


Il  patrimonio culturale è composto di beni culturali di proprietà degli enti  locali, dello Stato e di privati. Tra questi ultimi spicca l’alta percentuale  dei beni di proprietà ecclesiastica. 
  La  conoscenza del patrimonio culturale reggino di proprietà ecclesiastica  costituisce una delle azioni fondamentali per avviare qualsiasi intervento di  valorizzazione della cultura del territorio: interventi conservativi, eventi di  ampio respiro come mostre e pubblicazioni , vedi l’interessante esempio  realizzato qualche anno fa dall’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria  che prendeva il nome di “ Sacre Visioni” che ebbe il merito di fare una  mappatura del patrimonio esistente sul territorio.   
  I  beni di interesse religioso sono testimonianza di fede e di civiltà, tutti  questi sono valori tutelati dalla Costituzione e come tali vanno regolarizzati  al fine di creare quegli strumenti necessari per poter proseguire proprio nella  loro tutela, salvaguardia, valorizzazione. 
  Da  queste premesse e dal continuo impegno e sensibilità che il sodalizio reggino  ha svolto anche per queste tematiche (vedi gli altri incontri realizzati,  l’adozione di un monumento, la campagna di sensibilizzazione a mezzo stampa sul  degrado e sull’importanza dei beni artistici) nasce l’incontro attuale,  elementi questi riportati in rete ed evidenziate ed illustrate nella parte  introduttiva dell'incontro. 
  Santo  Gioffrè ha relazionato su “Rimasugli d’arte sacra nella città di Seminara”,  mettendo in evidenza i tesori e le opere artistiche presenti nella cittadina  della Piana. 
  Dopo  i ringraziamenti rivolti al sodalizio reggino per quello che sta effettuando,  che è segno di una vivacità intellettuale inusuale ed impropria in una  Provincia che  - a parere del relatore –  “negli ultimi anni è precipitata nell’oblio totale quando l’argomento è il suo  patrimonio storico-archeologico-religioso e la discussione sulla sua  valorizzazione”, il relatore pone un interessante interrogativo basato su cosa  rimane, appunto, a Seminara delle opere scultoree del ‘500 e perché ne  possedeva così tante. 
  Il  Prof. Giuseppe Galasso, storico medievale e moderno di prima grandezza,  sosteneva nelle sue opere, che Seminara fu la più importante, ricca e potente  Città della Calabria Ultra I fino al 1783. 
  Abitata  da un clero facoltoso ed opulento, distribuito tra le sue 33 chiese e gli 8  monasteri, la Città aveva una classe nobiliare potentissima e ricchissima che  traeva le proprie ricchezze dalle immense proprietà fondiarie e da speculazioni  bancarie (a Seminara esistevano ben 16 istituti finanziari ed era sede della  Borsa  dell’Olio e della Seta per tutta  la Calabria). 
  Dopo  la breve ma interessante disamina storica il relatore passa allo stato attuale  delle cose: «Seminara, o quello che del Paese ormai rimane, è, forse, nella  Provincia di Reggio Calabria, l’esempio più clamoroso del senso d’abbandono e  del precipizio in cui la politica delle rinunzie, del pressappochismo e del  qualunquismo ci ha condotto. 
  Il  Paese fu uno straordinario ricettacolo di testimonianze d’arte sacra e non del  ’50, distribuita e distesa in tutte le sue Chiese, e che si trova, ora in uno  stato totale di abbandono e dissacrante preda di sfregi continui ed incuria da  parte della Diocesi di Oppido-Palmi, della Chiesa di Seminara, del Comune e dei  vari Enti Regionali preposti».
  Eppure  – prosegue il relatore – quando il Professor Francesco Negri Arnoldi, il più  grande  esperto di scultura del ‘500  dell’ItaliaMeridionale, visitò Seminara, rimase stupefatto dall’altissimo  numero di opere scultoree esistenti nel Paese, espressioni del lavoro dei  diversi Maestri che operarono in Calabria nel XVI e XVII secolo, tanto da  indicare Seminara come la Cittadina più ricca di scultura cinquecentesca di  tutta la Calabria. 
  Negri  Arnoldi vide solo quello che era rimasto di quell’immenso patrimonio e per  rendersi conto basterebbe rileggere il catalogo delle opere d’arte esistenti  nel Paese negli anni ’30, redatto da Alfonso Frangipane. 
