Lo scaligero Emilio Salgari, narratore delle terre d’Oriente, nel centenario della morte avvenuta il 25 aprile 1911, viene ricordato in una giornata di studi organizzata dal Circolo Culturale “L'Agorà” presso la sede istituzionale della Biblioteca “Pietro De Nava” di Reggio Calabria.
La manifestazione ha ricevuto il patrocinio dell'Amministrazione Provinciale di Verona (dove Emilio Carlo Giuseppe Maria – questo il suo nome completo -  nacque il 21 agosto 1862 al civico 839 di vicolo san Marco, vicino piazza delle Erbe) ed i ringraziamenti epistolari da parte dell'Assessore alla Cultura del Comune di Verona Ermina Perbellini.
Questa in buona sostanza la parte iniziale dell'intervento del presidente del Circolo Culturale “L'Agorà che ha voluto ricordare all'uditorio la gentilezza degli amministratori scaligeri nei confronti del sodalizio reggino e della manifestazione in argomento.
Nella parte finale sono stati fatti alcuni cenni  all'autore di Sandokan, ed il Corsaro Nero ma anche tutto ciò che scaturiva nell'immaginario collettivo dal racconto di quelle storie provenienti da terre lontane e dalle gesta di quegli eroi senza macchia e senza paura che hanno avuto il merito di  fare  sognare diverse generazioni di ragazzi e non solo, facendo nel contempo “viaggiare la mente” dei lettori.
Era il 25 aprile 1911. A Torino il corpo senza vita di Emilio Salgari giaceva nel bosco di Val San Martino. Dopo essersi tolto la giacca e la cravatta e posato il bastone sull’erba, con un rasoio si tagliò l’addome e la gola.
A trovarlo fu una lavandaia, certa Luigia Quirico, che stava raccogliendo legna.
Chiamò in soccorso degli uomini che scoprirono trattarsi del cadavere del famoso scrittore. Dallo squarcio dell’addome usciva parte dell’intestino e la gola presentava tre colpi di rasoio.
Il corpo fu poi portato all’obitorio torinese.
L’esame autoptico fu eseguito dal prof. Mario Carrara, genero del celebre psichiatra Cesare Lombroso.
Fra gli studenti presenti, il futuro scrittore Salvator Gotta, che così ricorderà l’avvenimento:” Dopo che il carrello funebre fu spinto in mezzo alla sala, il professore ci ordinò di alzarci in  piedi e ci rivelò che il suicida dal ventre squarciato era Emilio Salgari, lo scrittore, l’educatore dei nostri sogni adolescenti.
Quegli che noi avevamo tanto pensato ed amato, baldo, audace, bello, forte come i mille eroi generosi e felici di conquista sul mare, nei più lontani paesi , vincitori di tutte le più aspre battaglie, alti sui gorghi delle più fantasiose avventure, noi lo vedemmo nudo, sanguinolento, vecchio, miserabile come una povera bestia assassinata e abbandonata alle coltella dei sezionatori”.
Questa testimonianza dell’autore del Piccolo Alpino, avallò la credenza che sul corpo fosse stata eseguita l’autopsia.
Nel referto medico invece si legge: ”Autopsia non permessa! “.
Il funerale fu celebrato a spese del comune, senza alcuna partecipazione delle autorità.
La sottoscrizione promossa dal quotidiano torinese a favore della famiglia fruttò quarantadue mila lire.
Il re ne versò mille, Puccini cinquanta,  Amalia Guglielminetti  venti e anche gli editori Treves, Bemporad, Paravia mandarono le loro offerte.
Proprio a loro era indirizzata una delle sue tre  ultime lettere.
Ai miei editori
A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.

La seconda era per i figli.
Miei cari figli
Sono ormai un vinto. La pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori, che per tanti anni ho divertiti ed istruiti, provvederanno a voi. Non vi lascio che centocinquanta lire, più un credito di seicento lire che incasserete dalla signora Nusshaumer. Vi accludo qui il suo indirizzo.
Fatemi seppellire per carità essendo completamente rovinato. Mantenetevi buoni ed onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre.
Vi bacia tutti col cuore sanguinante il vostro disgraziato padre.
