La “clonazione” dei Bronzi di Riace ha tenuto  desta l'attenzione dei media e della popolazione  di Reggio per molti mesi, forse per il riaccendersi dell'orgoglio cittadino più che per  motivazioni scientifiche. In una ridda di ipotesi e di dichiarazioni contrastanti, che hanno confuso il campo invece di fare   chiarezza, quasi mai sembra che sia stato posto l'accento sul vero problema, che è e rimane la divulgazione e la promozione culturale dei Bronzi di Riace, in un ottica di rilancio turistico della città di Reggio.
 «Parlare dei Bronzi di Riace - esordisce Daniele Castrizio - credo che  sia  una cosa  difficilissima a Reggio una cosa difficilissima perché ultimamente i mass-media c'è li hanno imposti in tutte le maniere, questo però è un dibattito che cerca di andare per una volta ad andare oltre il discorso "clonazione SI!" , "clonazione NO!"  che ha tenuto banco per tutto l'inverno qui a Reggio ed ha per la prima volta, forse, interessato tutta la gente » .
Come il relatore ha osservato, la discussione sulla “clonazione” è sembrata simile all'accapigliarsi sul colore dell'intonaco della facciata di un palazzo che sta crollando: in molti hanno parlato della valorizzazione delle due statue di guerrieri, ma nessuno ha spiegato come farla tecnicamente.
Dalla discussione è emerso che il "problema" non è tanto quello relativo a "clonare" , "non clonare" ma il vero problema come è chiaro a molti e che i bronzi di Riace non riescono ad emergere nel dibattito scientifico internazionale, il discorso è fermo - secondo il Castrizio, a quindici anni fa e «non riescono ad entrare nei grandi mezzi di comunicazione, non è mai stata realizzata una puntata di "Quark" o nella  "Macchina del Tempo" o "Star Gate",riuscendo a sciogliere quello che è il più grande mistero, in questo momento dell'archeologia, forse nessuna opera d'arte esiste uno scarto di approssimazione di più o meno cinquecento anni e su questa forbice cosi grande non si riesce a creare un dibattito e non è solo questo, in quanto non vi è nessuna certezza sull'autore, sulla scuola, nel luogo, nulla si sa della loro storia da quando sono stati fatti a quando sono stati rinvenuti, quindi navighiamo completamente nel buio».
L'appuntamento ha avuto come scenario la  piazza antistante la chiesa di San Giorgio al Corso, Tempio della Vittoria, dove un intero pomeriggio è stato dedicato alla divulgazione scientifica dei Bronzi di Riace con tre conferenze nell'arco  della stessa giornata sui Guerrieri che sono espressione artista e culturale del territorio di  Reggio e non di altre zone geografiche.
Nel corso della manifestazione si è potuto visitare la "Tenda dei Bronzi di Riace" al cui interno è stata effettuata una presentazione multimediale nella quale sono state discusse tutte le ipotesi finora elaborate sulle due statue, con le teorie di ricostruzione finora presentate, il tutto in un linguaggio agevole e  facile da comprendere, con un originale approccio, che intende “guidare” il visitatore alla scoperta delle due statue e che gli permetta di “leggerle” archeologicamente. 
La provocazione che il Circolo Culturale "L'Agorà" ha inteso lanciare alla città tutta è  anche data dal fatto che non vi è certezza definitiva su chi i due guerrieri bronzei  rappresentano, come conferma il relatore in un altro interessante passaggio del suo intervento: « ... paradossalmente non abbiamo nessuna idea  precisa, almeno nella bibliografia di riferimento, per quanto riguarda l'interpretazione: chi sono questi bronzi di Riace? Chi rappresentano? - si domanda il  relatore - C'è chi sostiene che rappresentino atleti, altri sostengono che si tratti di eroi, altri di guerrieri della pace, strateghi o arconti ateniesi, tutte le teorie sono qui e l'impressione generale e che sui bronzi di Riace  non si possa dire nulla, nulla di scientifico.
