
Aeroporto Internazionale Ferihegy  di Budapest ore 12,45 del 4 novembre, una data non rilevante, forse, per la  delegazione reggina giunta in terra magiara per una serie conferenze e scambi  culturali ma, per gli ungheresi sul calendario tale data è segnata in rosso  come il colore del sangue versato per  le  vie della capitale magiara, proprio cinquanta anni fa nell’impari lotta tra i  carri armati sovietici dell’Armata Rossa, i famosi “T54” e le pietre e le bombe  molotov degli insorti che, abbandonati dagli stati occidentali, morivano per un  alto ideale, quello della libertà.
L'importanza storica e politica  della rivoluzione ungherese del 1956,   a distanza di mezzo secolo, trova ancora oggi una solida  piattaforma per un ampio ed approfondito dibattuto, vista la sua importanza  storica, politica, culturale e sociale che ha avuto non soltanto sul territorio  magiaro, nei suoi abitanti ma anche nel resto del mondo vista la sua forte eco  emotiva che ha lasciato sia a quella generazione che a quelle che si sono  succedute con lo scorrere degli anni.
La rivoluzione ungherese del 1956  conserva a tutt'oggi un forte dibattito storico anche nei confronti delle  motivazioni che l'hanno generata e che lasciano sul tavolo dei relatori diverse  scuole di pensiero sulla sua origine.
Dati certi sono che fu una  rivoluzione popolare, senza distinzione di classe sociale, persone che scesero  in piazza come studenti, operai, militari, giornalisti, uomini di cultura,  esponenti politici di diverse aree: tutti accomunati da un unico obbiettivo,  cioè quello della giustizia e della libertà.
Per questi nobili ideali molte  persone persero la vita, altri conobbero la dura repressione come il carcere,  chi venne deportato, altri scelsero l'esilio emigrando dall’Ungheria.
Ciò che si percepisce  passeggiando per le vie della capitale magiara è una certa tensione nei  confronti dell'attuale apparato governativo viste anche le dichiarazioni del  primo ministro ungherese il socialista Ferenc Gyurcsany fatte in una riunione  privata e poi trasmesse da alcune emittenti radiofoniche locali ed anche su  internet.
Il contenuto delle stesse era  basato su delle menzogne sulle riforme economiche fatte per vincere le elezioni  dello scorso mese di aprile e tutto ciò ha scatenato la rabbia sia di semplici  cittadini che da parte delle frange di estrema destra, scatenando scontri,  feriti, arresti, devastazioni per le vie di Budapest.
Uscendo dallo scalo  internazionale ci si trova nell’estrema periferia della capitale ungherese e  nella zona compresa con l’altro aeroporto si   trova il cimitero  municipale di  Ràkoskeresztùr, (il più grande dell'Europa), ricadente nel IX Distretto,al cui  interno è ubicata l'area denominata "Particella 301", luogo dove  riposano i resti delle vittime della rivoluzione del 1956.
Vi si accede da un lungo viale  posto all'ingresso principale, poi, tra alberi e vecchi monumenti funebri si  svolta a sinistra del cartello che indica tale area, dove tra l'altro sono  installate alcune opere dello scultore avanguardista ungherese  György Jovánovics a seguito di un concorso  bandito nella primavera del 1989 dal Comitato ungherese per il Patrimonio  Storico (TIB = Történelmi Igazságtétel Bizottság).
Tale opera artistica è costituita  da tre elementi scultorei, collegati da un percorso simbolico posto al bivio  tra la morte e la vita eterna, quali una tomba aperta dove si trova ubicata una  colonna di granito nero di 1.956 millimetri di altezza , un tempio ed  una pietra rustica.  
Nei pressi dell'area in argomento  si trova un'altra location artistica dalle strutture interamente in legno e  realizzata prima di quella di  György  Jovánovics. 
C'è da ricordare anche l'operato  di un gruppo di artisti ungheresi, tale '‘Inconnu Independent Art Group’' che  in data 4 novembre 1988 eresse   all'interno della Particella 301 una serie di strutture lignee per  ricordare i resti mortali di quelle vittime, cadute durante la rivoluzione del  1956, delle quali non fu possibile accertare la loro identificazione.
