Nuovo appuntamento dei “Pomeriggi Culturali”, sempre nella cornice della villetta della Biblioteca Comunale “Pietro De Nava” di Reggio Calabria, questa volta si tratta di un approfondimento di una grande personalità della cultura italiana, nella rubrica intitolata “Uomini contro”, e, nello specifico la figura di Indro Montanelli.
Nella sua breve introduzione Gianni Aiello ha tratteggiato le motivazioni del titolo  della  rubrica “Uomini contro” e nel contempo qualche passaggio è stato indirizzato alla figura centrale della giornata di studi, dando poi la parola ad Antonino Megali. 
Montanelli è uno che spiega agli altri quello che non capisce.
È un misantropo che vive in mezzo agli altri per sentirsi più solo.
Con questi due celebri paradossi Longanesi sintetizzò il carattere dell’amico.
Tu sei metà Prezzolini e per metà Gobetti.
Cammini con una gamba dell’uno e una dell’altro.
Perciò sta attento, che rischi di sciancarti, l’apostrofò Emilio Cecchi.
E Gianna Preda – una delle più caustiche penne del Borghese – scrisse: “Indro Montanelli ha quasi sessant’anni, ma è sempre l’enfant gatè dei miliardari e, ormai, anche dei grossi borghesi, di fresca data e dei freschi conti in banca … L’età non ha maturato l’eterno fanciullo prodigio di Fucecchio.
Lo ha reso soltanto più stucchevole e spregiudicato nell’arte di barare, mescolando le carte di mezze verità e delle fandonie”.
All’opposto fu uno “stregone” per Dino Grandi, il gerarca fascista e per altri un principe e maestro del giornalismo, un bastian contrario, un anticonformista, un commentatore lucido e sarcastico. Allora chi fu veramente Montanelli? Ognuna delle definizioni sopra citata paradossalmente può essere considerata una parte della sua personalità.
Ma in realtà tentò sempre di essere metà Longanesi e metà Prezzolini, senza avere la genialità del primo e la lucidità del secondo.
Di certo adottò per tutta la vita quel consiglio che gli diede quando ancora era alle prime armi nel giornalismo un collega americano: “Scrivi in modo che ti possa leggere un lattaio dell’Ohio”.
Un suggerimento che pretese anche venisse seguito dai suoi collaboratori tanto che una  volta costrinse Roberto Gervaso a riscrivere un articolo per tredici volte.
La sua prosa era elegante, limpida, scorrevole.
Enzo Bèttiza, che pure non gli risparmiò critiche, scrisse che era un musicista dell’articolo e che sentiva il ritmo musicale delle frasi.
Inevitabile, dato il suo temperamento, vederlo sempre bersaglio di giudizi contrastanti. Fu quasi profeta il padre Sestilio, Preside di Liceo, che nel 1909, ano in cui nacque, gli mise accanto al nome Indro (dalla divinità indiana Indra) e Alessandro (nonno materno) e Raffaello (nonno paterno) quello di Schizogeno, che etimologicamente dal greco significa “generatore di divisioni”. Il padre lo voleva diplomatico, la madre impiegato di banca. Indro, per far piacere alla famiglia, prese due lauree: Legge e Scienze Sociali.
Di entrambe non se ne servì mai e dimenticò quasi di averle. Precoce la passione per il  giornalismo.
Il suo esordio avvenne sulla rivista “Frontespizio” rivista diretta da Piero Bargellini con un articolo su Byron, senza  credere né a Byron, né a Bargellini, né al suo cattolicesimo.
Non avevo nulla da sostenere – scrisse-  null’altro voglio dire, che le mie verità letterarie e cercavo soltanto un giornale autorevole che le avallasse.
Precoce fu anche il manifestarsi della malattia che lo accompagnò per tutta la vita: la depressione seguita da inappetenza e ipocondria.
Da giovane gli capitò pure di innamorarsi di una soubrette: Nanda Primavera. Scappò di casa e per tre mesi fece il ballerino in frac e cilindro esibendosi nell’operetta “Il Paese dei campanelli”.
Due furono però gli incontri che influirono formazione intellettuale: quelli con Berto Ricci e con Leo Longanesi.
