
In un  dizionario francese d'occultismo e delle società segrete alla voce “Mafia”  viene riportato quanto segue: «Associazione di malfattori costituitasi in  Sicilia, la quale si è diffusa in tutta Italia, in diverse città d'Europa e perfino  negli Stati Uniti. Pratica l'estorsione su larga scala e il ricatto. Agisce con  sistemi terroristici».
    Siamo nel  1888. Fino a pochi anni prima la parola non si trovava sui dizionari e veniva  definita come qualcosa che significava baldanza, bellezza, graziosità,  perfezione, eccellenza nel suo genere.
    Ne è  costretto a prendere atto anche il famoso etnologo siciliano , Pitré.
    Disgraziatamente  dopo il 1860 le cose hanno mutato aspetto - scrive - e divine sinonimo di  brigantaggio, di camorra, di malandrinaggio.
    Proprio  in quell'epoca - soprattutto dal 1880-   l'Italia mandò negli Stati Uniti - ma non solo lì - milioni di persone. 
    Ogni  settimana partivano da Napoli braccianti, manovali, contadini  con un fagotto con pochi stracci e qualcuno  senza nemmeno quello.
    Ammucchiati  com'erano nelle navi, non restava loro che cantare la celebre canzone  dell'emigrante: “Parteno 'e bastimente pè terre 'ssai luntane, cantano a  buordo è i so' napulitane ...”.
    Più  realista, sull'argomento, la poesia dell'autore del libro “Cuore”,  Edmondo De Amicis: «Ammucchiati là come giumenti/sulla gelida prua mossa dai  venti/migrano a terre ignote e lontane/laceri e macilenti/varcano i mari per  cercar del pane./ Traditi da un mercante menzognero/vanno, oggetto di schermo,  allo straniero/bestie da soma, dispregiati iloti/carne da cimitero/vanno a  campar d'angoscia in lidi ignoti».
    In poche  parole la grande emigrazione, truffe tra i patimenti, stenti, imbrogli, truffe  (di americani ma anche di connazionali) e un abbandono completi da parte dello  Stato.
    Giuseppe  Prezzolini, che dedicò un libro agli italo-americani “I trapiantati”  sostenne che l'emigrazione fu una grande tragedia arrivando a scrivere che  l'italiano emigrato che non divenuto un delinquente o un pazzo, è un santo. 
    Strappare  un essere umano dalla società nella quale è stato allevato - sostiene lo  scrittore che visse per lunghi anni in America - è riconosciuto da tutti gli  psicologi come una delle più gravi difficoltà per uno sviluppo normale. 
    Quando il  bastimento arrivava l'immigrante era disorientato, sbalordito e doveva trovare  subito un'occupazione a qualunque condizione.
    Si creò  allora in America il modello dell'italiano stereotipato. 
    La  rappresentazione classica lo “velava“come un ometto dal colorito  terragnolo, basso e malvestito, come un paio di baffoni neri cascanti  all'ingiù, che porta in giro l'organetto, che conduce con sé una scimietta e  che chiede l'elemosina suonando, con tremolanti corde, canzoni di Napoli.
    A questo  punto c'è da chiedersi: ma era proprio inesistente la Mafia negli Stati Uniti?  Gli emigrati siciliani avevano veramente impostato il loro sistema di  estorsione e di corruzione dei pubblici poteri? 
    In realtà  già esistevano le associazioni criminali, il controllo delle attività illegali,  i poliziotti corrotti, tutto quello che in lingua americana si chiamava “racket”.
    Diciamo  allora che gli italiani - in particolare i siciliani - messi di fronte a quella  realtà - pensarono di organizzarsi per il loro interesse e anche per una forma  di difesa. 
    In queste  “piccole Italie” i meridionali in genere portarono la loro esperienza,  la loro tecnica, con l'efficienza che, tra i due secoli, avevano raggiunto le  nostre organizzazioni criminali come la Mafia e la Camorra. 
    Si  aggiunga che in genere l'immigrazione italiana era indifferente - quando non si  opponeva - a mandare i figli a scuola preferendo piuttosto mandarli a lavorare.
    Onestà  impone però a riconoscere che anche in Italia i contadini erano ostili alla  scuola e questa fu una delle cause dell'analfabetismo.
    Tralasciamo  quello che degli Italiani si diceva in quel periodo sui giornali americani.