Tali opere funebri sono  conosciute come Kopjafa e sono costituite tra un tronco di legno intagliato,  come una sorta di totem e fanno parte dell'antica tradizione funeraria  ungherese che indicavano il sito della  sepoltura.
Tra l'altro la sopra menzionata  organizzazione il 16 giugno 1988   in occasione del trentesimo anniversario della morte  di  Imre Nagy aveva effettuato un  tentativo di posizionare un Kopjafa sul luogo, allora senza nome, dove vi erano  i resti della salma, ma ciò non fu possibile per l'intervento della polizia.
Un secondo tentativo raggiunse lo  scopo prefissato dai componenti  del  movimento  '‘Inconnu Independent Art  Group’' in data 4 novembre dello stesso anno, anniversario relativo alla fine  della rivoluzione ungherese del '56.
C'è da evidenziare che tra i  componenti facenti parte del movimento   '‘Inconnu Independent Art Group’' spiccano  nomi   di un certo rilievo della cultura ungherese come  Bokros Péter, Molnár Tamás, Csécsei Mihály,  Mészáros Banca, Letenyei József, Mihály Sipos, Miklós Kovács Kopács, Morva  Ibolya.
A riguardo i resti delle salme  c'è da ricordare che nella primavera del 1989 iniziarono i lavori di ricerca  delle stesse ed il relativo riconoscimento alla presenza dei familiari delle  vittime.
A seguito di ciò il 16 giugno del  1989 si svolsero i funerali di stato alla presenza di oltre 200.000 ungheresi,  come riferiscono le cronache dell'epoca, stipati nell'area e nelle zone  adiacenti alla Piazza degli Eroi ( Hősök tere ) per rendere omaggio alle salme  del Primo Ministro Imre Nagy, del ministro della Difesa Pál Maléter, del  ministro di Stato Géza Losonczy, del giornalista  Gimes Miklós e di József Szilágyi, segretario  del premier ed altre vittime della rivoluzione ungherese del 1956.  
La delegazione  del Circolo Culturale “L'Agorà” su espressa  intenzione di Gianni Aiello ha fatto visita al   cimitero  di Ràkoskeresztùr con il  chiaro intento di dare un piccolo contributo ed omaggio floreale alle tombe  delle vittime del 1956 insieme ai i resti delle persone che vennero giustiziate  tra il 1957 ed il 1958.
Tanti nomi conosciuti e non che  morirono per l'ideale della libertà e della giustizia sociale e che adesso sono  riportati in ordine alfabetico su delle lavagne bianche di marmo poste nella  suddetta area che ricorda una forma di ferro di cavallo.
La delegazione reggina oltre che  deporre dei fiori in alcuni punti all'interno della Particella 301,  ne sono stati posizionati altri anche sul  posto dove riposano i resti  del Primo  Ministro Nagy Imre ed in quello di Antal Pálinkás.
Per quest'ultimo il Presidente  del sodalizio culturale reggino ha voluto fortemente conoscere l'ubicazione del  luogo dove riposano i resti dello stesso, proprio perché ammirato da una  lettura dal  titolo “Ungheria 1956, Il  cardinale e il suo custode”  dove si  narra la vicenda relativa alla liberazione del   cardinale Jozsef Mindszenty da parte di alcuni militari ungheresi  diretti dal sopramenzionato  Antal  Pálinkás il 30 ottobre del 1956.
Nel proseguio della letteratura  di tale saggio Gianni Aiello con ammirazione ha potuto conoscere lo spirito  d'animo del Pálinkás , scoprendo anche le sue origini italiane: Pallavicini.
Antonio Pallavicini figlio di un  marchese di origini italiane (Pallavicini György discendente a sua volta dal  ramo degli Sforza Pallavicini) che decise di spogliarsi della sua identità per  dare un taglio netto con il trascorso blasonato ed avvicinarsi cosi al  socialismo. 
