




Il Museo Nazionale della Magna  Grecia di Reggio Calabria ha ospitato il convegno internazionale organizzato  dal sodalizio reggino che risalta   certamente,  oltre che per  l’interesse del tema trattato soprattutto per la presenza,  come ospiti del Circolo Culturale L’Agorà, di  due personalità di elevato profilo istituzionale e culturale: si tratta di S.E.  Istvàn Kovacs, Ambasciatore della Repubblica di Ungheria in Italia (presenza inedita  del massimo esponente della diplomazia magiara nella nostra città) e del prof.  Làszlo Cszorba, Storico e Direttore dell’Accademia d’Ungheria. La manifestazione è stata  organizzata, nell’occasione del 50° anniversario di quella rivoluzione dal  Circolo Culturale L’Agorà, con il proprio   Centro Studi “Árpàd” (dal nome della dinastia ungherese che si imparentò  con gli Angioini di Napoli) ed in collaborazione con ’Accademia d’Ungheria e  col  patrocino del Comune di Reggio  Calabria e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali –  Archivio di Stato di Reggio Calabria. E’ una circostanza certamente  singolare che un evento della storia europea del ‘900 sia stato trattato, a  così alti livelli proprio, nella città di Reggio che, sebbene geograficamente  lontana dalla mitteleuropa è stata nell’antichità una delle colonie della  Magna-Grecia in cui vennero elaborati i presupposti culturali della civiltà  europea ed occidentale, ed ancora oggi si contraddistingue per una notevole  vivacità culturale, oltreché, purtroppo, per altri primati negativi. E a tal proposito si potrebbe  aggiungere che l’anelito alla libertà ed all’affrancamento dalla dittatura  sovietica che espresse il popolo ungherese in quei tragici fatti del 1956, è lo  stesso sentimento che anima molti calabresi e meridionali, soprattutto giovani,  desiderosi di affrancarsi dalla “dittatura” di certi poteri criminali che hanno  insanguinato il nostro passato lontano e recente e costituiscono spesso un  serio limite alle libertà individuali e ad un sano sviluppo della nostra  società. Si è voluto così  continuare a percorre la strada della memoria  storica rivolta alla terra d’Ungheria, anche sulla base dei risultati di  un  precedente convegno “Le milizie  ungheresi e slave nella Calabria medievali” che ha trattato i rapporti storico  culturali tra il territorio calabrese e meridionale ed i popoli e  regnanti magiari nel periodo medievale. In quell’incontro si è ricomposto  un mosaico di memorie storiche che testimonia il passaggio di quelle  popolazioni e di cui rimane traccia in alcuni aspetti toponomastici, nomastici,  architettonici e agiografici. La manifestazione odierna, di alto  rilievo culturale, è stata  preceduta da  una visita presso l'Ambasciata della Repubblica di Ungheria dove si è tenuto un  incontro tra l'alto rappresentante magiaro dott. Istvàn Kovàcs ed il presidente  del Circolo Culturale L'Agorà Gianni Aiello. Oggetto della conversazione,  svoltasi in un clima cordiale, è stata la definizione ed organizzazione  del convegno reggino, e oltre  a delineare nello specifico le varie fasi del  conferenza, è  servita a rinsaldare  i   legami di amicizia e collaborazione tra il  sodalizio reggino e la prestigiosa  sede istituzionale magiara. Hanno aperto i lavori del  convegno i saluti dela Soprintendente   Reggente ai BB.CC.AA. della Regione Calabria Annalisa Zarattini, la  quale ha dichiarato innanzitutto di trovare quasi commovente la volontà di fare  cultura dentro il museo, che è uno dei custodi delle memorie storiche del  nostro territorio, ed ha anche  auspicato  il proseguire di  iniziative come queste.  É quindi seguito l'intervento del  Direttore dell'Archivio di Stato di Reggio Calabria  Lia Baldissarro: «Ringrazio il Circolo  Culturale L’Agorà per la possibilità che ci dà per conoscere un popolo amico  perché la conoscenza è alla base di ogni amicizia, perché chi si conosce si può  reputare amico. E l’amicizia nasce dalla conoscenza dei limiti e dalla  comprensione reciproca. Quindi conoscenza equivale amicizia. Quindi quanto  facilmente si possono coltivare le amicizie tra le persone tanto facilmente si  possono creare le amicizie tra le Nazioni, quindi attraverso lo studio, nelle  tradizioni, della storia degli altri popoli che permette che questo sentimento  sia saldo. Nell’Archivio di Stato di  Reggio Calabria noi abbiamo non numerosissimi ma una buona quantità di  documenti che dimostrano qui rapporti esistenti tra quella che era l’Italia, il  Regno di Napoli prima e l’Italia unita dopo e l’Ungheria. E soprattutto dimostra un  comune denominatore e in molti tratti della storia, fatto stesso che le nostre bandiere  sono uguali nei colori, anche e con disposizioni diverse significa che le due  nazioni hanno combattuto per la libertà, l’indipendenza, alla stregua e con la  stessa forza, io ritengo.
  I documenti riguardano il  periodo angioino, quindi quello medievale, per poi passare a quello  rinascimentale, quello risorgimentale per poi terminare con i documenti che  riguardano i fatti, argomento dell’importante manifestazione che si terrà oggi  presso la prestigiosa sede istituzionale e relativi ai fatti della rivoluzione  ungherese del 1956 e quindi alla profonda reazione che la popolazione italiana  ebbe a seguito di quei tragici fatti». Prima di affrontare le  argomentazioni trattate dal sodalizio reggino, ci sembra opportuno fare qualche  passo indietro nel tempo, per capire come e perchè si arrivò a quei tragici e  nel contempo eroici fatti che si verificarono in terra magiara e che furono i  primi sintomi di insofferenza verso il regime comunista sovietico che ne  causarono la prima vera crisi politica internazionale dello stalinismo  post-bellico.   Risulta interessante vedere le  posizioni sia degli USA che dell’URSS e come si giunse alla strutturazione dei  due blocchi e di conseguenza alle “tensioni” che quello stato di fatto venne a  creare. Tra le due super potenze  vincitrici, sicuramente fu l’URSS quella che dal secondo conflitto   mondiale uscì con un bilancio non  incoraggiante, caratterizzato da 18 milioni di morti e diverse città sotto le  macerie in quanto dilaniate dai combattimenti con la Germania nazista e  nonostante tali effetti devastanti, ebbe il merito di una rapida ripresa,  grazie anche all’attuazione della politica di indebolimento dei territori  occupati a favore del territorio sovietico. Strumento questo atto ad una  rapida ed efficace manovra per la propria ripresa industriale ed economica e di  conseguenza vennero imposte dure sanzioni agli ex alleati della Germania  (Ungheria, Romania e Bulgaria) che vennero indebolite nelle risorse  finanziarie, nelle derrate agricole e soprattutto nelle aree industriali che  dopo il loro smantellamento dai territori di origine, trovarono successiva  ubicazione logistica in quello dell’URSS.  Tali situazioni determinarono il  rinnovo dei quadri dirigenziali dei paesi satelliti ed il conseguente “cambio”  dei funzionari polacchi, bulgari, cecoslovacchi, ungheresi, rumeni “non  allineati” al sistema del blocco sovietico e la fase della collettivizzazione  economica, il COMECON strumento grazie  al quale l’URSS si assicurò il controllo delle economie dei paesi  satelliti.  