  Santo  Gioffrè entra nel vivo della sua relazione passando alla trattazione  descrittiva delle opere iniziando dal capolavoro di Antonello Gagini in  Calabria: la statua di Santa Maria degli Angeli, collocata oggi, in stato d  pieno abbandono, sul quinto altare di sinistra della chiesa di San Marco,  chiesa che è un vero e  proprio museo  dell’arte del ‘500 in Calabria. 
  La  Chiesa, chiusa la pubblico per strani, quanto interminabili lavori di  ristrutturazione e consolidamento, venne costruita sui ruderi dell’antico  cenobio basiliano di San Nicodemo, poi Convento dei Minori Osservanti.
  Realizzata  da Antonello Gagini, dopo il suo viaggio a Roma, compito tra l’inverno del 1505  e la primavera successiva, dove il grande Scultore con bottega messinese restò  impressionato, ricavandone maturazione artistica, dalle opere recenti di Michelangelo,  la scultura in marmo della splendida Madonna degli Angeli è intrisa di valori  dogmatici e di fede che affondano le proprie radici nella spiritualità e nella  tradizione religiosa bizantina (Koimesis).
  La  Statua che poggia su uno scannello dove sono raffigurati un Ecce Homo, la  Maddalena, l’Annunciazione e la Dormitio Vergenis, rappresentanti della  sofferenza, soffuso di pensosa e materna benevolenza mentre stringe al petto il  figlio.
  Nella  stessa Chiesa di San Marco un grande bassorilievo, raffigurante la Natività,  effigiato in francobollo dallo Stato Italiano nel 1998, indica che rilavorò o  Rinaldo Bonanno o Giovan Battista Mazzolo, autori, rispettivamente, delle  statue marmoree della Maddalena, conservata nella Chiesa della Madonna 
  dei  Poveri e di una Madonna con Bambino nella Chiesa di San Michele.
  Nell’altare  della Chiesa della Madonna Nera dei Poveri troviamo, invece, due statue  marmoree di  San Pietro e Paolo di Fazio Gagini, come ci indica un documento del 1567.
  Nella  stessa Chiesa, in stato molto precario, si trova una ben rifinita Madonna con  Bambino, detta degli Uccellari, opera di Martino  Montanini allievo prediletto di Giovan Angelo  Montorsoli.
  Come  meravigliosa e miracolosamente giunta   intatta fino noi, è una Fonte Battesimale della Scuola di Antonello  Gaginidepositata, dopo vari, incauti e sregolati spostamenti, in una nicchia  della Chiesa Madre dei Poveri di Seminara.
  A  tutte queste opere vanno aggiunte un’impressionante serie di grandi altari,  realizzati tra il XVI e il XVIII secolo, con raffinati e lavorati marmi  policromi di Carrara, che abbelliscono tutte le Chiese rimaste a Seminara e  che, nel corso degli ultimi 50 anni, rapine e razzie varie hanno ridotto a  pochi rimasugli, conservati, male, nel cosiddetto Museo della Chiesa Madre.
  La  più bella ed importante di quelle rimaste è un olio su tela, cm 170 x 80,  raffigurante l’Immacolata Concezione, opera di Girolamo Imparato o, piuttosto,  di Giovan Angelo d’Amato, come ci indica un documento del 24 maggio 1606, che  attesta un ordinativo a tale Artista da parte del Convento dei Cappuccini di  Seminara, desiderosi di possedere un quadro della Santissima Concezione.
  La  Chiesa di San Marco contiene altre, preziosissime piccole e grandi opere,  (stemmi araldici di famiglie nobili di Seminara, croci in marmo di varie  epoche, grandi tavole in marmo lavorati a mosaico, un organo del ‘700, Santi  scolpiti in legno dell’800, quasi distrutti dai tarli) segni di un passato  glorioso e di superbo 
  amore  per quella Città distrutta dal terremoto del 5 febbraio 1783.
  Parte  di queste opere, nel corso dei lavori fatti nella Chiesa, che per un periodo  divenne deposito del cantiere, sono stati danneggiati gravemente. Altre opere  scultoree, tutti risalenti al periodo che va dal ‘400 al ‘700, sono presenti a  Seminara.
  Andrea  Camalech lavorò moltissimo nella Città, feudo dei Principi Spinelli,  lasciandoci delle opere di incommensurabile valore, vere e proprie cartoline  d’epoca impresse nel marmo, (l’ingresso di Carlo V a Seminara, le Battaglie  della Figurella, il magnifico stemma araldico dei Re Cattolici, portato a  Seminara da Consavo da Cordova).  