    «Pensate - prosegue Antonino Megali- che le  espressioni più “gentili” andavano da: “I peggiori rifiuti d'Europa/  Pigri, venali e camorristi/ compatti solo nel difendere gli avanzi di galera/  Mendicanti per professione e per piacere/ Felici di sguazzare nella  spazzatura/Credono che il bagno sia una brutta parola/  Vivono insieme con le capre e gli asini/”  fino all'immancabile “Maccheroni, mandolini e dolce far niente”.
    «A poco -  continua il socio del Circolo Culturale L'Agorà - a poco prima che di Mafia si  parlava spesso della Mano Nera e veniamo all'argomento di stasera: si parlava  di una misteriosa organizzazione dedita all'estorsione, alle rapine, al racket  dei negozi, sfruttamento della prostituzione, lavoro nero, lasciando messaggi e  sentenze contrassegnati appunto da una mano nera» . 
    “I  baffi a manubrio” erano chiamati gli aderenti a questa organizzazione  criminosa proprio perché portavano baffi di questo tipo. 
    All'inizio  fu più un'insegna sotto la quale si nascondevano gruppi di piccoli malviventi  operanti nel ghetto italiano dedicandosi soprattutto all'estorsione, “le famose  lettere a scrocco”.
    La  polizia all'inizio tollerò considerando che sfruttati e sfruttatori erano solo  italiani. 
    Quando  però agli inizi del nuovo secolo divenne organizzatissima, per combatterla si  costituì una speciale squadra italiana. 
    A  dirigerla era un poliziotto italo-americano: Joè Petrosino.
    Nato nel  1860 era arrivato dalla natia Padula a 13 anni negli Stati Uniti; i suoi  genitori erano siciliani. 
    A  diciotto anni era entrato a far parte del corpo degli spazzini di New York, i  famosi “ussari bianchi” (così chiamati per il colore dell'impermeabile  usati durante il servizio), i quali erano dipendenti del dipartimento di  Polizia.
    “Era  un uomo vigoroso e corpulento. Il suo viso, interamente raso, aveva tratti  grossolani che una leggera butteratura deformava e non riusciva simpatico a  prima vista. Ma v'era in quella fisionomia da macellaio l'impronta di una  volontà ostinata e del coraggio, qualche cosa che  faceva pensare al mastino. Petrosino aveva  più del lottatore che del poliziotto.Si capiva che doveva essere più abile ad  acciuffare il delinquente che a scovarlo …”: questa l'efficace descrizione  lasciataci dal grande giornalista scrittore Luigi Barzini. 
    “Il  lavoro era la sua sola ragione di vita. Non si lasciava tentare dalle donne,  pochi gli amici. L'armadio di casa sua era più fornito del guardaroba di un  teatro, - racconta Arrigo Petacco - .
    Era  capace di travestirsi da sterratore siciliano per andare a lavorare per  settimane nel tunnel di Manhattan o lungo strade ferrate. 
    Altre  volte era un mendicante cieco o un malfattore.
    Petrosino  capì che la misteriosa setta detta “Mano Nera” era stata creata  dall'immaginazione popolare.
    In realtà  dietro i crimini che recavano quella firma ci era una associazione a delinquere  perfettamente organizzata: era la Mafia ed era siciliana.  
    Partì in  missione segreta per la Sicilia nel febbraio del 1909 sotto falso nome. 
    Non  fidandosi del personale dell'albergo dove alloggiava, si faceva mandare la  corrispondenza presso la segreteria della Banca Commerciale, i cui impiegati  erano in prevalenza settentrionali.
    Nonostante  le precauzioni fu assassinato con tre colpi di rivoltella a pochi metri dal  monumento di Garibaldi in piazza Marina, nella zona occidentale di Palermo il  12 marzo del 1909. 
    Petrosino  divenne da allora celebra tanto che la casa editrice “Nerbini” gli  dedicò una serie di albi nei quali si raccontavano con un pò di esagerazione  tutte le sue imprese.
    Fu anche protagonista di di un fumetto  disegnato da Ferdinando Vichi per il “Vittorioso” sempre della “Nerbini”  e più vicino a noi, negli anni '70,  la  Rai gli dedica uno sceneggiato diretto da Daniele d'Anza e interpretato da  Adolo Celi. 