Gli USA furono l’unico paese che  alla fine del secondo conflitto mondiale ebbe notevoli vantaggi in tutti i  campi da quello militare, non avendo avuto nessun tipo di problema logistico,  cosa che ebbero gli altri alleati, quali bombardamenti, occupazioni, a quello  economico anche in virtù che il dollaro statunitense sarebbe divenuta l’unica  moneta a poter essere convertita in oro. Altri capitoli di notevole  riscontro effettuati dall’amministrazione statunitense del dopo furono la NATO, la creazione di due nuovi istituti  economici internazionali, quali la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario  Internazionale: tali strumenti avevano il compito di effettuare una politica di  prestiti finanziari a tasso agevolato per lo sviluppo dei paesi più arretrati,  come il “Piano Marshall“ , utile strumento per la ricostruzione economica  dell’Europa che ebbe anche un ruolo influente sulla politica economica delle  nazioni che ne fecero utilizzo e di conseguenza fu anche una diga atta a  frenare l'espansione dell'URSS, tanto che il governo di Mosca non permise alla  Cecoslovacchia ed alla Polonia di poterne usufruire. Si  crearono   quindi  due blocchi: quello occidentale (USA) e quello orientale (URSS) con le rispettive zone d'influenza,  di cui il primo fondava i suoi presupposti su una economia capitalista mentre  l'altro su una economia statale, ma i entrambi i casi i paesi che vi aderirono  erano dei  satelliti nei confronti delle  due grande orbite d influenza sia militare che economica. Alla creazione  dell'istituto economico della NATO seguì  quello militare del PATTO ATLANTICO (1949) e successivamente all'entrata della  Germania Ovest (1955), qualche settimana dopo l'URSS rispose con il PATTO DI  VARSAVIA cui aderirono Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia,  Repubblica Democratica Tedesca, Romania ed  Ungheria. C'è da evidenziare che vi furono  delle scelte coraggiose, visti anche i tempi e le situazioni logistiche, atte  al non allineamento ad uno dei due blocchi, come la Jugoslavia di Tito che  non  vi  aderì, optando  la sua scelta  politica-economica indirizzata  alla "via nazionale del socialismo"  e  preferendo di continuare il proprio  personale percorso governativo sia nella politica interna che in quella estera,  posizionandosi quindi in  una sorta di  corridoio neutrale tra Est ed Ovest. Quindi lo scenario diplomatico  tra i Paesi vincitori , dopo la conferenza di Jalta, la geopolitica non fu  sicuramente la stessa anche in virtù di un'ondata di arresti e persecuzioni avvenute in Bulgaria, Romania ed in Polonia  (le condanne eccellenti del bulgaro Traicho Kostov ed il rumeno Lucrețiu Pătrășcanu, mentre il  polacco Władysław Gomułka venne semplicemente arrestato)   l'esercito sovietico fece relegare nelle galere i vertici  dell'Armia Krajova, la principale formazione  polacca anti-nazista, per non parlare dell'occupazione miliare di Trieste e  Pola da parte dell'esercito jugoslavo, mentre a riguardo l'Ungheria ecco cosa  ebbe a pubblicare  in data 16 aprile del  1948 il quotidiano Continental News Service:“Il lunedì di Pasqua fu  decretato giorno festivo. Approfittando del fatto che i lavoratori non erano  nelle aziende, i funzionari governativi vennero a prenderne la direzione. Il  giorno dopo i lavoratori trovarono un nuovo padrone”. Di conto nell’America latina gli  USA “riequilibrarono” alcuni assetti amministrativi come quelli avvenuti  a Cuba nel 1952 con Fulgencio Batista, in Guatemala nel 1954 con Carlos Castillo Armas, in Germania il partito comunista venne bandito e negli Stati Uniti vi fu la  duplice condanna a morte sulla sedia elettrica dei coniugi Julius ed Ethel  Rosenberg, accusati di spionaggio   filo-sovietico, sentenziata nel penitenziario di Sing Sing  nello Stato di New York, il 19 giugno del  1953.   Altro tassello di non secondaria  importanza fu quello rappresentato dalla crisi di Suez, ma anche quelli inerenti al malumore che serpeggiava nella classe operaia dei  territori dell'Europa orientale nei confronti dei quadri dirigenziali, come quelli 
 registratisi a Berlino Est il 17  giugno del 1953, quelli  a Poznan del 28 giugno 1956 che  registrarono la morte di circa cento operai: furono questi i primi ma chiari  segnali di insofferenza nei confronti della politica moscovita, così come  avvenne nella fabbrica di automobili di   Csepel (quartiere a sud di Budapest) ma anche ad Oz, Diosgyor,  situazioni queste che indebolirono l'amministrazione magiara di János Kádár,  favorendo quindi, l'ascesa della corrente   politica di Imre Nagy.  Questo stato di cose scaturisce anche  dai risultati del XX Congresso del PCUS che si tenne a Mosca dal  14 al 25 febbraio dello stesso anno.  
  Al plenum parteciparono i massimi rappresentanti dei partiti comunisti  della terra, tra i quali  Palmiro  Togliatti che appena " ... tornato in  Italia  tace sul rapporto segreto di  Kruscev e romperà il silenzio, con parole molto caute e ben calibrate, solo nel  giugno quando la denuncia dei crimini di Stalin appare sulle pagine dei  quotidiani di tutto il mondo. La prudenza, una   prudenza ossessiva, ma indispensabile per sopravvivere ai vertici del  mondo comunista, è forse il motivo più convincente per spiegare l'atteggiamento  di Togliatti che ha passato incolume vent'anni della sua vita - gli anni del  terrore staliniano - nell'olimpo comunista, a stretto contatto con il  dittatore sovietico. .. " (1) Memorabili rimasero le parole che  il segretario generale del PCUS ebbe a pronunciare ai presenti  ma nel contempo la denuncia che fece al  mondo  intero:” Compagni! Il culto  della personalità ha causato la diffusione di principi errati nel lavoro del  partito e nell’attività economica, ha portato alla violazione delle regole  della democrazia interna al partito e dei soviet …, a deviazioni di ogni sorta  che dissimulavano le lacune e coprivano la verità”. In Ungheria, il capo del Partito Mátyás Rákosi riabilitava (29 maggio) il  ministro degli interni László Rajk  ed il 6 ottobre ne venne officiata  la sua commemorazione alla quale assistettero   diverse migliaia di partecipanti, le cronache ne annoverano le presenze  al funerale di 200.000 persone che ad esequie finite marciarono compatte  inneggiando alla fine dello stalinismo. La reazione nei paesi satelliti  fu diversa da stato a stato: per la DDR si trattò semplicemente di distanziarsi  dalla linea tenuta da Stalin, in Polonia invece si respirava un clima di  insoddisfazione per l’aumento dei prezzi e per il crollo del potere d’acquisto,  così come in terra magiara dove i  “collaborazionisti”  del regime sovietico guadagnano 10.000 fiorini mensili mentre mese  un operaio un impiegato non superava i 600  fiorini. Nel luglio del 1956 Rákosi venne  nuovamente costretto ad abbandonare il governo e  nell’estate dello stesso anno si assistono a  numerosi fermenti come quelli studenteschi e quelli gravitanti nella sfera  degli intellettuali come il Circolo Petöfi dove si tenevano le riunioni degli  studenti che in precedenza il governo tentò di vietare. Tale  associazione culturale era costituito da  componenti facenti parte della sezione giovanile del Partito dei Lavoratori  Ungheresi. A tal proposito in una riunione  organizzata il 22 ottobre il sodalizio culturale ungherese stila il programma  in favore  della classe lavoratrice:  " [...] il Comitato Centrale e il Governo devono assicurare lo sviluppo  della democrazia socialista con tutti i mezzi possibili, sostenendo le  legittime aspirazioni della classe operaia, introducendo l'autogestione delle  fabbriche  e istituendo una vera  democrazia operaia [...]". (2)   La svolta avviene all’imbrunire  del 23 ottobre, quando durante un'imponente manifestazione gli studenti  dell’Università Tecnica fecero un raduno in piazza Josef Bem per solidalizzare  con il leader polacco Wladysaw Gomulka autore di numerose riforme atte ad una  "via polacca al socialismo": la manifestazione attirò una  folle numerosa e ben prestò si trasformò in un corteo che si snodò per le vie  di  Budapest, chiedendo il ritorno di  Nagy alla guida del paese: fu la primavera di autunno. Il pacifico corteo venne  bruscamente interrotto dalle armi da fuoco delle forze dell’ordine di sicurezza  (Államvédelmi Hatóság o ÁVH) lasciando sull’asfalto molte vittime. L’AVH aveva sede al numero civico  60 di viale Andrássy sede del partito delle Croci Frecciate  prima e dell'ÁVH poi, è oggi sede del  Museo  “Terror Háza”: ” [ …]  il comando dell’Ávo era al numero 60 del  viale Stalin, uno degli indirizzi più eleganti di Budapest: era stato la sede  del comando delle Croci Frecciate. Per diciotto   mesi, dopo la «liberazione»  per  ordine di Rákosi il partito comunista arruolò molti elementi delle Croci  Frecciate nell’organizzazione privata di sicurezza che stava organizzando per  se stesso [ …].  