  Magnificenze  impresse nel marmo ma non nella testa degli uomini se questi bassorilievi sono  abbandonati e preda di uno stato di vergognosa solitudine ed indifferenza, come  lo sfregio subito dalla Pala della Natività effigiata nel francobollo,  denunciato dallo stesso relatore agli organi preposti nel luglio scorso. 
  Giacomo  Oliva , Funzionario del Museo Archeologico di Reggio Calabria, ha relazionato  su : “Beni culturali ecclesiastici in Calabria ed in particolar modo nella  provincia di Reggio – i Musei diocesani”, evidenziando che in questi  ultimi  anni c’è stato un risveglio in  tutta Italia a riguardo tale tematica.   
  Tale  fermento è veramente provvidenziale al fine della tutela e salvaguardia del  patrimonio culturale ecclesiastico e naturalmente della fruizione, in quanto,  la generalizzata sensibilizzazione lanciata dai vescovi ha senza dubbio -  sottolinea l’autorevole intervenuto – frenato la selvaggia alienazione di molti  beni ecclesiastici dovuta in molti casi alla ignoranza dei parroci o dei  rettori di chiese e  oratori. 
   Dal Convegno su “I musei in Calabria” tenuto  nella facoltà di Architettura di Reggio Calabria il 1° giugno 1995 è emerso  dalla relazione del dott. Morello che in seguito a un censimento Nazionale dei  musei ecclesiastici in Calabria   risultava essere agli ultimi posti in graduatoria in quanto risultavano  solo sei realtà mussali (tre diocesani, uno del duomo,  una pinacoteca vescovile ed uno parrocchiale)  in tutta la regione: il più antico che è il Museo Diocesano di Rossano, quello  di San Marco Argentano, Mileto, il Museo del Duomo di Vibo Valentia, la  Pinacoteca Vescovile Nicotera, il Museo della Chiesa della SS. Trinità a San  Donato di Nea. 
  Da  questi elementi si evince che nel 1995 su 227diocesi italiane i musei diocesani  erano circa novanta, in Calabria solo tre. 
  Giacomo  Oliva nel corso della sua interessante relazione prosegue: «abbiamo ancora, ma  non sono oggetto della riflessione odierna perché il mio intervento è sui musei  diocesani, ancora altri musei di arte sacra come il Piccolo Museo di San Paolo  a Reggio Calabria i Musei d’arte Sacra di Castrovillari, S.Giuseppe a Rogliano,  di Saracena nella chiesa di S.Maria del Gamio, di Vibo Valentia, di San  Giuliano a Castrovillari, il Museo della Certosa a Serra San Bruno, il  Museo Parrocchiale di Mottafollone, il Museo  “Versace” della Confraternita di S.M. del Carmelo in Bagnara Calabra e quello  della Arciconfraternita M. Immacolata di Bovalino (diocesi di Locri-Gerace).  Per un totale di 18 musei tra diocesani e d’arte sacra. 
  Dal  1995  quando erano solo tre musei  diocesani e tre di arte sacra, in solo sette anni il numero di essi  si è più che duplicato». Una grande spinta è  stata data dall’occasione dell’anno giubilare ed al gettito dell’8x1000 e  queste motivazioni è da tenere presente che la Calabria nel 1995 era tra le  ultime regioni d’Italia, oggi si è riusciti ad essere in proporzione al numero  delle diocesi tra le  prime, anche grazie  all’aumento delle sale espositive dei musei già esistenti con relativo  inserimento di nuovi servizi e sistemi di sicurezza.   
  Il  relatore si è soffermato sul Museo diocesano   con sede in Gerace, attualmente ospitato nella cripta del Duomo, dove si  organizzano delle mostre nell’area attigua, sempre all’interno della vasta  cripta. È aperto tutti i giorni ed è gestito da una cooperativa, convenzionata  con la Diocesi, e ciò rappresenta anche uno sbocco occupazionale per i giovani  del luogo che potrebbe anche dare sviluppo ad altre figure  professionali visto anche il notevole  interesse che la struttura culturale riveste, basti pensare agli oltre 22.000  visitatori del 2002. 
