Nel palinsesto  del mese di maggio è inserito il secondo incontro relativo al ciclo di manifestazioni dei POMERIGGI CULTURALI , serie di appuntamenti organizzati dal Circolo Culturale "L'Agorà" in collaborazione con il gruppo di ricerca "MNEMOS".
Il tema odierno volge il suo sguardo ad alcuni aspetti che vanno ad abbracciare diversi campi, quali quelli relativi alla sfera  dell'antropologia, della caccia e della letteratura.
Naturalmente la figura centrali di tali temi è l'antico amico-nemico dell'uomo, per l'appunto il lupo.
La manifestazione in argomento si è svolta presso la saletta convegni della Chiesa di San Giorgio al
Corso di Reggio Calabria ed ha avuto come relatore Orlando Sorgonà che ha argomentato sul tema 
«Uomini e lupi in Aspromonte».
In buona sostanza si è trattato della presentazione di diversi aspetti relativi al tema trattato e che sono stati frutto di pazienti  ricerche archiviste svolte dallo stesso ricercatore.
Come riportato nei comunicati stampa è stato evidenziato nel corso della manifestazione "l'antico rapporto tra il lupo e l’uomo che ha radici antichissime: entrambi hanno percorso un cammino evolutivo spesso sovrapposto, ricoprendo, in natura, ruoli molto simili, rispettandosi e temendosi a vicenda.
Per una serie di motivazioni logistiche ci sono stati dei cambiamenti di rotta e quindi di scelte dovute ad esigenze di sopravvivenza come ad esempio il cambiamento dell’uomo che va dallo status di cacciatore a quello di allevatore".
Secondo i dati ufficiali il "canis lupus italicus" ha subito una notevole metamorfosi sia per quanto riguarda gli aspetti numerici che per quanto riguarda quelli di collocazione sul territorio, la cui ubicazione spazia dalla lungo tutto la dorsale  appenninica che va dalla Calabria alle Alpi Marittime, interessando anche la Valle Stura in Piemonte.
Secondo le stime del WWF dai circa 100 esemplari di lupo nei primi anni ‘70 si è passati a quella
attuale di circa un migliaio, queste cifre sono possibili grazie agli effetti del Decreto Ministeriale del 23 luglio del 1971 e dalle successive normative in materia di attività venatoria (legge sulla caccia n.157/92 e dpr n.357/97) hanno fatto si che il lupo fosse inserito a pieno titolo nella categoria delle specie protette, conosciuta meglio anche come  "Lista Rossa", redatta dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).
A tal proposito risulta necessario ricordare che il lupo non è più cacciabile in Italia dal 1971 e che esso è tutelato anche da un'attività legislativa avente caratura internazionale (CITES Convenzione di Berna e direttiva Europea-Habitat).
Bisogna anche ricordare l'operazione progettuale per la sua salvaguardia denominata  “il lupo e  l’operazione S. Francesco” a cura del  WWF e coordinata dal prof. Luigi Boitani docente dell'Ateneo capitolino "La Sapienza", ed alla quale aderirono diversi enti pubblici ma anche Comunità montane, Università, Parchi Naturali. 
Successivamente sono state intraprese di carattere legislativo sia a livello comunitario, che a livello nazionale che ne tutelano sia la specie che il suo habitat:
Convenzione di Berna (legge 503 del 05/08/81);
C.I.T.E.S., Convention on International Trade in Endargered Specie, (legge 874 del 19/12/75);
Risoluzione 17/02/89 del Parlamento d’Europa;
Direttiva comunitaria Habitat (43/92);
L.N.281/91 (normativa sul randagismo canino);
L.N.349/91 (legge sulle aree protette);
L.N.157/92 (legge quadro sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio);
D.M. 19/04/96 (vieta la detenzione del lupo).
Nonostante le indicazioni impartite dalla nutrita letteratura legislativa in argomento vi sono paesi che rischiano di subire delle sanzioni economiche, come ad esempio la Svezia se non rispetterà le indicazioni impartite dalla Commissione europea.
Il governo elvetico sembra che vuole attuare delle modifiche a quanto stabilito nel trattato di Berna come stabilito dalle indicazioni legislative dettate nel documento n. 874 del 19 dicembre 1975: se ciò si verificasse si metterebbe in forte discussione la sicurezza del lupo alpino.