La terza ed ultima lettera è per i direttori dei giornali torinesi. Comunicando la sua volontà di farla finita li prega di aprire una sottoscrizione per togliere dalla miseria i suoi quattro figli e poter passare la pensione a sua moglie finché sarebbe rimasta all’ospedale.
Torino in quei giorni viveva la vigilia della leggendaria Esposizione Universale.
Così la notizia della morte dello scrittore non ebbe la giusta risonanza, né di lui scrissero i grandi scrittori del tempo.
Un giornale cattolico di Torino “Il Momento”, lo ricordò con parole non proprio benevole: ”Era tanto notissimo come scrittore quanto sconosciuto personalmente. Piccolo, magro, terreo in viso aveva un aspetto caratteristico da cinese.
Preferiva per di più delle strane e disusate fogge di vestiario, d ‘inverno per esempio andava impaludato in un enorme mantello…Faceva vita  ritirata, ma disordinata e spendereccia.
”E un altro periodico “La Ragione” scriveva: ”Ma   il suo carattere bohémien lo faceva disordinato, fumatore arrabbiato, al punto che ebbe una grave  malattia agli occhi prodottagli dalla nicotina e che pertanto anche negli ultimi tempi non era capace più di mettersi a lavoro senza una sigaretta tra le labbra”.
Quasi un anno dopo, il 12 febbraio 1912, ritornava nella sua Verona. Pioveva a dirotto.
La città voleva farsi perdonare la scarsa attenzione riservata in vita allo scrittore.
Autorità e una folle enorme di cittadini l’accolsero alla stazione per formare poi un lungo corteo che passò tra due ali di popolo.
Il sindaco, a capo scoperto nonostante la pioggia  lo commemorò con un solenne discorso.
Quelli di Emilio Salgari sono i romanzi del sogno ed educano in pari tempo. Aprono la mente del lettore e lo fanno amante dello studio, non solo, ma gli schiudono la via alla speranza, gli suscitano la fede nelle proprie forze, ne temprano lo spirito alla battaglia  della vita, sto per dire, alla voluttà del pericolo e della lotta. Quasi, per ironia della sorte, questo geniale scrittore che creò infiniti fantasmi, che rivestì di oro e di gemme tanti personaggi della sua inesauribile fantasia, doveva morire fra le ristrettezze della vita; l’arte alla quale egli dedicò tanto tesoro di ingegno gli fu matrigna. Tributiamo signori, il dovuto omaggio a questo nostro concittadino”.
Ma dopo la sepoltura la città continuò ad ignorarlo.
Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari nacque appunto a Verona il 21 agosto 1862 (non nel 1863 come riportato da qualche dizionario tratto in inganno dalla civetteria di ringiovanirsi di un anno).
In dialetto veneto “Salgàr” significa salice e così è da pronunciarsi il cognome invece di Sàlgari comunemente ritenuto esatto.
Secondo un improbabile ricostruzione del figlio Omar, il padre sarebbe nato in una notte di  tempesta e una zingara avrebbe predetto al neonato un grande futuro.
Studiò per un paio di anni presso un istituto tecnico e nautico, ma, mediocre studente, non completò gli studi. Non divenne mai capitano, titolo che si attribuiva e che difendeva arrivando a sfidare a duello chi osasse metterlo in dubbio.
Per la bassa statura, poco più di un metro e cinquanta, fu soprannominato “Salgarello”. Un direttore di un giornale veronese, anni dopo la morte lo descrisse”
Tarchiatello, le gambe leggermente arcuate, il naso schiacciato al vertice, i neri occhi lampeggianti di intelligenza e di ardire, sormontati da folti sopraccigli, baffi scuri, corti, alquanto ispidi; non eleganti, anzi alla buona il vestito e il portamento, ma un insieme di pulitezza e di dignità che ispirava
simpatia”.
Una cugina ricorda che aveva degli occhi dolci e vivi e un bello sguardo. La bocca era ben disegnata e quando sorrideva lasciava intravedere dei denti perfetti.
Emilio piaceva. La passione per  la scrittura e la geografia si manifestarono in lui fin dalla adolescenza.
Così come il sogno di navigare per mari e oceani alla conoscenza di terre lontani.
