questo cerca di mantenerlo disperatamente.
Ancora lui dice: „Entro i suoi confini si poteva conoscere tutto: l’educazione, la disciplina, il rapporto di subordinazione, chi cresceva secondo questa legge, rimaneva intoccabile dagli effetti distruttivi della civiltà. „era suo compito, del giudice, tenere il freno agli istinti che si ribellavano contro la disciplina della civilizzazione. Non ha mai avuto un ruolo così educativo e salvatore il giudice, come in questi tempi così irrequieti.”
Il giudice definisce l’ideale della vita aristocratica, antipopolare di Màrai protetto dalla legge, nell’incontro di quell’ordine  voleva conservare le ingiustizie palesi della società, la questione irrisolta delle minoranze  e contro la rabbia giusta richiamava la ragione  e la moderatezza che si tramandavano da generazioni, anche Komìves Kristof non doveva essere educato a questa mentalità perchè lo aveva dentro istintivamente tramite l’esperienza dei padri.
Questa sensazione di fine secolo era dell’individuo felice ed indipendente de Le confessioni di un borghese.
(Riteneva che il pericolo maggiore per la pace sia la massa che ha perso la propria identità, che guarda con sospetto l’individuo dall’anima  indipendente.)
Il dovere e la perseveranza erano i concetti chiave anche della vita del protagonista del romanzo, tramite questi bisognava salvare le emozioni individuali e quotidiani, la famiglia, l’affetto, e la comprensione.
Secondo il romanzo anche nella vita privata si può proiettare quest’ordine e anche questo può essere un tipo di difesa.
Il dialogo apparente dei due protagonisti in realtà è fatto di due monologhi messi insieme di due persone che parlano del proprio rapporto con una donna ormai morta.
Il giudice però rimane sempre con il dubbio del mistero che non ha potuto sciogliere perchè non è possibile scioglierlo. Il secondo romanzo di questo ciclo è L’eredità di Eszter, scritto nel 1939.
Anche qui la storia  è perfino troppo semplice, Eszter riceve la visita dell’uomo che amava da giovane e che forse ama ancora, ma che ha sposato la sorella, lei non ha saputo della sua dichiarazione che fece il giorno prima del loro matrimonio, perchè la sorella ha nascosto le lettere.
25 anni dopo l’uomo ritorna e prende anche l’ultima cosa che le è rimasta, la casa dove vive.
Anche qui l’azione si svolge in un lasso di tempo molto ristretto, in un solo pomeriggio.
L’eredità di Eszter è scritto in forma di diario, dove Eszter racconta ricordando il passato di come Lajos l’ha derubata di tutti i suoi averi.
L’azione come ho appena detto è ridotto ma al contrario è molto ricca la vita interna dei personaggi.
In questo romanzo Màrai cercò di sperimentare la narrazione dell’azione in  un’atmosfera, quando provò a far capire che la vita interiore dei suoi personaggi sono guidati da un segreto indecifrabile,e da una legge  indescrivibile.
Quindi il vero valore dell’opera sta nel creare l’atmosfera, fa parte di questo  anche la descrizione del paesaggio, delle luci, delle ombre.
Usa aggettivi ricercati che danno la pienezza dello stile, ma nello stesso tempo basta un solo aggettivo, come „pomeriggio dal color di vetro” a far capire l’umore.
Lajos è il personaggio negativo della storia, ma è anche quello più interessante, è lui che fa uscire dal loro equilibrio gli altri, che invece vivono secondo una legge ben precisa.
Quella legge, che si era già visto nel Divorzio di Buda, quella legge che secondo Màrai sta alla base di tutto, alla base della tranquillità e la pace della classe borghese che nel frattempo continua la sua discesa.
Come scrive Màrai nel romanzo: „La morale è una caratteristica acquisita.
Lo possiamo acquisire nella vita ma solamente se abbiamo qualcuno che ci guida.
