A relazionare sul tema, dopo l’introduzione di Orlando Sorgonà , sono stati Sebastiano Stranges su “ Riti e sepolture funebri nella provincia arcaica reggina” , Franco Mosino che ha trattato il tema relativo a “La poesia sepolcrale dei Greci” e l’antropologa Paola Garofalo che ha parlato su “Usi funebri nelle zone di Bagnara Calabra, Ceramida, Pellegrina” .
Thanatos , in greco vuole dire morte , è un trattamento "post mortem" che nell'antichità veniva usatodagli Egizi, nei loro riti funebri, per conservare il più possibile il corpo del defunto e le pratiche funebri  nel nostro territorio hanno radici antiche . 
Gli scavi archeologici della necropoli di Tauriana, in contrada Scinà, attestano l’usi di porre ai piedi del defunto una monetina per pagare il pedaggio per l’aldilà e che secondo la tradizione pagana l’obolo veniva anche messo in bocca del morto affinché pagasse a Caronte il traghettamento all’altro mondo.    
Una tradizione che, in alcuni paesi della locride , si perpetuava fino agli anni settanta.  
Presso i Romani , quando sopraggiungeva la morte, il parente più prossimo raccoglieva lo spirito del defunto baciandolo sulle labbra e quindi gli chiudeva gli occhi.
Solo così poteva avere inizio la conclamatio o lamento funebre intonato dai parenti, che oggi la tradizione ha consegnato a noi in quel lamento di “prefiche” ancora in uso in alcuni luoghi del Meridione d'Italia (Bagnara Calabra).
Sin dalle origini, l'uomo ha cercato di dare un senso alla vita e alla morte.
In particolare i riti funebri sin dal Paleolitico confermano tale attenzione, soprattutto per ciò che concerne la cura nella preparazione di cadaveri.
Questo periodo storico ha caratterizzato la presenza di tombe a fosse rivestite di sassi con sopra ghirlande di conchiglia.
Da uno scavo a Bova Marina sono venuti alla luce, dentro una capannina risalente al primo neolitico, resti umani disseminati in zone diverse del terreno .
In un primo momento si è pensato alla diffusione sulla fascia jonica reggina, per questa data epoca, di un rito funebre particolare, appunto quello dello smembramento degli arti dei cadaveri.
Ma in un secondo tempo, dopo il ritrovamento all'interno della medesima capannina di ossa di epoca tardo romana, si è scoperto che l'insieme dei resti si era mischiato in seguito ad una  frana del terreno .
Nell'età del Bronzo si sviluppano le necropoli corredate di vari materiali ed utensili, a Salerno, presso una tomba d'epoca romana, dentro un'ampolla sono stati ritrovati resti di bergamotto. Ritrovamento che arricchisce  ulteriormente la storia di questo agrume che sembra sia stato adoperato anche in Egitto per la mummificazione
Lo storico Franco Mosino, relazionando sul periodo greco, ha descritto l'ubicazione dei sepolcri che erano posti extra moenia, lungo le strade anche agli incroci, così i passanti potevano leggere i nomi dei defunti.
Inoltre era in vigore il rito del pasto funebre consumato accanto o sopra il sepolcro, dopo un dato numero di giorni successivi alla morte del congiunto.
Il corredo funebre dipendeva dalla ricchezza della famiglia.
Durante il periodo romano, tale rito, in genere, per le donne era  formato da utensili da cucina, attrezzi per la filatura e vasi contenenti creme e oli profumati e per i guerrieri da armi.
I bambini ed i poveri venivano portati in un cimitero comune e sepolti senza nessuna  cerimonia, il cosiddetto funus tacitum .
Le salme dei ricchi patrizi venivano unte con oli balsamici e vestite riccamente, poi esposte in una camera ardente cui seguiva un funerale in pompa magna.
Questo consisteva in una processione preceduta da suonatori con strumento a fiato, seguiti poi dalle “praeficae”, ossia donne pagate per piangere, che accompagnavano il defunto perquotendosi il petto, strappandosi i capelli e lanciando grida strazianti.  
Seguivano ancora vari mimi e danzatori, poi il carro su cui stavano le “imagines” degli antenati: erano schiavi.
Il lamento funebre trova le proprie radici nel cerimoniale greco, come il lamento di Andromaca sul cadavere di Ettore come si evince dal XXIII canto dell’Iliade di Omero .
Le prèfiche erano donne incaricate di cantare nenie funebri durante la veglia al defunto. 
Esse accompagnavano il canto con una particolare  mimica (muovevano il capo, si spettinavano, agitavano un fazzoletto).
Il termine prefica indica la donna che, insieme ad altre colleghe, seguiva, nel corteo funebre dell’antica Roma, i portatori di fiaccole, con il compito di levare altissime grida di dolore (lugubris eiulatio) e, negli intervalli del rito, cantare la "naenia" dei morti e lodare il defunto: tutto ciò a pagamento.