  Il  relatore ha concluso il suo intervento dicendo che nell’elenco ancora mancano  diocesi importanti come Reggio Calabria-Bova,   Cosenza—Bisignano, San Marco Argentano, anche se per l’apertura della  prima diocesi sono necessari il completamento di lavori per il superamento di  alcune difficoltà organizzative, mentre per san Maro, Cosenza e Bisognano i tempi  sembrano un po’ più lunghi. 
  Ha  concluso i lavori supportata da una serie di immagini lo storico dell’Arte  prof.ssa  Lucia Lojacono ha trattato un  suggestivo argomento, supportato da suggestive immagini, avente come tema  “Itinerario della scultura rinascimentale nel  territorio reggino”.   
   Sin dalla seconda metà del XV secolo si  sviluppò in Sicilia un’ampia e ricca produzione   scultorea, destata dalla massiccia importazione di marmi e di lavoratori  della nobile materia,  resi necessari  dall’assenza in loco di professionalità specifiche: assieme ai marmi apuani  giunsero nell’isola scultori, soprattutto   lombardi e toscani, che si stabilirono nelle due città portuali più  importanti, Palermo e Messina, ove aprirono botteghe, alle quali, ben presto,  pervennero cospicui incarichi da ogni parte della regione e, a Messina, anche  dalla vicina Calabria. 
  Nella  città dello Stretto intorno al 1499 avvia la propria attività Antonello  Gagini  (1478-1536), il quale riceve  numerose commissioni anche per chiese e conventi della Calabria: al 1504 risale  un’Annunciazione ora nella chiesa di San Teodoro a Bagaladi, al 1508 un busto  della Madonna con Bambino nella   parrocchiale di Sinopoli Superiore e intorno agli stessi anni una Madonna  degli Angeli ora  nella chiesa di San  Marco a Seminara. 
  Trasferitosi  il Gagini a Palermo nel 1508, a Messina assunse il primato nell'arte della  scultura il carrarese Giambattista Mazzolo: documentato sin dal 1513 per il  Monumento funebre dell’arcivescovo Pietro Bellorado nella Cattedrale di Messina,  nel 1524 riceve l’incarico per una Madonna con Bambino ed i Santi Pietro e  Paolo, statue destinate al portale maggiore della stessa Cattedrale, ed  entro il 1525, per il Monumento funebre di  Eleonora Branciforte Aragona, da collocarsi a Lentini, nel convento di Santa  Maria di Gesù,  retto dai frati Minori  Osservanti (l'opera è stata ricomposta nella Galleria di Palazzo Bellomo a  Siracusa). 
  Il  primo incarico al Mazzolo dalla Calabria risale al 1530 e riguarda un  gruppodell'Annunciazione per una chiesa di Brognaturo; seguirono nel 1532 la  commissione di una Madonna con Bambino destinata al villaggio di San Procopio,  presso Sinopoli ed al 1533 quella per una pala marmorea raffigurante la Madonna  col Bambino ed i Santi Antonio e Francesco da collocarsi nella chiesa del  Ritiro a Cetraro.  
  Nello  stesso 1533 si colloca la commissione di   un San Basilio  per il villaggio  di Sant'Agata, nel territorio reggino, consegnato nel 1535: il Santo,  attualmente nella chiesa di  Gesù e Maria  a Cataforio, è figura rigida e bloccata nell’impostazione; il volto, pur  tradendo un accenno di realismo nel modellato, cede ai consueti modi  convenzionali nel disporsi dei riccioli della barba; simmetria ed esasperato  schematismo caratterizzano anche il disporsi delle pieghe del piviale. 
  Nel  1542 Mazzolo ricevette l'incarico per una Madonna con Bambino per il convento  agostiniano di Santa Maria della Croce a Francavilla Angitola, ora nella chiesa  del Carmine a Filadelfia. 
  Alle  opere fin qui elencate, riferibili a Giambattista su base documentaria, altre  se ne possono aggiungere in Calabria, e in particolare nel territorio reggino,  per le quali la paternità del carrarese si può affermare per stringenti  assonanze iconografiche e stilistiche con le prime.  
  Opera  autografa di Giambattista è la Madonna con Bambino nella chiesa dell'Assunta o  di Santa Maria di Loreto a Melicuccà: la statua poggia su uno scannello  esagonale irregolare, sulle cui tre facce anteriori sono bassorilievi  raffiguranti, da sinistra, l'Angelo Annunciante, la Madonna con Bambino e la  Santa Casa di Loreto sorretta da Angeli e, infine, la Vergine Annunciata.   