Se no, facciamo quello che nel nostro mondo riteniamo morale.” Per Lajos la realtà non aveva valore, viveva di bugia, ma la sua presenza fa rabbia perchè porta il messaggio di un mondo che è bugiardo.
Si percepisce per tutta la durata del racconto il preconcetto dello scrittore che non permette ai personaggi di svilupparsi o cambiare.
L’opacità del „segreto” li fa diventare invisibili, senza volto.
Nel racconto ogni personaggio ha la propria legge.
Quello di Eszter è dare, quello di Lajos è prendere. Il loro comportamento, la loro vita, il loro rapporto con la realtà viene totalmente influenzato da questo, e siccome conoscono la legge dell’altro, non ci può essere uno sviluppo, è tutto fermo.
L’eredità di Eszter non significava soltanto il cambiamento del modo di scrivere di Màrai, ma anche la sua accolgienza.
Secondo Orley con queso romanzo iniziava la decadenza dello scrittore.
Arriviamo infine al terzo romanzo di questo ciclo, Le braci, scritto nel 1942,  che ha avuto il maggior successo tra le sue opere a livello internazionale, anche se secondo alcuni, non è la sua opera migliore, Orley Istvàn lo mette nella categoria quasi non letteraria del best seller.
Altri ci vedono dei frammenti di valore, poi negli anni Novanta questo romanzo ricominciò a vivere.
Le braci nella traduzione italiana riprende il  titolo tradotto in francese, il titolo originale tradotto letteralmente è Le ceri si bruciano del  tutto e questa è il motivo del finale del romanzo.
Jànos Szàvai fu il primo a far luce in un suo saggio pubblicato su Kortàrs, nel 2004, che le possibilità di interpretazione di questo romanzo sono molto più vaste di quella suggerite da  Màrai stesso. Lui cercò di analizzare anche i motivi del successo di quest’opera, che è diventato anche film, prima in Ungheria e poi ha avuto successo anche nel cinema americano con  l’interpretazione di Jeremy Irons.
Quest’opera è il romanzo dell’amicizia, la quale è una legge umana molto severa. „Nel mondoantico questa era la legge più forte, su questo si basavano i sistemi giuridici di grandi civiltà.
L’amico poteva essere ucciso, ma l’amicizia stretta in età infantile tra due persone non può essere estinto nemmeno dalla morte.”
Quindi il romanzo è la storia di due amici che si incontrano dopo 41 anni, probabilmente per l’ultima volta per avere chiarimenti sugli avvenimenti del passato, quando amavano la stessa donna e un giorno secondo uno l’altro lo voleva uccidere durante una caccia, ma quest’altro non ne ebbe mai la certezza.
Il loro incontro si svolge in una notte di fine agosto, quando il temporale fa andare via luce, loro rimangono per tutta la notte a parlare e il finale si risolve quando le ceri che diedero luce finiscono di bruciare.
Secondo Szavay il primo motivo del successo di quest’opera è sicuramente la forma del romanzo che apparentemente ha quattro protagonisti, ma effettivamente è il monologo del colonnello, sia nella scena principale con Konrad, sia nei momenti quando viene ricordato il passato.
In questo senso le uniche contrapposizioni sono le parole della balia.
All’inizio del romanzo è la sua domanda ad aiutare il colonnello ad definire la domanda determinante della propria vita  e alla fine della storia è il suo gesto a dare la risposta.
Anche Màrai stesso cercò di sciogliere il carattere da monologo dell’opera quando negli anni Sessanta scrisse un breve pezzo teatrale dal titolo Braci (da qui viene probabilmente anche la traduzione francese).
In questo sceneggiato a tre interpreti anche Konrad ebbe la parola e la figura importantissima della balia venne sostituita da un vecchio inserviente.
La ricchezza di significati quindi viene assicurata proprio dalla forma del romanzo.
Possiamo capire meglio questa forma di dialogo monco confrontandolo con altre opere come per esempio Il sogno di un uomo ridicolo di Dostojevskij.
