Le caratteristiche dell'arte  bizantina sono l'astrazione dalla realtà oggettiva e la rinunzia alla definizione spazio-temporale della rappresentazione.
Altre caratteristiche sono i colori vivi e luminosi, disegni chiusi e marcati atti a distruggere peso e volume nelle immagini e di una complessa simbologia.
Le figure sono stilizzate e rozze rispetto ai modelli greci classici, ma anche molto espressive, perché scopo dell'arte cristiana è quello di narrare il messaggio evangelico e quindi di educare.
Essa nasce in Calabria con il monachesimo che trova in questo territorio, caratterizzato dalla solitudine delle montagne, un luogo atto ad offrire rifugio e meditazione agli esuli sfuggiti dalle persecuzioni degli imperatori di Bisanzio.
Gianni Aiello ha evidenziato che questi sono gli esempi artistici che rappresentano il retroterra storico-culturale del territorio e non quelli di tipo "americanizzante" diretti  ad operazioni di pseudo-marketing, vedi il caso della duplicazione  delle statue bronzee raffiguranti i guerrieri di Riace.
Secondo il presidente del sodalizio reggino risulta necessario investire nelle strutture per creare il binomio turismo-cultura per creare flussi di utenti e di conseguenza occupazione.
Il territorio ebbe tutte le caratteristiche, dopo il periodo iconoclasta, per far coesistere il cristianesimo d’oriente e quello d’occidente, quindi lo spirito bizantino in Calabria non è scomparso ma vive nel culto e nei monasteri basiliani.
Le icone mariane, conservate ancor oggi in Calabria, hanno origini dubbie. 
Non è dato stabilire se la loro provenienza è bizantina o se sono opera di botteghe locali e non si  ha una mappatura completa di tale patrimonio: «È difficile condurre un discorso sistematico sull'arte bizantina in Calabria.
L'incuria e la non comprensione del valore di ciò che era prodotto in Calabria ha fatto sì che si smarrissero le tracce bizantine», come dichiara la relatrice Caterina Marra. 
Le origini dell’iconografia mariana sono legate alla tradizione liturgica ortodossa che narra di San Luca che, dopo la Pentecoste, rappresentò tre icone della Vergine Maria quali quelli dell’Hodigitria, dell’Eleousa e  dell’Agiosoritissa.  
La relatrice porta i presenti all'interno di un viaggio itinerante :  «Nelle icone mariane - dice Caterina Marra - i tratti della Madonna corrispondono a quanto descrive Niceforo Callisto: ”La Vergine non era alta di statura, benché alcuni dicano che sorpassasse i limiti della media ... Il colorito, leggermente dorato dal sole della patria sua, rifletteva il colore del frumento. Biondi i capelli, vivaci gli occhi, un po’ olivastra la pupilla. Le sopracciglia arcuate e nere: il naso un poco allungato; le  labbra rosse e colme di soavità nel parlare. Il  viso né tondeggiante né aguzzo, ma leggermente ovale, le mani e le dita affusolate» .
La tecnica di maggior uso per la produzione di icone è stata quella dell’encausto che si basa sull’uso di colori diluiti in cera fusa e spalmati a caldo, con un ferro rovente, sulle superfici da dipingere e sulla scelta del legno che viene levigato, rafforzato con perni ed innesti.
Dopo la lavorazione del legno si passa a quella dei colori che sono naturali, sono cioè estratti da sostanze presenti in natura che vengono ottenuti da pigmenti vegetali e minerali polverizzati.
Un'altra importante analisi è stata quella relativa alle origini dell'iconografia mariana, legata alla tradizione liturgica ortodossa, che narra di San Luca autore di tre icone della Vergine Maria: l'Hodigitria, l'Eleousa e l'Agiosoritissa.
Le icone dipinte da San Luca il pittore sono definite “ritratti autentici” e quella che risulta più nota è quella dell’Odigitria (anche Hodigitria) che vuole dire “Colei che conduce”. 
Il nome deriva dal monastero di Odigon o degli Odeghi (cioè delle guide) di Costantinopoli dove si narra fosse custodita l’icona in origine. 
