

Il “Mare Nostrum” è stato, da sempre,  un contenitore di diverse culture e  popolazioni che  con i loro continui  spostamenti  hanno interessato una vasta  area che va dalla penisola Iberica al Medio Oriente. 
    Tali movimenti hanno creato una sorta di polveriera  etnica che è sfociata in intensi  scambi  commerciali e culturali, intervallati da guerre, che hanno favorito una  contaminazione ed un arricchimento reciproco.  
    Sin dai tempi remoti si ebbero importanti movimenti  di popoli nomadi che da est giunsero nel bacino del Mediterraneo, dove avevano  trovato ubicazione dori e romani che rappresentavano la nuova  linfa vitale di quel territorio che aveva  visto le gesta degli antichi popoli mediterranei quali cretesi, calcidesi,  etruschi, sardi, liguri, sanniti, dauni, fenici,  tanto per fare qualche labile cenno di alcune  delle molteplici e diverse etnie. 
    Tali impulsi migratori hanno dato vita ad un  continuo movimento di diverse realtà si sono   mescolate in un continuo succedersi di eventi sociali, culturali,  amministrativi, politici, economici, religiosi, che hanno dato nuova linfa  vitale al territorio. 
    Il Mediterraneo assume i tratti somatici del giusto  crocevia delle grandi direttrici storiche dovute agli impulsi migratori  derivanti non solo dalla ricerca di nuove terre ma anche da pressioni  strategiche o politiche, razziali, spesso religiose che tali popoli migratori  hanno subito nelle terre d’origine.
    I movimenti di poli migratori nel bacino del Mediterraneo  hanno avuto sempre una continuità ciclica a partire dai primi insediamenti  indoeuropei, poi con le popolazioni italiote, i greci, i romani, e,  successivamente quando quest’ultimi raggiunsero l’ensemble allo zenith della  civilizzazione ebbero a scontrarsi ed a confrontarsi con una nuova ondata che  proveniva sia dal Nord che dall’Est europeo. 
    L’incontro culturale che si è svolto presso la Sala  Convegni del Museo Nazionale della Magna Grecia con l’Alto Patronato  dell’Ambasciata della Repubblica d’Ungheria ha avuto il merito, grazie al  contributo scientifico dei relatori di   documentare i rapporti storico-culturali intercorsi pure tra il Sud, la  Calabria e le  popolazioni magiare e  slave nel periodo  medievale.
    I magiari sono una popolazione di origine  ugro-finnica, di stanza nell'Europa danubiana, formatasi dalla fusione di tribù  turche con tribù irano-caucasiche; nel VII e VIII secolo, si spostò verso  occidente per stabilirsi in Pannonia (Ungheria) e iniziare una serie di  spedizioni verso i paesi occidentali. 
    Le incursioni dei magiari colpirono, in particolar  modo, la vicina Germania, ma essi arrivarono anche in Francia ed in Italia,  fino alla metà del X secolo.
    Il “Mare Nostrum” è un bacino che bagna tre  continenti: Europa, Africa ed Asia, dunque la sua ricchezza e la varietà dei  contributi culturali dati dalle diverse popolazioni che si sono succedute in  tale bacino di mare e nella fattispecie nella fascia meridionale sono  straordinarie e su questi elementi scorre il percorso culturale e di ricerca del  sodalizio reggino. 
    La manifestazione culturale è stata preceduta di  alcune settimane  dalla visita di  una  delegazione del Circolo Culturale  L’Agorà a Roma, presso l’Ambasciata della Repubblica dì Ungheria,  dove tali Autorità istituzionali hanno manifestato  un vivo compiacimento per l’iniziativa convegnistica promossa dal sodalizio  reggino.  
    Nella mattinata che ha preceduto il convegno reggino  il prof. Pèter Kovàcs, Vice Direttore dell'Accademia d'Ungheria, nonchè  rappresentante ufficiale dell'Ambasciatore Ungherese, è stato accompagnato da  alcuni componenti del Circolo  Culturale  L'Agorà, in un giro di visite istituzionali in città che ha avuto come  prima  tappa l'Archivio di Stato. 
    Questa prima visita è stata caratterizzata, oltre  che da un'accoglienza molto cordiale da parte dell'attuale direttrice dott.ssa  Baldissarro e da tutto il suo staff, anche   dalla possibilità concessa  agli  ospiti di visionare alcuni preziosi documenti del periodo angioino, tra i quali  un privilegio dato alla città di Reggio il 16   giugno del 1383 dal Re di Napoli Carlo III  d'Angiò-Durazzo, che sarebbe divenuto, per un  breve periodo, anche re d'Ungheria.
    Carlo aveva infatti sposato Margherita, nipote di  Giovanna I, regina di Napoli ma, nel   contempo, essendo stato adottato da Luigi I d'Ungheria, morto  nell'agosto del 1384,  si recò  a Buda per acquisire il trono magiaro  l'anno  successivo. 
    Venne però assassinato in un complotto presso il  castello di Visegrad il  24 febbraio  1386.
