"Aria de Roma” , La Prora, 1933
Essere o benessere”, Rizzoli, 1962
Il presente si muove”, Lucini, 1962
Diario futile”, Rizzoli, 1963
Il sadico del villaggio”, Rizzoli, 1964
Futile e dilettevole”, Rizzoli, 1964
100 neoproverbi”, Scheiwiller, 1965
Il mio caminetto” , Bramante, 1967
Il “Chi sarebbe?” definizionario di celebrità, Scheiwiller, 1967
La Tavolata”, Bietti, 1967
Santa publicitas”, Scheiwiller, 1970
Il malloppo”, Bompiani, 1971
Il tuo caminetto” , Landoni, 1971
Il meglio del peggio” , Rizzoli, 1975
Scherzi a parte”, SugarCo, 1975
Il vostro caminetto”, Cavallotti, 1976
Vivendo e Scherzando”, SugarCo, 1976
Kamasultra”, Mega Publicitas, 1977
Sette zie”, Rusconi, 1977
Panta. Agenda Marchesi”, a cura di Bastianelli M.; Sancisi M.,Bompiani, 2015
Un nuovo incontro sugli umoristi è stato organizzato dal Circolo Culturale „L'Agorà” inerente alla figura di Achille Campanile. Durante la conversazione sono state analizzate le varie sfaccettature sia dell'uomo che del giornalista, umorista, critico, sceneggiatore. Dopo i saluti del presidente del sodalizio culturale reggino Gianni Aiello, la parola è passta ad Antonio Megali che nel corso del suo intervento ha analizzato la comicità surreale del grande umorista Achille Campanile.
Il futuro di Achille Campanile - esordisce Antonio Megali - si poteva già presagire quando faceva l’apprendistato in un giornale con l’incarico di titolare avvenimenti di cronaca secondari. Un giorno una notizia parlava di una vedova che era stata trovata morta sulla tomba del marito, dove si recava tutti i giorni. Il futuro scrittore titolò “Tanto va la gatta al lardo…”. Il direttore delle pagine culturali, Silvio d’Amico, commentò :”Chi l’ha scritto o è un genio o un pazzo”. Per l’anagrafe nasce a Roma il 28 settembre 1899,ma non piacendogli di essere considerato un autore del secolo arretrato e provinciale ha sempre detto di essere del 1900 (sempre del 28 settembre).Così parla di sé stesso nel suo Autoritratto:”…Appena venuto al mondo mi guardai intorno con curiosità e tacqui come se pensassi ma per parecchio tempo non pronunziai sillaba, tanto che in casa temevano che fossi muto. Non piangevo nemmeno e dovevano darmi sculaccioni ordinati dal medico perché assumessi un contegno meno impassibile e piangessi per rafforzare le corde vocali…Una sera fui portato alla finestra in braccio alla balia. Era una sera estiva di festa nazionale e la casa affacciava su una grande piazza tutta illuminata per l’occasione…La folla in abiti chiari circolava lentamente, sorbiva gelati, conversava a braccetto, le mani nelle mani,in un brusio dolce e sonoro. Io, che dalla nascita, non avevo ancora fatto udire la mia voce, aprii la bocca e imprevedutamente feci:- Bè! La casa fu in rivoluzione. “ Ha parlato; ha parlato!”, si gridava al colmo dell’allegrezza; e tutti accorrevano dalle varie stanze manco avessi fatto chi sa che discorso. Ho, dopo molti anni, pronunziato conferenze in teatri affollati, persino in America, con intervento di autorità, di ambasciatori. Ma non ho mai più avuto un simile trionfo con una sillaba sola, e credo che con una sillaba sola nessuno al mondo l’abbia mai avuto. Quello fu uno dei più grandi successi oratorii che la storia registri”.
