
La parte  introduttiva dell'incontro si è basata sul periodo storico in cui visse il  Perri ed in particolare,  nello  specifico, quello del  primo conflitto  mondiale dove la popolazione calabrese pagò un alto tributo di sangue e tutto  ciò ebbe a ripercuotersi negativamente alla fine del conflitto nell’economia  delle campagne, visto che i soldati calabresi erano in stragrande maggioranza  contadini.
    Questo  stato di cose provocò una crisi sociale che ebbe riflessi nel campo della  politica e dell’economica che interessò anche la Calabria dove, in tutte e tre  le province si registrarono una serie di manifestazioni contro il carovita, la  forte disoccupazione ed il difficile status di   reinserimento dei reduci nella vita lavorativa e sociale del territorio  di appartenenza. 
    In questo  scenario devastato dal forte latifondismo, dalla crescente povertà e della  conseguente emigrazione di quelle popolazioni si inserisce la letteratura di  Francesco Perri, interprete della questione meridionale e che ha nel romanzo  “Emigranti” la carta d’identità di quel periodo storico.   
    Questi  elementi sono stati analizzati dalla relatrice Francesca Neri che si è  soffermata, nella prima parte del suo intervento,  sulle motivazioni per le quali Francesco  Perri è da  considerarsi uno scrittore  meridionale, ma nel contempo, anche uno scrittore calabrese, soprattutto per  quel legame viscerale che lo lega alla sua terra, della quale peraltro riesce  ad individuare anche le incongruenze e gli aspetti negativi. 
    Il  percorso di Francesco Perri si basa sui problemi del Mezzogiorno tutto, e in  questo contesto un particolare rilievo appunto dal tema dell’emigrazione. 
    Nei suoi  interventi giornalistici, esemplari per il rigore argomentativi e la chiarezza  discorsiva, Perri 
    ha più  volte tentato di analizzare la struttura economica meridionale, disconoscendo  l’esistenza di un vero e proprio proletariato agricolo non solo in Calabria, ma  anche in Basilicata e Sicilia. (1) 
    Francesco  Perri in un articolo del 1922 denunciava tale stato di degrado: “Si promuova la  trasformazione del latifondo, si costringa la proprietà a diventare altamente  redditizia almeno di quel tanto che le comporta il nostro clima e la qualità  del nostro suolo, si costringano gli agrari meridionali a fare patti  colonici che diano pane e dignità ai  lavoratori. 
    Quando  tutto questo si sarà fatto, allora si aprano le porte dell’emigrazione”.(2) 
    Il tema è  affrontato da Perri con gli strumenti della scrittura narrativa in “Emigranti”,  per descriverne gli effetto sulla piccola comunità di Pandore, identificabile  con Careri. La prima parte del romanzo ci mette subito in medias res,  evidenziando l’intendimento dei Pandurioti di   “farsi giustizia” impartendo “una relazione memorabile ai  galantuomini”.(3) 
    Il  tessuto narrativo del romanzo induce a focalizzare l’attenzione su alcune  questioni critiche da esso suscitate. 
    Una prima  questione riguarda la determinazione del tempo storico del racconto e i termini  della questione migratoria. 
    Gramsci  individua nell’opera una “voluta” assenza di storicità, per “poter mettere in  un sacco alla rinfusa tutti i motivi folkloristici generici che in realtà sono  molto ben distinti nel tempo e nello spazio”.(4) 
    In  contrasto con tale tesi con tale tesi, per Pasquino Crupi i riferimenti  cronologici, che Perri effettivamente non indica in termini di datazione  precisa, sarebbero indicati dai riferimenti sociali. Per lo studioso  l’emigrazione legata al feudalesimo nelle campagne è databile ai primi anni del  Novecento e in ogni caso risulterebbe anteriore al periodo 1919-1929, mentre le  lotte contadine del secondo dopoguerra sarebbero indirizzate “verso  l’occupazione delle terre incolte” (5)
    Lo stesso  Crupi, peraltro, aveva invece altrove collocato il tempo storico del romanzo  “nella tarda seconda metà dell’Ottocento”.(6)  
    In un suo  articolo apparso su “l’Unità” del 14 dicembre 1949  (7)“ , lo steso Perri, prendendo spunto dai  fatti del crotonese, sostiene che nel suo romanzo “sono riportati alla lettera”  i “precedenti” di quello che egli definisce “l’ingenuo proposito di attuare  qualcuna delle promesse fatte ai soldati” durante la prima guerra  mondiale.  
