Dalle problematiche,  sempre più attuali, specie in questo periodo, relative ai rapporti tra le varie religioni, è stato organizzato il primo di una serie d'incontri con lo scopo di capire meglio le problematiche relative alle religioni monoteistiche ed alla posizione ufficiale della Chiesa Cattolica.
La relatrice Flavia Romeo ha trattato alcuni carteggi relativi al Concilio Vaticano II  dai quali, secondo la stessa, è emerso che i paragrafi relativi ai rapporti con le altre religioni e in particolar modo alle altre fedi monoteistiche, ritardarono ad essere approvati a causa delle inevitabili ripercussioni politiche che queste dichiarazioni avrebbero portato. 
Si tratta del primo documento ufficiale in cui il Magistero ecclesiastico conciliare, definisce l’Ecumenismo come fondamentale del pensiero cristiano.  
I tre monoteismi hanno delle analogie sia tipologiche sia di tipo storico, a partire da tradizioni e rapporti comuni ma anche fasi di rottura profonda.
Nell'Islam esplicito e programmatico è il rapporto con la religione ebraica (continuità profetica, di cui Maometto costituisce il naturale sigillo), di qui la ricerca di un'alleanza con la comunità ebraica di Medina al tempo dell'egira, pur nella diversa impostazione ideologica ne deriva il rifiuto da parte degli ebrei, perciò Maometto da una parte insiste sull'esistenza di un unico e vero Dio, però afferma che gli Ebrei non hanno compreso la rivelazione e addirittura l'hanno tradita.
«Nel Cristianesimo abbiamo - prosegue la relatrice - un referente storico preciso, Gesù personaggio d'origine ebraica vissuto in una data epoca  e ambiente con cui però entrerà in conflitto.
La fisionomia del pensiero cristiano, che pure prendeva le mosse dai principi fondanti del giudaismo, tenderà quindi da subito a distinguersi dall'ebraismo fino alla rottura violenta con la tradizione del tempo.
Il Giudaismo era fortemente condizionato dal concetto di patto tra Dio e il popolo ebraico.
D'altra parte il monoteismo ebraico si costituisce in uno specifico contesto che era quello di un politeismo affermato, di cui gli stessi ebrei avevano preso parte.
C'è quindi una forte spinta nazionalista (data anche da precise ragioni storiche) il cui fenomeno religioso si pone come di un'identità nazionale.
Il principio di fondazione è poi sfumato nell'ebraismo e diluito nel tempo».
Assumendo il pontificato Giovanni XXIII (1958-1963) non fece mistero di voler seguire un metodo pastorale, teso ad instaurare rapporti con le altre religioni, guardando a non ciò che separa, ma ciò che unisce.
In questo ebbero sicuramente influenza le sue esperienze come delegato apostolico in varie terre a maggioranza musulmana e l’esperienza della guerra che gli ha permesso di vedere da vicino le sofferenze del popolo ebreo.  
Questo nuovo metodo di intendere il rapporto con i non cristiani apparve evidente già dai primi segni del suo pontificato, quando, in occasione della Settimana Santa del 1959, intervenne per eliminare l’espressione pro perfedis Judeis.
Il gesto fece molto scalpore soprattutto in ambiente ebraico.
Maggior stupore fece l’eliminazione di alcune formule provocatorie che potevano suonare offensive per ebrei e musulmani, dal rito di consacrazione de genere umano a Cristo Re.
Paolo VI eredita da Giovanni XXIII la necessità di completare il Concilio, continuando in una linea già intrapresa dal suo predecessore, quindi tutto il magistero di Paolo VI, si svolge in modo particolare alla problematica cristiano-musulmano giungendo ad una sostanziale uniformità di posizione all’interno del Concilio stesso.
Fu, quindi, Paolo VI a completarne l’opera anzi a svilupparla ulteriormente e a portare la Chiesa ad un nuovo rapporto con i non cristiani e a riallacciare i rapporti anche con i cristiani separati da Roma.  
Già nel corso d’apertura del Concilio Vaticano II egli  chiedeva ai padri conciliari di aprirsi a nuove frontiere, più ampie di quelle prospettate da Giovanni XXIII, chiedendo di guardare alle altre religioni che ancora conservano il senso e il concetto di Dio, professando la loro fede in modo sincero, fondendo la propria vita su principi morali.  
Paolo VI aveva istituito il Segretariato per l’unità dei cristiani che risultò determinante per l’Ecumenismo e i rapporti con le altre religioni.
Durante il  Concilio, Paolo VI  ebbe ad affermare che «la Chiesa non può guardare solo all’interno dei propri confini, ma deve aprirsi a tutta la comunità».
Con questo spirito, nel 1963, il Papa annunciò un pellegrinaggio a Gerusalemme, avvenuto l’anno dopo, quando dinanzi a Re Hussein di Giordania, disse “di parlare a nome di tutta una famiglia in cui i Musulmani e i Cristiani sono uniti da un’unica concezione”.  
Nell’ottobre del 1965 viene pubblicato il documento “Nostra Aetate”, dove al paragrafo III viene riportato:  «La Chiesa guarda con stima ai Musulmani che adorano il Dio unico, vivente, misericordioso e onnipotente» .
La dichiarazione conciliare “Dignitatis Humanae” del dicembre dello stesso anno tirerà le ultime conclusioni affermando che il diritto alla libertà religiosa si fonda sulla dignità della persona umana, perché  “si deve presupporre che chi aderisca ad una credenza religiosa lo fa perché, come norma, la ritiene vera”.
Con l’avvento di Giovanni Paolo II il dialogo con le altre religioni venne gestito in prima persona dal Papa stesso.  
Egli nell’enciclica “Redemptor hominis” del 1979 disse che le religioni sono «meraviglioso patrimonio dello spirito dell’uomo».
E in questo spirito che egli promuove la giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi il 27 ottobre del 1986.
Un appello lanciato dal Papa a tutti i popoli in guerra che chiede la non belligeranza per la giornata interessata di Assisi.
La tregue proposta dal Papa fu largamente mantenuta e nella cittadina umbra delegati delle varie religioni si riunirono in preghiera, ognuno con il suo rito, con la sua tradizione, con la sua forma di preghiera.  
Nei documenti del periodo relativo al ventennio 1978-1998 emerge l’impressione che il Papa Giovanni Paolo II voglia portare a compimento le prospettive ecumeniche e i presupposti già espliciti in Paolo VI, con una volontà di chiarificazione e di legittimazione ancora più evidente rispetto al suo predecessore.   
Negli insegnamenti di Papa Giovanni Paolo II emergono tre direttive :
1 -  ufficiale-politico, in cui c'è il rispetto dell'altra religione. È un aspetto non troppo ampio nel magistero papale, tranne che quando si rivolge a personalità politiche;
2 -  etico-pastorale, in occasioni contingenti in cui emerge la funzione pastorale del papa in contesti catechetici in cui si sottolinea il rispetto della persona e la libertà religiosa;
3 - storica, in cui l'analisi della storia passata è vista come il terreno su cui instaurare il dialogo e il confronto che è l'insegnamento più importante della storia.
La Chiesa post-moderna non intacca la sua forza, anzi la stimola a dimostrarsi più salda nei suoi principi grazie al confronto con altre religioni.

ShinyStat
20 novembre 2003