Il primo, anarchico militante si era però convertito al fascismo e fu – ricorderà Indro- il solo maestro di carattere che abbia avuto, in un paese dove il carattere è l’unica materia in cui si viene immancabilmente promosso senza esami.
Si intesero subito: ambedue antiaccademici, antiborghesi, anticonformisti.
“Il  fato guida chi si abbandona, trascina a forza chi gli resiste” gli diceva Ricci.
“Lascia stare i gerarchi, il credere – obbedire – combattere- con noi il fascismo può diventare una faccenda seria”.
Ricci e l”Universale”, giornale su cui scrisse, saranno sempre ricordati con affetto e nostalgia da Indro e da quell’esperienza non volle mai prendere le distanze.
L’altro incontro determinante fu con Leo Longanesi.
Si conobbero nella sede di “Omnibus”, il settimanale fondato dal romagnolo. Leo l’accolse piuttosto male.
Non gli piacevano i tipi alti. Montanelli gli disse subito (l’aveva saputo da Maccari) che l’articolo di apertura del giornale aveva provocato una reazione negativa di Mussolini.
Longanesi lo aggredì con un paio di forbici, «Sei una spia?” e Indro: “Non arrivo a piegarmi, i buchi della serratura sono  troppo in giù. E  lei?» “Lascia perdere, dammi del tu”.
Iniziò un’amicizia che, con alti e bassi, durò quasi venti anni, fino alla rivolta ungherese del 1956.
Fra i due incontri, l’avventura africana.
Montanelli vi partecipa con grande entusiasmo e con altrettanta convinzione.
Vuole l’Impero. Sentitelo: il soldato italiano ecceda in dignità razziale … non si sarà mai dei dominatori se non avremo la coscienza  esatta di na nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza.
Non si può, non si deve. Niente indulgenza, niente amorazzi. Il bianco comandi. Un indigeno gli trovò anche una moglie di quattordici anni, Destà, scambiata con un cavallo.
Dell’esperienza africana ne parlò in un libro “XX battaglione eritreo”, che gli valse un elzeviro – e fu la sua fortuna – di Ugo Ojetti sul “Corriere della Sera”.
Seguono anni ricchi di avvenimenti: si trasferisce in Spagna.
Scrive per diverse testate. È richiamato in patria perché un pezzo apparso sul “Messaggero” ha irritato i vertici  militari italiani.
Gli vengono ritirate la tessera del Partito e quella dell’iscrizione all’Albo dei giornalisti poi restituita).
É mandato in Estonia a dirigere il locale Istituto italiano di cultura. Le altre tappe , questa volta da corrispondente,  saranno l’Albania, Finlandia, Norvegia, per trovarsi poi  Roma il giorno della dichiarazione di guerra.
Giunge all’apice la fase della disillusione, dello scetticismo, della fronda.
Ricordando quelle vicende definirà sé stesso come un fascista deluso e stanco e spiegherà che da allora in poi, non avrebbe più avuto bandiere: l’unica a sventolare sulla sua vita “è quella che disertai prima che cadesse”.
Non diserta Berto Ricci che parte volontario e muore sul campo di battaglia. Montanelli fa di tutto per non farlo partire: “Berto non andare, anche tu non ci credi più”. Ma l’amico vuole essere coerente fino alla fine: “Il fascismo ci ha fatto molto soffrire, ma è la nostra vita e il nostro destino”. In quegli anni convulsi Indro troverà anche il tempo per sposarsi: la sua seconda moglie sarà austriaca.
Dopo l’8 settembre entra in clandestinità, per essere poi arrestato e rinchiuso in San Vittore.
In quel carcere c’era anche, giovanissimo, Mike Bongiorno, arrestato perché in possesso del passaporto americano.
Riesce a fuggire per riparare in Svizzera e torna in Italia dopo la fine della guerra.
Di questo periodo il giornalista racconta oltre l’evasione, di essere stato processato e condannato a morte dai tedeschi, di essere stato organizzatore di bande di partigiani e di avere organizzato la stampa clandestina, su ordine del Comitato di Liberazione Nazionale.
Su questo racconto dubbi ne sono stati sempre avanzati.