Dopo gli aspetti legislativi sopra menzionati  Gianni Aiello nella sua parte introduttiva ha fatto cenno anche agli aspetti letterali, dove  il lupo ha in diversi campi una ricca bibliografia
Infatti nel mondo delle fiabe risulta presente in Charles Perrault con "Cappucceto Rosso", oppure  ne "I tre porcellini" di James Orchand Halliwell,  ma anche in Francesco Perri con "Storia del lupo Kola".
Nel Vangelo non gode di una buona reputazione, cosa che non avviene con San Francesco d’Assisi, quando parla del lupo di Gubbio.
Altri importanti cifre risultano in "Wagner l’uomo-lupo" di Georg William Reynolds, "Il Marchio della Bestia" di Rudyard Kipling, "Il Campo del Cane" di Algernon Blackwood, "Il richiamo della foresta" di Jack London, "Il lupo  della steppa" di Herman Hesse.
Ma anche nel teatro, nella musica, nel cinema, nell’araldica e, non per ordine d’importanza anche nella simbologia, pensiamo alla lupa che allattò Romolo e Remo, fondatori della città eterna.
Dopo tali riferimenti di carattere generale la parola è passata ad Orlando Sorgonà che ha esordito parlando dei risultati delle sue ricerche archivistiche a riguardo il tema in argomento.
L’antropologo Giuseppe Pitre - esordisce il relatore Orlando Sorgonà -  nella sua opera  monumentale, ossia la biblioteca delle tradizioni popolari siciliane affermava che “E’  uso in Calabria che quando si uccide un lupo, le sue spoglie vengano portate in giro per i vari paesi tanto come trofeo, quanto come ragione di premio, dovendo i proprietari di mandrie corrispondere ciascuno una ruota di formaggio.”
Ciò mi venne confermato qualche anno fa da un, ultranovantenne deceduto recentemente, e da me intervistato in un paese alle spalle di Reggio  il quale mi diceva che un suo zio e un certo Dimitri Nicola avevano ucciso un  lupo,  dopo averlo scorticarono, gli tolsero la pelle infilzandola in un palo giravano per paesi come Terreti e Cardeto.
Uno dei due portava il trofeo come vessillo, l’altro portava una bertola  (sacco a due riposti) dove raccoglievano offerte in formaggio e altri generi. Chiedendogli perché  lo avessero ucciso egli mi rispose:”Perché un  lupo dentro una mandria faceva uno sterminio”.
Un altro signore mi diceva che da bambino, negli anni ’50 aveva visto aggirarsi per il suo paese due forestieri che portavano in trionfo una carcassa di un lupo ricevendo in cambio doni in natura e osannati come degli eroi.
Fino a pochi decenni anni fa quindi l’uccisione di un lupo rappresentava un vero e proprio evento. L’autore portava in paese l’animale, fiero della sua preda, ed oltre a riceve elogi, i pastori, i più soddisfatti lo riempivano di ogni genere alimentare in segno di riconoscenza per averli liberati da un pericoloso nemico.
Ora, causa anche l’estinzione di alcune specie, nessuno può permettersi di eliminare un lupo.
La fama acquisita dai «predatori dei lupi» proviene,ovviamente, dall’immagine dell’animale oggetto delle loro attenzioni..
Il lupo:selvaggio e indomito, spesso assimilato a personaggi della stessa stoffa, quali i briganti e, appunto, i lupari.
Catturare un lupo e mostrarlo nelle questue faceva recuperare preziose derrate alimentari  e consentiva all’attore di acquisire prestigio nella comunità locale.
In riferimento alla reputazione dei lupari, il  Di Stefano (1731) riferisce: «[...] quel lodevole costume   che certamente si osserva  [...] di riceversi nell’abitato vittorioso e trionfante colui che nella campagna prendesse vivo o morto un lupo; e recandolo come in trionfo per tutta la Città e per la Terra [...]  se li presentano da’ piccoli e da’ grandi [...], tributi, benedizioni, premi ed applausi».
La figura dei lupari è progressivamente entrata  nel mito.
Simili personaggi sono generalmente conosciuti come arditi e coraggiosi, sprezzanti del rischio che corrono nell’esercizio della loro professione.