  Reca  il segno dell'arte del Mazzolo, sebbene espressa con fare corsivo, una Madonna  con  Bambino nella Parrocchiale  dell'Assunta a Castellace datata al 1542; agli stessi anni risale la Madonna  con Bambino nella chiesa di Santa Maria della Colomba a San Martino di  Taurianova ascrivibile al Mazzolo così come la Madonna del Soccorso ora nella  chiesa di San Biagio a Scido, ma proveniente dall’antica chiesa di Santa Maria  del Soccorso, distrutta dal terremoto del 1783.  
  Il  Mazzolo è documentato a Messina ancora nel 1550 per un intervento secondario  nella decorazione di una Cappella della Cattedrale , per la quale tra 1552 e  1555 avrebbe lavorato il fiorentino Giovan Angelo Montorsoli (1507-1563),  realizzandovi la statua di San Pietro.  
  Il  rinnovamento della scultura in Sicilia, attardata su stanchi esiti di  derivazione 
  gaginiana,  si compie nella direzione del tardo-manierismo tosco-romano con l'arrivo a  Messina nel 1547 del Montorsoli, frate  servita allievo di Michelangelo, col quale aveva collaborato dal 1527 al 1533  alle Tombe medicee. 
  Unica  opera documentata del Montorsoli in Calabria è la Madonna del Popolo nella  Cattedrale di Tropea, datata al 1555: la statua rivela i tratti della bottega,  convenzionale nel disporsi del panneggio, che ricorda analoghi partiti  gaginiani, poco attenta alle proporzioni nella definizione del ridondante corpo  del Bambino, priva di vitalità nei volti.  
  Espliciti  connotati montorsoliani esprime in Calabria la Deposizione dalla croce nel  transetto destro della chiesa di Santa Marina a Polistena, eseguita entro il  1586, nella quale  ricerca di  espressività ed indugio descrittivo sono espressi con sapiente e raffinata  tecnica scultorea.  
  La  complessa articolazione compositiva, la tensione drammatica espressa e talune  analogie  iconografiche e stilistiche con  opere autografe dello scultore legittimano un’attribuzione al Montorsoli, al  quale si devono l’invenzione e l’abbozzo complessivo della pala: ciononostante  l’evidente disomogeneità formale dei rilievi mostra l’ampio intervento di un  secondo scultore, probabilmente Martino Montanini, tra gli aiuti del maestro,  che ne proseguirono l’opera dopo il 1557. 
  Altre  opere il frate servita dovette realizzare per la Calabria, ma i documenti noti  non ne danno esplicita conferma. Il fondamentale carattere michelangiolesco  della sua arte risalta in numerose sculture probabilmente commissionate alla  sua bottega ed eseguite da aiuti e seguaci, che ne diffusero gli esiti  manieristici dopo il 1557: la complessità di legami esistenti tra scultori di  ambito montorsoliano nella seconda metà del XVI secolo suggerisce cautela  nell’esprimere attribuzioni che non siano documentate o fondate su inoppugnabili  confronti stilistici e formali. 
  Ad  Oppido Mamertina, nella chiesa di San Nicola extra moenia sull’altare maggiore  sono collocate due statue raffiguranti San Pietro e San Paolo: in esse la  tipologia dei volti, l’ampiezza e pastosità del modellato e l’enfasi delle pose  esprimono espliciti riferimenti al Montorsoli, sebbene il linguaggio abbreviato  degli aiuti le traduca in forme appesantite e, soprattutto nella resa delle  mani, disattente alle proporzioni.  
  Studi  recenti hanno poco credibilmente riconosciuto quale aiuto del Montorsoli nella  Deposizione di Polistena e autore dei Santi Pietro e Paolo di Oppido il  fiorentino Martino Montanini (1505-1563), la cui personalità artistica è ancora  da chiarire data la scarsità di opere certe che possano costituire un valido  elemento di confronto per ricostruirne il catalogo. 
  Allievo  del frate servita, Montanini, dopo aver collaborato col maestro nell'esecuzione  della Tomba di Andrea Doria nella chiesa di San Matteo a Genova, lo seguì a  Messina nel 1547, ripartendone col Montorsoli nel 1557 per tornarvi l’anno  successivo; accettato l'incarico di capomastro scultore del Duomo cittadino,  lavorò a Messina sino al 1561, quando si trasferì a Firenze. 