Ma proprio di recente è apparso un libro “Passaggio in Svizzera.
L’anno nascosto di Indro Montanelli” di Renata Broggini.
La storica lo presenta come un vero e proprio falsificatore della propria biografia.Montanelli mentì sulla partecipazione alla Resistenza; non fu mai condannato a morte, non evase dal carcere di San Vittore, ma fu fatto fuggire con l’approvazione dei tedeschi; raggiunse comodamente la Svizzera lasciando in mano dei nazisti la moglie.
E dovendo subire l’ostracismo degli altri fuoriusciti  italiani che non si fidavano di lui ebbe a dire: “Meglio la tubercolosi che gli Italiani”.
Infine si inventa di essere rientrato a Milano dopo la Liberazione e di avere assistito allo scempio di Piazzale Loreto.
In patria trova un clima ostile nei suoi confronti: fu allontanato anche dal “Corriere della Sera” per le sue simpatie monarchiche.
Conosce intanto quella che doveva diventare la sua terza moglie:Colette Roselli.
L’unione con Colette –diventata famosa come donna Letizia-durò tutta la vita,anche se la sposò solo nel 1974 e praticamente negli ultimi anni vissero separati.
Inizia il periodo più felice di Montanelli scrittore e giornalista.
Nessuno negli anni 50 e 60 è più citato e temuto di lui;nessuno più amato e odiato.
Diventa un mito anche per il suo anticomunismo e per tutti diventa un”fascista”.Volente o nolente non si tolse mai quel marchio.
Alla fine degli anni 50 il giovane scrittore Giorgio Soavi-che pure era stato repubblichino-si rifiutò di stringerli la mano.
Come poteva-si scusò-dare la mano a un campione del vecchio fascismo?Ancora molto più tardi Camilla Cederna lo descrive così:”Gli trovo la nuca fascista,la forma della testa anche,l’occhio fascista a palla quando si arrabbia.
Finanche insospettabile Pietrangelo Buttafuoco,dopo qualche giorno della morte,lo definì un” bel fascistone.
”Certo non fu mai un antifascista,ma mai votò a destra.
Mussoliniano come la maggior parte degli uomini della sua generazione,riconobbe che sì”l’Italia ebbe guide più illuminate di lui,ma mai un interprete più compiuto di lui e uno specchio in cui potesse meglio riflettersi”.
Prese le difese degli sconfitti, come Longanesi,come Guareschi,come il suo nemico Curzio Malaparte che scriverà: Non so quale sia più difficile se il mestiere del vinto o quello del vincitore.
Di una cosa sono certo, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori.
Indro fu sicuramente un borghese fino al midollo delle ossa.
Era capace come pochi di captare quello che il lettore voleva gli si dicesse,ma nello stesso tempo si sentiva di gran lunga superiore e in fondo lo disprezzava.
Non credeva-non ha mai creduto-negli italiani e questo lo accomunava a Prezzolini.
Non amava il loro carattere,i loro piagnistei,i loro mugugni.
Finchè non ebbe un suo giornale,scrisse poco di politica.
Al Corriere Missiroli,suo direttore, ne confinò la firma in terza pagina. Che volete farci-diceva referendosi a Indro-sono entrato in una casa dove c’è un matto,un pazzo e io lo debbo subire.
Dicevamo degli anni migliori e dei suoi successi.
Collaborò fin dal primo numero al Borghese di Longanesi.
Tanto sul Corriere fu misurato,tanto spregiudicato sul Borghese.Qui è più longanesiano che mai.
Non a caso Maccari chiamava i due Montanesi e Longanelli.
Dicendo male di tutto e di tutti,si meritò l’iscrizione-da parte di Mario Soldati-al Pop,partito di opposizione permanente.
Arrivò a scrivere lettere all’ambasciatrice americana a Roma negli anni 50 ,in cui ipotizza  un colpo di Stato in caso di vittoria elettorale della sinistra.
Pubblicate nel 1998 provocarono grande imbarazzo proprio tra quella sinistra che lo aveva “sdoganato”.
In quell’epoca nacquero gli Incontri,l’opera più bella di Montanelli e che lo fece conoscere al grande pubblico.