All’esterno, il numero 60  assomigliava a qualunque altro elegante palazzo per uffici. Le auto dell’Ávo –  sempre Pobeda nere con le tendine ai finestrini – scaricavano le persone  arrestate in una strada laterale, via Csengőry, entrando da un portone  in un cortile che a prima vista sembrava del tutto innocuo. Tuttavia, su uno  dei lati del cortile l’Ávo aveva eretto un muro alto sei metri e piazzato una  torretta di sorveglianza con una mitragliatrice presidiata ventiquattro ore su  ventiquattro. All’interno di questo mondo  c’erano celle umide, camere di tortura con equipaggiamento che andava dalle  fruste alle morse per le unghie e dagli sfollagente agli elettrodi.  Negli scantinati c’era il  terribile lefolyó, un bagno di acido nel quale i resti delle vittime venivano  scaricati nel sistema fognario principale della   città […]”  (3). Dopo l'inizio degli scontri la  reazione fu imminente: ogni monumento che riecheggiava l’amministrazione  staliniana venne rovesciato o fatto a pezzi come la statua di Stalin (simbolo  di un regime di bugie che si proclamava una “dittatura del proletariato” e una  “repubblica popolare”), venne assaltata la sede della radio e nel contempo gli  operai delle fabbriche d'armi rientrarono sul posto di lavoro per prendere  tutto ciò che occorreva per distribuirlo alla popolazione per difendersi: era  l'inizio della rivoluzione che ben presto si estese in tutta la nazione magiara  con le relative azioni  repressive da  parte delle forze dell’ordine. Il governo presieduto dagli  stalinisti Ernő Gerő (segretario del partito) ed András Hegedűs venne sciolto ed  il giorno successivo Imre Nagy viene nominato Primo Ministro, anche se i  patrioti  avevano designato come primo  ministro Dudás József, uno dei leaders della rivolta. Il 25 ottobre il colonnello Pál Maléter , seguito da vaste schiere dell’esercito s’unisce agli insorti, tutto  questo stato di cose costrinse l’Armata Rossa il 29 Ottobre di abbandonare,  anche se momentaneamente Budapest. Ma ciò non ebbe i gli auspici  sperati ed il giorno successivo iniziò lo sciopero generale indetto dai neo  eletti consigli della classe operaia. Il primo novembre, con questa operazione, la nuova classe politica tentò un nuovo corso che suscitò una sura reazione del Cremlino, che  inviò il 2 novembre diverse unità del KGB che  stazionavano nei dintorni dell'aeroporto della capitale magiara. All'alba del 4 dello stesso mese, l'Armata  Rossa  non tenendo conto delle  trattative in corso tra Imre Nagy e Yuri Andropov, occupò i punti strategici  di Budapest. Successivamente una lunga serie  di incursioni aeree, bombardamenti di artiglieria pesante, insieme all’impiego  di miglia di tank sovietici che fronteggiarono in una impari lotta che provocò  diverse rovine e lutti che proseguì per altri quattro giorni cui parteciparono  anche componenti dell'ÁVH, riorganizzato come milizia dal “rientrato” governo  Kádár: la rivoluzione ungherese venne repressa nel sangue! Premesso tutto ciò si passa ai lavori del convegno che  sono stati  coordinati dal Presidente del Circolo Culturale L'Agorà Gianni Aiello che ha  aperto il suo intervento riportando quanto recentemente  espressogli sull'argomento da un' ungherese  attualmente residente a Budapest: «si, quel periodo della storia ungherese è  molto triste. Il regista Andy Vajna sta facendo un film ora, con americani, che  uscirà nelle sale  cinematografiche il 23  ottobre, il giorno della commemorazione di questo evento -  non vedo l'ora di vederlo, perché forse lo  sai, da noi non hanno insegnato questa storia nella scuola, tutto era vietato,  per colpa del governo. Quindi, abbiamo  studiato quello che hanno chiesto di insegnare, ma ora tutto è cambiato. Io ho  parenti in Inghilterra che hanno scelto di scappare da qui, quando erano  17enni:, cosa molto triste». Gianni Aiello  ha quindi proseguito chiedendosi  «se fosse stato interessante chiedere a  cinquant'anni di distanza cosa ne avrebbero pensato, se ancora in vita i vari  Togliatti , Giuliano Pajetta che  durante  un suo intervento nei confronti  del Ministro degli Esteri Gaetano Martino ebbe a dire [...]Viva l'Armata Rossa [...]"), o conoscere il ruolo di Togliatti e le motivazioni che lo  indussero a dirigersi tra il 22 ed il 24 ottobre dello stesso anno a Pola per  incontrare  gli alti dirigenti del  partito jugoslavo, Tito e Miciunovich». «Mi domando pure cosa possa  pensarne - prosegue Gianni Aiello- l'attuale Presidente della Repubblica  Italiana, Giorgio Napolitano, che in quell'occasione, da giovane militante  comunista, aveva approvato la repressione dei patrioti magiari contro la  dittatura sovietica, con il suo bilancio di sangue che in cinque mesi vide  migliaia di vittime, di deportati molti senza  ritorno e delle centinaia di esecuzioni». Tra gli interrogativi posti  all’uditorio da parte di Gianni Aiello vi è anche quello relativo al ruolo che  ebbe la Jugoslavia in quei tragici fatti, visto che c’è da registrare  l’arresto  di Imre Nagy presso la stessa  ambasciata il 24 novembre. Naturalmente l’intervento  sovietico in Ungheria creò delle lacerazioni all’interno della sinistra anche  in Italia “[...] durante il 1956, la denuncia di Stalin da parte dei comunisti  sovietici e, più tardi, l’invasione dell’Ungheria, convinsero finalmente il  leader del  Psi Pietro Nenni che fosse  giunto il tempo di riallacciare i rapporti con i centristi del Psdi e di  riesaminare la strategia globale delle alleanze. Così forti erano i legami tra il  Pci e il Psi che neanche l’invasione dell’Ungheria fu condannata all’unanimità. All’interno del Psi, un piccolo  gruppo di estrema sinistra con a capo Emilio Lussi approvò l’invasione e anche  il la più ampia e principale fazione di sinistra, guidata da Lelio Basso e  Tullio Vecchietti, non riuscì a decidersi sulla condanna della presenza dei  carri armati sovietici a Budapest per paura di fare il gioco destra: entrambi i  gruppi si guadagnarono l’epiteto di «carristi». L’Ungheria, ad ogni modo, fece da  catalizzatore per il divorzio tra il Psi e il Pci, evento di enorme importanza  per il corso successivo della politica italiana. La divisione della sinistra è  stato il più importante singolo fattore tra quelli che hanno determinato la  persistenza del potere democristiano in Italia [...]” (4).   Quei fatti crearono delle forti  spaccature nella sinistra: infatti la redazione romana de L'Unità ebbe a  cestinare un documento redatto dalla  Federazione giovanile comunista, documento che invece viene  pubblicato da l'Avanti. A Milano un altro documento  redatto da un gruppo di intellettuali di cui facevano parte Rossana Rossanda e  Giangiacomo Feltrinelli non viene pubblicato dalla redazione milanese de  L'Unità. Raymond Aron nel suo celebre  saggio del 1957 “La Révolution Hongroise – Histoire du Soulèvement d’Octobre  d’après les documents, les dépêches, les rapports des témoins oculaires et les  réactions mondiales réunis par Melvin J. Laski et François Bondy pour l’édition  française“ fa risaltare le pertinenze della rivoluziona antitotalitaria  evidenziandone  la tipologia  socialista  e democratica. A lui possiamo tranquillamente  affiancare la figura di Indro Monatanelli, che fu a  Budapest in qualità di inviato del Corriere  della Sera che descrisse quei tragici momenti ed a tal proposito risulta  interessante analizzarne qualche passaggio e rimandando al lettore di questo  resoconto alla visione dell’articolo in cui si narra della storia della  battaglia di Budapest: “[...] dieci divisioni corazzate precipitavano sulla  capitale. I carri armati vi entrarono alle sei e un quarto e fu una  terrificante colata di acciaio. Venivano da tutte le direzioni, sempre  accompagnati da quel cupo rombo di artiglierie, e dilagarono sui grandi viali  che menano al centro, affiancati tre per tre, con i vetri delle finestre  tremavano sotto il loro sferraglio. E credo che in tutta Budapest non ci fosse  in giro, in quel momento, una sola persona. Sembrava una necropoli dissepolta.  