
Dopo  l'introduzione di Orlando Sorgonà, socio del sodalizio organizzatore, la parola  è andata a Domenico Coppola, deputato in storia patria per la  Calabria sin dal 1965, ex direttore degli  Archivi di Stato di Messina, Reggio e Catanzaro, nonché delle sezioni di Palmi  e Locri .  
    Lo  storico reggino ha esordito dichiarando che «Si parla qui del Regno delle Due  Sicilie.  Non per fare del vieto  revisionismo ma per constatare obbiettivamente, se pur ve ne fosse bisogno, la  validità di una costruzione politica che un illustre giurista, Guido Landi,  come avemmo recentemente occasione di dire, definisce non una "forza  reazionaria" ma "una componente dialettica dell'unità  nazionale"; affermazione che possiamo condividere e sottoscrivere, se  sappiamo mettere un pò da parte, come fa appunto quel giurista, l'ottica  risorgimentale e unitaria. »   
    Parlare  di tale periodo risulta non facile stabilire quali furono i benefici o i danni  arrecati nei quasi 130 anni di amministrazione e quale in effetti  furono i territori ad avere maggior benefici  rispetto agli altri facenti parte dello stesso Regno, dal periodo che va dal  1734, anno dell'avvento al trono, dopo l'interregno austriaco, di Carlo III,  sino al 1860, anno della caduta di Francesco II .  
    Il  distacco tra capitale e provincia (fenomeno   antico e pertinenza del regno borbonico, ebbe ad attenuarsi nel periodo  francese quando le province assunsero una grande funzione nel rinnovamento del  paese) era infatti sensibilmente aumentato nel 1848.                
    La  necessità di mantenere ad ogni costo un equilibrio economico-sociale nella  capitale, la morbosa politica protezionistica di un'attrezzatura industriale in  Napoli e nel suo hinterland fino alla valle dell'Irno, la politica di investimenti  pubblici limitata alla apitale, la creazione di tutta una rete di società di  assicurazioni o marittime con sede in Napoli, il dislivello tra centro e le  province, ad eccezione delle Puglie, denota un ristagno dell'economia agricola  ed un vero e proprio arresto della vita civile . 
    Le  caratteristiche e le condizioni dell'industria partenopea durante il decennio  1848-1860 presentavano gravi problemi e deficienze: concentrata intorno a  Napoli e a Salerno l'industria meridionale si era formata attraverso due  canali: l'iniziativa statale, (indirizzata verso il settore metallurgico, che  si sorreggeva specialmente sulle forniture al governo), e l'apporto di capitali  stranieri, che, specialmente nella zona intorno a Salerno, aveva creato alcune  grosse fabbriche di tessuti. 
    In molte  delle rimanenti province del Regno le testimonianze industriali invece erano  alquanto labili, a parte l'esistenza di qualche società economica strutturata  su modelli d'organizzazione decisamente antiquati.  
    I costi  di produzione dell'industria napoletana erano i più alti d'Europa e tale  fenomeno era legato alla forte protezione doganale.           
    Isolate  dalla concorrenza straniera le fabbriche napoletane erano assillate dal  problema di migliorare costantemente le attrezzature e di intensificare la  produzione; la ristrettezza del mercato interno e la limitata produzione non  incoraggiavano il miglioramento tecnico e la riduzione dei costi, il che  costringeva il governo non solo a mantenere, ma ad aggravare la politica  doganale.  
    Da notare  anche, come si evince dagli “Atti del Reale Istituto di incoraggiamento alle  scienze naturali di Napoli”, VII, 1855 che su sette milioni circa della  popolazione neppure un decimo ricorre ai tessuti napoletani.  
    Lo  squilibrio sostanziale, sotto l'aspetto socio-economico tra centro e zone della  periferia si accresce: nelle campagne restano ancora le forme primitive di  credito, una sorta di forma mista fra beneficenza ed attività creditizia e su  mille monti frumentari, non vi è nessuna cassa di risparmio, ed un'unica  filiale del Banco di Napoli a Bari (soltanto nel 1857 concessa da Ferdinando  II) .  
    Lo  stabilimento, che vide la luce come industria statale, ruotava intorno ad una  vasta area economica comprendente le Serre, la costa jonica attorno a  Monasterace e quella tirrenica attorno 
    a  Pizzo.   
    L'altra  entità era quella della Ferdinandea il cui entourage lavorativo ruotava intorno  a mille addetti, di cui una parte veniva utilizzata nella miniera e nelle  foreste, fonderie e armeria, e la restante nella produzione e nel trasporto del  carbone e del minerale.  
    Il  comprensorio lavorativo, nel quale operavano anche tecnici e operai  specializzati, garantiva beneficio e potenzialità di sviluppo al territorio di  nove paesi.  
    Dal punto  di vista istituzionale la restaurazione non vede, nonostante il cambio di  regime, capovolgimenti clamorosi.  
    I  restaurati Borboni non possono non tener conto di quanto era avvenuto nel  decennio francese e quindi ne accettano sostanzialmente gli istituti, pur  riformandoli, e, modificandoli nel nome e nelle competenze. 
    Nuovi  organismi tuttavia appaiono in quest'epoca; come il Ministero della Cancelleria  generale (1816), quello degli Affari ecclesiastici (1817) e la Segreteria  particolare del re (1831).  
    A  proposito dei ministeri, il cambiamento forse più notevole è quello del  complesso Ministero dell'Interno, dal cui enorme tronco si staccano nel 1847 il  Ministero dei Lavori pubblici, quello della Pubblica Istruzione e quello  dell'Agricoltura, Industria e Commercio, rami che poi tornano all'Interno, per  essere poi effimeramente ricostituiti nel 1860.   
    La nostra  provincia  dunque, è la quindicesima e  ultima a nascere tra quelle del regno meridionale, suddiviso ora in province,  distretti, circondari e comuni; le intendenze e le sottointendenze sono  suddivise in 3 classi: 
    quella di  Reggio è di 3^ classe - Reggio ne è la capitale, i distretti sono Reggio (1^  classe), Gerace  (2^ classe) e , per la 1^ volta, Palmi (3^ classe), già distretto di Reggio  .   
    Un  carattere più specifico è stato dato da Bruno Polimeni che trattato le  tematiche relative al generale Vito Nunziante, campano di nascita, ma la cui  carriera militare lo portò in Calabria. 
    Nel 1815  divenne comandante della quinta divisione militare che comprendeva tutta la Calabria:  lui ebbe il compito di comandare l'esecuzione di Gioacchino Murat, dopo lo  sbarco di Pizzo.  
    In  seguito, il Nunziante perseguì la Carboneria in Calabria e le tante logge  massoniche che erano disseminate sul territorio.  
    A lui va  attribuita la creazione del villaggio di San Ferdinando.  
  Dopo la  sua morte avvenuta nel 1836 a  Torre Annunziata, la sua salma venne trasportata in Calabria. 