    Ritornando alle visite istituzionali, la delegazione  del sodalizio reggino ha fatto quindi una sosta presso la prestigiosa  Biblioteca Comunale della nostra città, laddove l'attuale Direttore dott.  Domenico Romeo ha entusiasticamente accompagnato l'Accademico ungherese nella  visita ai locali dell'originale Biblioteca, che era l'abitazione dell'Ing.  Pietro De Nava, poi acquistata dal Comune di Reggio Calabria.
    Nelle eleganti stanze di tale edificio, decorate ed  arredate secondo il gusto dei primi decenni del secolo, il prof. Peter Kovacs  ha potuto ammirare le varie collezioni di volumi presenti, tra cui quella di  Corrado Alvaro, ed anche una preziosa ed antica edizione  illustrata della Divina Commedia.
    Nei più recenti ed attigui locali della Biblioteca  De Nava, il dott. Romeo ha anche illustrato all'importante ospite il plastico  ricostruttivo della Reggio Calabria del seicento e, tra l'altro, una pregevole  raccolta di stemmi di casate regnanti tra i quali quello di Carlo V d'Asburgo  di particolare valore e bellezza.
    L'itinerario di visita è poi proseguito in direzione  di Palazzo San Giorgio, sede istituzionale del Comune di Reggio Calabria, dove  il prof. Kovacs, come rappresentante dell'Ambasciata Ungherese, e la  delegazione de L'Agorà, accolti dai Vigili Urbani  in alta uniforme, sono stati ricevuti calorosamente  dall'attuale vice sindaco dott. Giovanni   Rizzica.
    Il Vice Sindaco si è intrattenuto con gli ospiti in  un affabile colloquio, congratulandosi con gli organizzatori per la pregevole  manifestazione convegnistica ed auspicando, insieme al Diplomatico ungherese,  un  proseguimento delle iniziative di  collaborazione culturale tra Reggio Calabria e l'Accademia ed ambasciata  magiare, anche in considerazione del sempre crescente numero di ungheresi,  lavoratori e studenti, che vivono nella nostra città.
    Il prof. Kovacs ha ammirato con interesse le  caratteristiche stilistiche del Palazzo   cittadino, opera dell'Architetto E. Basile, visitandone anche l'elegante  Aula Consiliare e ricevendo anche in questa sede istituzionale l'omaggio di  alcune pubblicazioni culturali.
    La stessa impronta di cordiale accoglienza ha  caratterizzato l'ultima tappa del giro di visite istituzionali del prof.  Kovacs, quella presso la sede centrale del palazzo "Pietro Foti"  dell'Amministrazione Provinciale.
    Il professore magiaro, dopo essersi soffermato ad  ammirare l'Aula Consiliare ed altri pregevoli   ambienti del Palazzo recentemente restaurato, è stato ricevuto, insieme  ai membri dell'associazione culturale, dal vice Presidente dell'Ente dott.  Leone Manti, dal dott. Francesco Crifò e  Demetrio Cugliandro,  nella preziosa  cornice del salone Monsignor "Giovanni Ferro".
    Il Vice Presidente ha espresso parole di plauso per  l'iniziativa culturale intrapresa con la speranza che essa, al di là dell'alta  valenza storico-convegnistica, possa rappresentare il preludio di nuove  occasioni d'interscambio  italo-ungherese  di più ampio respiro, ed assicurando in tal senso la massima disponibilità e  collaborazione da parte dell'Ente.
    Il percorso del prof. Kovacs attraverso le varie  sedi  istituzionali cittadine è stato  ovviamente intervallato dalla visita alle principali attrazioni  turistico-culturali della nostra città, nei limiti del breve tempo disponibile,  con una graditissima passeggiata sul lungomare del "più bel chilometro  d'Italia" con visita  alle Mura  Greche ed alle Terme Romane, al Castello Aragonese, al Teatro Cilea, al Duomo e  naturalmente ai tesori custoditi nel Museo Nazionale della Magna Grecia. 
    I lavori sono stati coordinati dal segretario  dell'associazione, Natale Bova, il quale ha premesso che il Circolo Culturale  L’Agorà è promotore, ormai da diversi anni, di numerosi convegni che hanno  trattato argomenti di storia della Calabria e del Meridione, e che hanno  l’obiettivo di contribuire a valorizzare il bagaglio culturale, a volte di portata  straordinaria, lasciato dai vari popoli che hanno attraversato il nostro  territorio nel corso dei secoli.
    Tra questi  i  greco-bizantini, gli arabi, gli armeni, i normanno-svevi, gli angioini, gli  aragonesi, gli spagnoli, gli austriaci, i   francesi. 
    Il segretario ha avuto anche il merito di assemblare  il susseguirsi delle relazioni che  hanno  illustrato ai presenti  gli  intrecci tra la dinastia degli Angioini del  Regno di Napoli e  la dinastia del Regno  d'Ungheria, fino all'invasione nel 1300, da parte degli  Ungheresi, del meridione della penisola.  