Ebbe una forte passione per la ginnastica, il ciclismo e il teatro. Divorò fin da ragazzo libri di avventure, riviste di viaggio, atlanti geografici, repertori naturalistici .
Millantò di aver viaggiato per i cinque continenti, di aver affrontato belve e tempeste, savane ed oceani. La fantasia non gli mancava.
Alle cugine raccontava di essere tornato da Calcutta e di essere in partenza per l’Africa; descriveva la Rafflesia gigante, il fiore più grande e puzzolente del pianeta, che cresce nelle foreste del Borneo e di Sumatra.
Raccontava a tutti di aver sentito le canzoni degli indigeni di Ceylon . Chi lo ascoltava incantato commentava:”
Non è che sia un bugiardo, sembra di un altro  mondo e forse tutto quello che dice di aver visto è vero “.
In realtà lo scrittore non vide mai jungle nere, balene, oceani e uragani.
Chi lo conobbe bene, come il maestro di musica Emilio Firpo, in un’intervista dichiarò :”
Di lui si conosce un solo viaggio su un mercantile in qualità di passeggero o di mozzo, non certo come comandante.
La nave, partita da Venezia, si spinse fino a Brindisi e tornò indietro. Al largo delle isole della Dalmazia fu colta da un uragano e rimase in pericolo per un paio di giorni. Salgari me lo raccontò diverse volte; ma sa qual era , secondo lui, il pensiero che durante le ore della tempesta gli veniva più spesso in mente?
Era questo: Sta a vedere che non riuscirò più a tornare a Verona ed a mangiare più quegli ottimi minestroni che prepara mia madre.”
Un giorno il “capitano” conosce in un salone veronese Ida Peruzzi, attrice di una filodrammatica locale.
Recensendo una cronaca teatrale ,parla di lei come di una brava interprete, applauditissima, briosa e birichina, spiritosa e civettuola, commoventissima, artista di molto sentimento.
Le scriverà poi in una lettera firmata Selvaggio malese:” Un giorno ho veduto voi e in me si è operato uno strano cambiamento: ho sentito come il bisogno di amare, ma realmente amare fuori dalle tempeste in cui ero fino ad ieri vissuto; ho sentito come il bisogno di porre un freno agli impeti ardenti del sangue febbricitante e agli  impeti irrefrenabili dell’anima selvaggia”.
Si sposeranno nel 1892. Subito la ribattezza Aida, in omaggio all’opera lirica. Ida lo amerà sempre-ricambiata- condividendo e sopportando tutte le bizzarrie del marito fino a quando la malattia l’allontanerà da lui. Emilio lavorava senza sosta.
Scriveva su un tavolino traballante, quasi per sentirsi su un’imbarcazione sballottata dalle onde.
Si preparava da solo l’inchiostro, diluendo con acqua un estratto di bacchee per penna usava una cannuccia alla cui cima il pennino era legato ad un filo resistente.
In casa aveva un cane, una gallina, una scimmia,un gatto, una tartaruga, uno scoiattolo,un pappagallo.
La malattia della moglie degenerò, secondo la diagnosi del medico curante, in una forma di mania furiosa con tendenza ad atti impulsivi e fu costretta a ricoverarsi in manicomio, non potendo il marito sostenere le spese necessarie per la degenza in una casa di salute privata. Qui moriràammalata di cancro.
Dei quattro figli Fatima “ Bella, forte, vigorosa, dagli occhi neri e dolci “ morirà di tubercolosi a soli 23 anni . Romero, medaglia d’argento al valore militare nella Grande Guerra, si suicida a 33 anni, dopo aver tentato di uccidere moglie,figlio e cognata.
Nadir, anch’egli medaglia al valore muore quarantunenne cadendo dalla motocicletta. Omar, l’ultimo nato, invalido di guerra, sofferente di disturbi nervosi, si suicida nel 1963.
Anche lo zio e il padre dello scrittore si erano suicidati. Quest’ultimo convinto di essere affetto da una malattia inguaribile si lanciò dalla finestra della casa di un cognato.
Quasi cinquanta i falsi romanzi apparsi dopo la morte dello scrittore.