  Unica  opera documentata di Martino è la Santa Caterina d’Alessandria nella chiesa di  San  Francesco a Forza d’Agrò, consegnata  nel 1559, la quale assume a modello la statua di Sant’Agata realizzata nel 1554  dal Montorsoli per la chiesa della Santa a Castroreale. 
  In  Calabria un gruppo omogeneo di statue, databili al terzo quarto del XVI  secolo,  documenta il ripetersi e  l’intrecciarsi di analoghi esiti formali e iconografici ascrivibili al medesimo  filone artistico, che assume a prototipo la Sant’Agata montorsoliana: sebbene  taluni studi abbiano ricondotto la paternità di tali opere, in particolare, al  Montanini, in questa sede si preferisce per esse il riferimento ad “epigoni  montorsoliani”. 
  Tra  queste opere è la Madonna con Bambino (detta degli Uccellari) nella Basilica  della Madonna dei Poveri a Seminara, databile tra il sesto ed il settimo  decennio del XVI secolo; alla medesima temperie linguistica appartiene la  Madonna con Bambino  sull’altare maggiore  della chiesa della Madonna della Candelora a Pentidattilo, infondatamente  ritenuta opera di Giandomenico Mazzolo, ma priva al momento di paternità certa.  La statua reca sul prospetto della base poligonale, a sinistra, lo stemma del  donatore, il barone Demetrio Francoperta e l’iscrizione “IO DIMITRI /  F(RAN)COP(ER)TA”, al centro la raffigurazione della cosiddetta Madonna della Provvidenza  e, a destra, uno stemma gentilizio con le iniziali “D.M.”; sul listello  inferiore è la data “1564”.  
  Nell’ambito  degli scultori di stretto ambito montorsoliano, attivi a Messina nella seconda  metà del XVI secolo Rinaldo Bonanno (1545 ca.-1590) si distingue quale  interprete di una maniera personale, sia pure fedele agli esiti manieristici di  derivazione montorsoliana. 
  Allievo  di Martino Montanini, nella cui bottega è presente dal 1559 al 1561, è attivo  ininterrottamente a Messina tra 1565 e 1578. 
  Il  primo incarico documentato per la Calabria risale al 1574 e riguarda un fonte  marmoreo da collocarsi nella chiesa di Santa Maria delle Grazie in un non  identificato villaggio Catalani di Reggio Calabria. 
  Al  1582 risale la Madonna del Soccorso nella chiesa dell'Immacolata a  Taurianova:  l’opera, da ritenersi  autografa del Bonanno, si distingue per l’alta qualità dell’intaglio e la  complessa articolazione delle figure, che traducono il manierismo montorsoliano  nei modi  di un pittoricismo di gusto quasi  barocco. 
   Analoghi esiti di intensa vitalità esprime la  Maddalena marmorea  conservata nella  Basilica della Madonna dei Poveri a Seminara: la statua, nella quale risalta  un’esuberanza plastica di derivazione montorsoliana, interpreta in chiave  manieristica la Maddalena di Antonello Gagini per la chiesa di San Leoluca a  Vibo Valentia.  
  Al  Bonanno è concordemente riconosciuta la Madonna con Bambino nella Concattedrale  di Santa Maria Isodia a Bova Superiore: busto marmoreo poggiante su uno  scannello-tabernacolo, fu commissionato intorno al 1584 da mons. Marcello  Franco, vescovo di Bova dal 1577 al 1586.  
  Nel  1587 Rinaldo Bonanno eseguì una Madonna con Bambino  ora nella parrocchiale di San Nicola a Vito  Inferiore: meno ardita della  Madonna di  Taurianova, l’immagine esprime posa classicamente composta e meticoloso indugio  nella resa di alcuni particolari, quale, ad esempio, l’acconciatura della  Vergine.  
  Nel  1588 il Bonanno riceve l’incarico per unaMadonna con Bambino destinata al  casale reggino di Podargoni: la fattura   corsiva e il mancato rispetto delle proporzioni  denunciano l'ampio intervento di aiuti del  Bonanno in un’opera legata a moduli gagineschi nell’impianto generale, con  accenti montorsoliani, in 
  particolare  nella definizione del Bambino. 
  Convivono  nel Bonanno due aspetti scultorei distinti, l’uno di più sentita adesione alla  maniera michelangiolesca filtrata dal Montorsoli, l’altro prossimo alla  tradizione gaginiana: se il confondersi della linea stilistica in parte è  imputabile all’intervento di aiuti, non meno importante fu la necessità di  reiterare modelli forti di una consolidata tradizione devozionale.  