    Secondo  Signorini, giallista italiano, sempre negli '70, scrive qualche avventura di  Petrosino, pubblicata dal “Giallo Mondadori” 
    La parola  è poi passata al Presidente del Circolo Culturale "L'Agorà" Gianni  Aiello che nel corso del suo intervento, dopo una panoramica su tale  organizzazione ha esaminato una serie di documenti che ne attestano la presenza  sul territorio agli inizi del novecento.
    Il  relatore ha fatto una breve disamina storica e geografica su tale organizzazione  partendo dal periodo  1873-1883 quando in  Spagna agiva un’organizzazione con tale denominazione che si prefiggeva  l’esproprio delle terre ai proprietari e la  ridistribuzione alla collettività: essa era organizzata su un sistema di  tipo socialista.
    Successivamente  in Serbia nel periodo 1911-1917 troviamo la troviamo presente con finalità di  tipo terroristiche, nazionalista ed uno dei suoi massimi esponenti fu Gavrilo  Princip autore materiale dell’assassinio dell’arciduca d’Austria in quel di  Serajevo che scatenò il primo conflitto mondiale.
    La  disamina geo-storica prosegue con la collocazione di tale organizzazione  in Palestina dove agiva un gruppo militante  palestinese al seguito dello sceicco siriano Izz ad-Din al-Qassam ed in Libano  dove un gruppo militante si rese protagonista  di diversi attacchi a strutture straniere durante la guerra civile .
    Il  relatore ha estrapolato alcuni aspetti da un dossier del F.B.I. dal quale si  evince  l’attività della Mano Nera negli  Stati Uniti nel periodo 1900-1920   in cui tale organizzazione criminale agiva nelle grandi  metropoli statunitensi come New York, Chicago, Kansas City e San Francisco dove  era diffusa la comunità italiana soprattutto quella meridionale.
    Tali  azioni criminali consistevano in diversi attentati dinamitardi ed incendiari  contro abitazioni civili, esercizi commerciali, estorsioni di vario come  rapimenti di adolescenti: questi comportamenti derivavano dal rifiuto da parte  delle vittime di favorire le rivendicazioni   da parte degli appartenenti a tale organizzazione criminale come  il pagamento di somme in denaro.
    Nella  città di Chicago si registrano nel 1911 quaranta omicidi ad opera della Mano  Nera, trentatré nel 1912, trentuno nel 1913 e quarantadue nel 1914, anche se  nello stesso dossier si parla di ben trecento omicidi consumati a far data dal  1890.
    Da questa  prima panoramica il relatore fa  presente  che i termini  “onorata società”,  “racket”, “intimidazioni”, “denunce contro ignoti”  ricorrevano allora come oggi. 
    Inoltre  si è soffermato anche sull’aspetto antropologico di tali messaggi come ad  esempio quelli relativi a “occhio per occhio dente per  dente”, “uomo avvisato mezzo salvato”,  presenti anche nei documenti che sono stati oggetto della giornata di studio su  tale argomento. (1)
    Un passaggio  interessante è stato fatto da Gianni Aiello a riguardo una pubblicazione del  Domenico Nucera Abenovali che rappresentava un importante vademecum per gli  emigrati meridionali che in quel periodo si apprestavano ad andare nel  continente statunitense per migliorare le proprie condizioni sia economiche che  sociali.
    L’autore  di tale pubblicazione data alle stampe nel 1911 parla anche della Mano Nera ed  indica anche alcune sue azioni come il versamento nelle casse della Società che  aveva una cadenza sia settimanale che mensile ma fa anche riferimento  a  “...  la tassa di ammissione per avere il primo punto, cioè essere picciotto, è di  dieci dollari, per passare a camorrista effettivo, è di venti, in tutto trenta  dollari.” (2)
    Dalla  stessa pubblicazione si possono ricavare anche i nomi di alcuni componenti  della Mano Nera, come Annunziato Legato “ucciso con dei colpi di rivoltella  da un certo Pavone a cui voleva dare un ricatto di cinquecento dollari; nè fu  vendicato Zappia ucciso l'anno scorso a Monesser” e l'ubicazione della  stessa organizzazione posta a New York nella Blecker Street e succursali poste  nelle aree di  Pittsburg, St. Louis e  Chicago. (3)
    Il  relatore ha concluso il suo intervento passando alla lettura dei documenti  ritrovati che attestano la presenza di tale organizzazione criminale proprio  sul territorio di Reggio Calabria.   (4)  
    Infatti  dalla documentazione oggetto della discussione si evince quanto segue:
    1) il  luogo;
    2) la  data;
    3)  informazioni relative alla struttura organizzativa;
    4) ubicazione  della sede statunitense;
    5)  carattere estorsivo del documento;
    6) il  soggetto a cui la lettera è indirizzata il carattere della lettera che assume  le caratteristiche dell'anonimato e dell'estorsione.
