Il Circolo Culturale "L'Agorà" ha organizzato una conferenza dal titolo "Incontro sulla Madonna della Consolazione" durante la quale sono stati analizzati una serie di temi legati alle tradizioni storico-religiose inerenti all'argomento organizzato dal sodalizio culturale reggino. Tale devozione ha inizio – come ha evidenziato il coordinatore della conversazione culturale sarà Antonino Megali (Circolo Culturale "L'Agorà")  – verso la fine del 1400, quando una famiglia genovese  si trasferì nella città dello Stretto trasferendo con se un'icona della Vergine alla quale era molto devota.
Tanti i temi che sono stati affrontati nel corso della giornata di studi, come quelli inerenti alla Reggio del Cinquecento sottoposta alle numerose aggressioni barbaresche, le epidemie, il rigore fiscale da parte del governo di Madrid, la presenza dei primi frati Cappuccini, l'Eremo di Maria SS. della Consolazione, il  Quadro miracoloso.
All'incontro organizzato dal Circolo Culturale “L'Agorà” doveva partecipare Natale Bova (segretario del sodalizio organizzatore) che ha condotto su tali aspetti una ventennale indagine storica nei vari archivi calabresi, ma per motivi di salute non ha potuto presenziare alla manifestazione.
La parola è passata quindi ad Enzo Zolea, studioso e appassionato di teatro, nonché esperto di storia locale e di tradizioni popolari  che prima di argomentare sul tema della giornata ha voluto  contestualizzare gli avvenimenti che hanno preceduto l'arrivo dei frati cappuccini a Reggio. Gettiamo quindi uno sguardo sulla città del '500, cercando di focalizzare le sue dimensioni, la vita economica, sociale e  e religiosa. 
L'intervenuto ha strutturato la relazione sui seguenti aspetti:
1. REGGIO NEL CINQUECENTO;
2. VITA POLITICA, AMMINISTRATIVA E SOCIALE;
3. L'ECONOMIA;
4. LA VITA RELIGIOSA E L'ARRIVO DI MONS. CENTELLES;
5. I FRATI CAPPUCCINI;
6. IL VENERATO QUADRO;
7. L'ORIGINE DEL CULTO.

REGGIO NEL CINQUECENTO        
In quel contesto storico la città contava appena 1917 fuochi (da 8 a 10 mila abitanti). In Calabria vi erano città molto più popolate: Cosenza e Tropea e, nella provincia reggina, Polistena e Roccella. Le sue dimensioni erano ridottissime. Lo Spagnolio, nel suo De Rebus Rheginis,  ci riferisce che il perimetro delle sue mura non superava i mille passi (due chilometri circa). Non esiste, purtroppo, una pianta della città dell'epoca. Per la sua descrizione dobbiamo avvalerci dell'aiuto di alcuni testimoni del tempo (Politi, Tegani, Spagnolio) e dell'apporto degli studiosi, confortati da qualche stampa del Breugel.
Per entrare in città vi erano otto porte: La Porta San Filippo (lato sud), La Porta Mesa (lato nord), la Porta Dogana e la Porta Amalfitana (lato mare) e la porta Crisafi nella parte alta della città che costituiva l'unica via d'accesso verso la montagna. Ai lati estremi della cinta muraria prospiciente la marina vi erano le porte del Trabucco (sud-ovest) e del Torrione. Queste ultime, unitamente alla Porta Crisafi, vennero fatte murare in seguito all'incursione turca del 1954. Il Politi, nel suo libro Cronica della nobile e fedelissima città di Reggio, ci riferisce di un'altra Porta, la Tarzana, situata tra la Porta Amalfitana e la Porta del Torrione.
Città piccola, dunque, chiusa a riccio, paurosa, pronta a scappare su per le colline al minimo accenno di invasioni turche. Non aveva difese che potessero bastare  a frenare le orde turchesche, pur se Carlo V, al suo ritorno da Tunisi nel 1534, aveva incrementato le fortificazioni e fatto sistemare il Castello. Prima che si potesse organizzare un piccolo esercito per contrastare lo strapotere dei musulmani, già la città era in fiamme e diverse chiese e pubblici edifici distrutti.