    Il periodo in questione è quello compreso  soprattutto tra il nono ed il quattordicesimo   secolo e le vicende storiche trattate sono degne di approfondimento,  anche per aver lasciato a  Napoli, nel  Sud, ed anche in Calabria, alcune chiare testimonianze, sia sul piano  artistico-architettonico che della nomastica e   toponomastica, sebbene in tono minore rispetto ad altri popoli ed  amministrazioni straniere.    
    Il prof. Giuseppe Caridi, docente presso l'Università  di Messina, ha relazionato su "La Calabria nel periodo Angioino"  delineando in un rapido excursus la tipologia delle varie dominazioni  succedutesi in Calabria dal X al XV secolo, da bizantini,  longobardi ed arabi ai normanno-svevi e  quindi agli angioini e agli aragonesi. 
    Il relatore si è soffermato principalmente  sul periodo della Calabria angioina durante  il quale si svolse l'invasione ungherese del Regno di Napoli della metà del  '300, oggetto del convegno. Carlo d'Angiò si era insediato nel Mezzogiorno dopo  la sconfitta di Manfredi nel 1266 ed aveva trasferito la capitale da Palermo a  Napoli.  
    Questo fu uno dei motivi di malcontento dei  siciliani che insorsero nel 1282 e con l'arrivo in Sicilia degli aragonesi fu  solo il Meridione continentale (Regno di Sicilia Citra) a rimanere sotto la  corona angioina. 
    La nostra Regione che rimase divisa  amministrativamente , come al tempo degli svevi, nelle due circoscrizioni  territoriali di Val di Crati e Terra Giordana (Cosentino, Crotonese, parte del  Catanzarese) e Giustizierato di Calabria (parte meridionale della regione),  attraversò una fase particolarmente critica dalla morte di Roberto d'Angiò  (1343) all'avvento di Alfonso V d'Aragona (1442).  
    Si tratta del   periodo delle lotte tra le due fazioni degli Angioini di Durazzo e di  Provenza e la situazione diventò ancor più drammatica, a metà del XIV secolo,  oltre che per le vicende belliche e le invasioni ungheresi, anche per lo  scoppio della famigerata peste nera, un'ecatombe che ridusse la popolazione europea  di 25 milioni di unità sugli 80 del totale, e vide la  scomparsa di ben 148 agglomerati urbani nella  sola Calabria, con le inevitabili ripercussioni anche sul piano economico e  produttivo.
    Si è passati quindi, con la relazione di Daniele  Castrizio dell’Università di Messina, alla trattazione di fatti prettamente  militari.       
    La sua relazione su "L'utilizzo di contingenti  slavi nell'Italia bizantina", ha trattato degli equipaggiamenti e delle  tattiche usate dai contingenti militari di stanza nella parte meridionale della  penisola. 
    L'intervento del   Castrizio si è aperto con una premessa di tipo storico-numismatico,  risalente ad un  periodo ventennale di  lotta tra Durazzeschi e Provenzali, e cioè la notizia che ci fu un periodo in  cui a Reggio e in Calabria, come in Ungheria,   circolarono le stesse monete: si tratta dei tornesi angioini presenti in  Calabria fino al 1328, poi spariti e quindi riportati in Italia dopo il 1350  dalle milizie  ungheresi che nel  frattempo li avevano utilizzati nel loro Paese. 
    In questa seconda fase tali monete vennero anche  nuovamente coniate da zecche italiane (es. Ancona) ad imitazione di quelle  usate dai soldati magiari. 
    Il relatore  è  quindi passato alla trattazione dell'utilizzo dei contingenti slavi da parte  dell'esercito bizantino per la difesa dello stretto di Messina, dopo la caduta  della Sicilia in mano ai Musulmani i quali perseguivano sempre il progetto di  giungere fino a Roma. 
    E' stato precisato che le notizie su questo  argomento sono ancora esigue ma meriterebbero un approfondimento, perché poco  studiate e perchè fatti toccati marginalmente dalla storiografia, vista anche  l'abitudine bizantina di non scoprire i rapporti internazionali della città di  Reggio e dello Stretto. 
    A questo proposito il relatore ha auspicato che la  storia bizantina venga riscritta, rivedendo il luogo comune di quelle  "vulgate" che parlano del periodo bizantino come fatto solo di tasse  e di rivolte. 
    Le milizie slave sono state dunque sicuramente  presenti in Calabria dal IX al XI secolo come sappiamo da alcune fonti  storiche, sigilli, pezzi di ceramica, ed erano reclutate particolarmente nei  temi (province) dei Balcani. 
    Si trattava di   mercenari a buon mercato, ottimi soldati pronti a difendere la loro  causa fino  alla morte, che furono  utilizzati per contenere gli Arabi fino alla metà del X secolo. 
    I bizantini erano svantaggiati nei confronti degli  arabi, sia da un punto di vista numerico   che nella disponibilità al sacrificio umano: i manuali strategici  bizantini dicevano che era meglio perdere una battaglia che un soldato. Reggio  riuscì quindi  a fermare i saraceni in  almeno 7-8  tentativi di assalto  nell'arco di circa  200  anni,  grazie ad un sistema di difesa  "elastico" consentito dalla presenza di una fortezza sulla collina  del Trabocchetto, che consentiva la fuga dei reggini verso le alture a  ogni notizia di arrivo degli arabi. 