Da giovane è timido e malinconico. Compone poesie tristi e parla solo di fatti lacrimosi . Il padre era famoso, lavorando al cinema muto, frequentava i letterati dell’epoca e scrisse prima sul “Mattino” e poi alla “Tribuna”. Quando Campanile scoprì la sua natura di umorista? Molto presto fin dai tempi della scuola. Il padre invece lo voleva ingegnere navale. Ma se avessi fatto l’ingegnere navale, raccontava lo scrittore, è quasi certo che le navi da me costruite sarebbero finite dritte in fondo al mare, fin dal momento del varo. Da bambino pensavo con angoscia alla figura che avrei fatto di fronte alle autorità presenti alla cerimonia, al danno che avrei causato a coloro che avevano commesso l’imprudenza di commissionarmi la costruzione del colosso oceanico, alla mia confusione mentre la folla si sbandava spoetizzata. Per fortuna il progetto naufragò come le navi che avrei dovuto costruire. Poi voleva che diventassi diplomatico. Cadute queste due ipotesi si valutò la carriera ecclesiastica. “Mia madre mi voleva prete perché era amante delle gerarchie-diceva lo scrittore- mentre mio padre, che aveva sensibilità estetica, mi voleva frate e in saio. Ma io mi impuntai. Loro pensavano che, timido com’ ero, mi servisse una situazione in cui fossi protetto. Finì tutto dopo una visita a Montecassino, dopo una giornata tra incunaboli e sai benedettini. L’idea di introdurmi nel mondo della musica invece si esaurì davanti alle mie risse col violoncello, strumento che mi era stato designato”.
Così convinto della sua scelta futura incominciò sin dalla composizione dei temi scolastici a ricavare storie assurde. Una di esse parla di un uomo che rincasa con la pistola carica, la mette sul tavolo poi bacia la foto del figlio; quando tutto fa pensare che l’uomo stia per uccidersi sparandosi un colpo, invece si mette a letto  dorme. Frequentava la prima ginnasiale quando improvvisò una parodia della tragedia Rosmunda di Sem Benelli. La fece leggere al suo professore che cominciò a ridere sotto i baffi. Poi restituendo il manoscritto disse: se studierai un giorno scriverai delle tragedie serie. In una scena il re longobardo invita ad un brindisi Rosmunda porgendole il cranio del di lei padre. Alboino: Bevi Rosmunda/nel teschio tondo/ di tuo papà/re Cunimondo. Rosmunda:Caro Alboino/ bere non posso/ tutto quel vino dentro quell’ osso.
Dopo l’Idea Nazionale Campanile collabora al Corriere Italiano e al Travaso delle idee. Qui scrisse un romanzo a puntate Matta Heri, una rivisitazione umoristica delle avventure della famosa spia. Nel 1927 viene pubblicato Ma che cosa è quest’amore? Che era già apparso a puntate su” Il Sereno”. Il romanzo ebbe un successo clamoroso e le duemiladuecento copie della prima edizione andarono a ruba in pochi giorni. Ѐ di questo periodo la sua relazione sentimentale con la terzogenita di Mascagni, di sette anni più grande. Il rapporto, che doveva essere una semplice avventura, dura tredici anni. Il secondo romanzo scritto da Campanile è Se la luna mi porta fortuna con l’editore Treves, mentre il primo era stato pubblicato da Corbaccio.La nascita di questo lavoro viene così ricordata dall’autore:Intanto bisognava che cominciassi il nuovo romanzo per Treves. Non trovavo il tema. Una sera in Corso Italia vedendo il primo quarto di luna mi venne il titolo: Se la luna mi porta fortuna. In quegli anni iniziò a scrivere le famose Tragedie in due battute.La prima è stata Le Due Locomotive intitolata poi Alla Stazione. Personaggi: La Prima Locomotiva, La Seconda Locomotiva. La scena si svolge in una stazione. Le due locomotive attaccate ai rispettivi treni stavano una vicina all’altra su due binari paralleli. All’alzarsi del sipario la prima locomotiva prendeva a fumare e si rivolgeva alla seconda:” Le da fastidio il fumo?” La seconda locomotiva replicava alla prima:” Per carità, s’immagini, fumi pure fumo anch’io”. Da ricordare che a quell’epoca i treni andavano a vapore e perciò le locomotive emettevano fumo, precisa Campanile.”Questa tragedia non venne mai rappresentata. Ritengo che, se lo fosse stata, non sarebbero mancati i fischi. Quelli delle locomotive, beninteso…” Tra il 1930-40 si consolida il successo dello scrittore. Scrive ben cinque romanzi tra i quali il