  Alla  bottega di Rinaldo Bonanno si deve la Madonna con Bambino nella moderna  parrocchiale di Santa Caterina a Bova Superiore; proveniente  dall’antica chiesa dello Spirito Santo, la  statua si eleva su uno scannello, sul    cui prospetto sono raffigurati la Visitazione, l’Adorazione del Bambino  e la Madonna con Bambino e anime purganti (detta Madonna della  Misericordia).  
  Sul  listello della breve base è un’iscrizione che   ricorda l'arcivescovo reggino Gaspare Del Fosso (1560-1592) ed il  vescovo di Bova Tolomeo Corsini (1587-1592),  assieme a nomi di sacerdoti e cittadini bovesi. 
  Databile  al 1590, l’immagine è prossima alla Madonna di Podargoni del 1588, della quale  ripete, con lievi varianti, l’iconografia e la rigidità dell’impianto, il fine  modellato ed il collo tornito della Vergine, le fattezze del Bambino, i cui  riccioli sono accuratamente definiti, l’orlo del velo che le copre il capo, a  pieghe piatte attorno al viso, l’analogo disporsi delle mani larghe e robuste  della Vergine. 
  Alla  medesima temperie stilistica è accostabile la Madonna con Bambino nella chiesa  della Madonna delle Grazie a Sambatello, prossima per iconografia e stile  all’analoga immagine firmata dal Bonanno per la chiesa di San Giorgio a  Massa  San Giorgio. 
  Aggiunge  elementi al delinearsi del panorama scultoreo messinese della seconda metà del  XVI secolo l’esame di opere nelle quali s’intrecciano echi e influenze al punto  da suggerire il rinvio non ad un’univoca personalità artistica, bensì ad un  filone culturale, espressione della forte contiguità stilistica esistente tra  Martino Montanini e taluni suoi allievi.  
  Al  riguardo, a Seminara nella chiesa di San Michele si conserva un interessante  nucleo di marmi provenienti dalla chiesa di San Francesco d’Assisi, annessa al  Convento dei Frati Minori Conventuali: una pala con l’Adorazione dei Magi e due  bassorilievi raffiguranti San Pietro e San Paolo, che rivelano puntuali  affinità con un pannello con la Trasfigurazione murato nella chiesa di San  Marco. 
  Detti  rilievi sono quanto rimane del complesso decorativo di due cappelle erette  nella chiesa di San Francesco e dedicate, rispettivamente, all’Epifania ed alla  Trasfigurazione di Gesù: la campagna di lavori, affidata intorno al 1551 alla  bottega di Martino Montanini, dovette proseguire dopo la partenza del maestro,  nel 1561, vedendo all’opera nella pala dell’Adorazione dei Magi, ora in San  Michele, l’ancor giovane Rinaldo Bonanno, suo allievo. 
  Tra  gli scultori della cerchia montorsoliana una forte contiguità stilistica si  rileva  tra Martino Montanini ed il suo  allievo messinese Giuseppe Bottone   (1539–1574 post).  
  Successo  al maestro come capomastro del Duomo di Messina nel 1561, Bottone è documentato  in Calabria sin dal 1560, anno in cui riceve l’incarico per un ciborio marmoreo  da collocarsinella Cappella del SS. Sacramento a Drosi, attualmente nella  locale chiesa di San Martino. 
  Il  13 dicembre 1568 a Giuseppe Bottone è commissionata una Madonna delle Grazie  per l’omonima chiesa nel casale di Santo Stefano in Calabria, consegnata l’anno  successivo: la statua è, probabilmente, identificabile con un’immagine marmorea  documentata nella parrocchiale di Santo Stefano D’Aspromonte dal 1597 al 1909,  ma attualmente dispersa.
  Il  documento del 1568 obbliga il Bottone a scolpire la statua per il paese di  Santo Stefano «di la grandezza lavoro et perfettione con admegloranza di  un'altra maginj quali questi tempi passati ha fatto a lo casali di sancta  efimia»: l’atto consente, quindi, di riconoscere la paternità del messinese per  la statua della Madonna con  Bambino  nella chiesa di Maria SS. delle Grazie a Sant'Eufemia d'Aspromonte, datata al  1568. 