    Stante  l’annosa questione della rivendicazione dei beni demaniali, Perri ricorda che i  neo eletti chiesero al Prefetto l’invio di un agente demaniale che individuasse  le terre usurpate al Comune. 
    I  “precedenti” di questi sarebbero, a quanto lo scrittore afferma, riportati  appunto alla lettera nel romanzo e ricavati dagli archivi comunali. 
    Egli  ricorda altresì che, per ben tre volte, nel 1853, nel 1889 e nel 1898,  ogni  tentativo andò a vuoto. 
    Trascrive  integralmente la chiusa di una delibera del Consiglio Comunale di Careri  inviata al Prefetto di Reggio Calabria, nella quale si legge: “Il Comune non  cessò mai di reclamare le benefiche legge eversive, abolitive della feudalità,  concesse a beneficio e sollievo dei suoi contadini. Il   presente conato è ultimo. Al Comune si  parano davanti due sole vie: le reintegre demaniali e così tirare avanti  l’esistenza e sostenere la povera famiglia, o disertare il paese imprecando ed  emigrando in America, in cerca di quel pane che il proprio paese nega” .(8) 
    Dopo  l’analisi di tali aspetti la relatrice Francesca  Neri ha affermato che «Si è dovuta attendere  la seconda metà del Novecento perché fosse riconosciuta significatività sul  piano critico all’opera di Francesco Perri, benché su di essa pesino ancora  alcune riserve che una più accurata conoscenza da parte del grande pubblico,  come invece è dato riscontrare per l’opera di altri scrittori calabresi del XX  secolo. 
    Si deve  all’impegno dei congiunti dello scrittore e al solerte interesse di alcuni  studiosi se molti sforzi sono stati compiuti negli ultimi anni per sottrarre ad  un colpevole e ingiusto oblio la figura e la produzione letteraria di un autore  che con dignitosa coerenza, coscienza del proprio ruolo, capacità di cogliere  lucidamente fatti e situazioni, si interroga (e ci interroga) su tanti aspetti  problematici della realtà meridionale in genere e di quella calabrese in  particolare.»
    Nato a  Careri nel 1885, ricoprì l’incarico di istruttore presso l’Orfanotrofio  provinciale di Reggio. In una conferenza tenuta nel 1958 al Circolo dei  Calabresi di Milano, in occasione del cinquantesimo anniversario del sisma del  1908, egli avrebbe rievocato quella Reggio della bella èpoque in cui,  per dirla con Gaetano Sardiello, era giunto “come nel mondo sognato degli  studi, dei teatri, dei progressi .
    Da Reggio  si era allontanato nel 1907, per iniziare una carriera di impiegato delle Poste  che lo avrebbe condotto a Torino, dove conseguì la laurea in giurisprudenza. 
    Gli studi  di   filologia moderna iniziati  all’Università di Pavia furono interrotti dall’esperienza bellica, che gli  ispirò “La Rapsodia di Caporetto” apprezzata dal Croce.  
    La  successiva esperienza lavorativa a Mortasa lo vide spettatore degli eventi  condussero all’affermazione del fascismo in Lomellina e che costituiscono lo  sfondo del suo primo romanzo, “I Conquistatori”.  
    Rientrato  a Careri in visita della madre, partecipò alla rivendicazione delle  terre demaniali,  ricavandone, nonostante l’appassionata difesa  di Gaetano Sardiello, una condanna a due mesi di carcere.  
    La  pubblicazione de “I Conquistatori” sulla Voce Repubblicana (1924) gli procurò,  quale repubblicano e antifascista, il collocamento in pensione d’autorità.   
    Nel 1926  vinse, ex-aequo con Francesco Chiesa, il primo premio del Concorso Mondatori  per il romanzo “Emigranti”, considerato il suo capolavoro e che egli, nella  dedica alla madre, definiva “piccola epopea rurale che canta  la bellezza della mia terra e il dolore della  mia gente”.   
    Si  trasferì quindi a Milano, pubblicando nel 1929 “Leggende Calabresi”, che nel  1940 sarebbe stato ampliato e ristampato come “Racconti d’Aspromonte”.  