VITA POLITICA, AMMINISTRATIVA E SOCIALE
La Città era governata dal Consiglio dell'Università, diviso in modo paritetico tra nobili, onorati e popolani. I consiglieri erano trenta, dieci per classe; i sindaci tre, due nobili e un onorato. Tale ordinamento, riformato nel 1503 rispetto a quello precedente del 1473,  venne confermato nel 1521 da Carlo V, che però ridusse a ventuno, sette per classe, il numero dei consiglieri.
Sempre nel 1521 venne eletto un Capitano d'armi col compito non solo di difendere la popolazione dall'assalto dei Turchi, ma di mantenere l'ordine anche tra i baroni. Evidentemente in città la lotta tra le famiglie benestanti per la supremazia politica ed economica del territorio era molto accesa e ciò preoccupava il Governo spagnolo.
I tre Sindaci, ogni anno il 15 agosto, per la festa dell'Assunta, convocavano il Parlamento cittadino “ad sonum campanae”, al quale partecipavano tutti i cittadini, di età non inferiore ai 25 anni, per eleggere i Consiglieri nella Casa della Città dirimpetto al Duomo, che era denominata il Toccogrande; in una Casa, invece, presso la chiesa della Cattolica, che si chiamava Toccopiccolo, si raccoglievano in consiglio i Patrizi.

L'ECONOMIA     
In quel periodo Reggio poteva vantare un porto che, come afferma Giuseppe Galasso nel suo libro Economia e Società nella Calabria del Cinquecento, “dal punto di vista del grande traffico mediterraneo era indubbiamente il maggiore della regione”.  Il predominio del traffico era dei siciliani, ma vi erano mercanti anche di nazionalità estera, quali inglesi, francesi, gli stessi spagnoli, oltre ai Veneziani, Genovesi, Cavesi e Salernitani.
Si commerciavano prodotti tessili, ferramenta, olio, pellami, utensili, vino, manufatti per l'abbigliamento, ortaggi, vetro, indaco, marmi, animali, zafferano e carta. Reggini, quindi, dediti al commercio via mare, ma anche provetti agricoltori. Le coltivazioni più comuni nel territorio erano oliveti, gelseti, giardini, castagneti e qualche querceto per i maiali. Di grande efficacia si rivelò la cerealicoltura con la coltivazione di grano, orzo, fave, fagioli, ceci, cicerchie. 
Dagli atti notarili dei tre superstiti notai del '500, spulciati e studiati dal Trasselli – Perrone, Cafaro e Speranza – emerge che i terreni destinati alla seminagione di frumento erano pochi, per cui l'approvvigionamento per la popolazione risultava davvero problematica. Reggio era perciò costretta ad importare grano dalla Sicilia e lo pagava profumatamente ai mercanti messinesi, che si comportavano da veri strozzini.
Purtroppo, verso la fine del secolo, per le vicende del mercato internazionale, entrarono in crisi alcuni settori fondamentali, come la cerealicoltura. La crisi chiuse il periodo di espansione e la Calabria si trovò più dipendente che mai da finanziatori e clienti, che si erano impadroniti dei beni e delle risorse regionali.
L'economia reggina traeva, però, molti  dei suoi proventi principalmente dalla produzione della seta. Tutti i cittadini, ricchi e poveri, erano impegnati ad allevare i bachi da seta. I calabresi capirono che l'allevamento di quel minuscolo verme poteva rivelarsi un prezioso alleato per migliorare l'economia della Regione. Nel territorio reggino famosa restò nella memoria la seta di Sambatello per le tinte lucenti e durature. A Reggio si ebbe un'espansione della sericoltura, anche quando in altre zone era diventata stazionaria. Gli alberi di gelso venivano considerati come i gioielli di famiglia e non a caso in molti atti notarili si possono leggere contratti di compravendita anche di pochi gelsi.

