
La nuova  edizione di “Hypergonar”, organizzata dal Circolo Culturale L’Agorà” ha visto  la presenza di ventuno cortometraggi che hanno abbracciato, con le loro  tematiche, i generi più diversi. 
    Si è  partiti con il lavoro di Juliana Mazzocchi con "L'Annunciazione"  un'inchiesta incentrata sul  tema  dell'inseminazione artificiale.  
    Della  Fecondazione artificiale tanto se ne parla dagli aspetti prettamente giuridici,  sempre in  evoluzione a  partire dal 29 dicembre del 1988 , quando il  deputato Massimo Teodori del Gruppo federalista europeo, una proposta di  legge sull'inseminazione artificiale o quando  fece scalpore quando nell’agosto del 2001 quando una donna francese divenne  madre utilizzando lo sperma del fratello ed un ovulo di una donatrice  anonima.                          
    La  struttura del lavoro della Mazzocchi, segue quelli precedenti, tra l'altro  presentati nelle edizioni recedenti, il loro comune minimo denominatore è  quello del video inchiesta, caratterizzato da interviste alternate a spezzoni  di scene.
    Il lavoro  in questione narra di una donna, la regista stessa, che realizza una serie di  interviste su tale tema e che svolge le funzioni di intermediaria tra un  donatore ed un'aspirante mamma.  
    Juliana  Mazzocchi, laureata in Lingue e letterature straniere moderne presso  l'Università degli studi di Firenze con la tesi " 
    L'identità  femminile tra stereotipo e innovazione nella narrativa di Katherine Mansfield  " (relatrice Ornella De Zordo) nel 1996.
    L'altra  cifra al femminile continua con il lavoro ti di Isabella Maccarrone "Io  sono Sara", che narra di un'adolescente di sette anni che esterna il suo  stato emozionale.
    Un lavoro  caratterizzato dalla piccola Sara comprende che c’è qualcosa che non funziona  tra di essi e spera che le cose cambiano e che loro no si lasciano, ma  successivamente Sara intuisce che affinché ella possa crescere serenamente è  preferibile che i suoi si separino.
    I dubbi  dei bambini con le parole ed il mondo dei grandi: il divorzio.
    Il mondo  dei grandi visto dai più piccoli che saranno, a loro volta, i grandi di un  domani, che si spera migliore come loro.
    “... ed  io voglio vivere in pace ... ”, dice la piccola Sara, tornando così al suo  mondo spensierato dell’aquilone e del cielo limpido ed azzurro come l’infanzia.
    Il lavoro  di Stefano Cacciaguerra “ANSIATTESA” , nel quale l’autore sembra rispondere e  non rispondere alle due  domande (ma sono  due domande ? ) che pone già nel titolo stesso del corto. 
    Ansia di  che cosa ? Attesa di che cosa ? Un che di irrisolto accompagna la proiezione  del corto che risulta molto godibile. 
    La  situazione a metà strada sembra essere quella più propria a Stefano  Cacciaguerra che impone anche il ritmo preciso di questa sua ricerca, quello  duplice dell'ansia e dell'attesa.
    In questo  lavoro , dai vari risvolti psicologici, si assiste ad una buona interpretazione  sia da parte dello stesso autore che di Roberta Conti.
    Emanuele  Milasi presenta il corto che ha più convinto la giuria del premio, si tratta di  “NERE DONNOLE E ALBERI COLORATI", un opera nella quale emerge un uso  sapiente della fotografia . 
    Si parla  di matrimoni combinati in una regione del meridione fantastica, la Calabria,  dove ci sono due sorelle e ci sono delle storie raccontate da chi le sa  raccontare.
    Lo  scenario naturale del borgo di Pentedattilo (Reggio Calabria) fa da cornice,  insieme alle musiche, alle immagini ed ai colori che come per incanto sembrano  rubati ad un tempo trascorso e che ormai non c’è più e che non ritorna: questi  sono gli elementi trainanti di questo interessante lavoro.       
    Alla fine  lo schermo del proprio computer di uno scrittore ci informa che si  tratta di un gioco di specchi, ha scritto  tutto un narratore seduto alla sua scrivania. 
    Buona la  prova di regia di questo autore.                
    Il  cortometraggio ha avuto un gradimento molto alto a causa, non tanto della  storia che mette in scena, quanto della padronanza del mezzo tecnico che Milasi  ha dimostrato di avere. 
    Immaginiamo  che con un altro budget questo autore avrebbe potuto produrre opere di  rilevanza molto più grande.
    Giacomo  Triglia presenta tre corti, "JORGEN'S SON", "SBILLASDRUVV"  e "ROOM", in essi il giovane cineasta calabrese si cimenta con la  forma/cinema e ne da una sua interpretazione, trovando dei paesaggi e dei  palcoscenici anche inediti. 