Alcuni con la complicità dei figli Nadir e Omar, altri con il solo cognome Salgari, altri ancora firmati da diversi autori con protagonisti personaggi salgariani.
Ma due sono gli eroi immortali che daranno la fama allo scrittore: Sandokan e il Corsaro Nero.
Dopo il successo del primo libro “La tigre della Malesia” Sandokan diventerà protagonista di un  intero ciclo.
Il pirata “ è di statura alta, slanciata, dalla muscolatura potente, dai lineamenti energici, maschi, fieri e di una bellezza strana.
Lunghi capelli gli cadono sugli omeri: una barba nerissima gli incornicia il volto leggermente abbronzato.
Ha la fronte ampia ombreggiata da due stupende sopracciglia dall’ardita arcata, una bocca piccola che mostra dei denti acuminati come quelli delle fiere e scintillanti come perle; due occhi nerissimi, d’un fulgore che affascina, che brucia, che fa chinare qualsiasi sguardo”.
Il suo simbolo è la tigre ed egli stesso è la tigre della Malesia.
Combatte con una tigre vera e offre la pelle  dell’animale all’amata. La sua spalla è Yanez de Gomera. “Di media statura, robustissimo, dalla pelle bianchissima, i lineamenti irregolari,gli occhi grigi astuti, le labbra beffarde e sottili, indizio di una ferrea volontà” .
Portoghese, fuma cento sigarette al giorno e chiama” fratellino” il pirata.
Ragionatore raffinato e ironico porta ad armacollo una magnifica carabina e al fianco una scimitarra con l’impugnatura d’oro, sormontata da un diamante rosso quanto una nocciola, d’uno splendore ammirabile.
Gli altri protagonisti del ciclo sono Lady Marianna Guillonk, la perla di Labuan, che “aveva una testolina ammirabile, con due occhi azzurri come l’acqua del mare, una fronte d’incomparabile precisione, sotto la quale spiccavano due sopracciglia leggiadramente arcuate e che quasi si toccavano.
Una capigliatura bionda le scendeva in pittoresco disordine, come una pioggia d’oro, sul bianco busticino che copriva il seno”.
E poi ancora Lord James Guillonk, i Tigrotti, Tremal-Naik l’eroe dei Misteri della Jungla Nera, Kammamuri, Ada la sacerdotessa della dea Kalì, Sir James Brook, personaggio storico nemico irriducibile di Sandokan.
Il Corsaro Nero dà il titolo al primo dei cinque romanzi che costituiranno il ciclo caraibico.
Narra le vicende del Conte Emilio di Roccanera, signore di Valpenta e di Ventimiglia, che abbandona l’Italia per vendicare il fratello  ucciso dall’infame duca Wan Guld.
È il suo capolavoro. Il Corsaro bello, elegante malinconico “Aveva lineamenti bellissimi, un naso regolare, due labbra piccole e rosse come il corallo…
Portava una ricca casacca di seta nera adorna di pizzi di ugual colore con i risvolti di pelle ugualmente nera… Anche l’aspetto di quell’uomo aveva, come il vestito, qualche cosa di funebre, con quel volto pallido, quasi marmoreo, che spiccava stranamente tra le trine….” Accanto al Corsaro i fedelissimi Carmaux, Wan Stiller e l’erculeo negro Moko che con il loro buonumore, si  contrappongono all’atmosfera drammatica che aleggia per tutto il romanzo.
Quando scopre che la donna amata Honorata Wan Guld e la figlia del suo nemico, l’abbandona in mare su una scialuppa sballottata tra le onde .
Siamo alla conclusione del romanzo e vale la pena riportarne le ultime righe. “Quando i filibustieri volsero gli sguardi attenti verso il ponte di comando, videro il Corsaro piegarsi lentamente su se stesso poi lasciarsi cadere su un cumulo di cordami e nascondere il volto tra le mani.
Tra i gemiti del vento e il fragore delle onde si udivano, ad intervalli, dei sordi singhiozzi.
Carmaux si era avvicinato a Wan Stiller e indicandogli il ponte di comando gli disse con voce triste.” guarda lassù : il Corsaro Nero piange!”.