Quindi Antonio Pallavicini di  origini italiane, ufficiale dell'esercito ungherese e, proprio in Ungheria il  nostro Antonio decide di cambiare il proprio nome italiano in quello ungherese  di  Pallavicini Pálinkás  Antal.
Successivamente ai fatti relativi  alla liberazione del  Primate d'Ungheria  Jozsef Mindszenty Pallavicini   Pálinkás  Antal venne catturato dalla  polizia sovieticaPálinkás  Antal era nato  nella capitale magiare il 30 luglio del 1922, morirà a trentacinque anni dopo  un sommario processo.
Il cielo plumbeo, il paesaggio  invernale caratterizzato da file di alberi spogli che accompagnavano la  delegazione reggina lungo i viali, ricoperti da tappeti di foglie  ormai secche, facevano da contorno allo  scenario in questione dove riposano le vittime della rivoluzione del 1956. 
Ancora per le strade della  Capitale magiara, chiamate ùt, sono presenti i segni della lotta di mezzo  secolo addietro, proprio per fare memoria storica, e, nel contempo, ricordare  alle nuove generazioni il sacrificio e la sofferenza di coloro che hanno  contribuito, anche se in modo lento ma inesorabile a far crollare le fondamenta  strutturali della dittatura sovietica.   
Oltre alle opere sopra  menzionate, ci piace informare il lettore di altre produzioni artistiche che  sono state ubicate a Budapest nel 1996 nel numero di tre, mentre un'altra opera  è stata realizzate nel 2001, entrambi, pur nella diversificazione artistica,  assumono il ruolo di  sentinelle della memoria storica, come quello  voluto dal Presidente della Repubblica di Ungheria Árpád Göncz, che ne fece  posizionare una in Kossuth tere, vicino al Parlamento.
Nello specifico si tratta di  un’opera, realizzata dall’artista Maria Lugossy, caratterizzata da un blocco di  marmo scolpito, le cui forme ricordano una fiamma eterna.
Attraversando la strada in una  piccola piazzetta si trova ubicata posizionata la statua di Imre Nagy  posizionata su di un ponte, l’opera è stata realizzata da Tamás Varga e  rappresenta il collegamento, quindi il ponte che lega il passato al presente,  quindi la memoria storica.
Altra sentinella della memoria è  rappresentata dal monumento che ricorda il giovane Jancsi ed il suo  inseparabile fucile che stà a guardia di un luogo storico della rivoluzione  ungherese del 1956: il cinema Corvin.
L’architettura commemorativa  realizzata da Lajos Győrfi, prende spunto da una famosa fotografia del  periodo, è venne commissionata all’artista ungherese da un’Associazione  combattentistica del periodo in questione. 
Passeggiando per le vie della  Capitale magiara, accompagnati da un gelido freddo, si ha il modo di verificare  le attitudini emotive, giuste e sacrosante che risultano visibili lungo le rive  del Danubio, nei punti dove si verificarono i segni della violenza di cinquanta  anni fa, proprio quei luoghi sono addobbati da pensieri floreali indirizzati  proprio a coloro che sacrificarono laloro vita in quella "primavera  d'autunno" del 1956. 
Ma vi si scorgono anche i segni  delle recenti proteste dovute alle dichiarazioni del Premier Ferenc Gyurcsany,  segni ben riscontrabili sui mass-media, nelle espressioni dei tratti somatici  della gente comune che risente della situazione politica e sociale del Paese.
L'Ungheria, entrata nell'Unione  Europea nel 2004, sta affrontando un duro momento di difficoltà economiche dopo  che il governo ha presentato un duro piano per rispettare entro tre anni i  parametri per l'ingresso nell'Euro e secondo quanto riportato dagli organi d’informazione  sia su cartaceo che su multimediale, proprio nel 2006, il deficit  toccherà il 10,1 % del Pil e secondo le linee  programmatiche del Primo Ministro il 3,2% entro il 2009, e tra gli altri  un rialzo dell’aliquota minima di Iva (su  prodotti alimentari e servizi di base) dal 15% al 20% e un rincaro di gas (+  30%) e di elettricità (+8%). 