Di vivo, non c'erano che le bandiere pendule ai balconi leggermente mosse dal  vento, con lo stemma di Kossuth al posto della stella rossa (e ci sono sempre  rimaste)…[…] …Quanto alle perdite, si calcola sui quindicimila morti e  sui cinquantamila feriti. Ma chi è andato a fare il conto casa per casa? (...)  Solo mercoledì sera si ebbe la sensazione che stava per finire. E ci  si ritrovò tutti nell'ufficio del ministro,  davanti alla radio. Captammo Roma.  Trasmettevano  il discorso del ministro  Martino. Un bel discorso. Ma, a chiusura, udimmo il grido lanciato in aula dai  deputati comunisti: «Viva l'Armata rossa!». A pochi passi da noi, l'Armata  rossa stava mitragliando nelle cantine gli  operai e gli studenti di Budapest, rimasti senza [...]” (5) Dal canto suo Michel Cardoza,  esponente della sinistra francese ebbe ad affermare che ciò che accadde a  Budapest ha mostrato la violenza che manifestò quel regime e di conseguenza il  tramonti di quegli ideali. Nella rivista bolognese “Officina”,  fondata nel 1955, Pierpaolo Pasolini con Francesco Leonetti e Roberto Roversi,  iniziò un interessante rendiconto critico con la sinistra a riguardo della  repressione sovietica . La CGIL prese posizioni a favore  degli insorti:  "La Chiesa  Cattolica, da Pio XII al cardinal Mindszenty (rinchiuso per anni  nell'ambasciata Usa) al futuro pontefice Montini si schiereranno espressamente  a difesa della libertà del popolo ungherese”. Ma vi erano anche coloro che  sostennero tale repressione come i componenti più radicali del PCI. Tra questi  Palmiro Togliatti che disse: «[...] é mia opinione che una protesta contro  l'Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta, nel nome  della solidarietà che deve unire nella difesa della civiltà tutti i popoli[...]  », anche l'Unità, diretta da Pietro Ingrao, si   allineò al pensiero del  partito  comunista sovietico e definì la rivoluzione ungherese come  «sommossa controrivoluzionaria », lo  stesso Togliatti incitava attraverso una fitta rete epistolare i vertici del  PCUS a reprimere la resistenza magiara . Luigi Longo sostenne la tesi  della rivolta fascista: «[...] l'esercito russo è intervenuto in Ungheria  allo scopo di ristabilire l'ordine turbato dal movimento rivoluzionario che  aveva lo scopo di distruggere e annullare le conquiste dei lavoratori [...]»  . Successivamente a tali scelte si registrò nel  partito comunista italiano negli anni un brusco calo nelle iscrizioni ed anche nelle  dimissioni come quelle eccellenti come Antonio Giolitti, Eugenio Reale, Vezio Crisafulli, Fabrizio Onofri,  Natalino Sapegno, Domenico Purificato, Antonello Trombadori, Carlo Muscetta, Loris Fortuna. Gli eventi avvenuti nel 1956  crearono quindi una profonda crisi internazionale che si identificò nei suoi  vari aspetti del pensiero politico, in quello economico, diplomatico e  naturalmente anche negli equilibri militari. La penisola italiana fu  interessata da una profonda crisi che avvolse i partiti della sinistra del  Paese quali il PCI, ed il PSI che cominciarono progressivamente ad allontanarsi  su posizioni differenti a riguardo ciò che accadeva in terra magiara, cosa che,  come si è visto, interessarono anche la sfera sindacale, culturale e  studentesca italiana che criticarono aspramente le posizioni del partito di  Palmiro Togliatti. Anche nella città di Reggio  Calabria vi furono una serie di importanti avvenimenti che animarono il  dibattito politico e culturale non solo sul territorio comunale, ma anche in  quello della provincia, come attestano numerosi documenti del periodo e dei  quali, alcuni di essi sono stati visionati e commentati per l'attento e  numeroso pubblico accorso alla manifestazione culturale organizzata dal  sodalizio reggino. Gianni Aiello ha accennato anche  ad una seduta della Giunta del Municipio di Reggio Calabria in cui un giovane  consigliere, il geometra Piero Battaglia ebbe a dire "[...] nessuna  dittatura sarà mai capace di soffocare il diritto della persona umana a vivere  liberamente. Gli operai, gli studenti, caduti sotto il piombo della  repressione, hanno sacrificato la loro esistenza non già per l'instaurazione  dei privilegi, ma per ottenere l'indipendenza del loro Paese, una giustizia  sociale, un libertà politica e libertà   di coscienza [...]" ed anche del Consigliere Diego Andiloro  "[...] le dittature, di qualsiasi colore e da qualsiasi punto  provengano, hanno un punto unico di congiungimento: la violenza, la repressione  della dignità umana, la violenza che sopprime la giustizia. Le dittature  non  riusciranno mai a fermare il corso  della storia [...]" . Il socio del sodalizio  reggino  Alberto Cafarelli, nel corso del suo  intervento, ha fatto una interessante disamina dei fatti antecedenti  ai tragici avvenimenti del 1956 descrivendo  la posizione geo-politica dell'Ungheria a partire dalla fine del primo  conflitto mondiale.  Questo aveva determinato  il crollo dell'Impero Austro-Ungarico e  portato al disastro con un bilancio pesantissimo di oltre tre milioni tra morti  e feriti, continue crisi economiche e   sociali che condussero la già provata nazione alla "Rivoluzione  delle rose d'autunno" del 16 ottobre 1918.   Il governo provvisorio venne  affidato al conte Mihály Károlyi, che fu il fautore della "Repubblica dei  consigli" (1919) dietro la spinta politica del Partito dei Comunisti  ungheresi guidata da Béla Kun. La Repubblica dei Consigli, che  aveva tentato di eliminare le ingiustizie sociali e i gravi problemi  accumulati, durò appena 133 giorni, travolto dall’intervento armato  dell’esercito controrivoluzionario dell’ammiraglio Miklós Horthy che, occupata  Budapest diventò reggente d’Ungheria. Fu Horthy a firmare il trattato  di pace di Trianon (1920). Dopo la fine delle ostilità  l'Ungheria ebbe a subire le conseguenze del Trattato del Trianon (firmato il 4  giugno del 1920 nel Palazzo omonimo nella Reggia di Versailles) che sancì la  dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico ed a seguito di ciò la nazione magiara  ebbe a perdere la Transilvania (Romania), la Croazia,  Slavonia, Vojvodina e Bosnia (Serbia), la  Slovacchia (Cecoslovacchia) e sempre al territorio boemo venne annesso il  territorio della Rutenia Carpatica con il trattato di Saint-Germain del 1919 . A seguito dello stesso trattato  gran parte del territorio del Bungerland, dopo lo svolgimento di un referendum,  effettuato nel 1921, venne assegnato all’Austria. Come conseguenza, oltre quella  del territorio, che venne ridotta di due terzi,   vi fu anche quella della popolazione che dai 19 milioni passò a 7  milioni. Nel 1937 il Parlamento ungherese  concede una serie di mandati a  Miklós  Horthy che aumentando i suoi poteri strinse degli accordi diplomatici con la  Germania nazista, nella speranza di recuperare alcune delle perdite  territoriali dovute al Trattato di Trianon , conseguenza della sconfitta della  I guerra mondiale. L'atteggiamento del popolo  ungherese nei confronti dell’alleato nazista non era del tutto idilliaco,  infatti tale attitudine può essere riassunta in una frase del conte Pál Teleki,  capo del governo ungherese nel 1941, “[...] se la Germania perde perdiamo,  se vince siamo perduti [...]”.  