Ma spesso, dai carteggi esaminati, invece, i lupari appaiono come personaggi dediti a tale esercizio al solo scopo di intascare il premio.
Non di rado pronti ad impietosire gli organi competenti nella concessione dei premi, anche descrivendosi come “poveri cristi” che solo con l’esercizio di tale opera erano in grado di mandare avanti le bisognose famiglie.
L’immagine del lupo mutò negli anni.
Anticamente il lupo era ritenuto, anche se temuto, un animale intelligente, socievole verso i suoi simili, protettore degli indifesi e coraggioso, tanto da essere considerato presso alcuni popoli un animale sacro e preso ad  esempio oltre che per la sua forza, audacia e ferocia anche per la vigilanza, l’astuzia e la prudenza.
Gli stessi uomini ne indossavano le pelli ed usavano la sua maschera per assumerne le virtù e con vessilli e stendardi con la testa del lupo atterrivano i nemici.
Col passare del tempo e con l’estendersi dei terreni coltivati, l’immagine di questo animale da preda divenne sempre più negativa e diabolica e fu associata alla selva oscura, spettrale e piena di pericoli, tale da incutere una tale paura, della quale solo i santi erano esenti.
Se la fiera per la sua voracità era stata sempre temuta soprattutto dai mandriani, che utilizzavano grandi cani per difendere il loro bestiame, col tempo essa cominciò ad incutere terrore anche alla popolazione cittadina, in quanto l’animale fu ritenuto un temuto assalitore e mangiatore di uomini.
Questo cambiamento avvenne man mano che l’uomo disboscava e metteva a coltura nuove terre e, restringendo sempre più l’area boschiva e quindi il territorio vitale del lupo, si trovò ad interagire ed a contendere all’animale lo spazio.
Ovviamente, come detto,oltre ai doni che raccoglievano tra la popolazione, i cacciatori di lupi erano ben ricompensati anche dai  rispettivi comuni.
Appare evidente che il rischio che correvano i cacciatori in rapporto alle categorie delle prede era ben remunerato, poiché alla prova dell’eliminazione di un esemplare adulto, corrispondeva un premio sufficiente a garantire “la spesa per la sopravvivenza di una famiglia per circa un mese”.
Erano quindi frequenti i tentativi di frode ai danni dello Stato e dei Comuni e le misure di controllo delle attività dei lupari erano particolarmente severe, ma di difficile applicazione a causa della variabilità delle tecniche di caccia, che comprendevano lacci, trappole, armi da fuoco, e persino bastoni.
Proprio alla Lenza di Gerace negli anni ’20 un lupo venne abbattuto a bastonate.
Ma purtroppo la caccia, continua ancora anche se non ci sono ricompense.
Il 14 settembre del 2007, infatti, nell’area tirrenica meridionale del Parco, nel comune di Cardeto, è stato recuperato un bellissimo esemplare di lupo (Canis lupus), un maschio adulto, ucciso con l’uso del veleno.
Uno dei pochissimi esemplari ancora presenti in Aspromonte, ucciso probabilmente per difendere pochi capi di bestiame.
Una delle scarse presenze di mammiferi selvatici di medie e grandi dimensioni che arricchiscono di magia e mistero il territorio del parco, purtroppo perso per sempre.
Mentre a Marano Principato, personale del Corpo Forestale dello Stato ha trovato un lupo morto, ucciso probabilmente con un colpo di fucile.
Un’esemplare di maschio adulto, ritrovato privo di vita sul Pollino – località Libonati nel comune di Mormanno – dagli agenti del Comando Stazione Forestale di Mormanno (Cosenza), è stato ucciso da una trappola artigianale fatta con un cavo d’acciaio, generalmente usata dai bracconieri per la cattura di altri animali.
Nelle vicinanze della carcassa, infatti, sono state trovate altre trappole rudimentali e una gabbia metallica per la cattura illegale di ungulati.
Mentre proprio qualche giorno fa ho saputo che in un paesino pre-aspromontano un cacciatore a catturato dei cuccioli di lupo che tiene in casa propria custoditi in una gabbia.
Le statistiche dicono che al primo posto tra le cause di questo fenomeno c’è il bracconaggio, praticato con bocconi avvelenati, lacci e armi da fuoco, seguono le reazioni degli agricoltori per i presunti danni causati dai predatori al bestiame e, infine, l’opinione sul lupo da parte del mondo venatorio, che lo considera un competitore nella caccia agli ungulati.