    Non si trattava però di una fuga ignominiosa ma  strategica, perché alle spalle della città era stato costruito un sistema di  fortezze,  Montebello, Motta S.Giovanni,  Motta S.Niceto, Motta S.Agata, Motta S.Cirillo, Motta Anomeri, Motta Rossa e  Motta Calanna, e dietro ad esse una seconda linea di difesa aspromontana,  che permettevano ai Reggini di intraprendere  un periodo di guerriglia con i musulmani fino a quando questi non avessero  smobilitato. 
    Visto che le forze di invasione arabe non potevano  mantenersi "senza bottino", venivano ritirate ed il contingente arabo  lasciato in loco veniva sconfitto dal ritorno dell'esercito tematico bizantino,  che poteva così riappropriarsi del territorio.
    Le milizie slave verranno utilizzate dai romei anche  dopo la metà del X secolo nel tentativo   dell'Imperatore bizantino Basilio II di riconquistare la Sicilia, caduta  in mano agli Arabi.
    Tale impresa ebbe come pretesto la vendetta per  l'uccisione dell'emiro di Siracusa , alleato dei Bizantini e nominato Maestro  di Palazzo, da parte del fratello. 
    A capo di questo esercito venne posto Giorgio  Maniace che con la vittoriosa battaglia di Troina, grazie anche alle milizie  super-specializzate di una leggendaria "drucina" russa,  ebbe spalancate le porte della Sicilia, ma  dovette interrompere la sua impresa perché richiamato a corte dall'imperatore. 
    Alla partenza di Maniace i Normanni iniziarono  l'occupazione della Puglia, depredata in maniera funesta dal milanese Arduino,  ed il generale che subentrò a Maniace, che tra l'altro donò un mantello alla  Chiesa reggina di S.Nicolò di Calamizzi, venne inviato a contrastarli. 
    Ma gli imperiali verranno cacciati dal meridione nel  giro di circa 10 anni.    
    Il relatore ha anche illustrato al pubblico  presente, con l'ausilio di alcune diapositive, le ricostruzioni di soldati  slavi del X secolo, con la cotta in maglia, i rinforzi di cuoio ed un'armatura  leggera con protezioni metalliche agli avambracci, la spada , lo scudo tondo,  la lunga lancia. 
    Ma poiché i soldati più efficienti erano quelli a  cavallo era stata fatta una riforma che assegnava un appezzamento di terreno  con cui il  milite poteva mantenersi le  armi e il cavallo.
    Tutto sommato l'esercito "tematico" non  era economicamente costoso e, poichè combatteva anche per la propria famiglia,  aveva buone motivazioni per non disertare. 
    Circa 100 anni dopo le armature  riportarono solo poche innovazioni. Sono  state proiettate anche immagini delle milizie della drucina russa che  inizialmente partecipanti all'assedio di Costantinopoli, raffigurato in una  diapositiva, vennero poi integrate nell'esercito bizantino diventandone la  punta di diamante. 
    I russi possedevano gli elmi decorati con figure di  angeli e santi e portavano il volto coperto da una maschera. In un'altra  ricostruzione, fatta da professori greci, i guerrieri russi della drucina  vengono raffigurati come portatori di asce, armi da combattimento di  derivazione vichinga. 
    Altre diapositive proiettate hanno infine  raffigurato un arciere bulgaro e scene belliche come lo sbarco delle navi  bizantine sulla spiaggia di Messina con gli arabi morenti o  imprigionati.
    L'assetto   amministrativo del regno angioino è stato trattato dal prof. Mario  Spizziri dell’Università degli Studi di Cosenza, che nel corso della sua  relazione “Organizzazione  centrale e  periferica nel Regno di Napoli” ha evidenziato il progresso avvenuto sul  territorio, seppure lento,  ma che ha  portato dei miglioramenti, sia dal punto di vista sociale che amministrativo. 
    Re Ruggero il Normanno (XII secolo) organizzando i  suoi possedimenti dell’Italia meridionale e insulare creò ben 7  grandi dignitari e/o ufficiali di quella che  - da lì a breve- sarebbe stata la novella monarchia con speciali e ben 
    definite attribuzioni.  
    Essi erano: il Contestabile, il Grande Ammiraglio,  il Gran  Cancelliere, il Gran  Giustiziere, il Gran Camerario, il Gran Protonotario, il Gran Siniscalco. 
    Un breve ma efficace riordinamento venne operato dal  suo successore, il re Guglielmo I, detto il Malo, che rese stabile e non più  provvisoria, quasi per intero, la compagine e, con particolare riferimento, la  Gran Corte di Giustizia alla quale era preposto, ab origine, il Gran  Cancelliere  con l’assistenza pratico-tecnica  del Gran Giustiziere.  
    La Gran Corte di Giustizia assunse, quindi e in  forma ormai irreversibile, la funzione di Supremo Tribunale a cui facevano capo  le Udienze Provinciali presiedute, queste ultime, da Giustizieri ai quali si  riferivano, gerarchicamente,  i tribunali  minori e/o locali, presieduti da particolari figure di funzionari: i baiuli. 