I bronzi di Riace hanno un'altra caratteristica che è quella che non esistono copie, statue che  sono rimaste esposte dal V secolo a.C. fino almeno al II secolo d.C. non hanno copie, ed un problema se noi consideriamo che il bronzo di  Riace B tra la fine del I e gli inizi del II del secolo a.C. ha subito un trauma forte, per cause meccaniche esterne, quali un fulmine, un terremoto, la statua è caduta dal suo alloggiamento, ovvero non ha retto il tallone destro, la caviglia destra si è rotta,la statua si è ribaltata ed è caduta sul fianco destro, rompendosi il braccio destro.
Che cosa hanno  fatto a quell'epoca ? - prosegue il  Castrizio - Un calco preciso del braccio che è stato rimesso a posto. Non conosciamo altre statue con intervento di restauro così determinante, quindi erano due statue importanti, due statue che chi le aveva ci teneva a farle conservare».
Il relatore nel corso del suo intervento afferma che si tratta di un intervento di restauro  romano, perché la lavorazione del bronzo è diversa, come il colore diverso del braccio  destro del bronzo B rispetto al resto della statua, lo spessore pronunciato che è in linea con le statue di epoca romana e nella caviglia si trovano i segni della fusione relativa alla fase della saldatura della rottura.
Una cosa che ha sempre colpito gli archeologi è l'assoluta mancanza di confronti per le statue di Riace. Visto che le statue sono state esposte al meno seicento anni sembra impossibile che non hanno lasciato traccia in qualche altro genere di opera d'arte.
Il confronto fatto alcuni anni fa  dal prof. Filippo Giudice dell'Università di Catania -  prosegue il Castrizio - era un confronto che ha fatto sussultare tutti gli archeologi in quanto vi era la possibilità di  risolvere il mistero  dei bronzi di Riace.
Il docente della facoltà etnea confrontava i bronzi con dipinto  vascolare che raffigurava un guerriero, un Achille, realizzato dal pittore di  Achille di V secolo a.C.. La somiglianza risulta generica - secondo  il Castrizio - in quanto il guerriero indossa un elmo trace, mentre quello del bronzo di Riace ha sulla testa un elmo corinzio, il ritmo stilistico non è lo stesso, il braccio destro è addirittura alzato, mentre nel bronzo di Riace risulta abbassato.
Da questo confronto rimarrà nella letteratura  per sempre l'idea che il bronzo di  Riace avesse un balteo con la spada e da questo confronto  rimane questa idea che si tramanda anche agli studiosi successivi come quella proposta dal professore Paolo Moreno, docente di Archeologia e Storia dell'arte greca e romana, all'università di Roma Tre.
«Il confronto del docente dell'università capitolina - prosegue il Castrizio-  mostra, anche questo, un elmo trace e non corinzio, la lancia risulta nella mano sinistra, il personaggio oggetto della discussione ha ancora il balteo con la spada ed  indossa una clavide, un mantello, quindi in forte contrasto con il collega dell'ateneo catanese».
L'ipotesi Moreno, un grande archeologo e storico dell'arte greca, si basa - a detta del Castrizio, su due artisti diversi ma ideati e creati da un'unica persona.
Il dato nuovo è l'analisi delle "terre di fusione" interne dei bronzi di Riace ha dato un  risultato, secondo  il relatore, purtroppo contraddittorio, che consiste nella probabilità che i bronzi di Riace siano stati realizzati nel Peleponneso, probabilmente ad Argo e realizzate con il metodo della fusione diretta, poco usato perché non consentiva errori quando si versava il bronzo fuso, il modello originale non era più utilizzabile, quindi questo, secondo il relatore è opera di un grande maestro del passato di primissimo piano.
Secondo il Castrizio la terra di fusione non è terra preziosa ma è una sabbia, una terra argillosa, quindi non preziosa, mentre altre parti di terra, trovate all'interno delle due statue, risultano provenienti da altri territori e sono costituite da argilla molto preziosa, sono delle argille speciali che tengono bene la saldatura e sono d'importazione, quindi comprate altrove, mentre la terra di fusione proviene dal luogo dove sono state realizzate le statue.