A riguardo l’Odigitria è esaltata dai monaci basiliani come la “guidatrice” nella loro dura vita di esuli e a testimonianza di ciò è opportuno fare riferimento alla tavola rappresentante l’Odigitria o Madonna dell’Itria, della chiesa della Trinità di Polistena. 
La Vergine è qui dipinta seduta su una cassa, portata a spalla da due santi monaci; quest’icona narra la fuga degli iconoduli scampati all’iconomachia e il loro attaccamento alle icone che cercano di salvare sottraendole alla furia degli iconoclasti.  
A Bagnara, nella chiesa del Carmine, è custodita una icona di questo tipo, probabilmente una delle più belle sul territorio. 
Il bambino assume una postura particolare, è evidente il suo sgambettare e il suo aggrapparsi al manto della madre. 
I colori usati per la realizzazione di quest'opera sono quelli tipici del classicismo bizantino, il contorno del viso è caratterizzato da tratti scuri.
Il tipo dell’Eleousa, detto anche  “Madonna della tenerezza o misericordiosa”, presenta il Bimbo che preme la sua gota contro quella della Madre. 
L’icona esalta il rapporto affettuoso tra Madre e Figlio e l’umanità di entrambi. 
L’originale era venerato nella chiesa dell’Eleousa a Costantinopoli, edificata nel palazzo imperiale da Giovanni II Comneno (1118-1143). 
Gesù cinge il collo della Madre con un braccio ed è sostenuto da Maria con entrambe le mani. 
Una rara variante presenta il Bambino che cinge il collo della Madre con ambedue le braccia. 
Esistono, inoltre, immagini in cui Gesù è poggiato sul braccio destro di Maria ed altre sul sinistro.
L’Agiosoritissa ( anche Aghiosoritissa) è la Madonna Orante di San Luca. 
Ritratta di tre quarti, a mezzobusto, la Vergine ha le mani giunte rivolte verso sinistra, è un'immagine rara che ha un suo esemplare a Caulonia.
Pare che in origine l’icona fosse custodita nel monastero della Chalcopratria a Costantinopoli (da cui Chalcopratissa). 
Sul territorio sin dal tempo del monachesimo bizantino erano presenti diverse icone mariane di provenienza orientale e molto di quel patrimonio appartenente ai vari monasteri è andato perso o rovinato dall'incuria dell'uomo come il Cristo Pantocratore di Motta S.Aniceto.
La relatrice ha poi continuato nel suo iter descrittivo parlando di altre testimonianze che per fortuna sono giunte fino a noi come l'interessante esemplare della Madonna della  Lettera, custodito nella cattedrale di Palmi . 
È un'icona che trova le sue origini a Messina e che è stata donata al popolo di Palmi come ricompensa per l'aiuto offerto ai messinesi durante una carestia. 
È caratterizzata da mani in legno e da un manto argenteo, visi scuri che contraddistinguono l'ispirazione bizantina.Caterina Mara si è poi soffermata sull’icona bizantina del Santuario di Polsi, nel cuore dell'Aspromonte.
Il dipinto è realizzato su due tavole, unite sulla parte posteriore da due barre trasversali e scorrevoli.
L’ipotesi è che le due parti dell’icona potessero essere esposte anche separatamente.
Maria sorregge il Figlio sul braccio sinistro e lo indica con la mano destra; si rileva quindi una commistione col tipo dell’Odigitria.
Rispetto a quest’ultimo tipo si rileva una variante: la Madonna, non Gesù, regge nella mano  sinistra un cartiglio in parte srotolato, forse una lettera.
L’iscrizione greca, tipica di tutte le icone greche è affiancata da una latina, inscritta nel nimbo di Maria. Il fondo è color oro.
Altre tracce di notevole spessore trattate nel corso dell'incontro sono state quelle relative alla  Madonna dell’Itria a Gerace ed a Polistena,della Madonna bizantina della Chiesa di Modena di Reggio Calabria e sempre rimanendo in riva allo Stretto alla Madonna della Consolazione che si rifà alla Parigoritissa, l'immagine venerata ad Arta in Epiro.

ShinyStat
6 marzo 2003
presenze bizantine nella provincia jonica