Nelle Braci la voce del colonnello è da considerare un dialogo tra lui e Konràd e tra lui e Krisztina.
«Come dice il critico letterario Mihail Bahtyin parlando della novellistica di Dostojevski: „il secondo personaggio è latente, le sue parole non ci sono effettivamente, eppure lasciano un profondo segno sulle parole del primo  parlatore.”»
Nel romanzo di Màrai quindi, anche se Konràd parla qualche volta, si tratta esattamente del fatto che il colonnello continua e termina il dialogo che portò avanti per quarant’anni con  l’amico in sè stesso. Il colonnello vuole arrivare alla verità, perchè come dice, la realtà dei fatti la conosce ma questa non necessariamente corrisponde alla verità, e arrivarci non è possibile senza il dialogo.
Tramite il discorso del colonnello tutto il romanzo viene caratterizzato da un punto di vista molto deciso, però noi non possiamo essere del tutto certi che lui veda bene la realtà.
Lo scopo del colonnello è quindi quello di sciogliere il segreto. Anzi i segreti, che incontra continuamente.
Uno di questi è quello tra i genitori: sua madre, la donna francese portata in terra straniera non dirà mai a suo marito di cosa parlava con l’imperatore.
L’altro segreto e Konràd stesso che come dice „non può essere avvicinato da parole.” Dopo la cena il colonnello dice appunto: „in un segreto che c’è tra te e me c’è una forza particolare.
Brucia il tessuto della vita, come una radiazione malvagia, ma nello stesso tempo dà tensione e calore alla vita. Ti costringe a vivere...”
Questo segreto – con le parole del padre che usa poi anche il figlio – è l’essere diverso.
L’espressione più palese dell’essere diverso è il rapporto dei personaggi con la musica.
Il motivo della musica è sempre presente nella storia.
La madre, quando appena sposati si fermano a Vienna per far visita all’imperatore, alla domanda preoccupata di questi risponde: „Lo ammansirò con la musica, Maestà, come fece Orfeo con le belve”. La musica per ammansire – che più tardi diventerà anche la musica di Konràd e Krisztina – è  Fantasie polonaise di Chopin.
Nel romanzo di Màrai la musica è di due tipi, una è la musica dei ristoranti e delle sale da ballo, il valzer e la musica zigana, questa è la musica del colonnello e di suo padre, che serve per rendere la vita più lieta e solenne.
La musica vera invece, come lo intuisce il colonnello „non è una passione senza pericoli perchè è una strada celeste che porta nel nulla  e nella distruzione”.
Il colonnello si sente escluso da questo mondo di cui fanno invece parte la moglie e l’amico.
La musica, che normalmente è lo strumento dell’armonia e dell’avvicinamento, qui ha un ruolo decisamente opposto, rende impossibile  l’avvicinamento tra i genitori del colonnello e anche tra il colonnello e Konràd.
La musica di Chopin, che per di più è anche un parente lontano di Konràd, è un altro mondo, il  mondo del vero, il cui segreto cerca di capire il colonnello.
È di tutt’altro carattere nel romanzo il ruolo dei quadri. I quadri – almeno quelli appesi nel corridoio del castello – rappresentano la tradizione, vogliono ricordare la continuità dell’ordine nel mondo. I ritratti indicano la continuità del reale.
Per questo il colonnello toglie il ritratto di Krisztina dopo la sua morte che solo alla fine del racconto, alla soluzione del mistero può essere rimesso al suo posto.
Oltre alla musica e i quadri, nell’analisi del romanzo, ha un ruolo importante anche il diario di Krisztina.
Questo diario è testo nel testo letterario che è un altro motivo ricorrente della narrativa fin dal romanticismo.
Di questo diario che è destinato a provare la sincerità assoluta tra i coniugi, sappiamo soltanto quanto ce ne dice il colonnello.
Secondo cui l’intento di Krisztina è quello di dire tutto all’altro, le sue debolezze e anche i propri pensieri peccaminosi per non poter tenere nulla in segreto davanti all’altro e nemmeno a sè stessa.