Infatti, secondo il Castrizio,  i grandi artisti impiantano l'officina nel posto dove la statua deve essere fatta, in quanto i costi risultano inferiori, infatti ad Olimpia si trovano i resti del laboratorio di Fidia quando stava realizzando lo Zeus di Olimpia, Fidia era di Atene.
Quindi il fatto di dire che le statue di Riace siano state realizzate ad Argo non vuol dire che l'artista fosse peloponnesiaco, vuol dire - continua il relatore - che le statue servivano per un santuario, per un complesso monumentale nel Peloponneso, ad Argo.
 Ma come sempre nei bronzi di Riace c'è un problema, quello relativo al fatto che i greci non hanno fatto carte geologiche buone dell'Attica,  quindi non vi è un documento per confrontare tali dati e quindi non si sa chi sia quest'artista.
Secondo il docente dell'ateneo romano - continua il Castrizio - una statua è stata fatta ad Argo ed una ad Atene, forzando i documenti, così come quando vuole dimostrare che chi ha realizzato i bronzi di Riace è il maestro di Olimpia, cioè colui che ha fatto il tempio di Zeus, questo maestro non si sa chi sia, secondo il relatore,  «ma il professore  - prosegue il Castrizio - Moreno è convinto che siano stati due grandi artisti Ageladas  di Argo e Alcamenes di Atene».
Il relatore rimane sorpreso dalle affermazioni del docente dell'ateneo capitolino, in quanto «quando si fanno questi lavori  - prosegue l'intervenuto - bisogna andare ad indagare il modo con cui si modellano le ciocche con cui è reso il capello e qua è liscio », nel suo intervento il Castrizio  afferma che il noto archeologo romano « ... il tempio di Zeus ad Olimpia  è fatto da Ageladas ed  Alcamenes perché assomiglia ai bronzi di  Riace, i bronzi di Riace sono fatti da Ageladas ed Alcamenes perché somigliano al tempio di Zeus ad Olimpia ... »: quindi, secondo il relatore il docente universitario romano non ha nessuna certezza ne da un lato ne dall'altro, ma la cosa gli va bene così, in quanto risolve  il  grande problema della differenza tra il bronzo A ed il bronzo B, credendo che questa non si una differenza di anni tra le due statue ma che che il bronzo A sia argivo, peloponnesiaco più duro, mentre quello B ateniese, quindi più morbido.
Il Castrizio contesta anche il fatto relativo all'identità dei due bronzi date dal  prof. Moreno che grazie ad  un brano di Pausania, lo storico greco del II sec. d. C., ne fa una propria tesi, secondo il relatore, discutibile.
Quindi secondo questa interpretazione la statua A, quella battezzata  "il giovane", riproporrebbe le sembianze di Tideo, che addenta la testa, per rancori personali, del tebano Menalippo, che non solo lo uccide ma inizia a sbranarlo, divorandogli il cervello e questo ebbe a costare all'eroe l'immortalità che gli  venne tolta dalla dea Minerva.
In questa ricostruzione abbiamo in entrambi i bronzi un elmo corinzio, un piccolo scudo per entrambi, nella mano destra un giavellotto con laccio, entrambi portano un balteo con una spada, mentre la statua B, detta "il vecchio", secondo l'interpretazione di Moreno - prosegueil Castrizio - rappresenterebbe le fattezze di Anfiarao, profeta guerriero, perché ha la cuffia dell'indovino, sempre secondo l'ipotesi Moreno ma che secondo il Castrizio nel mondo greco quel capo d'abbigliamento non c'è.
Dopo aver esaminato tali ipotesi il relatore passa ad una strada ben diversa che passa non ipotesi preconcette ma dai segni che sono rimasti sui bronzi di Riace e che sono ben visibili e che si possono comprendere.