Leggendo le avventure di questi eroi, un grande giornalista, Carlo Casalegno confesserà: ”È stato Salgari, tanto e tanti anni or sono, a farmi sentire per la prima volta il disgusto della tirannide, a farmi scoprire il valore della libertà, a farmi meditare sugli arbitrii del dispotismo”.
Vi sono due opere, anomale, nella produzione salgariana. La prima è la Bohème italiana, romanzo scapigliato ispirato da Scene della vita di Bohème di Henry Murger
E dal melodramma musicato da Puccini.
È un libro autobiografico, scanzonato dove, lo scrittore si prende gioco di sé e di tutti quelli che lo prendono sul serio credendo a tutte le sue spacconate.
L’altra è Le Meraviglie del Duemila, romanzo avveniristico.
In esso immagina che due giovani si addormentino dopo essersi inoculati un siero per poi risvegliarsi nel Terzo Millennio.
Nel 2003 Salgari descrive un’Italia che ha riconquistato tutti i territori che erano stati suoi, il Trentino e l’Istria, la Dalmazia, Nizza, la Corsica e perfino Malta.
Descrive la disgregazione dell’Impero Britannico, con il Sud Africa, Canada, Australia e India che acquistano l’indipendenza.
Parla dell’esistenza di una Corte Arbitrale dell’Aja creata per risolvere le controversie tra le Nazioni.
E del socialismo, trionfante nei primi del novecento, lo scrittore prevede la fine:”
È scomparso dopo una serie di esperimenti che hanno scontentato tutti e contentato nessuno.
Era una bella utopia che in pratica non poteva dare alcun risultato, risolvendosi infine in una specie di schiavitù. Così siamo tornati all’antico e oggidì vi sono poveri e ricchi, padroni e dipendenti come vi erano centinaia o migliaia d’anni prima e come ve ne sono sempre stati da che il mondo ha cominciato a popolarsi“.
Ma non c’è ottimismo nella visione della vita nel mondo del 2003. Vi prevarranno una vita frenetica, il rumore, la paura, l’angoscia che condurranno gli uomini ad impazzire, vittime della fede nella scienza e nella tecnologia.
Salgari non si poneva il problema dell’età dei suoi lettori, ma erano i ragazzi a determinare il successo.
La critica ufficiale lo snobbava.
Un giovane lettore di Milano gli scriveva: ”Il mio professore consiglia di non leggere i suoi libri, perché dice che scaldano la testa. Se sapesse che rabbia provo quando sento queste eresie!”.
E un’ adolescente: ”I nostri padri e le nostre madri lasciano leggere poco i suoi libri,perché dicono che eccitano i nervi, ma io a lei devo molto”.
Anche nell’ambito politico lo scrittore fu esaltato o condannato.
Salgari fu sempre orgoglioso di essere italiano e fin da giovane giornalista firmando con lo pseudonimo di Ammiragliador, sostenne la politica coloniale dell’Italia, ma senza mai sentirsi  imperialista o conquistatore.
Era monarchico fino alla cima dei capelli, aveva un vero culto per Casa Savoia e inviava tutti i suoi romanzi alla Regina, con la vana speranza di ricevere aiuti economici. In cambio ebbe solo la  croce di Cavaliere.
Il fascismo cercò di appropriarsene considerandolo precursore degli ideali del regime e sfruttando la
sua anglofobia.
Ma il proposito scatenò aspre polemiche. Ci fu chi lo esaltò come uno dei più grandi artisti italiani del secolo e chi invece scrisse che “ gli sgrammaticati libracci di Salgari ci hanno valso generazioni di nevrastenici”.
A raffreddare la discussione fu prima Margherita Sarfatti: I libri di Salgari non sono eroici: trasudano un basso erotismo, non di rado associato ad una specie di pur basso e anche morboso compiacimento del crudele e del sanguinario”.
L’autorevole Giuseppe Bottai mise la parola fine alla polemica sulla rivista critica fascista.
“Salgari non fu né uno scrittore per nevrastenici né un grande educatore….i ragazzi della nostra generazione non furono, no, guastati da Salgari, ma non dal Salgari trassero certo l’energia morale di cui diedero sì concrete prove. Non esageriamo…”.