Ma  nonostante il coraggioso programma di  Ferenc Gyurcsany ciò che ha dato origine alle  dure proteste sono state alcune sue considerazioni, diffuse radiofonicamente,  secondo le quali il Premier magiaro avrebbe raggirato il proprio elettorato con  notizie e dati non veritieri riguardante lo stato di salute economico e sociale  dell’Ungheria, anche se, c’è chi sostiene che tali affermazioni dirette dal  Primo Ministro erano un manifesto  atto a  porre fine alle menzogne. 
Tutto questo stato di cose  hanno  fatto si che i risultati ottenuti  dalla politica economica ungherese, adesso versano in una situazione delicata,  infatti, allo stato attuale il deficit del settore pubblico rappresenta il  tallone d'Achille dell'economia ungherese risulta il più elevato di tutta  l’Unione Europea, addirittura  triplica  il livello massimo richiesto dai criteri di Maastricht per poter introdurre  l’euro che era previsto per il 2010. 
Per quanto riguarda il flusso  macroeconomico, c'è da registrare gli indici da parte dell’Ufficio Centrale di  Statistica che rilevano per il periodo agosto-ottobre 2006 un tasso di  disoccupazione del 7,4%, pari a 317.300 unità improduttive, e, sempre nello  stesso periodo il 22,3% dei disoccupati si è 
registrato nelle fasce d’età  comprese tra i 15 ed i 24 anni, dove il tasso d’inflazione ha raggiunto il 20,2%. 
Naturalmente vi sono delle zone  diversificate per quanto riguarda la situazione macroeconomica, come del resto  ci dice durante l'intervista il vice Direttore dell'Archivio di Szombathely,  Feiszt György: «La situazione del capoluogo della regione - dice  - è molto sviluppata, il tasso di  disoccupazione risulta molto basso e si aggira intorno al 5% e dopo Budapest è  la regione più sviluppata, mentre a Nord e ad Sud-est ci sono tanti problemi la  disoccupazione raggiunge il 25% come nei territori vicino ai confini con la  Romania.» 
Il vice Direttore dell'Archivio  di Stato è una persona molto disponibile, come del resto tutte le altre  conosciute durante il nostro itinerario culturale effettuato nel territorio  magiaro.
Adesso inseriamo qualche stralcio  dell'interessante intervista con il disponibile vice Direttore dell'Archivio di  Stato di Szombathely dove si è parlato oltre che degli aspetti storici anche di  quelli documentaristici, gli atti conservati presso l'istituto culturale della  regione della Savaria.
Cosa c'è nel vostro animo dopo  cinquant'anni? Adesso nei quotidiani è una grande festa perché la gran parte  della società ungherese non conosce la verità e farlo conoscere ai giovani che  non sanno nulla, neanche sotto la dittatura di János Kádáre quindi è cresciuta  una generazione che, suo malgrado,  non  conosce la realtà dei fatti. 
  A riguardo le fonti documentarie  del Vostro Archivio relative alla rivoluzione ungherese del 1956, cosa potete  dirci? Ci sono materiali che riguardano tale periodo, anche se nel  territorio della nostra provincia la rivoluzione ebbe la durata di circa undici  giorni e terminò il 4 novembre, proprio con l'invasione da parte delle  truppe  sovietiche. rivoluzione di  Budapest e terminò il 4 novembre, proprio con l'invasione da parte delle  truppe  sovietiche. Essa ebbe inizio il  giorno successivo alla rivoluzione di Budapest e terminò il 4 novembre, proprio  con l'invasione dei sovietici. Per quanto riguardo l'anno 1956 e per gli anni  successivi riguardano i processi veri e propri. Si tratta di materiale che  riguarda l'istituzione delle associazioni rivoluzionarie che parteciparono  attivamente in tale periodo. Tale tipologia delle fonti del nostro archivio  permette agli studiosi di effettuare delle interessanti ricerche ed è un punto  di riferimento culturale, visto che si ha la possibilità con questi documenti  di comprendere la tipologia di tali avvenimenti storici e quindi nel contempo  di fare memoria storica anche per le future generazioni.