    In epoca sveva e/o federiciana, dal grande e  illuminato sovrano non vennero affatto mutati gli ordinamenti amministrativi  precedenti ma si tenne anzi a dichiarare in alcune Costituzioni che quella  organizzazione statuale andava rispettata e consolidata e con una serie di  saggi e opportuni provvedimenti.  
    Ai Giustizieri e/o autorità provinciali, dipendenti  dalla Gran Corte di Giustizia, ormai stabilmente presieduta dal Gran  Giustiziere,  in particolare, fu commessa  la somma dei poteri del  mero imperio  tranne che per le questioni  concernenti  i grandi feudi.  
    Si impose loro, comunque, che essi ispezionassero le  province di loro competenza  col molteplice  scopo di rendere più agevole l’amministrazione della giustizia, di garantire la  sicurezza pubblica e il buon funzionamento degli organismi inferiori (baiuli e  capitani).  
    Il tutto rimase immutato anche all’avvento e per  buona parte del regno di Carlo I d’Angiò.   
    Ma nel 1283, allorché il sovrano angioino dovette  lasciare Napoli per raggiungere Bordeaux per quel famoso, strano duello con  Pietro d’Aragona, in conseguenza dei fatti del Vespri e per il definitivo  possesso della Sicilia, nella capitale venne insediata, in supplenza della Gran  Corte, la Corte del Vicario, ossia del figlio primogenito del Re, anch’esso  denominato Carlo, principe di Salerno, l’organismo venne subitamente definito  Corte della Vicaria. 
    Allorché, poi, Carlo, principe di Salerno, salì al  trono come Carlo II, re di Napoli, quella   Corte di supplenza venne istituzionalizzata e divenne esecutiva.  
    Negli intenti vi era il desiderio di fondere in uno  i due supremi organismi ma ciò, come era già   allora in tutte le cose italiche, non avvenne ed  entrambe continuarono a funzionare  separatamente per tutta l’epoca angioina.  
    La Corte del Vicario, ormai non più presieduta  dall’erede al trono, fu, però,  posta  sotto la  presidenza del Gran  Giustiziere.  
    Intanto si era, sempre di più, venuta a  razionalizzarsi la vasta gamma  delle  competenze del Giustiziere, capo dell’Udienza e/o vero e  proprio Tribunale di provincia.  
    Questi aveva giurisdizione in materia civile e  penale  ma non poteva ancora intervenire  in alcuni ambiti di diritto feudale ossia nelle   vertenze tra feudatari (soprattutto di gran  rilievo), demandate direttamente al supremo  organismo di Giustizia.  
    In  ogni  provincia, inoltre, in materia fiscale vigilava l’ufficio del Camerario che, in  ambito locale, si serviva anch’esso dell’opera dei baiuli o baglivi. Il baiulo  aveva competenza minima per le cause civili e penali, preparava una rudimentale  istruzione dei processi e inviava gli imputati   al “suo” Giustiziere.  
    Quale reperto occasionale vorrei segnalare, inoltre  , che, durante i 176 anni di permanenza degli Angioini nel regno di Napoli, il  foro napoletano fu ingrandito ed onorato e i magistrati vennero elevati a  dignità di casta. 
    All’avvento, poi, degli Aragonesi,  re Alfonso volle fondare una “sua” Corte  Suprema che potesse giudicare ogni materia civile, criminale e  amministrativa  e la definì “Sacro Regio  Consiglio”.  
    Il presidente del Circolo Culturale L’Agorà  Gianni Aiello ha trattato il tema relativo  a  “Gli Ungari dagli Urali allo Stretto”  descrivendo diversi aspetti relativi a tale periodo storico, passando da quelli  toponomastici, nomastici, architettonici a quelli agiografici, «elementi questi  - ha precisato il relatore - utili a ricomporre un mosaico di memoria storica  che ci appartiene». 
    Nell' 898, i primi nuclei di Magiari provenienti  dalle regioni del basso Danubio arrivarono in Italia, invadendo il territorio  lagunare.Vengono fatti quindi chiari riferimenti a  pubblicazioni di un certo rilievo  scientifico, come quella  dello storico  francese Jacques Le Goff  «…L’invasione  magiara si svolge secondo il solito schema. Nel VII secolo gli Ungari si  stabiliscono nello stato dei Kazari, turchi   convertiti al giudaismo e stabiliti nel basso Volga, dove controllano un  commercio molto prospero fra la Scandinavia, la Russia e il mondo musulmano. Ma  verso la fine del IX secolo altri Turchi, i Peceneghi, distruggono l’impero  kazaro e spingono verso est gli Ungari. Questi ricordano agli Occidentali gli  Unni. La stessa vita a cavallo, la stessa superiorità  militare di arcieri. L’avanzata incomincia a  partire dall’899 : Friuli, Veneto, la Lombardia, la Baviera, la Svevia… sono  tra le prime aree interessate». (1) 
    Nel 921 tornarono ancora in Italia, devastarono nel  924 Pavia e più tardi  piccoli nuclei di  cavalieri magiari erano presenti nell’hinterland   di Capua e di Benevento, nonché parecchie  contrade dell’Italia meridionale, fino alle Puglie.  