Il premier ungherese venne  ingannato dal conte István Csáky, capo del personale diplomatico, che consentì alle  truppe naziste dì attraversare l’Ungheria per invadere la Jugoslavia. A seguito di ciò il  Conte Pál Teleki  si tolse la vita. L'Ungheria avendo guadagnato dei territori   entrò infine nella II  guerra mondiale nel 1941. Pur avendo raggiunto ciò che si era prefissa, la  posizione politica di Miklós Horthy nei confronti del nuovo alleato non fu pienamente  soddisfacente ed attuò in parte il programma precedentemente concordato  applicando la politica antisemita degli Ebrei ungheresi verso i campi di  sterminio, causando la deportazione di 400.000 ebrei ungheresi e diverse decine  di migliaia di zingari persero la vita nei campi di sterminio nazisti. Nell'ottobre 1944, Hitler  rimpiazzò Horthy con il collaboratore nazista ungherese Ferenc Szálasi e il suo  partito delle Croci Frecciate, allo scopo di evitare la defezione dell'Ungheria  a favore degli Alleati. Il 4 aprile del 1945 l’esercito  ed il popolo ungherese, guidati dal partito delle croce frecciate si arresero,  dopo una ferma resistenza, quando tutta la nazione era nelle mani delle forze  di occupazione. Si giunse alla stipula del  secondo Trattato di Vienna, con il quale l’Ungheria ebbe buona parte dei  territori precedentemente persi, in data 30 agosto del 1940 nel Palazzo del  Belvedere di Vienna e sottoscritto dal ministro degli esteri tedesco Joachim  von Ribbentrop, da Gaelazzo Ciano per la parte italiana, il conte Istvàn Csàky  per la parte ungherese e per quella rumena da Mihail Manoilescu. Ciò costrinse la Romania alla  restituzione della Transilvania settentrionale all’Ungheria che a sua volta,  successivamente alla II guerra mondiale, si rivide ridimensionata ed i confini  vennero ripristinati in modo quasi identico a quelli del 1920, come deciso nel  trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 che ripristinò i vecchi confini sanciti  dal Trattato del Trianon, dichiarando tra l'altro (parte I, art. 1, comma 2)  che “[...] le decisioni dell’Arbitrato di Vienna del 30 agosto 1940 sono  dichiarate nulle. La frontiera tra l’Ungheria e la Romania è ricostituita come  era al 1° gennaio 1938 [...]”. Durante le elezioni del 4  Novembre 1945 vi fu un tonfo per i comunisti, che ottennero, nonostante la  minacciosa presenza dell’Armata Rossa soltanto il 17% dei voti, furono un  trionfo per il partito dei piccoli proprietari, che raggiunse il 57% dei  suffragi. Il leader dei piccoli  proprietari, Ferenc Nagy, fu costretto all’esilio, il suo successore, Kovacs,  venne semplicemente arrestato dall’Armata Rossa e successivamente a tali fatti  venne nominato a capo del governo il comunista László Rajk che nell'ottobre del  1949 venne condannato a morte per alto tradimento, insieme ad altri esponenti  comunisti, e successivamente impiccato. Le successive elezioni, tenutesi  il 31 Agosto 1947, confermarono la forza d'animo e il saldo desiderio di  libertà del valoroso popolo ungherese. La coalizione anticomunista  ottenne il 45% dei voti, che sommato all’incredibile 8% del partito  nazionalista dava ai movimenti della libertà la maggioranza assoluta. I comunisti, che avevano ottenuto  il 22% dei consensi, sfogarono, col sostegno dell’Armata Rossa, la loro  frustrazione sull’inerme popolo magiaro, si moltiplicarono i soprusi, le  calunnie, gli arresti immotivati e gli esili. Nelle elezioni del 15 Maggio del  1949 i comunisti riuscirono finalmente a spuntarla.  Il 15 maggio 1955 venne firmato  il Trattato dello Stato Austriaco, che poneva fine all'occupazione alleata  dell'Austria, e costituiva una nazione indipendente e demilitarizzata.  Come diretta conseguenza, il 26  ottobre 1955 l'Austria  dichiarò formalmente la propria neutralità.  Il trattato e la dichiarazione  cambiarono significativamente i calcoli della pianificazione militare nella  Guerra Fredda in quanto creavano un cordone neutrale che spaccava la NATO da  Vienna a Ginevra, e aumentava l'importanza strategica dell'Ungheria per il  Patto di Varsavia. Il 18 luglio Mátyás Rákosi -  "il miglior discepolo ungherese di Stalin" - fu costretto a  dimettersi da Segretario Generale del Partito Comunista Ungherese, e venne  rimpiazzato da Ernő Gerő, poi dopo i fatti del XX Congresso del PCUS li eventi  relativi alla rivoluzione ungherese. La repressione fu durissima. A seguito di quegli eventi si  giunge così alla sera del 23 ottobre 1956, quando gli studenti dell'Università  Tecnica si riunirono in piazza Bem a Budapest insieme agli operai, i soldati,  gli intellettuali del circolo Petöfi  che chiedevano la riabilitazione di Rajk ed il ritorno di Imre Nagy al governo,  mostrando così le loro aspirazioni basate sull’indipendenza, la democrazia e la  neutralità, ma all’alba del 4 Novembre migliaia di carri armati sovietici e di  uomini dell’Armata Rossa si preparavano ad attaccare Budapest.   Dopo l'intervento di Alberto  Cafarelli è stato fatto ascoltare al pubblico uno degli ultimi comunicati radio  di Imre Nagy che conserva tutto il pathos e la drammaticità del periodo. In seguito il leader ungherese ed  i suoi collaboratori più stretti, assieme ad altri membri del governo, si  rifugiarono presso l'Ambasciata jugoslava di Budapest, dove poi vennero  catturati dai sovietici. Il 16 giugno 1958  la Tass annuncia l’esecuzione di Imre Nagy,  di Pal Maleter, Miklos Gimez e Jozef   Szilagyi dopo un processo svoltosi a porte chiuse. Il comunicato non chiarisce né il  luogo in cui si è svolto il processo, né i componenti della Corte né, tanto  meno, la data e il luogo in cui è avvenuta l’esecuzione, di seguito, il giorno  successivo il Ministero ungherese della Giustizia emetteva questo comunicato: «Dei  dieci imputati, nove erano stati membri del Partito dei Lavoratori ungheresi;  quattro di essi (Nagy, Donàth, Losonczy, Kopàcsi) facevano parte del Comitato  Direttivo del Partito Operaio Socialista fondato il 1° novembre 1956, mentre  Zoltàn Tildy era membro del Partito dei Piccoli Proprietari che si era sciolto  alla fine degli anni quaranta per poi rifondarsi durante la rivoluzione del  1956». Ma chi era costui? Imre Nagy nacque il 7 giugno del 1896 a Kaposvár da famiglia  di contadini.  Durante il primo conflitto  mondiale si arruolò nell’esercito austro-ungarico sul fronte orientale dove  venne fatto prigioniero dall’esercito zarista e successivamente, dopo la  prigionia, si arruolò dopo la rivoluzione d’ottobre nell’Armata Rossa . Ritornato in patria fece parte  per breve tempo nel governo di Béla Kun, per tornarvi nel 1927 per  riorganizzare il partito comunista ungherese che in quel periodo agiva in fase  di clandestinità ma dovette, suo malgrado ritornare a Mosca dove fece parte  della sezione magiara del Comintern. Nel periodo della soggiorno  sovietico Imre Nagy ebbe a constatare la persecuzione politica di molti  comunisti che in seguito vennero condannati a morte tra cui lo stesso Béla Kun  che venne accusato di essere un seguace trotskysta e per questo venne  condannato a morte il 30 novembre del 1930. Nel 1949 venne espulso dal  Politburo sovietico a seguito delle sue numerose critiche alla politica  agricola sovietica e ne venne riammesso solo due anni dopo a seguito di una sua  azione di  "autocritica". Venne nominato Vice Primo  Ministro durante l’amministrazione di Matyas Rakosi e nominato Primo Ministro  dopo la morte di Stalin a seguito delle segnalazioni di Georgij Malenkov,  successore dello statista scomparso. Durante il suo mandato Imre Nagy  si sforzò di individuare una nuova via alternativa al  sistema comunista, limitando la crescita  industriale a vantaggio del mondo agricolo, dando la possibilità ai contadini  di allontanarsi dalla collettivizzazione delle fattorie, ma non potè attuare  tale piano, in quanto ebbe a dimettersi a seguito delle scelte del Cremino nei  confronti di Georgij Malenkov che causò anche l’espulsione di Imre Nagy  dal  partito comunista. Gli effetti causati dal XX  congresso del PCUS crearono numerosi malcontenti anche per le condizioni  economiche e sociali nei paesi satelliti del blocco sovietico, tanto che venne  nominato, dopo la rielezione di Rakosi, Erno Gero come primo segretario del  partito comunista ungherese. 