E’ stato un modo quindi di  confrontarsi, come avveniva nel mondo egeo, e proprio in quella”agorà” simbolo  dello scambio di diverse culture che il sodalizio reggino presieduto da Gianni  Aiello ha adottato come marchio dell’Associazione Culturale reggina nel  1993.   
  La presenza in terra magiara da  parte della delegazione del Circolo Culturale L’Agorà e del Centro Studi  italo-ungherese “Àrpàd” è dovuta ad una serie di "incontri culturali"  che ha visto impegnata la delegazione reggina in una serie di appuntamenti e  visite istituzionali con sodalizi ed istituti ungheresi ed una serie di  convegni relativi al periodo della rivoluzione ungherese del 1956. 
  Il tour ungherese è stata  un’ottima occasione di incontro-confronto sulle tematiche storiche in  questione, sul ruolo della memoria storica, una memoria che non vuole perdersi,  che cerca tutti i mezzi per fermarsi, per divenire oggetto concreto,  comunicabile ad altri, trasmissibile al futuro. 
  Ed a tal proposito il docente  Antonio Sciacovelli ha anche detto che a tutt'oggi nei giovani esiste una  grande labilità informativa su tale periodo,  non dovuto a loro colpe, ma perché solo di recente si comincia a poter parlare  sul 1956 e non prima quando sui libri non c'era scritto nulla e quindi non se  ne poteva parlare. 
  Un suo parere sul 1956 E' una  questione molta complicata. il mio parere   è che comunque ancora si può scrivere molto, visto che sia gli ungheresi  che gli non ungheresi hanno la necessità abbastanza  impellente di avere un'opera o più opere che  parlino non solo delle connessioni politiche, culturali e storiche, ma proprio  dei fatti, di quello che è successo. 
Il viaggio culturale in terra magiara ha annotato una positiva risposta sia dagli addetti ai lavori, quali storici, associazioni culturali locali, ricercatori, archivisti, docenti universitari, giornalisti con i quali sono state tenute anche delle conferenze stampa ma anche di eroi del ‘56 che hanno aderito agli appuntamenti, partecipando e testimoniando i loro ricordi ai presenti, come quella del Signor Torjaj Valter, reduce della rivoluzione ungherese, che di buon grado ha rilasciato un'intervista a Gianni Aiello che di seguito si pubblica qualche stralcio insieme ad altre effettuate dallo stesso durante la permanenza in terra magiara.
I suoi ricordi? Mi trovavo a  Budapest facevo servizio assistenza   sanitaria ed in quel periodo anch'io ho fatto la mia parte anche se non  ho combattuto con le armi, volevo farlo, ma ho dato il mio contributo per  aiutare i molti feriti che vi erano in quel periodo, io ero un chirurgo e  svolgevo il mio lavoro a Budapest e per questo conobbi il carcere.  
  Lei ha conosciuto Pal Malater? Ho avuto modo di conoscere Pal Malater al quale avevo detto che volevo anch'io  combattere, ma lui mi ha risposto che c'erano già molti combattenti e che  invece vi erano pochi medici per curare i numerosi feriti durante i  combattimenti.
Ma chi era Pál Maléter?
  Egli nacque il 4 settembre del  1917 ad Eperjes località posta al nord dell’Ungheria e che oggi a seguito degli  avvicendamenti storici fa parte della   confinante Slovacchia.
  Intraprese gli studi universitari  presso la facoltà di medicina nella capitale boema di Praga per  poi trasferirsi nel 1938 nella capitale  magiara nel 1938 insieme alla sua famiglia.
  A Budapest cambiò indirizzo di  studi frequentando l’accademia militare con merito e distinguendosi 
  così sul fronte orientale durante  la seconda guerra mondiale.
  Dopo la fine delle ostilità rientrò  nei ranghi militari svolgendo funzioni di comando proprio a Budapest e durante  le prime giornate della rivoluzione del 1956 venne incaricato di soffocarla.
  Ma qualcosa successe in Pál  Maléter visto che si schierò con i connazionali idealisti, quindi con il popolo  ungherese.