Li leggono annotava Giovanni Ansaldo,gli impiegati che vanno in tram,la mattina,mentre stanno attaccati per una mano alla maniglia,e con l’altra,tra gli urtoni,leggono il Corriere.
Si rivelò maestro nel descrivere un personaggio cogliendone un’espressione,un particolare,inventandosi fatti inesistenti.
Aveva ragione Paolo Monelli nel dire che gli Incontri “sono di più falso si possa immaginare”,ma non sbagliava Indro quando sosteneva che immaginando il verosimile “diceva sempre il vero”.
Questa sua capacità era sfruttata a pieno nei necrologi,tanto da averne quasi l’esclusiva.Malaparte,malignamente,affermava che viveva   -professionalmente-sulla morte degli altri.
L’altro grosso successo dopo gli-Incontri-furono i libri di divulgazione storica. Dino Buzzati lo invitò a scrivere per i lettori della “Domenica del Corriere”una storia di Roma senza retorica.
Quella storia dissacrata incontrò il consenso di tutti,tranne naturalmente quello dei critici e degli storici.
Fu giocoforza proseguire per quella strada e alla storia di Roma,seguì quella dei Greci e via via dell’Italia fino ai giorni nostri con la collaborazione di Gervaso prima e di Mario Cervi poi.
Nell’ottobre del 1956 Montanelli si trovava in Austria,invitato da amici per una battuta di caccia.
Gli fu facile pertanto arrivare tra i primi a Budapest in rivolta.
Quando arrivammo nella piazza principale di Budapest-scriverà con una immagine felicissima-al posto della faraonica statua di Stalin trovammo soltanto i suoi due stivali che puntavano verso il cielo come due braccia levate per disperazione .
Quello che seguì è noto la sua interpretazione della rivolta fu diversa da tutti gli altri.
La destra sosteneva che fosse la ribellione contro il comunismo;la sinistra il solito complotto del capitalismo internazionale per rovesciare il regime.
Per Indro era semplicemente scoppiata per cambiare e non certamente per abbattere il sistema.
Longanesi,furioso rompe l’amicizia durata 20 anni.Guareschi non è da meno,giudicandolo “agitato dalla foja della distensione “e un “ex combattente arresosi al nemico”.Montanelli in realtà non era passato a sinistra,ma è innegabile che una crisi c’era stata.
Per la prima volta i lettori si scoprono molto più a destra di lui.
Dall’esperienza ungherese ne ricavò un lavoro teatrale,I sogni muoiono all’alba,dove la rivolta era vissuta da un gruppo di giornalisti italiani in una stanza di un hotel di Budapest.
Non ebbe grande successo,come non lo ebbe il film tratto da questo lavoro con la sua regia.Arrivano gli anni della contestazione .
Al suo Corriere va come direttore Spadolini e questo non può che andargli bene.
Non accettò invece la decisione dell’editore e amministratore Giulia Maria Crespi –la zarina-di”dirigerne la linea politica assecondando i tumultuanti della sinistra che scalpitano in redazione.
La situazione precipita quando la Crespi si liberò di Spadolini con una procedura che Montanelli definì”un colpo di stato guatemalteco “in quel clima si inserisce l’aspra polemica con Camilla Cederna,amica della Crespi.
Le interpretazioni unilaterali della giornalista sui tragici avvenimenti di quegli anni-caso Feltrinelli, Piazza Fontana,morte dell’anarchico Pinelli fecero perdere le staffe a Montanelli che l’attaccò con insolita violenza:…”deve essere inebriante,per una che lo fu della mondanità,ritrovarsi regina della dinamite e sentirsi investita del suo alto patronato.
Che dopo aver frequentato il mondo delle contesse,tu abbia optato per quello degli anarchici…non mi stupisce.
Gli anarchici per lomeno odorano d’uomo anche se forse un po’troppo. Sul tuo perbenismo di signorina di buona famiglia,il loro afrore, il loro linguaggio,le loro maniere,devono sortire effetti afrodisiaci”.
In una successiva intervista al settimanale il mondo,Indro auspica,senza mezzi termini,una secessione dal Corriere e la nascita di una nuova testata giornalistica.
E’ la goccia che fa traboccare il vaso.