Secondo stime recenti, i lupi italiani diffusi dall’Arco alpino fino all’Aspromonte, sono ormai ridotti a un numero di circa 600 esemplari.
In un convegno svolto nel 2010 a Bova Marina dalla Coldiretti gli allevatori  hanno lanciato l’allarme sulle scorribande  del lupo e di altri selvatici in molte zone della nostra regione, dapprima nelle zone più interne dell’Aspromonte, oggi anche nelle aree prossime al mare.
Parlare di Lupi, rievoca storie di altri tempi, purtroppo la situazione difficile che vivono a loro spese gli allevatori reggini è attuale.
Da tutto il territorio, non solo dalle aree all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte, proviene la protesta di allevatori e agricoltori che subiscono giornalmente danni provocati da animali selvatici, al  danno alle colture agricole da parte dei cinghiali, oggi si unisce quello del lupo  cioè da una specie, secondo loro, maggiormente pericolosa non solo per gli animali al pascolo ma anche per l’uomo.
Negli ultimi anni, si è avuto un forte aumento dei danni agli allevamenti e si ripetono sempre più frequentemente i casi di aggressione a mandrie e greggi.
Anni addietro alcuni pastori di Samo e di Staiti lamentavano questa cosa forse perché lungo la dorsale in coincidenza con la riforestazione, sono stati liberati lupi dei Balcani, i quali, trovano difficoltà ad adattarsi a territori non dominati ed impropri e oltretutto a corto di prede.
Ma torniamo alla caccia al lupo praticata tra otto e novecento nelle nostre montagne: Grazie ad alcuni documenti che ho rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Reggio siamo in grado di avere delle informazione abbastanza precise relative a quel tipo di caccia.
Il pagamento dei premi era a carico delle municipalità e l’uccisore doveva presentare al Sindaco la testa dell’animale, a cui venivano mozzate le orecchie per impedire che lo stesso lupo venisse presentato in più comuni allo scopo di riscuotere altrettanti premi.
Il 31 ottobre 1815 dopo la Restaurazione, regnando Ferdinando IV di Borbone, venne pubblicato un reale decreto sulla caccia con il quale si aumentò l’importo dei premi a favore degli uccisori: Colui, che provveduto della licenza di caccia avrà uccisa una lupa gravida, riceverà un premio  di otto ducati. Questo sarà di sei se la lupa non è pregna; di cinque se si ammazza un lupo; di tre se un lupicino, e di un ducato a lupattello, se si prendano nel covile.
In seguito Ferdinando I, con la legge n° 1733 del 18 ottobre 1819 sulla amministrazione delle acque e foreste, confermò i premi in vigore estendendo la possibilità di beneficio alle guardie della amministrazione forestale in precedenza escluse dal momento che l'eliminazione degli animali nocivi rientrava  nei loro compiti istituzionali.
Se si considera che all'epoca il soldo mensile di una guardia forestale ammontava a 12 ducati, si può ben comprendere lo zelo che venne profuso nello sterminio dei lupi.  
Queste norme sono rimaste in vigore fino agli inizi del XX secolo,  adeguando l’importo dei premi al cambio post-unitario di 4 lire e 25 centesimi per ogni ducato.
Ne troviamo traccia sia tra i vecchi documenti di archivio che nelle cronache venatorie.
Nel Regno delle Due Sicilie, in cui il ducato era una delle monete vigenti, il premio agli uccisori di lupi non era di valore trascurabile.
A tale riguardo l’insigne studioso Giuseppe Altobello (1924) lo definisce“cospicuo” e ne auspica la perpetuazione, ritenendolo la caccia l’unica pratica in grado di contenere la crescita numerica dei predatori.
Vecchia e nuova fonte di terrore degli allevatori per gli armenti al pascolo.
L’autore sosteneva nel modo seguente l’ineluttabilità dei premi: «...l’inaccessibilità del suo ambiente [riferito al lupo], le migrazioni invernali, la riottosità dei cani a seguirne le tracce, il basso prezzo della pelliccia che non compensa le fatiche e la difficoltà della cattura...» erano elementi che, da soli, non avrebbero stimolato i cacciatori ad accanirsi nelle predazioni].