celebre Agosto, moglie mia non ti conosco e In campagna è un’altra cosa (c’è più gusto), oltre alle collaborazioni con i giornali del tempo e numerosi testi teatrali tra qui L’amore fa fare questo e altro, fischiatissima alla prima rappresentazione. Quello che sarà definito” l’umorismo scemo di Campanile” incontrava qualche resistenza a essere accettato quando ancora prevaleva da un lato l’umorismo piccolo borghese e dall’altro quello letterario di Pirandello. Incomincia intanto la collaborazione al quotidiano torinese La Gazzetta del Popolo dove accetta di fare l’inviato al seguito al Giro d’Italia, caso fino allora mai avvenuto dato che gli avvenimenti sportivi erano seguiti solo da giornalisti specialisti nel ramo. Questi articoli furono poi pubblicati nel volume Battista al Giro d’Italia. Battista era il servitore personale che l’accompagnava in bicicletta mentre Campanile viaggiava in automobile. Sempre su La Gazzetta escono i pezzi sul mostro di Loch Ness. Lo scrittore raccontava di aver trovato il mostro, di aver fatto amicizia con lui, di averlo fatto uscire dal lago e di averlo intervistato. Era una specie di dinosauro che aveva imparato a parlare inglese e faceva osservazioni  assai sensate sulla nostra vita, come un autentico filosofo. Mi faceva le riflessioni su questo mondo che lui non apprezzava. Diceva: Come siamo ridotti, questa inciviltà che c’è, ai miei tempi… Il successo fu enorme tanto che quell’anno a Carnevale molti si presentarono ai veglioni mascherati da dinosauro. Intanto affronta anche il mondo del cinema. Nel 1937 scrive con il padre il soggetto del film con Totò che prima doveva intitolarsi Il neo col pelo, poi uscì come Animali pazzi. Intanto nel 1933 aveva vinto il premio Viareggio con Cantilena all’angolo della strada, una raccolta di articoli, dove Campanile si presenta come un “ Umorista serio” per cui la critica del tempo lo paragona a Panzini, Bontempelli e Moretti. Nel 1940 si sposa a Torino con Maria Rosa Lisa indossatrice e aspirante attrice. Il matrimonio viene celebrato col solo rito civile, quasi in segreto. Il legame fu tempestoso e questo incise anche sulla sua produzione letteraria che fu meno intensa degli anni precedenti. La moglie, quando era in preda all’ira , strappava i fogli su cui lo scrittore stava lavorando. Pertanto Campanile pensò di ricorrere a uno stratagemma: buttava nel cestino i fogli finiti e lasciava le brutte copie sul tavolo poi li recuperava e li stirava prima di mandarli all’editore. Esasperato arrivò al punto di scrivere:” Fu un matrimonio disgraziatissimo; prima desideravo diventare vedovo, poi desideravo che diventasse vedova lei, tanto per uscirne in qualche modo”. Nell’immediato dopoguerra collabora a Milano-Sera, quotidiano socialcomunista. In una nota specifica il suo rapporto col giornale e con la politica :”Fra le strane avventure della mia vita scombinata c’è anche quella di aver passato un anno con i comunisti senza essere comunista…mi sono sempre tenuto lontano dalla politica. Il mio primo giornale fu un giornale nazionalista in cui rimasi del tutto estraneo al movimento politico che vi si svolgeva. Poi venne il fascismo. Io scrivevo i miei libri senza occupami del fascismo. Che mi lasciassero lavorare…”.Nel 43 naufraga il suo matrimonio e fugge di nascosto dall’albergo in cui lo costringeva ad abitare la moglie. All’ angolo di una via, i camerieri gli conservano due valige di appunti e di abbozzi di romanzi e commedie. Poi comunica la sua decisione a sua moglie che dà inizio ad una serie di denunce e di varie persecuzioni che dureranno fino alla morte dello scrittore. Successivamente incontra quella che diventerà la sua seconda moglie, Giuseppina Bellavita che sposerà nel 55 col solo rito religioso. Non era possibile farlo civilmente perché otterrà il divorzio solo nel 1971. Un anno dopo nacque il figlio Gaetano considerato dallo scrittore “Il suo vero capolavoro”. Ѐ degli anni cinquanta il suo interesse per la televisione. Prima di passare all’Europeo commenta sul Corriere di Informazione le puntate dalla trasmissione “Lascia o Raddoppia?” .Tenne poi la rubrica di critica per l’Europeo per ben diciassette anni, dal 1958 al 1975, individuando con largo anticipo pregi e difetti del mezzo