LA VITA RELIGIOSA E L'ARRIVO DI MONS. CENTELLES      
Agli inizi del sec. XVI, non era certamente esaltante. Si viveva, anzi, un periodo di decadenza. La disciplina si era affievolita, lo spirito religioso oscurato. Avere un prete in casa costituiva una fortuna per la famiglia, poiché si trattava di un vero e proprio investimento per il futuro. Il fisco, difatti, non poteva mettere le mani sul patrimonio attribuito al chierico o al sacerdote. Gli atti notarili sono zeppi di negoziazioni stripulate da preti, abati, chierici. Si compra e si vende per sé e per i propri figli, quando si tratta di preti greci che godevano della facoltà di avere moglie e figli.
Lo stesso P. Francesco Russo, nella sua Storia dell'Arcidiocesi di Reggio Calabria, non è certamente tenero nel descrivere lo stato del clero sia esso religioso che regolare: “Non c'è da meravigliarsi se il ceto monastico e quello secolare della prima metà del sec. XVI si trovasse in uno deplorevole stato di miseria, d'ignoranza e di abbandono, per la quasi totale mancanza di istruzione e di disciplina... Le relazioni sullo stato della Diocesi di Reggio nel sec. XVI sono semplicemente terrificanti: preti che appena sapevano leggere il latino del messale, cure d'anime inesistenti o quasi; zuffe continue tra cittadini che coinvolgevano i preti delle rispettive famiglie, disordini morali e scandali pubblici di ogni genere... Era un vero sfacelo!”.

Quali le cause di un degrado così vistoso? Si possono compendiare in due:
a) assenza dei Vescovi dalla loro sede;
b) introduzione della Commenda.

A Reggio, dopo Mons. Antonio Ricci (1453-1488) non mise piede nessuno dei Vescovi designati dal Papa fino all'arrivo nel 1529 di Mons. Gerolamo Centelles, di origine spagnola, ma nato nella vicina Messina. Mons. Centelles prese possesso della Diocesi nella prima domenica di Avvento, sempre del 1529. Dovette accorgersi subito del degrado urbano che mortificava la città, a causa delle continue scorribande dei Turchi: la città, difatti, presentava ancora palazzi distrutti, case bruciate; la stessa Cattedrale, forse, non era immune da devastazioni rattoppate alla meglio. Quello che maggiormente colpì il nuovo Vescovo fu senza dubbio il degrado morale del suo clero e cercò di porvi rimedio. Reggio inizia proprio con Mons. Centelles la sua rinascita religiosa, civile ed economica, almeno per quanto riguarda il Cinquecento. Rinascita che poi continuò sotto l'azione pastorale dei Vescovi Gonzaga, Gaspare Del Fosso, D'Afflitto e di tutti gli altri che onorarono con la loro presenza l'antica Chiesa di Reggio.

