Il contributo del Mezzogiorno dato alla guerra di Liberazione fu notevole ed i meridionali che militarono nelle formazioni partigiane sulle Alpi e sugli Appennini furono almeno un quaranta per cento, come ebbe ad affermare nell'immediato dopoguerra lo storico piemontese Augusto Monti . 
Sulla base di questi dati il Circolo Culturale L’Agorà, ha organizzato un interessante giornata di studi avente come tema “I Reggini e la resistenza”, tema rientrante nel percorso culturale del Novecento che il sodalizio reggino  ha intrapreso da qualche tempo.
E' stato dapprima Alberto Cafarelli, responsabile parte storica dell'Unuci, sezione “T. Gulli”, a trattare il tema relativo alla strage di  Cefalonia nella quale nel settembre 1943 furono massacrati dalle truppe tedesche 6.500 soldati italiani, fu insabbiata nell'autunno del 1956 in nome della ragione di  Stato. 
A Cefalonia i soldati della divisione "Acqui"  furono selvaggiamente massacrati dopo essersi arresi. 
L'ordine, impartito da Hitler, venne eseguito con determinazione inumana. 
«È stata una delle azioni più arbitrarie e disonorevoli della lunga storia del combattimento armato», disse il rappresentante dell'accusa al processo di Norimberga. 
Finita la guerra, familiari delle vittime e superstiti si batterono perché i 31 militari tedeschi responsabili di quell'eccidio venissero  processati. 
Ma la politica non permise di arrivare al processo. 
Nell'ottobre del 1956 Gaetano Martino, liberale,  ministro degli Esteri, scrisse a Taviani, ministro della Difesa, proponendogli in sostanza l'affossamento di ogni percorso di giustizia. 
E ciò in nome della risurrezione della Wehrmacht,  cioè dell'esercito tedesco, necessario alla Nato  in funzione anti-Urss.  Taviani pose una sigla di assenso sulla lettera di Martino.
Davanti al presidio tedesco, forte di 2000 uomini, insediato nello stesso territorio degli italiani, circa12.000, molti dei nostri si rifiutarono di consegnare le armi al vecchio alleato ed il generale Gandin, decise dopo un referendum tra gli stessi soldati italiani, di combattere ancora, questa volta a fianco della resistenza greca.
Molti furono i caduti reggini come il sottotenente Silvio Dattola, il tenente Ugo Correale di Santacroce di Siderno Marina, il capitano Giuseppe Bagnato, fucilato nella “casetta rossa”, Francesco Quattrone, ufficiale di fanteria al 17 reggimento, morto in combattimento e  medaglia d’argento al valor militare alla memoria consegnata durante la cerimonia del 4 novembre di metà anni novanta. 
Si è parlato anche di Gino Gentilomo, sopravvissuto all'eccidio ed il primo ad aprire il fuoco contro i tedeschi, il quale scrisse un libro dove racconta la sua storia, e poi Nino De Stefano, Francesco Brath, capitano  medico.
Di notevole impatto emotivo è stata la testimonianza di Francesco Como, originario di Scilla, che ha parlato dei tragici avvenimenti di Corfù, dove si trovava in qualità di comandante di Compagnia della divisione “Parma” . 
Anche in quelle tragiche circostanze vennero passati per le armi 123 ufficiali insieme a 640 tra soldati e sottufficiali. 
Emozionante è stato il ricordo relativo alla dura prigionia a Deblin Irena (Polonia) .
Gianni Aiello nel suo intervento ha relazionato sui  reggini che hanno combattuto sul fronte interno della Penisola italiana, soprattutto nell’area settentrionale. Una lunga ed attenta elencazione di nomi « rappresenta solo la punta di un iceberg -  ha detto il relatore –» come  Bruno Tuscano, comandante della Colonna Partigiana Giustizia e Liberta “Renzo Giua” che assumendosi le responsabilità di un’azione militare  salvò la vita ad i suoi uomini, ed i cui funerali vennero  svolti proprio nel Tempio della Vittoria il 4 novembre del 1946, davanti alle autorità del periodo.   
Si è parlato di  Domenico  Pennestri, fucilato a Porto Edda (Albania), del carabiniere Fortunato Caccamo, accusato dai tedeschi di spionaggio venne torturato in Via Tasso e poi dopo un sommario processo fucilato nel forte Boccea il 3 giugno 1944, Giuseppe Spataro, passato per le armi a Genova il 15 gennaio del 1945.
Il ricordo della memoria scorre anche lungo le immagini che si sono proiettate durante il convegno come i bombardamenti di Cefalonia, il  ritiro delle truppe tedesche dal nostro territorio o di una vecchia trasmissione dell’EIAR, dove una donna reggina mandava un saluto ai parenti: proprio a Reggio Calabria.
L’Assessore Gimo Polimeni ha plaudito all’iniziativa ricordando che la stessa, insieme alle altre organizzate dal Circolo Culturale L’Agorà sono utili alla memoria storica della nostra Città. 
Ed ha proseguito «Davanti ad una proposta di buon senso come questa non si può rimanere  insensibili», ha affermato Gimo Polimeni, promuovendo l’idea proposta da Gianni Aiello atta all’inserimento dei nomi dei reggini su un  monumento che ne ricordi il loro sacrificio. 
Interessante è stata la testimonianza di Tommaso Rossi, che ha voluto regalare all’uditorio una chicca: quella di  alcuni ufficiali jugoslavi presenti a Reggio per arruolare i giovani di allora disposti a combattere con nei Balcani con le forze di Tito.
Gianfranco Cordì, responsabile della sezione cinema dell'Agorà, ha presentato alcuni frammenti di cinema sulla resistenza tratti da  “Paisà” e “Roma città aperta” : ricordando che  l’interpretazione di Anna Magnani venne inserita prendendo spunto da un fatto realmente accaduto pochi giorni prima a Roma: quello di Teresa Gullace di Cittanova che mentre invocava la liberazione del coniuge veniva falciata dalle raffiche di mitra di un soldato tedesco, proprio come si vede immortalato sul set .  

ShinyStat
18 aprile 2002