

La  giornata di studi ha visto come relatori Benedetto Carroccio che ha trattato su  “Il perché ed il come delle rivolte servile”, mentre Gianni  Aiello, presidente del sodalizio  organizzatore, ha avuto il compito di sostituire il professore Domenico Raso  (per motivi di salute non è stato presente, ha subito un intervento chirurgico  con quattro bypass) leggendo la sua interessante relazione su “Antiche opere di  fortificazioni sul dossone della Melia” .   
    Siamo nel  73 a.C.,  a non molti anni di distanza da una Guerra Civile che aveva visto prevalere il  partito oligarchico - conservatore di Silla, che epurò violentemente sul piano  fisico ed economico ogni possibile oppositore entro la classe dirigente romana. 
    Roma ha  ormai il pieno controllo della penisola   italiana, della Sicilia, della Sardegna, del litorale mediterraneo  dell’attuale Francia, della penisola iberica e di gran parte della Turchia, da  cui fiordi intere flotte di pirati partivano per compiere scorrerie mettendo in  discussione l’autorità romana sul mare.  
    La Grecia  e la Macedonia sono sotto il controllo romano, ma frequenti sono quelle che  oggi chiameremo “guerra di bassa intensità” contro i popoli vicini che dai  Balcani o dal Mar Nero tendono a “premere” contro di esse . 
    Nel cuore  quasi del mondo romano a Capua, poche centinaia di schiavi costretti con la  violenza ad addestrarsi come gladiatori, maturano propositi di fuga. 
    Solo una  settantina riesce a fuggire e quasi per caso a procurarsi un carico di armi  destinate alle truppe regolari.  
    Le prime  truppe romane mandate  loro incontro sono  sconfitte. 
    Le file  degli insorti vengono supportate da altri schiavi, pastori, contadini.  
    I ribelli  si rifugiano spesso sui monti, per primo il Vesuvio, allora spento, da dove  sono capaci di condurre operazioni di guerriglia, tali da sconfiggere anche  intere legioni di soldati romani frettolosamente mobilitate.     
    Tra  i loro capi spicca Spartaco, un trace  (originario dell’odierna Bulgaria) della tribù Maidia.  
    La  rivolta si estende a macchia d’olio estendendosi oltre la Campania e va a  creare un esercito di 70.000 uomini che riesce in varie fasi a sconfiggere  pesantemente i Romani in Abruzzi, poi spostandosi verso Sud, nel territorio  lucano, bruzio e apulo.  
    Il senato  romano è sempre più in allarme visto che i principali latifondi e molti centri  urbani dell’Italia centro - meridionale vengono messi a ferro e a fuoco e che  ha il timore che i rivoltosi marcino verso Roma.  
    Il più  grande latifondista e capitalista di Roma, Marco Licinio Crasso, futuro alleato  di Cesare e Pompeo, viene incaricato alla fine del 72 a.C. di armare un esercito  formato da 40.000 uomini e di creare diverse fortificazioni per sbarrare la  strada a Spartaco che non potendosi   imbarcare per la Sicilia, grazie al tradimento dei pirati Cilici,  dovette ripiegare verso Nord.       
    La figura  di Spartaco è avvolta dal mistero: le fonti e le deduzioni degli storici circa  la sua condizione originaria sono contraddittorie. 
    Appiano  lo definisce come un Trace che aveva prima combattuto dalla parte dei Romani e  che, divenuto poi disertore, si sarebbe dato al   brigantaggio prima di esser preso e ridotto in schiavitù. 
    Altri  facendo notare come i Maidi siano stati sconfitti dai Romani pochi anni prima,  nell’86 e nel 76 a.C.,  o come gli Sparticidi fossero un’antichissima stirpe nobile di quella  regione,  hanno voluto dedurre che  Spartaco sia stato un loro capo militare sconfitto dai Romani e da  essi schiavizzato, comunque per questo suo  carisma la figura viene esaltata per il coraggio da Sallustio e da Plutarco che  ne ammira le doti di stratega e condottiero .  
    Il tema  alquanto affascinante ha interessato diversi storici oltre a quelli sopra  menzionati anche Appiano ma anche quelli recenti come il Munzer, Ward, Gabba o  lo storico reggino Luigi Nostro.  
    In suo  contributo del 1977 Michael Crawford evidenziava come la società romana di  età  repubblicana, si sia sin dalle prime  conquiste rivelata quasi naturalmente portata a svilupparsi con lo sfruttamento  cinico, e consapevolmente sistematico, delle risorse dei popoli assoggettati,  secondo un meccanismo abbastanza perverso e non molto lontano dai  tragici esempi offerti in questo secolo, ad  esempio, dalle conquiste naziste in Europa orientale: tutto nasceva dal  principio del pagamento della ”indennità” di guerra, quindi il “danno  economico”  realizzatosi con guerra  spesso  voluta da Roma, doveva essere  interamente ed unicamente ripagato dai territori conquistati.  