  I fatti di Poznan, quelli di  solidarietà del 23 ottobre, costrinsero   il Comitato Centrale alla rielettura alla carica di Primo Ministro di  Imre Nagy che durante  il suo breve mandato  tentò di attuare un’azione di mediazione atta a cercare di creare un clima di  distensione rispetto al precipitare degli eventi ; infatti il primo novembre  dichiarò la neutralità dell’Ungheria al Patti di Varsavia e ciò causò la dura  reazione sovietica. A seguito dell’invasione  dell’Ungheria da parte dell’Armata Rossa del 4 novembre dello stesso anno, dopo  un breve comunicato radio, Imre Nagy si rifugiò presso la rappresentanza  diplomatica iugoslava, dove gli era stata offerta protezione e dietro i consigli  di Janos Kadar l’abbandonò il 22 novembre   in quanto dallo stesso gli era stato promesso di aver salva la vita: ma  era un inganno che si concluse con la nota del 17 giugno del 1958 quando con un  comunicato del ministro ungherese della giustizia informava la popolazione  della sua esecuzione insieme ad altri esponenti per aver complottato contro la  Repubblica Popolare.     Per tale operazione furono  invitati a presiedere il processo e quindi sentenziarne il responso i leader  dei partiti comunisti universalmente diffusi ed a tal proposito c’è da  sottolineare l’astensione del polacco Wladyslaw Gomulka, di  contro  il francese Maurice Thorez e  Palmiro Togliatti votarono a favore della sentenza.   A proposito dell'esecuzione di  Imre Nagy ecco cosa ebbe nel 1958, il leader del Partito comunista inglese  Harry Pollit ad un giornalista della Pravda: "La debolezza del Partito  Comunista Inglese dipende essenzialmente dalla politica del Partito comunista  dell'URSS. Tutte le nostre difficoltà vengono dall'esterno... Pollitt,  aggiungeva l'uomo della «Pravda», aveva   detto che «per le ricadute che aveva avuto in Occidente» la sentenza  contro Nagy rappresentava “un fallimento”». ..."  (6) Ha preso quindi la parola il  Direttore dell'Accademia d'Ungheria prof. Làszlò Csòrba che si è così espresso:  «Sono molto onorato per essere qui oggi per parlare di quei tragici in cui  si vide combattere contro la dittatura e per la libertà, quindi per vivere in  un mondo migliore, in una realtà dove c’è la libertà di stampa, di pensiero, di  esprimere liberamente le proprie opinioni, dei diritti umani, della democrazia  parlamentare, di riunirsi come oggi. Anche nella coscienza storica  umana ungherese vi sono questi elementi di continuità tra la rivoluzione del  1848 e quella del 1956 la maggioranza del gruppo ungherese voleva trovare  l’entusiasmo della precedente rivoluzione ed anche i simboli del 1848-49, come  lo stemma storico della bandiera dell’Ungheria che venne distrutto durante la  dittatura stalinista ed in quel periodo di cinquant’anni fa ricominciò a  sventolare nelle strade, nelle piazze, tra le barricate (anche se priva della  corona reale). Imre Nagy: un simbolo creare  una nuova democrazia indipendente dalla dittatura sovietica . Luigi Kossuth: una figura  importante, dalle grandi idee del nostro risorgimento per creare una democrazia  indipendente  e da paragonare a  Garibaldi, Mazzini e Cavour del risorgimento italiano. Il nostro “1956” aveva un’atmosfera,dei  sentimenti simili a quelli della grande generazione del risorgimento, e questa rivoluzione  è stata  la prima rivoluzione contro la  dittatura sovietica, quindi un grande avvenimento del XX secolo. Io rappresento l’Accademia  d’Ungheria, un istituto che oltre a promuovere lo sviluppo e la conoscenza  della cultura magiara ospita a far data dal 1929 anche l'Istituto Storico  Ungherese che vide la luce a Roma nel 1894, grazie alla figura del noto storico  magiaro Vilmos Fraknói, fautore degli studi storici ungheresi preso gli Archivi  del Vaticano. Molti nomi illustri della cultura ungherese, anche di fama  internazionale hanno collaborato e fatto parte dell'Accademia d'Ungheria, come  lo storico d'arte Tibor Gerevich, che ne fu il primo direttore. Nel 1940 l'Accademia d'Ungheria  ha ricevuto un privilegio papale e quando nel 1956 vi era la lotta politica  ungherese dei vecchi stalinisti e gli entusiasti di Nagy, gli stalinisti non  aveva la possibilità di controllare l’Accademia, quindi per un anno fino  all’ottobre del 1957, il Palazzo Falconieri è stato l’ultimo baluardo a  resistere alla dittatura sovietica. I rifugiati ungheresi non  avevano la possibilità di trovare un alloggio in Italia e così per questi  rifugiati, studenti, il papa Pio XII hanno trovato un collegio vicino al  Pantheon dove c’è una targa a tale ricordo ungherese della nostra rivoluzione». Dopo l'autorevole contributo  del  Direttore dell'Accademia d'Ungheria  prof. Làszlò Csòrba è stato fatto ascoltare ai presenti un altro comunicato  radio dell'epoca: quello relativo al Cardinale Mindszenty. Ma chi era costui? Vediamone  brevemente alcune fasi della sua intensa vita religiosa, sempre impegnato a  sostenere i deboli, la sua gente. Durante l’ultimo conflitto  mondiale il vescovo József Mindszenty conobbe il carcere il 27 novembre del  1944 per il suo percorso cristiano e nel contempo difensore delle stesse idee  in Ungheria. Il 16 settembre del 1945 viene  investito della carica di Primate d’Ungheria dal Santo Padre Pio XII e, vista  anche la situazione politica in terra magiara occupata militarmente dall’Armata  Rossa, la sua missione diviene sempre più difficoltosa ma questo stato di cose  non lo scoraggia nel suo intento a difesa della cristianità in Ungheria. 