    Il cinema  per Triglia e tutto, sia esso immagine, sia somma di immagini, sia  scomposizione di immagini. 
    Triglia  monta smonta e rimonta il suo oggetto e rimane dentro al cinema pur tentando di  scalzarlo o di metterlo tra parentesi. 
    L’alba  con le sue speranze, in "Room", i progetti, i sogni, il dramma dei  sentimenti strappati, il tutto concentrato in una stanza e dalla quale non  riescono ad uscire imprigionandone nei suoi pensieri l’attore principale.
    Sogni che  si infrangono in una grigia realtà, ripensamenti, addii, partenze, orgoglio, a  volte stupido che fa rimanere fermi sulle proprie idee e che non fa  ritornare indietro le decisioni prese ormai  amaramente.
    L’interprete  del corto vede trascorrere la propria in un video e  lo stesso, suo malgrado, è privo di quel  telecomando imprigionato da quelle attitudini sentimentali che non lo fanno  tornare indietro.    
    Ancora si  parla dei sentimenti traditi nel successivo lavoro di "Sbilladrass  Duvv", dove  i nobili pensieri, gli  stati emozionali,che si scontrano con le attitudini dei vigliacchi che invece  giocano con gli altri , vite che continuano ed altre che finiscono miseramente  proprio per queste situazioni sentimentali.
    Questa è  la storia di Floberto che alla fine di questo film si toglie la vita perché  stanco, ferito nei sentimenti, sepolto da una storia sentimentale finita male,  mentre il titolo del corto è il nome di colei che lascia Floberto per  continuare la sua vita con un altro.
    Eccellente  il ruolo di Alfredo Messina nei tre   prodotti dell'autore in questione che con il conclusivo "Jorgen  son", prodotto presentato anche al "Torino film festival 2004",  parla di una svolta di una persona, quella di   Jorgen che succube sin dall’infanzia della madre, riesce ad uscire da  questo “status” a soli 28 anni, assumendo   una nuova visione e dimensione della propria vita.
    Pierpaolo  Moio presenta "OGGIDOMANI", "LA PRIMA  (S)VOLTA", "REWIND" e  "CARS", si nota in questi corti una vena malinconica di un autore che  sta compiendo un suo personale percorso che lo sta portando a confrontarsi con  i grandi temi non solo del cinema ma anche dell'esistenza.  
    L'obiettivo  d'inseguire la vita e di rimanere sempre fuori tempo e fuori dal tempo, questo  si avverte ne “LA PRIMA (S) VOLTA”, dove una voce fuori campo «...corri,  corri è sei sempre al punto di partenza, tu  insegui la vita e sei sempre fuori  ... »  descrive le scene di una palestra atta a   valvola di sfogo di personaggi che nella vita quotidiana passata tra  carte, uffici, inseguimenti, un palestra come luogo di rifugio, come luogo di  scontro di stress causate "... da poche ore prima vissute tra pause  pranzo, ore in macchina in una città che potrebbe essere qualsiasi  città...".   
    “MAN IN  THE LOOP” – un refrain del primo lavoro dove una sequenza del precedente corto  viene portata all’esasperazione sia per quanto riguarda la ripetizione  della stessa che per la sua elaborazione con  lenti ed effetti vari. “REWIND” -  un  lavoro in bianco e nero che riprende le vecchie tecniche di ripresa dei primi  film, questo è quanto si evince dalle prime scene del corto.   
    Come  d’incanto, ma è un trucco di ripresa, ciò che era kaos diventa ordine, magari  fosse così, "OGGIDOMANI" presentato nelle precedenti edizioni e  “CARS”, dove l’essere umano risulta   prigioniero della tecnologia, delle macchine, quali esse siano, schiavi  del progresso da loro creato: gli uomini che inconsapevolmente diventano  contenti di questa strana situazione da loro creata, dove tutto risulta vuoto  come il tempo ma anche scenari caratterizzati da cd, computer, fabbriche  abbandonate che fanno da cornice ad uno scenario inquietante ma nel contempo  attuale, una sorta di “Metropolis” profetica.  
    I  panorami e le situazioni che Moio mette in scena non sono mai banali, una riflessione  conduce verso di essi, un pensiero domina l'uso della macchina che egli mette  in atto ed in scena. 
    Ed in  questo percorso l'autore incontra probabilmente anche diversi luoghi cruciali  del nostro stesso essere in scena di individui e persone di questa modernità. 
    Pierpaolo  Moio, alla fine, fornisce una prova di regia che convince.
    Di  seguito due corti di Mauro John Capece, "IL SOPRANISTA" e "IL  RAZZISTA", le parole e le immagini si fanno amare, le atmosfere tenui,  siamo dalle parti della poesia ma questa poesia viene enunciata da Capece mai  didascalicamente.
    Nel primo  lavoro il gioco di luce degli interni del set ricordano i lavori  di Peter Greenway in “I misteri del giardino  di Compton House” o “Barry Lindon” di Stanley Kubrick. 