  Con il passare dei giorni egli  assunse le cariche prima di colonnello e successivamente quella di generale ed  il 29 ottobre del 1956 gli venne conferita quella di Ministro della Difesa.
  Il successivo 3 novembre si recò  nei pressi della capitale magiare per effettuare delle contrattazioni  diplomatiche con gli alti ranghi dell’Armata Rossa di istanza nella città di  Tököl.
  L’azione diplomatica sembra  sortire gli effetti sperati: ma era solo apparenza!
  Pál Maléter venne arrestato da  agenti del KGB dirette da Ivan Serov e qualche giorno dopo e a seguito di un  processo sommario ed a porte chiuse,   venne giustiziato insieme al premier Imre Nagy ed al giornalista Miklós  Gimes il 16 giugno del 1958 con il movente indirizzato al tentativo di abbattimento  della Repubblica Popolare d'Ungheria.
  Ritornando agli appuntamenti che  la delegazione del Circolo Culturale "L'Agorà" ha onorato durante il  breve ma intenso soggiorno in terra magiara, confrontandosi con altre realtà  del luogo e sottoponendo alle stesse le informazioni raccolte da Gianni Aiello  relative alla rivoluzione del 1956 ed inseriti in un  cd-rom.
  All'interno dello stesso sono  contenute diverse informazioni storiche come le note informative da parte delle  Prefetture, le segnalazioni delle segreterie dei Partiti, le sedute di  assemblee, ma anche una raccolta relative a manifesti, locandine.
  Dall’insieme di questa prima  raccolta documentaria, Gianni Aiello ha detto che essa costituisce un valido  strumento, essendo la storia materia dinamica, di lettura  atta a ricomporre idealmente un mosaico  costituito da diverse scuole di pensiero, punti di vista, interpretazioni a  riguardo il ’56.   
  L’avvicendarsi di tale  documentazione è stata anche un modo di vedere le posizioni che presero partiti  politici, sindacati e movimenti cattolici in quel terribile e delicatissimo  frangente della storia d’Europa del ventesimo secolo, periodo storico definì  come “secolo breve” dallo storico Eric. J. Hobsbawm che individua nell’arco di  tempo compreso fra lo scoppio della prima guerra mondiale (1914) ed il crollo  dell’URSS (1991) un periodo significativo, in cui ricomprendere il Novecento. 
  La sequenza delle fotografie  “della memoria” analizzate da Gianni Aiello è stato un interfacciarsi di  situazioni emotive relativi al ’56 ungherese e di come tale stato d’animo  veniva assimilato in Italia e nella sua parte peninsulare più meridionale:  Reggio Calabria. 
  La tragedia ungherese era  ampiamente seguita in riva allo Stretto, testimonianza sono gli accessi  dibattiti politici del periodo, così come il prodigarsi di aiuti umanitari, le  serrate assemblee comunali di Palazzo S.Giorgio, dove un allora giovane  consigliere sosteneva la causa ungherese dicendo che quegli studenti, quegli  operai non potevano essere dei “reazionari”: era Piero Battaglia il sindaco  della rivolta di Reggio.  
  Si susseguono le immagini dei  documenti; da quelli cartacei come manifesti, locandine, fotografie, giornali,  a quelli multimediali come i cinegiornali del periodo o i servizi radio e di  seguito alle varie ordinanza della Prefettura dirette al controllo delle sedi  locali del PCI e del PSI, ma anche al controllo durante i comizi, lo  svolgimento delle funzioni religiose, numerose in città ma anche nell’intero  territorio provinciale, agli accorati appelli durante le omelie di Mons.  Giovanni Ferro, al modo della scuola, come ad esempio un articolo all’interno  di  una testata liceale cittadino.   