Ma come dice il colonnello: „forse parla di tutto con questa sincerità incondizionata, per non dover parlare di una cosa importante e fondamentale.”
Forse nel diario il colonnello avrebbe trovato la risposta alla sua domanda leggendolo prima alla morte della moglie, ma poi alla fine del racconto lo butta nel fuoco senza averlo letto.
Il diario di confessione non può esistere dal punto di vista del romanzo.
Che l’amico lo volesse uccidere il colonnello lo sa quasi per certo, quando dopo la sua scomparsa  incontra la moglie a casa dell’altro ha la certezza anche del fatto che i due avessero una relazione. Solo il terzo fatto rimane un segreto, cioè se Krisztina sapeva dell’intento di Konràd, ma non bruciando il diario senza averlo letto, questo segreto non verrà mai sciolto.
Dopo l’uscita di Konràd, alla domanda della  balia se è più tranquillo, il colonnello  risponde di sì, ma questa tranquillità riacquistata non è altro che rassegnazione, rassegnazione da una parte alla vecchiaia ed  alla morte vicina – questo è un motivo  ricorrente del dialogo dei due personaggi – e poi rassegnazione – e forse questo è più  importante – al fatto che il mistero è inavvicinabile e infrangibile, bisogna conviverci.
Per il protagonista de "Le Braci" il mistero però non è il transcendente ma è la misteriosità inscioglibile dei rapporti umani.
Questa misteriosità vediamo nel Divorzio di Buda e questa misteriosità ritorna anche nell'Eredità
di Eszter.
Questi romanzi quindi sono stati scritti più di sessant’anni fa, a prima vista forse le loro argomentazioni, i valori in essi descritti al lettore di oggi possono essere un po’ estranei, ma io penso che a parte la classe borghese oggi inesistente della sua forma precedente, l’onestà, la disciplina, l’amicizia, l’ordine, ecc, sono sempre valori ritenuti tali.
«E comunque lo stile di Màrai - conclude la relatrice-  lo fa rimanere uno scrittore molto attuale e contemporaneo anche nei nostri giorni.» 
Jambor Judith Katalin, presidente  dell'Associazione Culturale "Maria d'Ungheria Regina di Napoli" che ha trattato l'argomento avente come tema "Màrai Sàndor e la sua Italia".La presentazione fedele di un artista o di uno scrittore non è mai un compito semplice - è una grande responsabilità, anche se si tratta  di uno scrittore senza tempo, come lo è stato Marai Sandor - prosegue nel corso del suo intervento la relatrice.
Ma lui  oltre ad essere uno scrittore  attuale , per causa degli eventi storici e politici risulta anche  uno scrittore senza patria.
Possiamo dichiararlo, l’artista del  profondo sentimento dell’europeismo, nonostante abbia conservato la sua identità  e del suo essere  ungherese, lui stesso diceva: “… continuerò a scrivere in ungherese e per la mia gente, anche lontano da qui”.
Ma per comprendere la sua  importanza torniamo indietro nel tempo, ricordando dell’anno della sua nascita: 1900  e  della sua  morte :1989.
Sono anni pieni di fermento ed avvenimenti epocali sia   per l’Europa, sia  per l’intero Mondo e per l’Ungheria.
Màrai Sàndor nasce nel 1900 a Kassa, nella  famiglia  Grosschmid,  in una famiglia  di intellettuali, di buona borghesia.
Suo padre, Geza  Grosschmid, è un avvocato che più tardi diventerà un senatore parlamentare.
Il giovane Sàndor,  dimostra ben presto - già durante gli anni di studi superiori - le sue capacità brillanti per la scrittura .
Il suo modo di esprimersi, sincero  e schietto, gli procurerà dei problemi disciplinari, ma lui   profeta di se stesso, dice convinto:"Insegnerete il mio nome nella letteratura ungherese".