televisivo. Così poi spiegò i motivi per cui lasciò la sua rubrica di critico televisivo:”Per tanto tempo ho tenuto una rubrica di critica televisiva, sull’Europeo. Poi ho lasciato. Purtroppo. La televisione era l’unica cosa che riuscisse a farmi dormire. Io soffro terribilmente d’insonnia. Con la televisione ogni tanto dormivo. Ora ,invece non ci riesco più. Il mio guaio è che non dormo e amo lavorare di notte. Avendo questa dannata abitudine di lavorare di notte, in realtà riesco a lavorare sempre l’indomani. Cioè, la notte comincio a lavorare, poi mi distraggo, passeggio, o sonnecchio, ed è già l’indomani. Sono lo scrittore del giorno dopo. Sapesse come la vita mi si è abbreviata in questo modo. “. Intanto in questi anni viene pubblicato oltre a numerosi romanzi e racconti il voluminoso Trattato delle barzellette scritto con la collaborazione della sua seconda moglie. Achille Campanile muore la notte tra il 3 ed il 4 gennaio 1977 a Lariano nei pressi di Velletri. La sua prima moglie in un’intervista dirà :” Ѐ stata una tragedia per me incontrare un umorista. “ Il tema della morte ricorre sempre nella sua opera. Incominciò a temerla da quando aveva settant’anni perché giovanissimo una chiromante gli aveva predetto la morte dopo quell’età . Nella sua opera nascita matrimonio e morte sono le maggiori occasioni di umorismo e di comicità.A questo tema è dedicato il romanzo Il povero Piero. Dopo una lunga malattia, Piero muore. Secondo le sue volontà la notizia della sua morte deve essere data a esequie avvenute. Intanto un amico di Piero, Paolo si reca a casa sua per annunciargli il matrimonio e chiedere all’amico di fargli da testimone. Si presenta pure un operaio della luce che deve effettuare delle riparazioni proprio nella stanza dove giace il povero Piero. I parenti riescono a tenere tutti all’oscuro della morte avvenuta.  Il defunto intanto, trattandosi di un caso di morte apparente risuscita e si riesce a celebrare il matrimonio dell’amico Paolo . Alla vista però della bara destinatagli e del corteo funebre in arrivo, il cuore di Piero non regge e questa volta muore veramente mentre tutti festeggiano il matrimonio dell’amico. Nel romanzo, il bersaglio  è il tabù della morte. Oltre tutto lo scrittore non sopporta  che come avviene anche nel matrimonio l’ingerenza degli altri diventa ossessiva. A cominciare dalle epigrafi, in cui dopo una menzione frettolosa del defunto si tessono gli elogi dei superstiti: la consorte integerrima, i nipoti laboriosi, la fedele serva Maria, il dottore valentissimo che l’ha curato. E per questo nel romanzo sopracitato due sconosciuti che passano per caso si sentono autorizzati ad aggiungere all’epigrafe il loro nome:”I solerti e probi Nicoloni produttori dei rinomati salami Nicoloni e C.”. Come spesso accade Campanile ha avuto maggior successo dopo la morte. Anche perché come ben sappiamo la cultura ufficiale considera l’umorismo come qualcosa di riduttivo. E molti critici solo dopo la morte lo giudicarono un grande scrittore. E lo stesso Campanile diceva di non sentirsi un umorista. “Ѐ un’etichetta restrittiva, limitativa, che non mi piace. Sono uno scrittore e basta, senza aggettivi. La mia visione umoristica della vita non è voluta . Il mio umorismo, se di umorismo vogliamo parlare, lo trovo nelle cose. “Ma che cosa è quest’amore?” Io lo scrissi molto seriamente. Furono poi gli altri a dire che faceva divertire… e infatti quando gli domandarono che cosa fosse secondo lui l’umorismo risponde senza tante complicazioni: Non so”. Eppure Eugene Ionesco lo considerava suo maestro e i due nomi appaiono quasi sempre  associati come i maggiori rappresentanti dell’umorismo surreale. Ma mentre negli scritti dell’autore rumeno c’è sempre un riferimento ad un mondo di valori e il riso deriva tra la realtà e l’assenza di una cultura di riferimento, in Campanile il riso diventa sarcasmo in nome del buonsenso e quindi fa vedere che proprio nella realtà vi è una componente ridicola. Pertanto aveva ragione Carlo Bo nel definire Campanile uno dei rarissimi inventori di un nuovo genere letterario e un classico del novecento.
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22 febbraio 2017
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