I FRATI CAPPUCCINI         
Mons. Centelles volle ridare nuova linfa al monachesimo chiamando a Reggio sia i Minimi di san Francesco di Paola sia il nuovo Ordine dei Cappuccini, che molto probabilmente aveva conosciuto a Roma, allorché P. Bernardino Molizzi, detto il Giorgio, si era recato presso la Penitenzeria romana per chiedere il Breve che avrebbe dato ai Cappuccini di Calabria un nuovo assetto giuridico.
Chi erano i Frati Cappuccini? 
Mons. Centelles rientra a pieno titolo nella storia di Reggio per il fatto stesso di aver chiesto i Cappuccini in città. Ecco come P. Enrico Nava, storico cappuccino, descrive l'avvenimento: “Or questo zelantissimo Prelato, tutto intento a promuovere sempre più il vantaggio spirituale del suo gregge, entrò nel desiderio di avere in città un convento di Cappuccini (…). Nel maggio dell'anno 1532 scrisse sue premurissime lettere al B. Ludovico, Commissario Generale, invitandolo e premendolo col maggior calore di portarsi a Reggio sua patria per vedere la maniera più propria di piantarvi un Convento del proprio santo istituto per edificazione di quella Città Metropoli (…). A tal invito il B. Ludovico non fu pigro di portarsi a Reggio (…). Fu stabilito di trasferire la Famiglia da Sant'Angelo in Valle Tuccio (…) nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, due miglia distante da questa Città, come tutto è stato eseguito il dì 30 maggio 1532, dando al nostro B. Padre la divota chiesola con un mediocre spazio di terra per servirsi li Frati di orto...”. Il generoso donatore, come si legge in un atto notarile del 29 maggio 1539, è stato il signor Giovan Bernardo Mileto, uno degli uomini più facoltosi della città.
Nel racconto del P. Nava campare il nome di Fra Ludovico Comi e successivamente di Fra Bernardino Molizzi. Con la loro storia inizia la storia dell'Ordine dei Frati Cappuccini in Calabria, se non addirittura in Italia, come i recenti studi condotti dagli storici dell'Ordine stanno a dimostrare.
Chi erano, dunque, i primi frati Cappuccini  che il 30 maggio del 1532 abbandonarono il convento di Valle Tuccio per passare a Reggio e fondare l'Eremo della Consolazione? La storia ci tramanda i nomi ed è bene non dimenticarli: P. Ludovico Comi, P. Bernardino Molizzi, detto il Giorgio, P. Francesco da Palemone, P. Francesco da Dipignano, P. Michele da Castrovillari, P. Francesco da San Martino, P. Bernardino da Bisignano, Fra Matteo da Reggio, Fra Giovanni Candela da Reggio, Fra Bonavnetura seniore da Reggio, Frate Antonino Tripodi da Reggio, Frate Angelo da Calanna. Sette sacerdoti e cinque fratelli laici si portarono in contrada Borrace  per aggiungere altre meravigliose pagine alla già illustre storia della città di Reggio Calabria.
I Frati Cappuccini che per la prima volta misero piede in contrada Borrace per prendere visione del terreno, su cui dovevano costruire il convento, rimasero senza dubbio favorevolmente impressionati dall'incantevole posizione del luogo. Pure la chiesetta piacque molto, poiché era angusta, bassa, stretta, in tutto confacente alla più rigida povertà. Luogo solitario ed accogliente, adatto alla preghiera e alla contemplazione. I frati si misero alacremente all'opera per costruire alla meglio un rustico conventino, approntando capanne con rami di albero, canne e fango ('u matu, presente in gran quantità anche oggi in quei luoghi).
L'arrivo dei frati non passò inosservato tra gli abitanti di quella contrada. La loro povertà e umiltà destarono meraviglia e curiosità. La gente voleva conoscere da vicino i nuovi arrivati e sempre più numerosa si portava nella cappellina di S. Maria della Consolazione per unirsi alle preghiere dei frati. Erano esempi viventi di virtù, innocenza e rigore morale. La loro fama si spargeva per la città. Nel piccolo eremo arrivavano i sostentamenti senza essere richiesti. I reggini gareggiavano in generosità. Incominciarono ad amare gli umili frati e a portar loro rispetto: “Chi non si alza al loro cospetto?” - esclama lo storico Giovan Angelo Spagnolio -  “Moltissimi prendono la mano e la baciano. In loro presenza non vi è nessuno che per rispetto non rifugga dal male”.  Per modestia i frati avrebbero voluto rifuggire il contatto con la gente, vivere in solitudine, pregare, ma le richieste che provenivano dal popolo erano pressanti, i bisogni spirituali enormi. Mons. Centelles aveva visto giusto nell'aver voluto a tutti i costi i cappuccini. Era convinto che la loro presenza avrebbe arrecato benefici alla città.