Nel 1918 conosce i più grandi nomi della letteratura ungherese e vive un periodo spensierato  studia legge  e continua a scrivere , esce la prima parte del "Libro dei ricordi", appena 100 copie e lui dice ad un amico  con grande senso dell’umorismo :” è stato un successone, tutte le copie sono andate a ruba.”
Da giovane  ha i sentimenti di sinistra, dimostrano questo anche i suoi articoli nei giornali, sentimento, che probabilmente  è  stato influenzato in maggiore parte dalla sua giovane età, ma con il passare del tempo e con la propria evoluzione intellettuale non condivide  l’idea del terrore e del terrorismo e non tollera la privazione del libero pensiero.
Seguono i tragici lunghi  anni delle due guerre mondiali, ma principalmente la decisione della divisione dell’Europa, in cui  l’Est e Ovest si troveranno in una posizione antagonistica.
Il risultato di tutto ciò, alla fine della seconda guerra mondiale, l‘Ungheria  farà parte del blocco sovietico.
Per questo motivo che lo scrittore ungherese prende l’amara decisione  di abbandonare l’Ungheria, cercare Patria  altrove: ”bisogna andare via e subito”- dice convinto e lo fa in compagnia della moglie, che gli resterà accanto fedelmente  durante  tutti gli anni “dell’esilio forzato” per 63 anni .
«Màrai Sàndor - afferma Judit Jambor Katalin - con la dittatura della sinistra non ha mai condiviso l’idea del terrore e del terrorismo, quindi sente il bisogno di lasciare  la propria Patria, e così, anche se con il forte sentimento della nostalgia, iniziano i lunghi anni del vagabondaggio e del immigrazione : va in Germania, Svizzera, Austria Francia, Italia, America; ma lui fortunatamente  non è solo ,  è  in compagnia dell’amata moglie Ilona Matzner , chiamata sempre con il dolce vezzeggiativo Lola,  e del figlio adottivo  Janos» .
Màrai Sàndor è uno degli scrittori con il sentimento  europeista,  non può essere altro colui che ha viaggiato in lungo e largo in tutta l’Europa, fermandosi e abitando nelle sue città.
Lui che parla di Berlino, di Londra  o di Napoli e di Salerno con una precisa e dettagliata analisi socio-geografica, descrive il cittadino di allora, che l’europeo di oggi si riconosce  con la massima precisione.
Testimoniano tutto questo le sue annotazioni del libro "Diari". (4)
Lui adorava e nello stesso prediligeva questa  forma di scrittura, che spesso utilizzava  anche nei suoi  romanzi, diceva:”: Per me i diari significano un collegamento diretto con la realtà quotidiana,perché mi sembra di aver pubblicato continuamente per 40 anni di seguito,è come la benedizione del giorno che passa.”Leggendo i sui brevi racconti, ci troviamo nella Napoli tra gli anni 1948-1952.
La descrive con estrema semplicità , ma con  una precisione minuziosa insieme alla sua gente  con i comportamenti tipicamente meridionali.
Brani tradotti dal libro “Diari”
Mi dispiace prima di tutto  per Janos, avrei voluto dargli un’infanzia tranquilla. Invece l’ho portato via dalla sua Patria, si trova in una terra per lui  straniera, deve conoscere tradizioni nuove, gente nuova, paesaggi nuovi:  Napoli, il Vesuvio, il mare….
Ma forse questo lo fortificherà, e non diventerà un bolscevico!
Janos è molto deluso, perché il vulcano (Vesuvio) dorme, è tranquillo.” Cosa mangia, chi vomita fuoco?”… mi ha chiesto visibilmente scocciato.
Janos frequenta una scuola gestita dalla Congregazione dell’ordine di San Paolo, a Capo Posillipo, tutto sommato vicino casa, il giardino è pieno e colmo di alberi di arancio.