  L’insieme di questa  documentazione ha il merito di fermare i ricordi, le relazioni tra gli  individui, i fondamenti della vita politica, economica, sociale ed  amministrativa, facendo nascere e crescere nel tempo una specie di “sedimento  fisico di memoria”: documenti uniti a documenti, pur se in diversi linguaggi,  costituiscono un codice   sempre più  adeguato ad esprimere i rapporti da cui provenivano e le volontà che volevano  realizzare, questo rappresenta quanto hanno consegnato le precedenti  generazioni a quelle future, insiemi ad altri documenti di lettura come possono  essere i monumenti, le opere d’arte, o ad altri oggetti materiali che ci  circondano a tutt’oggi, quindi questo è ciò che ancora oggi noi produciamo e  consegniamo al futuro.   
  Tali aspetti documentaristici  sono stati oggetto di comparazione e discussione tra gli addetti ai lavori che  hanno manifestato al sodalizio reggino compiacimento per il lavoro svolto,  quindi il  viaggio in terra magiara è  stato un misto di sensazioni scaturite durante tale permanenza.
  Si è potuto ammirare anche la  goticità delle costruzioni di Budapest, la scenografia della puzsta, la maremma  ungherese, i castelli, come quelli di Visegrad, le bellezze naturali del lago  Balaton ed in mezzo a queste pertinenze naturali ed architettoniche la gente  che porta dentro il sapore delle tradizioni, della loro musica. 
  Tante similitudini, testimonianze  sono state affrontate e discusse nel corso dell’interessante manifestazione che  si è svolta in diverse location in terra ungherese che ha visto il susseguirsi  di una serie di dibattiti, interviste, durati tutta una settimana, incentrati  sul tema della rivoluzione ungherese del 1956, caratterizzati da incontri con  alcuni reduci, studiosi, docenti universitari, giornalisti, associazioni  culturali e storici ungheresi come ad esempio l'Istituto ungherese del 1956 .
  Tutto questo stato di cose ha voluto  rappresentare quel momento di confronto, lo stesso che si celebrava nel mondo  egeo, proprio in quella agorà simbolo di diverse culture e momento di  incontro e confronto delle idee.
  Così come è avvenuto con un altro  istituto culturale ubicato nella centralissima Andràssy Gyula út  disegnata lungo il suo tracciato alberato  dove da entrambi i lati vi sono caratteristiche costruzioni che riportano  indietro nel tempo e precisamente a quel lontano 1872 quando ne venne approvata  la progettazione.
  Lungo tale importante asse viario  tra l'Oktogon e la  Kodàly Körönd tér ha  sede il Terror Háza, trasformato in data   22 febbraio 2002 come luogo della memoria ed istituzionalizzato come testimonianza  comunicativa permanente atta a ricordare ciò che avvenne durante l’amministrazione  sovietica e quella nazista.
  Due momenti storici che segnarono  pesantemente il popolo ungherese ed a tal proposito piace ricordare quanto ha  dichiarato il filosofo Sándor Radnóti a riguardo sia la struttura che quello  che essa rappresenta e vuol comunicare ai visitatori [...] È un luogo  traumatico anche perché ci sono alcuni testimoni ancora in vita, questo è un  luogo della memoria comunicativa. La storia [...]  non è così divertente. Il più delle volte  è tormentata da tremendi dolori [...]. 
  La struttura architettonica in  questione fu sede del Partito delle Croci Frecciate (Nyilaskeresztes Párt –  Hungarista Mozgalom) e della polizia segreta ungherese l’ÁVH (Államvédelmi  Hatóság, Autorità per la Protezione dello Stato).
  La prima sigla (Nyilaskeresztes  Párt – Hungarista Mozgalom) dal chiaro orientamento filo-nazista ed antisemita  ebbe in Ferenc Szálasi la figura carismatica.
  Tale partito governò il paese  magiaro dal 15 ottobre 1944 al gennaio del 1945 ed in tale arco di tempo fu  fautore della deportazione di miglia di ebrei dall’Ungheria ai lager nazisti.
  Con la conquista di Budapest da  parte dell’Armata Rossa avvenuta nel dicembre del 1944 si insedia nella  struttura di Andràssy Gyula út un nuovo   inquilino e nello specifico la polizia segreta ungherese con l’acronimo  di Államvédelmi Hatóság o ÁVH (Autorità per la Protezione dello Stato) che  operò dal 1945 al 1956.