    Forte la  cura delle ambientazioni.  
    Capece  sta acquistando una maturità che ne sta facendo una firma autorevole del tutto  originale nel panorama italiano.
    Poi si  passa ad Alessandro Brucini che presenta   "LABYRINTHUS K", si tratta di un montaggio di scene tratte da  film di Kubrik, da Shining a Barry Lindon passando per 2001 Odissea nello  spazio, il cinema di Kubrik come labirinto, lo stesso labirinto che il giardino  dell'Ovelooclk hotel rappresenta. 
    Brucini  conosce molto bene il cinema di Kubrik e lo usa per comporre il suo cinema che  non solo montaggio, ma anche cura del montaggio e quindi regia. 
    Mario  Ventrelli presenta "QUAL PIUMA AL VENTO", il corto più ironico visto  al festival di questo anno, con citazioni criptopolitiche ed un intreccio  calibrato su situazioni improbabili. 
    Il  comunismo, il cristianesimo e la campagna si mischiano in un corto che propone  non solo la risata ma anche la consapevolezza della risata. 
    Il che  non e poco in un bella prova di regia. 
    Si passa  poi a “QUELLO CHE RESTA” di Milo Busanelli: nel quale questa attesa di qualcosa  è rappresentata dall’incomunicabilità fra un uomo e una donna divisi e forse  uniti dal gioco, il gioco delle carte.
    Ora  comparse ora scomparse le carte mettono “in gioco” questa coppia che si muove  negli interni di un appartamento metropolitano. 
    Quando si  alza il fatidico muro nei rapporti   interpersonali, nello specifico, nel rapporto di coppia, si creano  situazioni di appannamento, come si può evincere nelle sequenze visive dei  primi fotogrammi del lavoro di Milo Busanelli , dove  le sequenze iniziali ben si collegano con  quelle finali, dove l’altra parte, la lei, esterna la sua disperazione con una  esclamazione :  « ... non sento !...» ,  quindi manifestando con sorpresa quelle sensazioni emotive che forse  accompagnavano lo status emozionale   dell’altra parte, il lui che nelle scene iniziali cercava un contatto  con l’altra metà senza avere dei cenni di risposta. 
    Un lavoro  psicologico, reale sulla chiusura della comunicabilità .        
    Il  risultato e a metà tra il pasticcio appunto metropolitano ed un ibrido di  azioni e reazioni non risolto e non risolvibile. 
    Potremmo  dire un cortometraggio postmoderno. Antonella Questa presenta  "L'OCCASIONE", un corto basato su una storia che si svolge in un  autogrill, nel quale avviene una scena di corteggiamento che non si  concretizza. 
    La Questa  avrebbe potuto essere ancora più caustica mettendo in scena un ambulanza che  porta via il corteggiatore ma a preferito farlo affogare con una caramella, il  risultato non muta e ci regala un opera gradevole e godibile. 
    Occasione  naturalmente e il fatto che ci sia una ragazza, dentro l'autogrill, che  risponda alle attenzioni del corteggiatore.  
    Il lavoro  di Lorenzo Seccia con "PASTA, RUCOLA E PATATE", è una messa in scena  di una finta ricetta come  nei talk show  televisivi, la ricetta del titolo ci viene fornita interamente ed il risultato  risulta la comune condizione di telespettatori che credono a tutto quello che  viene loro detto dal tubo catodico. 
    Per  chiudere Alberto Carbone propone "RIFLESSIONI" ovvero il riflesso che  non riflette più il riflettente, in una camera da bagno. Gioco di specchi e  gioco di forma e sostanza, insomma  puro  cinema fatto di invenzione. 
    Ed il  corto finale quello di animazione realizzato da   Andrea Princivalli e Francesca Tosetto dal titolo  "SCARABOCCHIO". 
    Un lavoro  costituito da uno spot realizzato per l'UNICEF che riesce anche a strappare un  sorriso per le morbide attitudini emotive messe in scena da un bimbo disegnato  ed animato molto bene. 
    La sesta  edizione del festival Hypergonar ha cosi presentato cortometraggi di autori  provenienti da varie realtà  italiane non  privilegiando nessuna regione in particolare. 
    Alla fine  quello che  venuto fuori e un panorama di  cinema indipendente ancora tutto da scoprire nelle sue potenzialità e che  potrebbe dare frutti molto importanti. 
    Anche i  generi tradizionali del corto sono stati rappresentati degnamente a  testimonianza di un impegno, quello del sodalizio culturale reggino che va  sempre nella direzione di cercare il meglio per le proprie manifestazioni.
  Confermata  la vocazione di Hypergonar Fest quale vetrina nazionale sul cortometraggio che  mantiene viva la curiosità per la produzione culturale cittadina, soprattutto  giovanile. 