La lettera di licenziamento o di dimissioni gli viene consegnata dallo stesso direttore Piero Ottone in lacrime.
Salvo poi a negargli,il giorno dopo ,la pubblicazione di una lettera d’addio ai lettori.
Nel momento in cui il Corriere comunicava le dimissioni,gli viene offerta da
Arrigo Levi la collaborazione a La Stampa di Torino,subito accettata.
Entrando alla Stampa,credevo di entrare in un giornale e invece mi trovai in un frigorifero.
Per i collaboratori di quel quotidiano-la maggioranza provenienti dal Partito d’Azione-io ero l’incarnazione di un reprobo:con queste parole Indro,deluso,racconterà quell’esperienza.
Il suo quotidiano nasce nel 1974.
Il titolo gli fu suggerito da Giorgio Soavi,quello stesso che anni prima si era rifiutato di stringergli la mano.
Un pomeriggio,racconta lo scrittore,Indro telefonò per farmi vedere l’impaginato del suo nuovo giornale: faceva pietà.
Quando poi gli chiesi come si sarebbe chiamato  quell’orrendo ammasso di fogli mali impaginati,Indro fieramente rispose:si chiamerà La Posta.
Ma certo,conclusi,La Posta di Novara o di Cuneo.
Si chiamerà Il Giornale,gli disse poi Soavi,a cui fu poi aggiunto Nuovo per la presenza di una omonima testata a Varese. Ma come tutti sanno,allora era conosciuto come Il Giornale di Montanelli.
Nell’avventura lo seguirono molte grandi firme del Corriere:Bettiza,Piovene,Granzotto,Zappulli e
tanti altri.
L’argenteria di famiglia come commentò Franco Di Bella .Per il varo del primo numero Cesare Zappulli,da buon napoletano pretese la presenza di un busto di San Gennaro e quella di un gobbo.
Fu un notaio,suo amico,che si prestò con grande senso dell’umorismo,alla bisogna.
I lettori,rappresentati dalla piccola e media borghesia,amante dell’ordine,contrari al compromesso storico sono nuovamente soggiogati dall’estro montanelliano.
Lo seguono nella sottoscrizione lanciata per il Friuli terremotato che raccolse quasi tre miliardi.
E sia pure mugugnando gli obbediscono quando,durante le elezioni del 1976,per evitare il sorpasso P.C.I.,lanciò il famoso slogan :turatevi il naso e votate D.C.
Un’altra invenzione di grande successo fu l’idea di un corsivo giornaliero che si  chiamava Controcorrente.
Il suggerimento fu dato da Enzo Bettiza che lo concepiva come lo spazio adatto allo sfogo degli umori e battute di Indro.
Per raccontare poi di essersene pentito quando si accorse che Montanelli ebbe per questa rubrica una “sorta di passione giocosa,infantile,incontinente,morbosa, esclusiva”.
Nel giugno del 1977 i  brigatisti rossi gambizzano il giornalista.
Oggi due giugno un nucleo armato delle BR ha colpito con più colpi di pistola alle gambe il noto reazionario Indro Montanelli fondatore e direttore del Giornale Nuovo:così iniziava il loro comunicato di rivendicazone.
Ne parleranno tutti i giornali del mondo,oltre quelli italiani.
Solo il Corriere titolò:i giornalisti nuovo bersaglio della violenza.
Le BR rivendicano gli attentati.
Mai il quotidiano della borghesia lombarda era caduto così in basso.
Indro non commentò subito l’infortunio.
Solo dopo qualche giorno approfittò di un passo falso del quotidiano per scrivere in un suo Contro- corrente :”Siamo il Paese più colpito dal terrorismo di destra affermava ieri il Corriere della Sera con un grande titolo di prima pagina.
Poi deve essersene vergognato,perché nella seconda edizione lo ha fatto sparire.
E’ un pudore fisiologico:Anche i gatti,si sa,provano il bisogno di coprire le loro indecenze.”
Vale ora la pena riportare le parole del giornalista su quanto accaduto dopo il ricovero in ospedale.
La prima telefonata d’auguri fu di Gianni Agnelli:”Montanelli,ma non le era bastata l’Abissinia?” “Avvocato,l’unica cosa alla mia portata per tentare di imitarla era di procurarmi una zoppia” gli risposi facendolo ridere.