Il relatore, in disaccordo anche con il professore Claude Rolley,  passa alla descrizione della testa del bronzo A, dove risulta una specie di protezione di lana che serviva a proteggere la testa dall'elmo, mettendo in evidenza alcuni elementi che confermano la sua tesi e cioè che la depressione a triangolo che si trova su tutte e due le tempie del bronzo A,  serviva a non far spostare l'elmo.
Un altro elemento è costituito da un'altra depressione ubicata dietro la nuca del bronzo A che serviva semplicemente ad appoggiare l'elmo sulla parte posteriore . «La cosa interessante -  dice il Castrizio -  e che si comincia ad intravedere una figura di artista unico nell'antichità, perché egli ha concepito la testa del bronzo A con queste caratteristiche, poi ha creato i capelli che sarebbero  poi stati ricoperti dall'elmo: ma ciò ha un motivo, in quanto l'elmo corinzio ha i buchi per gli occhi e quindi da qualche prospettiva dall'alto si poteva vedere sotto, quindi capelli. L'artista ha realizzato le orecchie, che  non si vedono, in quanto sono state coperte da delle ciocche  che sono state cesellate una ad una: nessun artista nell'antichità ha fatto una cosa simile, quindi nel linguaggio iconografico è un guerriero».
Il relatore passa alla descrizione del bronzo B «è privo di perni, di capelli in quanto viene allungata la calotta in modo che assuma la forma dell'elmo corinzio che calzi perfettamente e che non possa oscillare». 
Dagli elementi descrittivi delle due statue  - spiega il Castrizio - si comprende che l'artista era un perfezionista, come i triangolini di posto uno sulla fronte della statua B e l'altro nella posizione degli occhi dell'elmo, questo iconograficamente significa che è pelle conciata.
La descrizione passa ora all'altra statua, la B «... la parte alta dell'orecchio della statua  non è stata realizzata dall'artista, in quanto è appena abbozzato, poi nella traccia del sottogola, su tutti e due i lati c'è un segno che sta a significare che precedentemente c'era un laccetto, poi due segni di un paranuca a ricciolo. Poco sopra si vede la  depressione dove appoggiava l'elmo, mentre sotto ci sono delle specie di alette e si nota che sono spezzate».
Secondo il relatore le teorie relative ad altro oggetti tenuti dai bronzi di Riace non possono avere un ramo, una spada, una palma, perché non combinano ed i segni che sono stati trovati sono perfettamente combacianti con quelli di una lancia.
Un arco di costruzione prudente dovrebbe fermarsi quà: sono stati visibili fino al II  secolo a.C., sono stati fatti probabilmente dallo stesso artista, nello stesso posto, probabilmente hanno a che fare con i sette a Tebe, uno dei due bronzi è un guerriero l'altro è un generale e prudentemente dovremmo fermarci qui.
Questo dovrebbe essere il punto più avanzato, ma facciamo un ulteriore passo dice il Castrizio e riguarda il confronto relativo alla possibilità di sapere come era costituita la statua di Eteocle e Polinice di Pitagora di Reggio.
Pitagora di Reggio è stato il più grande artista del V secolo a.C. prima di Fidia, considerato da autori come Cicerone, Plinio il Vecchio si evince che l'artista reggino per la sua tecnica superò i massimi esponenti del periodo quali Fidia, Policleto e Mirone,  ed in merito a quest'ultimo “lo superò Pitagora di Reggio in Italia col Pancratiaste dedicato a Delfi...“. 
Pitagora di Reggio  era discepolo di un altro reggino Clearco, le cui opere erano così importanti e di notevole pregio tanto da essere apprezzate ed ubicate nei luoghi sacri della Grecia. che aveva realizzato belle statue a Sparta, alcune al Tempio di Atena Cailchioichiea , Pausania parla di una statua in bronzo di Clearco, raffigurante Zeus Hypatos, ubicata nel tempio di Atena a Sparta.
Le tecniche attuate per la realizzazione del manufatto si basavano sulla non fusione della statua ma dall'assembla, quindi una tipologia di lavorazione così arcaica che Pausania descrisse  la statua di Clearco come il più antico manufatto realizzata in bronzo. Il successore di Clearco fu il nipote.