    Le  entrate dei danni di guerra venivano poi interamente spese per pagare lo  sviluppo delle classi dominanti  o  volte a favore del popolo di Roma per  alleviare le tensioni interne .      
    Gianni  Aiello ha esordito dicendo  «Oggi il  professore Domenico Raso è idealmente presente ed io cercherò di sostituirlo  leggendo la sua relazione … comunque avremo modo di organizzare  un nuovo appuntamento in modo che lo studioso  possa, con la sua presenza, ben illustrarci tale importante periodo storico»  .   
    La  ricerca del professore Domenico Raso parte da un interessante studio dello studioso  reggino Carmelo Turano «Calabria Antica» e confrontato con i testi  classici come il Plutarco ed i toponimi dei luoghi siti sullo Zomaro quali  “Serro di Marco”, “Tonnara”, “Palazzo”, “Chiusa”  ed anche quello relativo a “Zervò” – che come  ricorda lo storico reggino Giuseppe Pensabene  -  «ha che a vedere  con la guerra servile e con i fatti di  Spartaco alla penisola di Reggio. Esso andrebbe interpretato come “servorum”  ossia piano dell’esercito dei servi» da questi  confronti messi insiemi con gli interessanti  resti ubicati nella zona si ha «…  l’impressione nettissima di uno sforzo quasi sovraumano nel voler bloccare e  difendere o custodire in modo efficace tutti i passi principali e secondari che  portassero verso la Locride, verso Nord e verso il Tirreno, oltre che tutti i  sentieri di aggiramento».  
    Nulla –  prosegue la relazione – è stato lasciato al caso e il disegno complessivo  dell’opera di sbarramento rivela una conoscenza del terreno a dir poco  sbalorditiva.  
    Il fronte  di difesa poi non è unico, ma concepito su diverse linee più o meno avanzate  nella previsione di sfondamenti parziali o totali. 
    La  tipologia delle opere è dappertutto la stessa e così la materia prima e  l’intervento di adattamento delle necessità difensive alla natura del luogo ed  anche le due grandi fosse-pantano, poste a Nord e a Sud dei Piani di Marco ben  si presterebbero ad una difesa di qualcosa che somiglia ad un accampamento  .  
    I resti  emergenti sono costituiti da strutture in pietre a secco apparentemente  somigliante ad un pozzo ed una lunga lista di fondamenta di un muraglione a  secco che risultano presenti sul Dorsale tabulare che costituito da una serie  di pianori e di strutture viarie che rappresentavano la via naturale dei grandi  spostamenti delle popolazioni bruzie e lucane provenienti da Nord oltre che  delle antiche popolazioni attestate ai lati del crinale longitudinale . 
    Tutte che  architetture militari avevano quindi lo scopo di fermare l’onda d’urto guidata  da Spartaco e guardando i luoghi, (sui quali sono state scattate delle  diapositive, poi proiettate durante il convegno) sembra di rivivere quei  terribili giorni .  
    Tutti i  siti fortificati sono tra loro collegati da sentieri  e da segnalazioni visive che venivano  effettuate dalle sentinelle poste sulle torri di cui esistono anche i resti .
  Concludiamo  questo resoconto citando testualmente il Plutarco che per la sua completezza  risulta utile per avallare quanto in precedenza descritto: « Spartaco risalì  nuovamente dal mare – forse da Punta Pezzo – verso l’interno e sistemò  l’esercito nella Penisola di Reggio. Li lo raggiunse Crasso.Un rapido esame  della conformazione del terreno gli suggerì il da farsi. Iniziò, cioè, la  costruzione di un vallo attraverso l’istmo: in tal modo avrebbe interrotto  contemporaneamente  l’ozio dei suoi  soldati e gli approvvigionamenti  dei  nemici. L’impresa era colossale e irta di difficoltà;pure egli la condusse a  termine in poco tempo, con grande sorpresa di tutti, scavando da mare a mare  attraverso la strozzatura della penisola una fossa lunga 300 stadi e sia larga  che profonda 50 piedi.  Sul margine della fossa eresse poi un muro di altezza e robustezza  sorprendenti. Da principio Spartaco non si curava e rideva dei lavori che i  Romani stavano eseguendo; però, quando le provviste, fornite dalle razzie,  cominciarono ad assottigliarsi, e volle proseguire il cammino, s'avvide  d'essere murato dentro la penisola, dalla quale non era possibile ricavare  alcun sostentamento. Aspettò una notte che nevicava e soffiava vento gelido  colmò con terra, sterpi e rami d’albero un breve tratto della fossa e vi fece  passare un terzo dell’esercito» . 
 
       
    
    