  La dura realtà del territorio  magiaro lo fa andare incontro ad una serie di circostanze calunniose nei suoi  confronti da parte del regime sovietico che scaturiscono nel suo arresto il 26  dicembre del 1948 dietro l’incriminazione di alto tradimento ed illecito  finanziario, questa infamante accusa determinò la scomunica di Sua Santità nei  confronti del comunismo. Lo svolgimento processuale si  concluse l'8 febbraio, con la condanna all'ergastolo ed il 30 ottobre del 1956  durante l’amministrazione Nagy  il  cardinale Mindszenty viene liberato dareparti dell’esercito ungherese.   Il 3 novembre dello stesso anno  il Primate d'Ungheria tenne un discorso radiofonico : «[...] oggi, quando  qualcuno fa una dichiarazione, il più delle volte sottolinea il fatto di aver  rotto con il passato e di parlare sinceramente. Io non posso fare  un’affermazione del genere, perché non ho bisogno dirompere con il mio passato.  Per misericordia di Dio sono rimasto quello che ero prima dell’incarcerazione.  Continuo a professare le mie convinzioni con la stessa energia psichica e  fisica di otto anni fa [...]». (7) 
  Ma l’evolversi della rivoluzione  ungherese e la soffocamento socio-politico del regime sovietico costringe  l’alto prelato a riparare presso la rappresentanza diplomatica statunitense,  dove portò la corona di Santo Stefano. Nel corso della  manifestazione organizzata dal Circolo  Culturale L’Agorà, dopo l’ascolto altamente emozionante di un comunicato  radio  emesso,  in quel tragico autunno di mezzo secolo  fa,  dalla libera emittente radiofonica  della capitale  Budapest  „ [...] Adesso noi moriamo per l’Europa [...] ”, il presidente del sodalizio reggino ha quindi sentito doveroso  invitare il pubblico presente ad   osservare un minuto di raccoglimento per ricordare  tutte quelle persone che hanno creduto,  combattuto e sono morte per un grande ideale, quello del 1956. I lavori del convegno sono quindi  stati prestigiosamente conclusi proprio dall'Ambasciatore della Repubblica di  Ungheria Istvàn Kòvacs che ha generosamente rivolto al pubblico e agli  organizzatori le seguenti  parole: «Cari  amici è un gran piacere ed un onore essere con voi per commemorare il cinquantenario  della rivoluzione di Ungheria. Ho avuto modo di vedere tanti  amici, riparlare con la stampa la televisione e in tutti gli incontri ho avuto  la sensazione di sentirmi a casa. Credo sia molto importante che  la stampa si sia chiesta “cosa ci fa l’Ambasciatore di Ungheria a Reggio?” Io  rispondo che è stata  l’amicizia che ci  porta qui: gli amici che anche a Reggio hanno vissuto le vicissitudini del 1956  e e che vogliono ricordare con gli amici ungheresi  sopravvissuti agli eventi sia in Italia che  in Ungheria. E’ molto importante ricordare  ai giovani gli eventi del 1956 il benessere della pace, della democrazia,  bisogna lavorare tutti insieme e tutti i giorni. Ed ancora più importante è  divulgare l’informazione degli eventi del 1956 ed ai giovani per il futuro ed  il presente ed il benessere della pace, della democrazia, dell’Europa e del  mondo. La democrazia non si acquista  e si mette nell’armadio, ma bisogna conquistarla giorno per giorno e  riconquistarla. L’insegnamento del 1956 non  portò la libertà, l’indipendenza o l’indipendenza ma è stata la breccia per la  via della strada della democrazia non solo per l’Ungheria ma per tutti i paesi  dell’ex blocco orientale. E’ una cosa che voi sapete ma  che dobbiamo ricordare ai giovani che l’Ungheria non ha fatto per sua scelta di  far parte della cortina di ferro così come le altre nazioni. Va ricordato che, nonostante  l’Occidente abbia fatto molto,   l’Ungheria ha fatto molto anche da   sola per liberarsi, come abbiamo visto attraverso i filmati, i  comunicati radio ed i giornali, o dal cinema da cui  le persone potevano avere le notizie. Il bipolarismo all’epoca del  1956 non poteva essere vinto, l’aiuto non l’abbiamo ricevuto in Ungheria  dall’Occidente e molti speravano di ricevere un aiuto più sostanziale  ma l’aiuto è stato quello dato dalla gente  semplice che ha aiutato gli ungheresi che sono venuti in Italia e lavorare,  andare a scuola, all’università. E’ questo stato un dato  molto importante. Di tutta quella gente che ha  seguito quegli eventi con la passione i 5.000 profughi accolti con braccia e  cuore aperto e con l’amicizia. E credo che questo è stato un  fatto molto importante per l’Ungheria.    E l’amicizia che abbiamo con l’Italia non parte dal ’56 ma tutta  la nostra storia comune che  ha più di mille anni.    Ma oggi l’insegnamento della  democrazia deve essere vissuto. Prende a volte tempo e, come è  stato ricordato dal prof. Csorba, una dittatura può reggere per un certo tempo,  ma non a lungo. Sì è lungo per chi vive 40 o i 45 anni di una occupazione in  termini storici, siamo sicuri che sarà sempre la democrazia e la giustizia a  vincere, senza avere fretta. Chi avrebbe immaginato che nel 1989 che  l’Unione Sovietica nel 1991 sarebbe sparita? Credo nessuno. Ma gli eventi del 1956 hanno  portato l’Ungheria a piccoli passi perché io ricordo, ad esempio che nel 1968  abbiamo già avuto ripristinato in Ungheria   il mercato dell’economia privata   della famiglia. Era solo il 4-5% del PIL ma esisteva e  che conviveva con il sistema socialista,  comunista. Ma negli anni settanta ed  ottanta l’Ungheria ha effettuato passi che altri non hanno potuto come  diventare membro del Fondo Monetario , della Banca Internazionale e negli anni  ottanta di ripristinare i rapporti diplomatici con la Corea del Sud, Sud  Africa, la Santa Sede, Israele. Oggi questo pare una  sciocchezza ma devo dire che prima degli anni ottanta per un Paese socialista  come l‘Ungheria  non  c'era niente di tutto questo, ,ed  è stata una tattica che abbiamo dovuto  seguire. Dobbiamo essere molto consapevoli,  che per esempio, l’unico partito aveva quasi due milioni di tesserati in un  paese di dieci milioni di abitanti, e   questo vuol dire che non era un partito ma era un modo di vivere.   Se uno non era tesserato non  aveva un lavoro, non poteva diventare un professore, un ingegnere,essere un  capo ufficio e per questo mi ricordo molto bene quando io ero in Italia dal  1988 al 1993, un amico a Roma nel 1993   mi ha chiesto perché l’Ungheria apre da un giorno all’altro le frontiere  ai tedeschi dell’Est che possono  andare  in Austria e dov’è l’ideologia.  Gli risposi che per noi  ungheresi l’ideologia è come l’acqua buttata su di una tavola di marmo e non si  assorbe mai;  per noi c’era la  possibilità di toglierla con la mano e questo abbiamo potuto farlo così  facilmente  perché c’era stato il 1956. Il ’56  aveva tracciato una strada di libertà degli  anni che vanno dal ’60 agli ’80 e credo che i sovietici non hanno potuto  richiudere l’Ungheria dentro la pentola perché c’era ormai troppa pressione,  più libertà per noi  ungheresi. E vorrei ricordare anche che  mio padre apparteneva alla categoria dei giornalisti che hanno avuto un ruolo  molto importante  all’epoca. Non c’era internet, non c’era  la televisione come la conosciamo oggi,   ma credo che i giornalisti, i fotografi anche oggi dimostrano il  coraggio degli ungheresi e negli anni ’60 c’era qualcuno di essi  che era venuto da Budapest, quando mio padre  era corrispondente a Parigi,  per  studiare la satira politica, che Parigi   già  esisteva ma in nessun paese ancora  dell’Est. Nel 1968 giunge a  Budapest la satira politica , che ha trattato  anche i fatti del '56 : io che sono nato nel ’56  devo dire francamente che la mia generazione  ha ricevuto informazioni sul ’56 solo dopo gli anni novanta, non che non c’era  l’insegnamento ma  a scuola , ma  mancavano i libri, le pubblicazioni che parlavano del ’56 e che oggi i  giovani  possono tranquillamente leggere. Per fare leggere ai giovani i  fatti del ’56 tutti noi dobbiamo divulgare l’importanza che la rivoluzione ed  il sacrificio hanno dato alla democrazia in Europa.  