La letteratura specializzata a riguardo la statua di  Pitagora di Reggio (Eteocle e Polinice) dice che è una statua famosa perché il retòre greco Taziano, la ricorda e dice che  ".. possa perire il gruppo dei fraticidi ed il loro artista Pitagora di Reggio" Io credo che Taziano vedesse i bronzi, l'unica cosa che è  rimasta di quel gruppo statuario è  un'urna cineranea dove vi sono le fattezze che ricordano al gruppo statutario di Pitagora di Reggio ma soprattutto come le statue del bassorilievo hanno molto dei bronzi di Riace, come l'espressione sprezzante che ricorda il grigno di Polinice.
Il relatore dopo  questa sua disamina aggiunge  nella corso della sua relazione un'altra affascinante ipotesi: quella che  le due statue vennero realizzate ad Argo da Pitagora di Reggio e che rappresentino Eteocle e Polinice, i due figli di Edipo, prima del duello”.
I fratelli Eteocle e Polinice, nati dal rapporto incestuoso fra Giocasta ed il figlio Edipo. La  maledizione contro la stirpe tebana fece in modo che i due fossero sempre in acceso scontro fra loro per il dominio di Tebe ed i due fratelli, trovatisi di fronte nel combattimento, si uccisero tra loro.
La proposta avanzata dal Castrizio è che si tratti del gruppo di Pitagora di Reggio, quindi non statue venute da fuori, come ha detto Carlo Giulio Argan, statue che stanno a Reggio come  potrebbero stare a Tokyo, ma statue di un artista reggino, fatte ad Argo, ma di un artista reggino.
Il Castrizio conclude la sua relazione dicendo che : «Finiamo con una considerazione voi sapete che adesso i bronzi di Riace verranno assolutamente messi in ombra dal nuovo reperto che è venuto fuori dal canale di Sicilia dal satiro di Marsala e se permettete, senza grande polemica, il satiro di Marsala si comincia promozionarlo in maniera molto diversa da Bronzi di Riace.
Qui siamo venuti in piazza per dimostrarvi che sui Bronzi di Riace si potrebbero cinquanta  punta di "Quark" o della  "Macchina del Tempo" o "Star Gate", e purtroppo noi non sappiamo  parlare di "clonazione si", "clonazione no", li misuriamo, li pesiamo, non riusciamo ad interessare nessuno, invece la Soprintendenza di Palermo ha iniziato subito a fare delle ipotesi per rendere ancor più interesse intorno al reperto e quindi se ne parla».
Gianni Aiello nel corso del suo breve intervento ha ripercorso  ciò che è stato evidenziato dallo stesso nel corso dell'incontro organizzato nel salone degli specchi di Palazzo San Giorgio nel febbraio scorso ed alla presenza del governatore della Calabria.
Tutte proposte fatte da Gianni Aiello nel contesto di quell'incontro sono state "adottate" da altri come lo scandaglio dei fondali sia sul litorale jonico che tirrenico, la creazione del copyright sui bronzi, l'accostamento dell'immagine dei due guerrieri a manifestazioni sportive ricadenti sul territorio, convegni di grosso livello, la creazione di nuove strutture museali, operazioni queste culturali e che sicuramente si discostano da quelle prettamente rivolte ad una sorta di marketing commerciale e di tipo americanizzante come la paventata duplicazione delle due statue.
L'intento dichiarato della manifestazione, in spregio a chi vuole relegare in un ghetto la cultura reggina, è stato quello di dimostrare che la città di Reggio ha le capacità  per valorizzare il proprio patrimonio culturale ed artistico, offrendo un servizio qualificato non solo ai cittadini interessati, agli studenti  ma anche agli Amministratori della città e della provincia di Reggio, che dovranno farsi carico della rinascita del nostro patrimonio culturale.

Forse non è chiedere troppo per una città che ambisce a vedere riconosciuto il suo valore storico, economico e sociale.
ShinyStat
25 maggio 2003