  Nell’ultimo  quarto del XVI secolo attestano il   persistere in Calabria di moduli manieristici filtrati dal Montorsoli  opere di notevole interesse, al momento destinate a rimanere senza una  paternità certa: tra esse è la Madonna con Bambino  lignea nella chiesa di Santa Maria di Loreto  a Reggio Calabria, la quale assume a modello la Madonna del Popolo di  Troppa.  
  Non  si tratta di una stanca replica dell’opera montorsoliana, bensì di un’accurata  e personale reinterpretazione della stessa, da riferire ad un non meglio  identificato epigono dello scultore fiorentino, sensibile  al rispetto delle proporzioni, sottile nella  definizione dell’indagata anatomia del Bambino e attento nella resa equilibrata  dell’insieme. 
  Nel  Cinquecento in Calabria alle commissioni a botteghe messinesi equivalgono numerose  presenze, che documentano il diffondersi, in particolare nell'area  settentrionale della regione, di opere d’arte napoletana: la paternità di  queste ultime non è facilmente riconoscibile data la complessa ricchezza del  coevo panorama scultoreo partenopeo. 
  Tra  gli scultori attivi a Napoli nella prima metà del XVI secolo è Gerolamo  Santacroce (1502  ca.–1537) al quale si  attribuisce l’altorilievo raffigurante la Madonna con Bambino nella chiesa del  Rosario a Taurianova, datato tra la fine del terzo e l’inizio del quarto  decennio del XVI secolo: il tondo è esemplare della predilezione espressa dalla  scultura cinquecentesca. 
  All’ambito  di Giovanni da Nola (1488–1558) sono riconducibili l’altare della Cappella  Martucci, nella chiesa di San Domenico a Cosenza, una statua di San Giovanni  Battista, nella chiesa di San Giorgio a Pizzo Calabro ed una di San Leo  sull’altare maggiore del Santuario del Santo a Bova Superiore. 
  Sullo  scannello della statua, da sinistra, sono lo stemma vescovile di monsignor  Gaspare Del Fosso (1560-1592), San Leo guarisce uno storpio, la Madonna di  Bova, San Leo guarisce un ammalato e lo stemma del vescovo Marcello Franco  da  Gerace (1577-1586). 
  Alla  fine del Cinquecento opera a Napoli Pietro Bernini (1562–1629), esponente di  una cultura prettamente manieristica, nella quale risalta la predilezione per  l’elemento lineare usato in chiave pittorica e un’inclinazione al pittoricismo  ed al taglio geometrico dei piani, in cui si sfaccetta la forma. 
  Lo  scultore, padre di Gian Lorenzo, invia in Calabria gli esiti dei suoi esordi:  in particolare, una Santa Caterina ed una Santa Lucia realizzate nel 1591 per  il convento agostiniano di Santa Maria di Colloreto, ora nella chiesa dei Santi  Pietro e Paolo a Morano Calabro, due immagini marmoree di San Pietro e di San  Paolo collocate nella stessa chiesa, una Santa Lucia per la chiesa  dell’Immacolata a Polistena ed una Madonna Immacolata per la chiesa di San  Leone a Saracena. 
  Tra  gli scultori spagnoli residenti a Napoli, è documentato in Calabria Giambattista  Ortega, al  quale si deve la Pietà  conservata nella chiesa di San Domenico a Taverna , ma proveniente dal  distrutto Oratorio dei Nobili, scolpita intorno al 1603.
  Nel  1608 lo scultore spagnolo è retribuito dalla principessa Maria Ruffo per  l’«Immagine della Madonna tutta a rilievo de marmo», identificabile con la  statua dell’Immacolata, collocata sino a qualche anno addietro nella facciata  della chiesa dell’Immacolata a Scilla, ma successivamente trasferita  all’interno, in controfacciata, e ricomposta con uno dei due Angeli che le  fonti documentano, in origine, ai suoi lati, sull’altare maggiore. 
  Alle  opere illustrate nell’ambito del presente intervento altre se ne potranno  aggiungere al fine di chiarire la facies stilistica di scultori di ambito messinese  o napoletano ancora non sufficientemente indagati, che per la Calabria  realizzarono immagini divergenti, forse, dal finora noto percorso stilistico  degli stessi: in particolare, occorre essere consapevoli che tra le numerose  testimonianze marmoree figurative del Rinascimento conservate in Calabria si  celano inediti esordi o trascurati ultimi esiti di scultori il cui percorso  biografico e stilistico attende di essere ricostruito. 





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