    Dalla  lettura di queste caratteristiche rilevate negli atti,  Gianni Aiello è passato alla lettura del  carteggio che attesta la presenza di tale organizzazione criminale a Catona:  siamo in data 10 agosto 1906,  in quel  periodo Catone era comune a se.
    Dagli  atti si ricava che viene recapitata una lettera anonima con "minacce di  grave ed ingiusto danno a Spinelli Repaci Pasquale di anni 41. 
    Nel  verbale della Legione territoriale dei Carabinieri Reali si evince come da  timbro postale che lettera sia stata spedita da Acciarello vicino Villa San  Giovanni. 
    Il contenuto  della lettera riporta gli ordini  che  sono stati impartiti dai superiori membri dell'Alta Corte Inquisizionale della  Mano Nera Anarchica di Patterson che intimano al destinatario il pagamento di  una somma estorsiva deciso in apposita riunione datata 23 giugno dello stesso  anno ed alla quale ha partecipato  il  Gran Istruttore.
    Dallo  stesso documento, fatto pervenire tramite “affiliati dell'onorata società”,  si possono leggere altre cifre, come ad esempio il codice comportamentale che  il Repaci deve rigorosamente osservare. 
    Infatti  al commerciante "viene consigliato" di non riferire né ai familiari  né alle forze dell'ordine di quanto accaduto, ma di pagare nei termini  stabiliti secondo il rituale di tale organizzazione criminale.
    Da tale  lettura si evincono altre interessanti cifre, di tipo antropologico, come “occhio  per occhio dente per dente”, oppure “uomo avvisato mezzo salvato”.
    La  struttura del documento si conclude con la firma del segretario e quella del  comitato dei bombardieri, quindi si ricava anche la struttura organizzativa  dell'associazione criminale e dallo stesso atto si evince anche di una sua “filiale”  calabrese.
    Dal  carteggio si evince che che vengono effettuate delle apposite indagini,  effettuati dei controlli nei confronti di probabili autori, nello specifico nei  confronti dei fratelli Emilio di anni 22 studente in legge e Domenico Borrello  abile disegnatore, infatti nella lettera anonima pervenuta allo Spinelli Repaci  Pasquale sono abilmente disegnati alcuni simboli della Mano Nera, come il  teschio posto tra due pugnali posto a timbro di chiusura del documento  processuale che condanna lo Spinelli Repaci Pasquale ed il logo che fa da carta  intestata dello stesso documento raffigurante una mano con un pugnale  sanguinante.
    Seguono  le fasi relative all'esame di testimonio senza giuramento dove vengono  ascoltati il brigadiere dei Reali Carabinieri di Gallico, Merante Giovanni,  seguita dalle testimonianze con giuramento da parte del Sindaco, dell'ufficiale  postale, dall'ufficiale telegrafico, dal direttore didattico e dal parroco di  Catona.
    La  documentazione riguarda anche i verbali che sono stati trattati dal Tribunale  Penale di  Reggio Calabria, la Legione  territoriale dei Carabinieri reali di Bari stazione di Gallico, Pretura di  Villa San Giovanni.       
  Il  percorso processuale si conclude in data 17 settembre 1907 quando il giudice  istruttore del Tribunale di Reggio Calabria a seguito di attenta disamina da  quanto raccolto dagli istituti sopra citati dichiara non farsi luogo a  procedimento per essere rimasti ignoti gli autori.



(1)  “Dall'archivio alla storia: quando l'Italia esportò la mafia”, in GNOSIS  n.3/2005;
    (2)  Domenico Nucera Abenavoli, “L'emigrazione sconosciuta,denuncia anonima contro  una società di malfattori”, 1911, pagina 123;
    (3)  Domenico Nucera Abenavoli, opera citata,  pagina 125;
    (4)  Archivio di Stato di Reggio Calabria.  