La scuola elementare italiana è sorprendente;  gli alunni  invece di studiare ,giocano al calcetto. Il Prefetto della scuola,durante la ricreazione per sbaglio, ha tirato forte il pallone  ed ha colpito in pieno Janos alla testa, il Prefetto si  è spaventato moltissimo per l’accaduto; e per  evitare qualunque
complicazione di salute, ha insistito, che Janos si faccia  il tetano.
Luigi, lo zio di Lola, mi ha portato ad un dottore   di sua conoscenza. Andiamo al Vomero, in  un quartiere moderno con palazzi alti. E’ la prima volta che vado da un medico napoletano, per di più internista. Due anni fa , quando sono stato da uno specialista laringoiatra,  la prima cosa che mi spuntava subito  agli occhi, il suo diploma, la laurea, posizionata bene in vista, messa in una cornice grande  e appariscente sulla parete bianca dello studio.
Questo dottore, ci accoglie vestito  di un capotto di cammello da camera,  è molto elegante, mi sembra un vecchio cavaliere, che sta in attesa  della sua adorata. Lo studio è scuro è all’ombra; in un angolo c’è una bicicletta, non vedo da nessuna parte nessuna fonte di luce; l’elegante dottore è anche un poco sordo, da un occhiata a Janos, dopo di che con una smorfia di indifferenza, ci sconsiglia il tetano, una decisione che io condivido pienamente.
Gli chiedo , come è l’insegnamento ll’Università di Medicina a Napoli? Mi guarda con l’indifferenza di prima e sussurra: “Basso, basso”.
Penso anch’io, ma ho imparato da molto, che le persone si ammalano secondo dove vivono, secondo l’assistenza che hanno.
Siamo alla Solfata, i fori del cratere sono calmi, senza nessun segno di vita. Il Vesuvio sembra morto, il vapore che esce dalla terra fa il rumore dell’acqua in abolizione. E’un modo strano e da spavento, il diavolo quando lavora, assomiglia alla “Kominform”, se da un lato crea qualcosa di infernale, dall’altra parte cerca di tenere a bada le forze contro la  natura …. A Mosca si vive secondo questi principi.
Ma comunque la Solfatara, come il Vesuvio, o il, più distante  Etna e lo  Stromboli,sono una catena vulcanica  di tutta la  Campania e della Sicilia   un poco nascosti sotto il mare, ed ogni tanto si emergono  alla  superfice  dell’acqua.
Il ritorno ,lo facciamo in carrozza, mi trovo vicino al cocchiere.,ed ascolto con attenzione il ritornello  che dice al cavallo, sembra una canzoncina: A…aah…aaahaaha..” fa così, senza fermarsi ,mentre il cavallo pare che lo comprenda , cammina  sulle san pietrine nella giusta direzione suggerita dal suo conducente.
Io e Janos ci troviamo nell’Acquario di Napoli.
E’ piacevole stare con lui. –Guardando gli animali, noto,che  spesso hanno delle caratteristiche umane;i pesci,gli uccelli ed altre specie di animali , mi  sembrano di avere un viso umano, si vede, che il Creatore  per primo ha realizzato un volto archetipo che probabilmente  serviva alla metamorfosi di tutto il mondo delle faune.
La mattina io e Janos andiamo a fare visita in una delle Chiese del  quartiere dei presepi. Gli artigiani in un attimo con grande bravura danno forma alle figure di questo teatro religioso e un poco pacchiano. Pare che si divertono molto , sembra un  gioco che prende  sopravvento al mondo devoto del culto.-- Gioco? -- Ma non era  questo il suo vero significato?Luigi e Janos si sono ammalati, hanno l’influenza e   la febbre alta. Con loro due malati contemporaneamente, mi sembra di stare tra due fuochi. Anche  i signori Carone, i nostri amabili vicini si sono ammalati,  nella loro famiglia sono  in 4 a letto. Ci  viene trovare Francesco, compagno di scuola di Janos, lo faccio accomodare , cominciamo a chiacchierare, ci raccontiamo i malanni dei  nostri famigliari …. Gli chiedo se hanno chiamato il medico­? Lui mi risponde quasi  con stupore:- Noo! Perché? Abbiamo già telefonato al nostro  farmacista al Vomero, e lui immediatamente ci ha mandato i suoi medicinali
miracolosi. Rifletto, forse hanno ragione loro.Janos e Luigi sono finalmente guariti, così  facciamo un ultimo controllo dal nostro medico  napoletano. Ho conservato un piacevolissimo ricordo di questo dottore così minuto,che prima di congedarci ha fatto allo zio Luigi per endovena un  miscuglio di vitamine ,per garantirgli una ripresa rapida e sicura . Anche in quest’occasione ci riceve indossando la sua pregiata giacca da camera  di cammello. Nello studio regna un’atmosfera molto famigliare, stavolta in nostra compagnia c’è anche la sua figlioletta di 6 anni,che senza  curarci  si diverte ,corre e salta per tutto lo studio medico con la solita vivacità dei bambini.