IL VENERATO QUADRO
Il pellegrino che si porta all'Eremo per rendere omaggio alla Madonna della Consolazione, varcato l'ampio portale d'ingresso, viene subito attratto dall'artistico pannello in bronzo dello scultore calabrese Alessandro Monteleone, entro cui è incastonata, tra una meravigliosa cornice di angeli cantori, la venerata Effigie della Madonna della Consolazione. La Madonna, seduta in trono con il Figlio in grembo, è affiancata dai santi Francesco d'Assisi e Antonio da Padova. In alto, due angioletti sorreggono con le mani una corona sopra il capo della Madre di Dio.
Il dipinto è fissato su una grande tavola in legno, costituita da assi congiunte, di forma quadrata, il cui lato misura circa cm 120, esclusa la cornice. La Madonna regge sul braccio destro il Bambino, mentre con la mano sinistra lo mantiene nei suoi vivaci movimenti. Il Bambino, in piedi, è in posizione di semiabbandono: con la sinistra cinge il collo della madre e con la mano destra si tiene dal mantello. La grande tavola in legno ha alquanto sofferto nel corso dei secoli, soprattutto in corrispondenza delle giunture delle assi. Per il resto la pittura sembra essersi conservata bene, anche se qualche restauro, eseguito da mani inesperte, ha alterato alcune parti anatomiche delle figure (spalla del Bambino, mani e piedi dei santi). Sotto il trono della Vergine è dipinto un cartellino su cui un tempo si leggevano chiari, secondo quanto riferiscono gli storici Fiore, Vitrioli, Spanò-Bolani, De Lorenzo, il nome dell'autore e la data del Quadro (1547), oggi poco leggibili.
Il Quadro è stato commissionato dal nobile reggino Camillo Diano al pittore Nicolò Andrea Capriolo per farne dono ai frati cappuccini in sostituzione di un vecchio quadretto, allorché venne costruita una chiesa più grande (1548).

L'ORIGINE DEL CULTO
Negli anni 1576/77 Reggio venne colpita, al pari di tantissime altre città d'Italia, da una tremenda peste che seminò ovunque angoscia e morte. Il Cantor Tegani, storico accreditato del tempo, nella sua Cronaca, asciutta ed essenziale, racconta che il 2 giugno dell'anno 1575 giunse nel porto di Messina, proveniente dal Levante, una galeotta di tal padron Mangiante, portando roba infetta. Il morbo si propagò rapidamente. Molti abitanti cercarono la salvezza con la fuga e fra gli altri un tal Girolamo Spagnolo, ciabattino, la cui moglie aveva contratta l'infezione, venne di soppiatto a Reggio con tutta la famiglia. Purtroppo, dopo qualche anno, nonostante i divieti di effettuare commerci con la dirimpettaia Messina, anche Reggio venne colpita dalla peste causando la morte di ben 700 persone.
Per raccogliere gli infetti si aprì un Lazzaretto sulla collina del Salvatore, dove attualmente si trova la cosiddetta chiesa di Pepe. Il luogo, sito in altura e fuori le mura della città, serviva non solo per isolare gli appestati, ma per consentire loro di respirare aria salubre, uno dei pochi rimedi efficaci per debellare il male.
Durante il periodo della pestilenza, il frate Antonino Tripodi, di santa vita, stava in preghiera davanti al Quadro della Madonna della Consolazione e trascorreva così le sue notti invocando la Vergine perché facesse cessare quel terribile flagello. Nel corso di una notte la Madonna apparve all'umile fraticello promettendo la cessazione della peste e chiedendo una processione dei reggini all'Eremo. Il giorno seguente, due cappuccini si recarono dal Governatore spagnolo, don Alonso Sanoguera e gli annuciarono la fine della peste per grazia della Vergine della Consolazione; lo invitarono a mettersi d'accordo con le Autorità religiose per effettuare una solenne processione fino all'Eremo in segno di ringraziamento. Tommaso Vitrioli, nel suo libro sulla storia del Quadro, così descrive la prima processione: “Si spalancano allora le porte del Tempio, s'accendono numerosi drappieri, i magnati gravansi del nobil peso de la sacra Effigie, intonasi l'inno ambrogiano, e fra cantici si trasporta l'immagine santa nella contristata città (…). Fu il Lazzaretto disfatto, ne uscirono gli infermi in mezzo ai sani, gli infetti mobili non si arsero, i sani non si infermarono, gli infermi sanarono, la pestilenza in punto finì”.
Per questo prodigioso evento i reggini scelsero come Protettrice della Città la venerata Effigie della Madonna della Consolazione e consacrarono a Lei il giorno 21 novembre.

ShinyStat
26 novembre 2015
la conferenza