    L’ostilità  da parte del fascismo gli interdisse la collaborazione alle più importanti  testate giornalistiche: soltanto alcuni settimanali di Rizzoli ( “la Domenica  del Corriere” e il “Corriere dei Piccoli”), grazie all’amicizia di Franco  Bianchi e di  Eligio Possenti, gli  diedero la possibilità di pubblicare articoli sotto gli pseudonimi di Nepos e  Ariel.  
    Il suo  atteggiamento  di coraggiosa opposizione  al regime gli procurò l’accusa di mantenere contatti con i fratelli Rosselli e  con il gruppo di “Giustizia e Libertà” e cinquanta giorni di detenzione a San  Vittore. 
    Nei duri  anni dell’ultima fase del fascismo per sopravvivere scrisse romanzi rosa e  narrativa per ragazzi. È del 1940 il romanzo storico “Il discepolo ignoto”,  tradotto in numerose lingue.  
    Ma  soltanto dopo la caduta del regime potè riprendere l’attività giornalistica e  politica dirigendo “Il Tribuno del Popolo” e successivamente “La Voce  Repubblicana”. 
    Nel 1958  aveva pubblicato “L’amante di zia Amalietta” e due anni dopo il racconto lungo  “Storia del lupo Kola”.  
    Quest’ultimo  ha per protagonista appunto un lupo aspromontano, che per Perri rappresenta il  lato animale istintivo, contrapposto al mondo artificioso dell’uomo.  
    La  montagna con i suoi boschi inestricabili è presentata come luogo di raccordo con  la Natura, secondo il diffuso topos giocato sull’antinomia  natura/cultura, dunque campagna/città.  
    L’Aspromonte  di Perri costituisce lo scenario della quotidiana fatica di vivere di essere  umani dolenti, che nelle sue opere egli osserva e descrive con attenzione,  amandoli, secondo Pasquino Crupi, perché “sono simbolo di una umanità che non  si fa corrompere e guastare dalla povertà” (9) 
    Candidatosi  senza successo all’Assemblea Costituente, fu reintegrato nell’impiego e  assegnato a Pavia, dove visse fino alla morte, avvenuta nel 1974.  
  Anche  questa iniziativa, organizzata dal sodalizio reggino, serve a far conoscere  meglio e più ampiamente l’opera  dello  scrittore di Careri che rimase sempre tenacemente legato alla sua terra, benché  gli eventi talvolta burrascosi della sua esistenza lo costrinsero a  vivere lontano dal  luogo natale. 






(1)  “Il Mezzogiorno manca nelle sue grandi linee  di un vero e proprio proletariato, e questo è il suo male. Quel proletariato  agricolo che è costretto a premere sul governo e sulla proprietà fondiaria per  vivere e ch’è il lievito e la ricchezza dell’Emilia, della Romagna e della  Lomellina, laggiù non esiste con carattere ben definito” (PAN ossia Francesco  Perri , Mezzogiorno e Fascismo, in “La voce Repubblicana”, 2 settembre 1922);
    (2)  PAN (Francesco Perri) , L’emorragia  dell’Italia, in “La voce Repubblicana”, 24   novembre 1922);
    (3)  Tutte le citazioni del romanzo sono tratte da  F.Perri, “Emigranti”, Vibo Valentia, Qualecultura, 2001; 
    (4)  A.Gramsci, ”letteratura e vita nazionale”,  Roma, editori riuniti, 1987, p. 181; 
    (5)  P. Crupi, “letteratura ed imigrazione”,  Reggio Calabria, Casa del Libro editrice, 1979, p. 106; 
    (6)  P. Crupi, “L’anomalia selvaggia. camorra,  mafia, picciotteria e  ndrangheta nella  letteratura calabrese del novecento”, Palermo, Sellerio, 1992, p. 49;
    (7)  una testimonianza di Francesco Perri sulle  usurpazioni dei baroni in Calabria-l’appassionata denunncia di un intellettuale  cristiano”, in F. Perri, “dalla Calabria”, Associazione Culturale “Francesco  Perri”, Careri (RC), 2000;
    (8)  F. PERRI, op. ult. cit., pag. 47;
    (9)  P. CRUPI, “Letteratura calabrese  contemporanea”, Messina-Firenze, D’Anna, 1972.