    Nel 1105 si verificò un primo legame dinastico tra  l'Ungheria ed il meridione d'Italia con le   nozze del re magiaro Calomanno (1095 – 1116) con Busilla,  figlia di Ruggiero I Altavilla di Sicilia.
    Viene quindi trattata l'arrivo degli ungheri in  Calabria nell'alto medioevo, allorquando   una milizia magiara era giunta nella nostra regione, utilizzata  dagli  eserciti bizantini contro i Longobardi.   
    A questo evento alcuni Autori fanno risalire  il casale Ungarum o Longrium che sarebbe poi  diventato, secondo questa ipotesi, l'odierno abitato di Lungro (CS) che  esisteva già dal 1268. 
    Va però anche evidenziato che, secondo un'altra  ipotesi, l'origine del nome Lungro   deriva dal nome greco ügros = umido   che venne dato a questa zona.
    Ma un altro elemento che rafforza l'ipotesi  dell'origine ungherese di Lungro è il ritrovamento di un teschio di guerriero  ungherese in quella zona. 
    Il relatore è quindi passato a narrare le vicende  storiche relative agli angioini di 
    Napoli e di Ungheria nel corso del XIV secolo.  La complessa vicenda della successione  dinastica al trono di Napoli inizia a causa della premorienza al padre Re  Roberto d'Angiò dell'erede Carlo l'Illustre, Duca di Calabria, nel 1328 e della  volontà dello stesso sovrano di favorire la successione della nipote Giovanna,  ostacolata dalle vigenti regole di successione   che le pretese al trono di Napoli del nipote Caroberto, già Re d'Ungheria.  La questione era stata risolta grazie alla celebrazione del matrimonio tra  Giovanna ed Andrea, figlio di Caroberto. 
    Di tali nozze parla il seguente documento  del Regesto Vaticano datato  3 Novembre 1333 in cui si  legge:«Carolo, Regi Hungarie conceditur dispensatio de matrimonio contrahendo  inter Andream, secundum genitum eius, et Iohannam, primo genitam [Caroli]  Calabriae, seu Mariam, eius sonorem, casu quo Iohanna decederet.- Dat.  Avinione, III Non. Novembris, Anno Decimoctavo» 
    Il Re d’Ungheria era venuto a Napoli ad assistere  allo sposalizio del figliuolo, e quando se ne partì gli lasciò per familiari  alcuni suoi ungheri, “ed un tale  frà  Roberto di che lo ammaestrasse di lettere e di buona creanza.” (3)
    Il frate calabrese   viene menzionato nel 1333, dopo il matrimonio tra Giovanna I e Andrea  d'Ungheria, entrambi di appena sette anni, celebrato il 26 settembre 1333.  
     Roberto  divenne vescovo di Tropea (1344-1348) sarà un personaggio chiave della  successiva vicenda dell'invasione ungherese del regno di Napoli che si  verificherà dopo l'assassinio di Andrea d'Ungheria avvenuto ad Aversa il 18  settembre 1345 ad opera di una congiura a cui parteciparono tra gli altri il  nobile calabrese Caraffello Caraffa e due giovani di nobile famiglia tropeana,  Raimondo e Tommaso Pace, che  accusati di  partecipazione all'assassinio di Andrea, furono torturati a morte, sebbene  tutti gli storici siano stati concordi nel ritenerli  innocenti; anche il Boccaccio ne fa allusione  in "Filippa di Catania".
    Successivamente al regicidio, la vedova  Giovanna  I, temendo la vendetta del  cognato Ludovico e nel tentativo di farsi scagionare dall'accusa di  partecipazione all'assassinio del marito, mandò lo stesso vescovo di Tropea in  Ungheria, in  qualità di ambasciatore, ma  tale missione era destinata a fallire.
    Il 1° maggio del 1346 Luigi d' Ungheria spedì  ambasciatori al Pontefice chiedendo che Giovanna  fosse deposta, che il figlio Carlo fosse  affidato alle cure della nonna paterna Elisabetta e infine che durante la minorità  dell'erede il reame fosse governato da un consiglio di reggenza. 
     Non  soddisfatto della risposta di Clemente VI, Luigi armò un esercito, con il quale  doveva imbarcasi a Zara, ma questa città ancora una volta si era ribellata ai  Veneziani e si trovava allora bloccata da una flotta della repubblica. 
    Rimandò quindi   la spedizione e impiegò parte dell'anno seguente a procurarsi libero  passaggio attraverso l'Italia con una serie di azioni diplomatiche con i vari  Stati che avrebbe dovuto attraversare con l'esercito. 