Il notabile danno che la fiera causava al bestiame spinse le università già nel Seicento a porre delle taglie. L’università di Melissa pagava un premio in denaro per ogni lupo ucciso.
Chi portava la testa e la pelle dell’animale aveva diritto a un ducato e mezzo se si trattava di una lupa, un ducato per un lupo maschio e la  metà per un lupacchiotto. 
I beneficiari erano di solito i cacciatori che nelle battute ai cinghiali ed ai caprioli si avventurano nella selva dove il lupo aveva la tana ed i custodi delle mandrie, che di solito  il lupo seguiva nei loro spostamenti.
La pelliccia del lupo andava così ad ornare le selle ed i mantelli.
20. Nei pagamenti fatti dall’università di Melissa troviamo che nel 1687/88 A Pietro Bonofiglio carlini 10 in premio d’haver ucciso un lupo. Alli Baccari di Angelo Cugini carlini 5 per haver ucciso un lupo; nel 1689/90 A  Salvatore Inglese carlini 4 premio d’haver ucciso un lupacchino; nel 1712/13 a Francesco Ferro e compagni cacciatori per premio di haver ucciso un lupo 1 ducato; nel 1726/27 Per  taglione d’una lupa ducati 1-2-10; Per il taglione d’un lupo ucciso da Serafino Blandino entro il proprio territorio ducati 1, Dati  fornitimi dal prof. Antonio Cosentino. (1)
Nella camera del cavalcatore del castello di Strongoli vi era "una sella di lupo di velluto  verde con staffe, gioppera e cignia senza  staffili", in Inventario del Mobile di questo  castello di Strongoli fatto hoggi 19.5 1703.   (2)
Per quanto riguarda  l'Aspromonte  i guardiaboschi ad esempio erano i più agguerriti contro questi animali essi erano allettate dal premio.
Le cronache ci tramandano il nome di una di queste guardie, il sig,Margiotta, che in più occasioni
durante le operazioni per il divisamento dei luoghi posti in rapido pendio nell’estensione del circondario di Gallina, nell’anno 1826 aveva ucciso molti lupi”.
Sempre riguardo lo stesso circondario leggiamo che“per accertare l’uccisione di un lupo, oggi che
solo lì 21 del mese di febbraio 1826 innanzi a  noi, Carmelo Tripepi, sindaco di questo comune di S.Agata in Gallina si è presentato Andrea Ripepi di fu Domenico di Trunca e ci ha esposto che il giorno di ieri, 20 dell’andante mese, verso le ore 21, mentre attrovavasi nella  contrada Santa Venera, luogo di questo comune medesimo, alla custodia dei suoi armenti, uccise un lupo che da quella contrada venne a passare con un capretto predato dalla mandria di Domenico Sapone di detto Trunca e perciò ci ha domandato il premio, giusta il Real decreto 19 decembre 1815. Quindi è che, dopo esserci assicurati della verità del fatto e conosciuto che lo stesso Ripepi è autorizzato a portar lo schippo appartenendo alla Guardia Civica di questo comune, così abbiamo formato il presente verbale per rimetterlo al Sig. Intendente della  provincia per la convenevole autorizzazione, e a prova, abbiamo fatto mozzare le orecchie della bestia ad oggetto di evitar frodi”.
L’intendente autorizza il pagamento sulle “imprevedute” dei ducati 5 previsti dalla legge il 4 successivo.
Ma l’elenco è lunghissimo e riguarda tutti i  comuni della Provincia reggina.
La ricerca d’archivio, relativa alla Caccia al  lupo in Aspromonte che ha mostrato possibilità di ulteriori interessanti sviluppi da perseguirsi mediante indagini da condurre in altri fondi ed altre sedi, ha già prodotto un’inattesa quantità di materiali, dati ed informazioni inedite.
La loro interpretazione, in chiave antropologica e storiografica, è auspicabile che trovi in  tempi brevi idoneo spazio di divulgazione.

ShinyStat
21 maggio 2011

(1) Fondo Pignatelli Ferrara, Busta 21, pratica 1, ASN;
(2) Archivio Pignatelli Ferrara di Strongoli, Fasc. 46, inc. 69, f. 7, ASN

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