E di nuovo voglio ringraziare  tutti gli amici italiani e so che anche in Italia il ’56 ha spaccato il partito  comunista a sinistra ma anche la destra perché dobbiamo essere molto attenti a  vedere i giudizi dell’epoca ma anche i giudizi successivi al ’56 perché la  storia non è una fotografia , perché la storia cambia e dobbiamo valutarla  giustamente e non soffermarci sui pregiudizi. L’insegnamento più grande è di  mantenere questa democrazia per la quale, a volte,  abbiamo dovuto sacrificare le vite dei nostri  compatrioti e credo che per il futuro dell’Europa è molto importante rimanere  uniti e le sfide globali oggi non vengono dall’Europa ma da fuori. Quindi se non  c’è un’unità più grande in Europa sarà molto difficile fare fronte a queste  sfide e la competitività dell’Europa diminuisce sia nel campo del commercio che  dell'economia e credo che la nostra cultura, la nostra storia, merita che noi  portiamo avanti l’idea della democrazia,   ma con l’umiltà ed ognuno di noi ha soluzione solo che dobbiamo mettere  insieme per  conservare il benessere di  tutti e quando gli attivisti membri che hanno vissuto il ’56 in Ungheria non ci  saranno più, spetterà a noi di conservare   questa memoria nel futuro».  Di notevole importanza è stato  poi  l'intervento dell'onorevole  Fortunato Aloi che così si è  espresso: «Io  devo ringraziare Gianni Aiello per aver organizzato questa manifestazione di  alto spessore culturale. Cinquant’anni sono tanti : l’Ambasciatore nasceva nel  ’56, ed io come i giovani del ’56 ricordo che in un giornale che dirigevo, il  fondo che feci in quella circostanza era così intitolato: “Gioventù  magiara siamo con te”». L'onorevole Aloi era a quel tempo  uno studente liceale  e questo periodico  ciclostilato che dirigeva, oltre ad offrire uno spaccato di storia  scolastico-culturale, ebbe a trattare proprio quei sanguinosi avvenimenti:  "[...] la nostra vuole avere il modesto compito di esaltare l'eroico  gesto di un popolo. Il gesto è la conseguenza; ma ogni conseguenza non implica  una premessa? La premessa nel nostro caso si identifica con la libertà. Libertà  funzione del loro gesto. Rispecchia in pieno questo asserto l'eroismo dei  magiari: questa forza possente ed attiva, ha fato degli ungheresi una schiera di  prodi, un esercito di martiri. Per questa unità di intenti, per questo  incessante anelito alla libertà, senza alcuna discordanza ideologica, giovani e  vecchi, ricchi e poveri, tutto un popolo resiste e muore col sorriso sulle  labbra ma col tormento nel cuore, imponendosi alla ammirazione universale […]. Dietro le quinte della storia si agitano, sovente, le fosche ombre della  tragedia. Tragedia macabra, come in questi momenti, in cui il furore  apocalittico di uomini senza scrupolo alcuno si riversa su un popolo inerme,  seminando il terrore e la morte e degenerando in un vero e proprio genocidio.  La morte del corpo dicevo prima, ma non quella della gloria. Essa svetta eterna  nel cielo dell'eroismo a disprezzo eterno del   cinico furore, della disumana repressione consumata nel modo più barbaro  e spietato.  (8) Aloi ha quindi proseguito così: Sono  passati cinquant’anni, ci siamo entusiasmati allora indignandoci però a  distanza di cinquant’anni.  Chi si occupa di storia  capisce quel che diceva l’Ambasciatore,   che di fronte alla generosità di un popolo e alla sua reazione ci fu  l’Occidente che  ha tradito, diciamocelo  con franchezza.  Perchè? Perché si sapeva  allora che c’era Yalta, perché si sapeva allora che non si poteva intervenire  in Ungheria così come non si è potuto intervenire nel 1968 in Cecoslovacchia,  così come non lo si è potuto fare  nel 1953 a Berlino, perché c’era  Yalta, la divisione del mondo in due zone di influenza, di giurisdizione. Yalta  aveva fatto si che l’Occidente certamente rimanesse al di là della solidarietà,  delle adesioni e rimanesse assente. Ma ci fu qualcosa di peggio:  l’occasione per gli inglesi e i francesi di intervenire a Suez distogliendo  l'attenzione mondiale dai fatti d'Ungheria. Certo quegli avvenimenti sono  stati di un grande rilievo, all’interno del mondo della sinistra, e si  provocarono delle profonde lacerazioni: ci fu "il manifesto dei 101"  intellettuali comunisti che si ribellarono a Togliatti ,a favore  degli insorti ungheresi. Infatti  il 29 ottobre 1956 il documento venne fatto  recapitare alla  sede del Comitato  centrate del PCI «…se non si vuole  distorcere la realtà dei fatti, se non si vuole calunniare la classe operaia  ungherese, o rischiare di isolare in Italia il partito comunista italiano [….]  occorre riconoscere con coraggio che in Ungheria non si tratta di un putsch o  di un movimento organizzato dalla reazione (la quale tra l’altro non potrebbe  trascinare a sé tanta parte della classe operaia) ma di un’ondata di collera  che deriva dal disagio economico, da amore per la libertà e dal desiderio di  costruire il socialismo secondo una propria via nazionale, nonostante la  presenza di elementi reazionari»   Tra i firmatari c'erano Natalino  Spegno, Luciano Cafagna, Enzo Siciliano, Antonio Maccanico, Renzo De Felice,  Tullio Seppilli, Carlo Aymonimo, Alberto Asor Rosa, Giorgio Candeloro, Paolo  Spriano, Vezio Crisafulli. (9) Continua l'onorevole Aloi:« Ma ci fu anche in  Francia proprio una pubblicazione di quel tempo dal titolo “Il Dio che è  fallito” in cui  tutti gli intellettuali  francesi,  da Louis Fischer, André Gide,  Arthur Koestler, Stephen Spender a Richard Wright ed altri, che criticò  l'operato del Cremlino. Tre mesi prima si erano  verificati i fatti di Posznan dove avvenne la reazione dei lavoratori polacchi  e fu un fatto di mera rivendicazione salariale; ci fu la repressione ma si  limitarono,  a conclusione,  ad individuare una strada per trovare una  soluzione alla “via nazionale polacca al socialismo”. Ma  secondo me il punto che portò l’Unione  Sovietica ad intervenire: fu quando si chiese l’uscita dell'Ungheria dal Patto  di Varsavia e questo l’Unione Sovietica non poteva accettarlo e non lo accettò  in quella circostanza. Fino a quando si facevano  delle rivendicazioni o si chiedeva una maggiore libertà, l’Unione Sovietica  poteva in un certo senso operare e decidere ad una certa maniera ma quando si  delineò l’uscita dal “Patto di Varsavia” si poneva il pericolo dell’inizio  dello sgretolamento dell’impero sovietico. Poi ricordiamo anche il  rapporto del XX Congresso del PCUS di Crusciov: quello è un punto importante  perché da quel rapporto vengono fuori tutta   una serie di fatti e di circostanze che portano l’Ungheria in primis a  reagire ed a operare in una certa maniera. Ma voi ungheresi avete una  storia diversa perchè avete avuto una certa   libertà, seppur limitata dal punto di vista economico, e l’Unione  Sovietica non ha capito, che attraverso voi, c’era la possibilità di  aprire  rapporti che passavano attraverso  l’Austria e si aprivano al mondo occidentale. Quindi l’Ungheria era  diventata in un certo senso quello che era Hong Kong rispetto all’impero  cinese. Avete avuto degli spazi dall’Unione Sovietica, anche se pur modesti,  quindi una storia diversa dagli altri Stati del   “Patto di Varsavia”. L’episodio vostro, quelle  vicende appartengono indubbiamente alla storia vostra, alla storia della  libertà ma anche appartengono alla storia dell’Europa. Perché voi siete Europa,  lavoriamo tutti insieme perchè non ci sia certamente un’Europa che omologa  tutte le varie nazioni, ma in essa ci troviamo con le nostre culture e la  vostra è una delle più importanti».
  

   
 

6 giugno 2006
  
  
Le croci di Poznan 
La gara tra USA ed URSS
una via di Budapest
una via di Budapest
Indro Montanelli
L'impero austro-ungarico prima del Trianon
il monumento del Presidente Imre Nagy a Budapest
(1) SIMONA COLARIZI,Storia del  novecento italiano-Cent'anni di entusiasmo,di paure,di speranze, Bergamo,  BUR,2005,p.365;
  (2) MARIE NAGY,Polonia-Ungheria  (testi e documenti riuniti), Edi, 1966, p. 177;
  (3) VICTOR SEBESTYE ,Budapest  1956 – La prima rivolta contro l’impero sovietico,  Bergamo, Rizzoli Editore, 2006, pp.  44-45;
  (4)  DONALD SASSOON, Cento anni di Socialismo - La  sinistra nell'Europa occidentale del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 2000,  p.261; 
  (5)  INDRO MONATANELLI, Corriere della Sera,  13  novembre 1956;
  (6) ROBERT CONQUEST, Il secolo  delle idee assassine, Cles (TN), Le Scie Mondadori, 2001, p. 162;
  (7) JÒZSEF MINDSZENTY, Memorie,  Milano, Rusconi, 1975, pp. 323-327;  
  (8) FORTUNATO ALOI, La voce nel  tempo - Breve storia di un giornale liceale ... negli anni '50 a Reggio Calabria, Luigi  Pellegrini Editore Cosenza, 2003, p. 15. 
(9) AA.VV., La crepa nel muro:  Ungheria 1956, Fondazione Ugo Spirito, Luni Editrice, Roma, 1999, p. 202 
  cardinale József Mindszenty