    Il 3 novembre del 1347 il re d' Ungheria si mosse da  Buda, proprio quando la regina Giovanna il 20 agosto si sposò in seconde nozze  con il cugino Luigi di Taranto.  L'11  gennaio del 1348 giunse a   Benevento,  alla testa di seimila cavalieri, che erano comandati dal duca Guarnieri d'  Urslingen e qui il relatore fa un riferimento alla nomastica: infatti il  cognome Uslenghi, oggi presente sul territorio,   è una derivazione di tale cognome, così come altri cognomi hanno  derivazione ungherese, es. Buda, Berta (collocato proprio  nella zona di Cataforio (RC) nel territorio  di  Motta S.Agata, Ungaro, Zungri,  Ungheri.  
    Nello stesso territorio di Motta S.Agata vi era una  guarnigione magiara, infatti  il  territorio  di Sant’Agata era sotto  l'amministrazione magiara e “… durante questo tormentato periodo Sant’Agata fu  «una delle poche piazzeforti che occupata una volta dagli ungheresi non valeva  a liberarsene neppure a guerra finita.» …” (4)     
    E qui il relatore lancia due ipotesi: o che i  santagatini  ritenevano non più  conveniente sostenere la causa di Giovanna I,   oppure l'idea più romantica  di  sostenere pienamente le ragioni del sovrano Luigi d'Ungheria.
    Il re magiaro, intanto proseguì il suo percorso e da  Benevento si diresse verso Napoli dove ricevette l'omaggio di diversi notabili  del tempo tra i quali Carlo di Durazzo, cognato di Giovanna I,  ma prima di entrare nella capitalevolle  visitare il Convento del Murrone, dove era stato assassinato il fratello  Andrea.
    Ma qui inveì contro Carlo di Durazzo, che venne  colpito a morte da un milite ungherese e, successivamente  fatto precipitare  da quella stessa finestra dalla quale era  stato gettato Andrea. 
    La presenza di Ludovico d'Ungheria nel Regno di  Napoli durò appena quattro mesi, in quanto sul territorio scoppiò la peste  nera, ed a seguito di ciò il sovrano tornò in Ungheria, lasciando diverse  milizie nel Regno di Napoli.
    Ma nonostante ciò i contatti tra la Calabria e  l'Ungheria continuano,  infatti nel 1349  si hanno notizie di un certo Filippo Misbano, comandante degli Ungheresi che  inflisse una dura sconfitta all'esercito della regina Giovanna, comandato dal  Conte di Chiaromonte "... in questi luoghi della Calabria..."  (5)   .
    Mentre nel 1352, alla conclusione della pace tra  Giovanna I e Ludovico d'Ungheria appare la figura di  Andrea di Ruggero, nobile di Tropea e  "milites", personaggio  che nel  Medioevo indicava quel rango sociale. 
    Altri elementi di lettura della relazione di Gianni  Aiello sono quelli relativi alla descrizione araldica di uno stemma gentilizio,  probabilmente dello stesso Andrea di Ruggero,   ma soprattutto di un altro stemma che raffigura  "l'arme, sostenuta da angeli ed  uno scudo recante le insegne dell'Ungheria  antica, costituite da quattro barre orizzontali privedella croce patriarcale o  di Lorena, ed  appartiene a Maria  d'Ungheria, figlia di Stefano V, re d'Ungheria, e moglie di Carlo II lo  Zoppo"(6).
    Per quanto riguarda il tema agiografico,  il relatore fa un riferimento alla figura di  San  Ladislao re d'Ungheria, venerato  anche nel Meridione d'Italia, durante l'amministrazione angioina e di cui una  pala che lo raffigura è  ubicata presso  la chiesa di S.Maria della Consolazione di Altomonte (CS). 
    Gianni Aiello ha   concluso il suo intervento conuna famosa citazione del sovrano magiaro  Stefano I  :«Gli ospiti che vengono dai  vari paesi portano lingue, usanze, strumenti, armi diverse e tutte queste  diversità è per il regno un ornamento, per la corte un abbellimento e per i  nemici esterni un oggetto di timore. Poiché un Regno che ha una lingua sola e  un solo costume è debole e fragile».   
    L'intervento di Antonio Stiriti, socio del Circolo  Culturale, è stato incentrato sulla   "Genealogia degli angioni di Napoli e di Ungheria", con  l'obiettivo di contribuire ad inquadrare, in una cornice cronologico-grafica, i  protagonisti delle vicende napoletano-ungheresi del '300 descritte nella  precedente relazione. 
    In Ungheria si era stabilita, sin dal X secolo, la  dinastia regnante degli ARPAD, dal nome del suo capostipite, a cui seguirono i  principi Zolta, Falicsi, Tacsony e  Geza  che convertì il suo popolo al cristianesimo. 
    Stefano il Santo fu il primo re a ricevere la corona  dal Papato, da allora in poi detta Corona di Santo Stefano, ed a lui seguirono  Pietro Orseolo, Samuele Aba, Pietro, Andrea I, Bela I e Ladislao I, anch'egli  canonizzato. 
    Il successore Calomanno (1095-1116) sposò la figlia  del normanno Ruggero I di Sicilia (primo contatto dinastico tra l'Ungheria ed  il meridione d'Italia) mentre i successivi re Stefano II, Bela II, Geza II,  Stefano III con gli zii usurpatori Ladislao II e Stefano IV, Bela II, Emerico e  Andrea II  ingrandirono notevolmente lo  stato e lo assestarono dal punto di vista politico e amministrativo. 