  Anche in questo caso si  susseguirono le violenze avvenute nel precedente periodo storico sempre con la  stessa tipologia indirizzata a maniere alquanto violente e repressive nei  confronti dei dissidenti a far data dal 1948.
  Dopo la breve ma doverosa analisi  storica c’è  da evidenziare che il Terror  Háza ha il merito di raccontare come un libro aperto ciò che accadde al suo  interno, nelle varie stanze, nei seminterrati, nelle celle di prigionia.
  Tutto questo è reso ancor più  commovente dalle scenografie costituite da vari oggetti, mobili, materiale  multimediale che racconta quei tristi momenti e di ciò che subirono le vittime  dei due regimi.
  Piace anche raccontare al lettore  della disponibilità che si è fortemente percepita da parte dei componenti del  sito museale che ci hanno fatto da guida all’interno della stessa struttura e  si vuole anche ringraziare attraverso lo strumento di questa pagina telematica  l’amico Aron per la sua disponibilità e sensibilità dimostrata nei nostri  confronti.
  Si conclude nel luogo della  memoria che commemora le vittime di entrambi i organismi politici che si sono  susseguiti in Ungheria la prima visita della delegazione del Circolo Culturale  “L’Agorà” che ha arricchito notevolmente il proprio bagaglio sia culturale che  umano.
  Uno spazio che racconta e si  racconta, quello del Terror Háza, posto nella centralissima Andràssy Gyula út,  e che offre sia al visitatore che alle nuove generazioni ciò che avvenne  nell’arco di tempo di due momenti storici che hanno segnato violentemente la  "diversità" non solo di pensiero.
  Il ruolo decisivo lo gioca,  quindi la memoria storica, il suo ricordo ha una funzione determinante sia nelle  vecchie che nelle nuove generazioni di ogni civiltà evoluta e consapevole.
  Essa ha il merito di gettare le  basi atte a consolidare l’identità di una società non solo attraverso l’analisi  delle grandi congiunture ma sopratutto anche degli eventi minori o delle  cosiddette “microstorie” che sono validi strumenti necessari affinché si possa  averne una visione a largo raggio.
  Quindi gli anniversari di  rilievo,così come i nomi eccellenti, vanno di pari passo con ciò che è inserito  nel contenitore degli avvenimenti locali: entrambi fanno parte di un gruppo  omogeneo che costituisce le fondamenta della struttura storica.
  L’utilizzo di tali elementi  permette all’uomo di poter analizzare, attraverso la lettura  ed il confronto di atti documentali, la  memoria storica di una comunità, e nel contempo tale azione tende a promuoverne  quei processi di crescita democratica e civile. 
  Ma, non per ultimo, tale azione  risulta utile anche a fare la conoscenza anche di fatti e personaggi negativi e  quindi creare una coscienza atta a far si che tali azioni non si verifichino in  futuro con  errori che portarono lutti e  sofferenze. 
  Infatti come ebbe a dire Cicerone  nel “De oratore II” […] La storia è testimone del tempo, luce della  verità, vita della memoria, maestra di vita,  interprete del passato […] ( […] Historia testis temporum, lux veritatis  vita memoriae magistra vitae, nunzia vetustatis […] ).
  Quindi essa rappresenta una buona  palestra di vita, un laboratorio atto a recuperare le radici dell’iter  storico-culturale di una struttura sociale e della sua relativa analisi storica  e sociale. 
  Tali considerazioni,  caratterizzate dall’insieme delle fonti archivistiche, sono utili alla  costruzione delle fondamenta della memoria storica delle giovani generazioni  che hanno così modo di conoscere il loro passato ed avere così la possibilità  di riflettere su ciò che è avvenuto ed assimilarne tali esperienze e conoscenze  del passato. 
  Quindi, prendendo spunto da tali  eventi, fatti, personaggi, trarne delle conclusioni atte alla progettazione di  nuove idee evitando di ricadere in errori già verificatisi e naturalmente di  mantenere ciò che le generazioni passate hanno conquistato, come la libertà, la  democrazia, l’indipendenza. 














