
 La manifestazione, dopo l’introduzione di  Orlando Sorgonà,  è stato presieduto dal  dott. Santo Gioffré , appassionato di storia ed assessore all’Assetto del  Territorio, Protezione Civile e dei Beni Culturali dell’Amministrazione  Provinciale di Reggio Calabria. 
    Durante  la grande Mostra che si è tenuta a Venezia, l’anno scorso, sui "Greci  d’Occidente", venne mostrato per la prima volta al mondo un manoscritto  autografo, risalente a 640 anni fa di un certo Leonzio Pilato, detto l’Attico,  conservato nella Biblioteca Marciana della città lagunare .
    Il  manoscritto riportava la prima traduzione che era stata mai realizzata, dal  greco al latino, "De verbo ad verbum", dell’immortale  "Iliade" di Omero . Chi era Leonzio Pilato ? 
    Era un  Greco ? 
    Era uno  straniero di passaggio in Italia ? Chi era costui?
    Giovanni  Boccaccio nella "Geneologie deorum gentilium" incomincia a dire una  verità, che fu poi dimenticata per secoli . Boccaccio, con sua grande meraviglia  e con una certa dose di orgoglio, dice « non fui forse io per primo tra  i Latini, udir privatamente, la traduzione  dell’Iliade da Leonzio » . 
    E perché  Francesco Petrarca nelle "Selines" dopo una descrizione del tutto  particolare di questo Monaco Bizantino, ne parla da discepolo dopo aver  conosciuto un grande Maestro ? 
    Chi fu  Leonzio Pilato, dunque ?
    Dopo  Giovanni Boccaccio e Francesco    Petrarca, il silenzio scese su Leonzio Pilato. 
    Solo nel  1579 Mehus trattò di Leonzio nelle pagine introduttive dedicate all'epistolario  di Ambrogio Traversari: agli inizi di questo secolo, nel 1907, Nolhac, ne  trattò e, da studioso profondo qual era, non ne poteva fare a meno studiando il  Petrarca. 
    Giovanni  Boccaccio nella "Genalogia degli Dei Gentili" scrisse la celebre  frase che consegnò Leonzio Pilato all'immortalità «... Io sono stato il primo,  tra i latini, che da Leonzio Pilato, ho udito l'Iliade» . 
    Sul luogo  di nascita di Leonzio la confusione nacque dal fatto che egli amava definire  Tessalo, tanto era l'amore che portava per la sua patria spirituale e  letteraria, la Grecia. 
    Ma che  egli fosse un Italo--Greco  e,  precisamente che era nato a Seminara, lo sapeva benissimo il Petrarca «Leo  Greco  vere Calaber, sed ut ipsa vult  Thesalus, quasi sit grecum esse quam italum» .   
    Ma questo  fatto fa onore a questo grandissimo figlio reggino se fin d'allora capiva che  più il campanile, vale la cultura. 
    Non si sa  quando nacque, ma che Barlaam, l'altro grande di Seminara, lo volle come  discepolo lo dice lo stesso Leonzio: nel 1342 Leonzio è a Gerace quando Barlaam  nr divenne Vescovo. 
    Il  Maestro, oltre la lingua e la letteratura greca, gli trasmise l'amore per i  viaggi e quel che, di inquietudine e di ansia, che ne fecero, di Leonzio, un  errabondo. 
    Nei primi  anni del 1350, Leonzio è a Creta: nell'inverno del 1358 Petrarca, alla ricerca  di un traduttore delle opere di Omero, se lo fa presentare da un giurista, a  Padova, dove Pilato seguiva i corsi di studio. 
    Leonzio  incomincia a tradurre i primi cinque libri dell'Iliade, poi preso da un  irrefrenabile desiderio di visitare la tomba del suo maestro, Barlaam, ad  Avignone, dove questi era morto, di peste, nel 1359, si sposta a Venezia. 
    Qui lo  raggiunse Giovanni Boccaccio, che inviato da Petrarca, cercò di trattenerlo in  Italia per continuare le traduzioni dell'Iliade e dell'Odissea. 
    Per  convincerlo, Boccaccio, gli promise la cattedra di greco, nello Studio  Fiorentino, ed uno stipendio. 
    Poiché le  lezioni nello Studio Fiorentino iniziavano il 18  ottobre di ogni anno, siamo certi che Pilato  continuò le traduzioni, dall'autunno inoltrato e fino al 1362. 
    In  quell'anno qualcosa successe se Leonzio riprende la via di Venezia, dove  s'incontra con Petrarca e lo stesso Boccaccio ma non consegna le opere tradotte  e commentate che, sembra, porti con se imbarcandosi per Costantinopoli dove  continuò i suoi studi. 
    Nel  dicembre del 1635 mentre attua la sua traversata verso Venezia un fulmine lo  colpisce e muore. 
    Certamente  Leonzio Pilato segue il destino degli uomini di cultura meridionali che per  essere tali, sovente, sono condannati all'anonimato o ad argomenti di studio  solo per specialisti, altrimenti non si capisce come mai egli, al pari del  Barlaam o di Gioacchino da Fiore, non compaiono mai come argomenti di didattica  nei programmi scolastici, ad esempio, nel caso di Leonzio, quando, nelle scuole  s'inizia lo studio dell'Iliade e dell'Odissea. 
    Ma come  iniziò la storia che rese immortale Leonzio?              