    Si giunse quindi al regno di  Bela IV durante il quale avvenne l'invasione dei  Tartari (1241), punta avanzata in Occidente del grande impero asiatico, ma tale  invasione  si ridimensionò fortunatamente  per motivi interni. 
    L'Ungheria capì comunque di dovere trovare alleati  in Occidente e quindi accogliere la   politica matrimoniale degli Angioini, che corrispondeva anche alla  precisa volontà della Santa Sede di   consolidare una grande potenza cristiana nel cuore dell'Europa  danubiana. 
    Carlo d'Angiò , dopo la sconfitta degli Svevi, si  presentava come uno dei principi più valorosi d'Europa e, avendo ereditato il  titolo nominale di Imperatore latino d'Oriente (1261) e acquisito quello di Re  di Gerusalemme (1277), era desideroso di espandersi verso oriente accarezzando  il sogno di ricostituire l'Impero Romano. 
    Rifiutata la richiesta matrimoniale (1269) di Carlo  d'Angiò per Margherita Arpad, la  figlia  di Bela IV che preferì restare religiosa domenicana,  le nozze si celebrarono tra l'erede Carlo II  d'Angiò  e la principessa arpadiana  Maria, figlia di Stefano V, successore di Bela   IV. 
    A Stefano V successe il figlio Ladislao alla cui  morte si estinse la discendenza maschile della dinastia Arpad ma il trono,  subito rivendicato dalla Regina di Napoli Maria arpadiana  a favore del figlio Carlo Martello, andò  invece ad un ultimo discendente illegittimo della dinastia Arpad, Andrea  III  il Veneziano che regnò per undici  anni. 
    Successivamente la nobiltà ungherese elesse  prima Venceslao di Boemia, genero di Andrea  III, e quindi il duca Ottone di Baviera. Nel frattempo, premorto al padre  l'angioino Carlo Martello(1295), fu suo figlio Caroberto, anche grazie  all'appoggio della Santa Sede, che riuscì a   cingere la corona d'Ungheria nell'ottobre del 1307.
    Figli di Caroberto furono Luigi il Grande, che gli  successe al trono d'Ungheria, ed il fratello Andrea che sposò l'erede al trono  di Napoli Giovanna d'Angiò e che verrà presto assassinato suscitando  l'invasione del Regno di Napoli, che giunse a lambire anche la nostra  provincia, per vendetta del fratello Luigi. 
    Tale matrimonio era stato voluto per acquietare le  pretese dinastiche dei regnanti ungheresi sul trono di Napoli, visto che  essendo premorto al padre Carlo l'Illustre, il Re di Napoli Roberto d'Angiò  volle favorire l'ascesa al trono della nipote Giovanna che come discendente  femminile era ostacolata dalle regole di successione  sancite dal Patto di Vassallaggio al Papato  di Carlo d'Angiò (1264) e dalla successiva Bolla Papale di Bonifacio VIII  (1297). 
    Sul trono d'Ungheria, infine,  alla morte di Luigi il Grande dopo 40 anni di  regno,  successe per tre anni la figlia  Maria sotto la tutela della Regina vedova ma il suo trono fu poi usurpato nel  1385 dal re di Napoli Carlo III di   Durazzo, che era stato adottato da Luigi il Grande e molto  amato dai nobili ungheresi. 
    Carlo III, re di Napoli e d'Ungheria, regnò però  pochi mesi perché fu assassinato a Buda, in una congiura di Palazzo. 
    L'intervento di Antonio Stiriti, apprezzato dal  pubblico presente in sala, si è arricchito della  proiezione di ritratti o sculture dei  regnanti protagonisti delle vicende narrate.  
    Il prof Pèter Kovàcs,Vice Direttore dell’Accademia  d’Ungheria e delegato dell’Ambasciata Ungherese, nelle sue conclusioni  ha espresso viva soddisfazione per quanto è  stato messo in luce sui diversi punti di contatto storici  tra l'Ungheria e la Calabria,  due aree geografiche  lontane per alcuni aspetti ma ben vicine per  altri. 
    Ha inoltre manifestato il chiaro desiderio di  proseguire questo percorso culturale   ringraziando nello specifico i componenti del  sodalizio reggino che hanno avuto il merito  di trattare questo tipo di argomenti.  
  Lo stesso auspicio ha espresso la Sovrintendente ai  Beni Archeologici della Calabria Annalisa Zarattini che, oltre a porgere il Suo  saluto, si è complimentata per il lavoro svolto dal Circolo Culturale  L’Agorà.  








(1) Jacques Le Goff “La civilta’ dell’occidente  medievale”, Einaudi
    (2) padre Francesco Russo "Regesto  Vaticano"
    (3) Spanò-Bolani "Storia di Reggio  Calabria"
    (4) Giannangelo Spagnolio "De Rebus  Rheginis"
    (5) Antonio De Salvo "Palmi, Seminara e Gioia  Tauro"
    (6) Antonio Vizzone "i casati di tropea"