Questo è stato l'argomento di discussione dell'antropologa Paola Garofalo che ha svolto un lavoro di ricerca nella zona tirrenica reggina che comprende i paesi di Bagnara, Pellegrina e Ceramida.
In questa zona c'era un vero e proprio rituale come ad esempio quando qualcuno entrava in agonia veniva fatta suonare la campana della Chiesa a cui la persona apparteneva .
A Bagnara  esistono molte confraternite e quando un loro appartenente entra in agonia tutti i confratelli vano a chiedere notizie e si uniscono ai parenti per dire preghiere e vi partecipano uomini e donne.
Appena vi è il decesso i parenti si abbandonano ad un pianto disperato, le donne incominciano a gridare e si sciolgono i capelli e si battono il petto.
Poi si calmano per dare la possibilità agli amici dilavare il morto che viene cambiato e rivestito con indumenti nuovi e con il vestito migliore.
La camera ardente è ricoperta con drappi (neri fino a qualche decennio addietro) viola.
Il catafalco a Bagnara cambia a seconda della Confraternita, mentre a Ceramida e Pellegrina viene portato dall'impresario delle pompe funebri di Bagnara. 
Mentre a Ceramida l'allestimento della camera viene fatto preparare dall'impresario a Bagnara e Pellegrina sono le Confraternite a provvedere a tutto.       
In queste zone c'è un uso di piangere i propri morti  che il De Martino riscontra nel bacino euromediterraneo. 
Alcune pratiche proprio di questo rito noi le ritroviamo negli antichi riti pagani: come l'uso di strapparsi i capelli e di graffiarsi il viso, che possiamo riscontrare in Omero, nei Greci e nei Romani.   
Nelle veglie funebri, alcuni usavano cospargersi il capo di cenere, sembra che sia una reminiscenza dell'antica Grecia. 
Nelle esequie l'intervento per chiamata o per spontanea iniziativa di donne specializzate nel piangere il cadavere strappandosi i capelli ed esaltando, nello stesso tempo con cupe cantilene i meriti del defunto, ricordano le antiche prefiche elleniche. 
Accanto a questo rituale pagano di piangere i morti coesiste quello cristiano che in qualche modo ha contribuito a moderare dette pratiche pagane. 
La prefica esalta le cose terrene, esprime il rimpianto del defunto per ciò che lascia sulla terra e questo è stato uno dei motivi per cui la Chiesa combatté questa usanza. 
Infatti la Chiesa mediante i Sinodi ha proibito di manifestare il dolore in dette forme: ciò si evince ad esempio  nei manoscritti del canonico Sorace che riassumendo le disposizioni sinodali di Nicotera (dove era Cancelliere della Curia Vescovile) risulta che nel Sinodo celebrato il 24 luglio 1588, il Vescovo Capece della predetta Diocesi, conferma le norme precedentemente emesse nel 1583, dove si proibiva il «repete»  ossia quella sorta di pianto lugubre, che si faceva dalle reputatrici sul cadavere e lo scarmigliarsi i snellirsi dei capelli.
Questa tradizione è molto antica e da quanto ci ha tramandato  Eliano si evince che questa tradizione è molto antica e da quanto ci ha  tramandato  Eliano si evince che: «Locrenses mortuas non lugebant, sed postquam cadaver efferent et humarent convivebant» ed il Marafioti intende nel senso che i Locresi non piangevano il morto, non perché non piangessero ma forse perché nel pianto dimostravano cantare ed ancora oggi in alcuni parti del territorio della locride le donne nell'atto di piangere il defunto, con cori di due o tre donne, accordano un mesto canto vocale.
Il catafalco è adornato con la migliore coperta damascata e con il lenzuolo più bello e più ricco di ricambi entrambi sono portati in dote dalla moglie.
Il cuscino fatto con foglie di alloro e bergamotto è riccamente addobbato con merletti e raso.
Durante la veglia le donne della famiglia si dispongono a cerchio attorno al defunto e con i capelli sciolti iniziano il lamento, le donne piangono frammischiando alle lacrime e alle grida le lodi del defunto.
Le donne in una camera e gli uomini in un'altra e fanno la nottata.
Le donne iniziano la nenia e mentre la cantano si tirano i capelli e si graffiano il viso, mentre a Pellegrina si battono la testa con  pugni .
L’appuntamento  ha rappresentato quindi un’attenta analisi dei rituali funebri  dove la morte di un individuo provoca una profonda commozione specie se il defunto è deceduto o per morte violenta o per disgrazia.
É presente ed ancora viva nella convinzione popolare che tali fatti avvenuti in un determinato luogo costringano gli spiriti a presidiare il luogo del misfatto, in quanto vuole tradizione che il decesso avvenga in modo naturale e la morte violenta costringe l’anima a rimanere sulla terra, minacciando l’incolumità fisica dei viventi : questa credenza è ben radicata in molti comuni della fascia jonica calabrese come quelli di Bova .  

ShinyStat
22 febbraio 2001
reperto archeologico, custodito presso piccolo Museo S.Paolo di Reggio Calabria