Il primo telegramma invece,arrivato attraverso chissà quali fortunosi canali,fu quello di Golda   Meir:”Sono lì accanto a te,anima e corpo”.
Una prospettiva che,nonostante l’infermità, mi causò un lieve sobbalzo.
Berlusconi,con il quale avevo fatto conoscenza soltanto poche settimane prima,si precipitò al mio capezzale piangendo come un bambino.
Mi toccò consolarlo come se avessero sparato a lui.
E Spadolini fece un discorso in televisione dal quale sembrava che il ferito fosse lui.
Fu in quelle occasioni che Berlusconi regalò a Montanelli un magnifico orologio da taschino, dicendogli:”Se le serve qualcosa me lo dica”.
Indro rispose che gli serviva qualcuno che comprasse le azioni del Giornale.
Berlusconi si disse onorato di poterlo fare.Arrivò pure una nuova tipografia e una nuova sede per il quotidiano. L’ho detto e non mi stancherò mai di ripeterlo :Berlusconi ci salvò dalla rovina,ripeteva sempre Montanelli.
Il nuovo editore non chiese favori né interferì mai sul giornale.
Da parte sua il direttore raccomandava di dire sempre male delle televisioni di Berlusconi:per non dare l’impressioni di fargli dei favori dobbiamo fargli degli sgarbi.
Quando compì gli ottantenni la RAI gli dedicò una serata d’onore,condotta da Pippo Baudo.
Montanelli si era appena ripreso da una grave crisi depressiva.
Passava intere giornate nel suo ufficio,al buio, senza fare niente.
Dovette ricoverarsi,per uscirne,in una clinica specializzata.
D’allora il suo umore cambiò. Aveva spesso un’aria assente,appariva sempre più chiuso nei suoi pensieri,scriverà Paolo Granzotto.
Arriva il ciclone giudiziario noto come Mani  pulite. I partiti  tradizionali scompaiono dalla scena politica.
Silvio Berlusconi annuncia di”scendere in campo”.Sembrò normale al futuro Presidente del Consiglio chiedere al suo giornale più impegno in quella che era in fondo la linea politica di sempre. Montanelli reagì male.
Prevalse in lui il temperamento umorale;la voglia di farla finita con un’esperienza che si avviava verso il fallimento;la convinzione che Il Giornale fosse veramente suo e quindi,andando via,avrebbe chiuso.
Fonda un nuovo quotidiano:La Voce .Lo seguono in quest’ultima avventura una quarantina di giornalisti:alcuni solo per affetto;altri attratti da aumenti di stipendio e di promozioni.
Il primo numero della Voce andò esaurito pur avendo tirato cinquecentomila copie.
Dopo qualche giorno la vendita era appena di sessantamila copie .
Il quotidiano era quanto di più lontano si  potesse immaginare dall’idea montanelliana di concepire un giornale.
In prima pagina c’era sempre un fotomontaggio rozzo e inelegante.
Gli articoli aggressivi,veementi ,poco consoni a un direttore che amava piuttosto usare il fioretto,anche nelle polemiche più aspre.
Dopo circa un anno,la Voce chiude.
Montanelli con ingratitudine,per coprire le proprie responsabilità,se la prende con i lettori definendoli “trinariciuti”.Tornerà al suo vecchio Corriere curando una rubrica,”La stanza”.Morirà il 22 luglio 2001 dopo aver composto il suo necrologio:giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza Indro Montanelli prende congedo dai suoi lettori ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito.
Le sue ceneri cremate siano raccolte in un’urna fissata alla base,ma non murata,sopra il loculo di sua madre Maddalena nella modesta cappella di Fucecchio.Non sono gradite né cerimonie religiose né commemorazioni civili.

ShinyStat
17 aprile 2008

Gerbi-Liucci, "Lo Stregone", Einaudi, 2006;
Paolo Granzotto, "Montanelli", Il Mulino, 2004;
Indro Montanelli, "Soltanto un giornalista" , Rizzoli, 2002;
Marcello Staglieno, "Montanelli", Mondadori, 2001.