    Sappiamo  che Petrarca, verso la fine del 1353,   ricevette dall'ambasciatore bizantno Sigero, un codice greco di  Omero, ma non essendo il Petrarca padrone  della lingua greca, visto che il suo maestro era già morto, gli venne il  desiderio, di far tradurre il codice, che conteneva l'Iliade e l'Odissea. 
    Vagò per  diversi anni nella ricerca di chi aveva la padronanza e l'esperienza di una  tale fatica,  finché trovò, insieme a  Boccaccio che intanto aveva coinvolto nel progetto, Leonzio, descritto  curiosamente, come d'altronde lo fu Barlaam, da Petrarca e Boccaccio, come «  ... uomo orrido  nell'aspetto,  orripilante nel volto, con barba lunga e incolta, capigliatura corvina e  arruffata, , rozzo e negato ad ogni urbanità, però assai dotto nella lingua  greca ed inesausto conoscitore della mitologia greca»  . 
    A  Petrarca gli vennero nelle mani, dopo il 1365, le copie tradotte e commentate  dell'Iliade e Odissea di Leonzio che questo stesso aveva lasciato a Boccaccio  quando partì da Firenze .
    Le copie  che si salvarono dal naufragio capitarono nelle mani di un umanista del XIV  secolo che vi appose alcune note e che li ricopiò nel Paris lat. 7881. 
    Nel  secolo XV secolo   l'Eneide e l'Odissea  passarono nelle mani di Pietro da Montagnana, che vi aggiunse, a sua volta,  alcune note. 
    Poi per  curiosità o per un ormai rarissimo metodo di ricerca sistematica, verso la metà  di questo secolo uno studioso di origine venete,Agostino Pertusi, ha  individuato nei fondi manoscritti di due biblioteche italiane gli autografi di  Leonzio, la traduzione “Verbum de verbo” dell'Ecuba di Euripide nei codici  Laur. XXXI 10 e il S. Marco 226. 
    I  contatti con il Petrarca ed il Boccaccio del nostro illustre concittadino sono  stati immortalati in un opera marmorea dello scultore A. Montelone, ubicata nel  Salone del Consiglio Provinciale di Reggio Calabria. 
    In essa  sono raffigurati il Barlaam che impartisce una lezione (da dx verso sx) a  Leonzio Pilato, Giovanni Boccaccio, Francesco Petrarca.
    La  scrittura di Leonzio è una scrittura in latino di tipo gotico minuscola, di  aspetto un  pò strano, a prima vista,  come di un amanuense straniero che tracci a fatica certe lettere. 
    La sua  scrittura, greca, è pure molto   particolare, il “ductus” non è greco ma italo-greco.  
    Essa  appartiene ad una scuola calligrafica che   ha tradizioni ben definite.  
    Si tratta  di una prosecuzione tarda della scrittura calabrese di Reggio in uso già nel  XII secolo, ma variamente documentata dal XI al XIV secolo.  
    Risulta  molto simile a quella di Barlaam, di cui Leonzio fu discepolo.  
    Nè l'uno  nè l'altro usano vere e proprie legature e nemmeno abbreviazioni ma tendono a  staccare la penna ad ogni carattere con una scrittura non eccessivamente  elegante, ma chiara, di facile lettura e semplice.  
    I  manoscritti omerici si trovano, oggi alla Marciana di Venezia giunti nel 1823 e  sono manoscritti tradotti e commentati da Leonzio Pilato.  
    É certo  che Leonzio Pilato conosceva benissimo la struttura grammaticale greca  dialettale ed arcaica di Omero: e ciò non poteva averlo appreso che sui libri,  sui trattati grammaticali, aiutato, forse dal Barlaam o da qualche sconosciuto  maestro nei suoi dieci anni di permanenza a Creta, ciò gli permise di dare ben  tre recensioni complete dell'Iliade e due dell'Odissea: ma se la traduzione non  bastava a renderlo grande, egli fu il primo, in occidente, a commentare con  parecchie centinaia di note marginali, ambedue i poemi omerici, dall'inizio  alla fine, spiegando concetti, parole, frasi, modi di dire, onde rendere più  comprensibili le traduzioni che egli aveva preparato, e questo è l'apporto più  grande che egli diede alla cultura italiana della seconda metà del '300.  
    Leonzio  non solo tradusse Euripide e Omero ma anche Terenzio e voleva tradurre  Platone.  
    Di questa  grande sapienza, dove Leonzio Pilato ne prese gli insegnamenti ?   
    Sappiamo  che dietro di lui vi fu il grande Barlaam ma bastò questo ? Vi erano scuole  nell'Italia meridionale talmente ben organizzate in cui vi era la possibilità  di imparare e  dominare, egregiamente il  greco classico ? E se si, dove?  
    Poteva  essere questo il Monastero Imperiale di San Filarete, in Seminara?  
    Domande  che per adesso non trovano risposta.  
    L'unica  cosa certa è che la Calabria, con Gioacchino da Fiore, il monaco Barlaam,  Leonzio Pilato e Tommaso Campanella ha dato, alla letteratura italiana, un  contributo essenziale alla sua nascita e alla sua crescita, e se anche, forse  l'osmosi tra cultura greca-bizantina e cultura latina si fosse verificata  ugualmente, tutto il nostro umanesimo, senza l'opera di Leonzio Pilato, avrebbe  avuto un ritardo, nella sua evoluzione, di un secolo e mezzo.  
    A questo  punto il dottor Santo Gioffrè conclude dicendo «Ecco perché Io sono convinto  che una 
  delle  maggiori sfide » . 