Ma devo confessare che il dottore è un ottimo medico, ha qualche cosa di positivo, di  tanto umano!
Cosa può servire una disciplina severa dei professori svizzeri priva di anima e senza un minimo calore umano; se mi capitasse qualche cosa di grave, sono certo che questo  piccolo dottore elegante , pieno di bontà e amore, mi  guarirebbe immediatamente.
Domenica  mattina, siamo al Teatro delle Palme, Janos e io guardiamo lo spettacolo  Pulcinella  nella Luna, a mio parere è bellissimo, è divertentissimo, sul palco ci sono tutti i protagonisti: Colomba, Pierrot.
Questo  è  il vero teatro, sincero, questa è la  vera commedia dell’arte, emozionante e nello stesso tempo   è impressionante; il suo linguaggio è  comprensibile ugualmente  ai  grandi e ai piccini, in platea ridono bambini e  adulti.
Durante la scena , quando Pierrot riceve un calcio nel sedere, comprendono tutti il significato simbolico del buffo gesto, e con largo sorriso  applaudo, anche Janos applaude, mi dice che il teatro è molto più divertente del cinema.
Passeggio giù per le strade della città, lascio alle spalle l’Istituto Francese e scendo  fino giù al lungomare di Napoli.
Questa zona non è trascurata ,contrariamente è una zona  signorile e ben curata; questa è la Napoli vecchia elegante romantica, Napoli borghese.
Che  grande forza è la borghesia,anche nel suo aspetto meridionale. Non è vero che questa forza sia scomparsa, sia inutile o superflua.    
Marai Sandor, rimasto solo,  nel 1989 si sparò alla tempia  nella sua casa di San Diego.
Ma la storia gli rese giustizia,dopo la caduta del Muro di Berlino, la sua fama iniziò a ricostruirsi, ed  a riconquistare il meritato posto, non soltanto nella letteratura ungherese,ma anche in quella internazionale.
In Italia con l’uscita del romanzo “Le braci” è diventato “un successo letterario” , grazie e merito anche al lavoro di traduttrice della letteratura ungherese in italiano, della dott.ssa Marinella D’Alessandro,docente e ricercatrice dell’Università degli Studi di Napoli l’Orientale; e possiamo dire, che Marai è tuttora  nelle classifiche dei libri più venduti

ShinyStat
24 aprile 2008

 Szávai János: A létezés titokzatos magja in Kortárs-Irodalmi és kritikai folyóirat, 2004;
Rónay László: Márai Sándor; Korona, Budapest 1998;
Márai Sándor: A szerelem három arca/A gyertyák csonkig égnek, Eszter hagyatéka, Válás Budán, Helikon, Budapest 2005.

(1)  Sàndor Màrai, "Le braci", Adelphi, 2008, pagina 117;
(2)  Sàndor Màrai, "Divorzio a Buda", Adelphi, 2007, pagina 82;
(3)  Sàndor Màrai, "Terra, terra ! ...", Adelphi, 2005, pagina 56;
(4)  Sàndor Màrai, "Diari", Adelphi, 2005, pagina 56;