Posizioni in realtà tutte estranee allo scrittore, che, creando i suoi personaggi cercò solo di vivere la vita che avrebbe voluto e mai potuto, come scrisse Giovanni Mosca.
In vita e dopo la morte il nostro subì sempre il confronto con lo scrittore francese Jules Verne del quale peraltro era stato da giovane un accanito lettore.
Alcuni romanzi salgariani hanno titoli quasi identici ad alcuni di Verne: Duemila leghe sotto l’America o Attraverso l’Atlantico in pallone.
Quando si voleva dare un riconoscimento allo scrittore veronese gli veniva conferito l’appellativo di “Verne italiano”.
Ma i due in comune ebbero solo la passione per il mare- con la differenza che Verne, ricco come era, viaggiò davvero per mezzo mondo- l’avversione per gli inglesi.
Presentando Verne da una parte come precursore della fantascienza, autore di testi rigorosamente scientifici, attento nel documentarsi prima di scrivere; dall’altra il povero Salgari come un mitomane, che “scaldava la testa” e scriveva in modo ridicolo e impulsivo fu naturale per i lettori e una certa critica schierarsi dalla parte del francese.
Sarà Mario Spagnol, curatore dell’edizione de “Il primo ciclo della Jungla” edita da Mondatori a  ripristinare la verità: “Usi e costumi di popoli, flora e fauna esotiche, paesaggi inusitati, fenomeni meteorici, bizzarrie della natura, frammenti di mondi lontani li raccoglieva sui libri e sui giornali e minuziosamente li schedava.
Non inventava nulla , arrivava a battezzare i suoi personaggi, quando non aveva a disposizione nomi  autentici di persona, con nomi di luoghi e di cose per dar loro almeno una chance fonica di veridicità.
Ogni animale, ogni pianta, ogni comparsa ed elemento scenico del grande presepio salgariano è arantito da una fonte: gratuito ed assurdo qualche volta sarà magari il loro assemblage.”
In questo clima di entusiasmo per Verne, non meraviglia che un poeta, Guido Gozzano, lettore dell’opera salgariana e dal quale prende perfino alcune frasi nel suo “Verso la cuna del mondo .Lettere dall’India”, scriva un sonetto “In morte di Giulio Verne”, nel quale celebra lo scrittore  come colui che ha permesso ai giovani di procedere agevolmente” in sogno oltre la Scienza”.
(….) Maestro, quanti sogni avventurosi
sognammo sulle trame  dei tuoi libri !
 La Terra il Mare il Cielo l’Universo
 per te, con te, poeta dei prodigi,
varcammo in sogno oltre la Scienza.
Pace al tuo grande spirito disperso,
 tu che illudesti molti giorni grigi della nostra pensosa adolescenza.
Anche per il “capitano” arriverà un ricordo poetico da un altro piemontese, un altro suicida: Cesare Pavese. È rintracciabile nella poesia I Mari del Sud che apre la raccolta” Lavorare stanca”.
(. …) Oh da quando ho giocato ai pirati malesi,
Quanto tempo è trascorso……………
Altri giorni,  altri giochi,
Altri squassi del sangue dinanzi ai rivali
Più elusivi: i pensieri e i sogni.
Pochi si accorsero come giustamente fa notare l’uomo politico e storico Giovanni Spadolini, della rivoluzione operata dal creatore di Sandokan nella letteratura giovanile-ferma al Giannettino- e nelle nostre tradizioni educative.
Salgari appartiene non solo alla storia della letteratura, ma anche a quella del costume italiano. Pertatnto co De Amicis e con Collodi ,secondo lo storico, può essere classificato fra i “Padri della Patria”.

ShinyStat
23 novembre 2011

G. Spadolini, Gli uomini che fecero l’Italia,Longanesi 1972;
G. Arpino- R. Antonetto : Vita, tempeste, sciagure di Salgari il padre degli eroi-Rizzoli,1982;
S. Gonzato- Emilio Salgari-Neri Pozza 1995;
G. de Turris- Salgari 2000- Liberal dicembre 2002;
E. Ferrero- Disegnare il vento. Einaudi 2011;
C. Gallo- G. Bonomi :Emilio Salgari. La macchina dei sogni-Bur 2011.