Primo incontro del 2012 organizzato dal Circolo Culturale "L'Agorà" di Reggio Calabria, presieduto da Gianni Aiello.
 Il sodalizio culturale giunge al suo diciannovesimo anno di attività, il che non è cosa di poca considerazione, visto le grandi e continue difficoltà di chi opera in tale sfera, e soprattutto di chi si impegna in tali iniziative in funzione della cultura e della ricerca.
I lavori della giornata di studi sono stati coordinati da Natale Bova, segretario del Circolo Culturale "L'Agorà", il quale nella sua parte introduttiva ha evidenziato ai presenti il percorso culturale svolto dal sodalizio reggino nel corso di questo arco di tempo, come, tra l'altro, evidenziato in apertura.
Il giavellotto è una specialità dell'atletica leggera, nella quale l'atleta ha il compito di lanciare tale oggetto il più lontano possibile all'interno di una struttura sportiva.
I due record del mondo del lancio del giavellotto maschile e femminile sono rispettivamente di 98,48 metri per gli uomini, stabilito dal ceco Jan Železný il 25 maggio 1996 a Jena (Germania) e di
72,28 metri per le donne, stabilito dalla ceca Barbora Špotáková il 13 settembre 2008 a Stoccarda (Germania), usando un giavellotto di 600 grammi di peso.
Il giavellotto, quindi, fa parte dell'atletica leggera, ed insieme a tale disciplina sportiva ha origini antichissime e nonostante ciò fu ammesso dal C.I.O. (Comitato Olimpico Internazionale) alle Olimpiadi nel 1908 a Londra.
Il primo campione olimpico fu lo svedese Eric Valdemar Lemming (Göteborg, 22 febbraio 1880 – 5 giugno 1930) con 54.83 metri.
Tra l'altro, l'atleta svedese ad Atene nel 1906 conquistò la medaglia d'oro nel lancio del giavellotto, così come a Stoccolma nel 1912.
Uno dei migliori Atleti italiani, nella storia del Lancio del Giavellotto “Azzurro”, è l’Atleta delle Fiamme Gialle e della Nazionale Italiana Francesco Pignata, (Reggio Calabria, 14 febbraio 1978) atleta reggino, con un record personale di 81,64.Come si diceva in apertura, lo scopo dell'atleta in  tale specialità è quello ci  effettuarne il lancio sfruttando gli elementi della cinematica e della dinamica, tenendo conto della migliore posizione del baricentro del giavellottista.

LEGGI DELLA FISICA
Un corpo che muove di moto circolare uniforme è soggetto alla accelerazione centripeta, che è sempre diretta verso il centro di rotazione. Su ogni corpo soggetto ad accelerazione agisce una forza.
La forza che agisce su un corpo che si muove con moto circolare uniforme viene definita Forza Centripeta e la sua direzione coincide in ogni istante con quella dell’accelerazione centripeta.
Quando un corpo si muove lungo una traiettoria circolare, agisce continuamente su di esso una spinta rivolta verso l’esterno, che tende ad allontanarlo dal centro di rotazione.
Questa è la Forza Centrifuga, che si genera per reazione alla forza centripeta, ha la sua stessa intensità ma verso opposto.
L’anatomia umana è la Scienza che studia la forma, l’architettura e la struttura del corpo umano.
Le prime ricerche scientifiche sul corpo umano sonoavvenute mediante dissezione.
Leonardo da Vinci, nel 1500, fu uno degli scienziati più impegnati nello studio dell’anatomia umana, poi, nel volgere dei secoli, nuove tecniche e nuovi strumenti hanno consentito di conoscere il corpo umano anche a livello submicroscopico.
Basti pensare alle ultime scoperte sull’acido desossiribonucleico (DNA).
L’anatomia umana fonda i suoi principi su leggi scientifiche.
La forma, le proporzioni ed il volume dei muscoli del corpo umano sono costanti.
Le variazioni di volume dei muscoli si possono avere per ipertrofia o ipotrofia.
L’ipertrofia è l’aumento di volume di un muscolo in seguito ad attività atletiche.
L’ipotrofia, invece, è la diminuzione di volume di un muscolo per sedentarietà.
I muscoli del corpo umano si sviluppano in maniera caratterizzante a seconda dell’allenamento fisico e delle tecniche esercitate, costantemente, nelle diverse discipline sportive.
L’ipertrofia e l’ipotrofia dei muscoli del corpo  umano “disegnano” la fisionomia di un atleta.
Il Metodo “Interpretazione Muscolo-Operativa” consente al Docente di Scienze Motorie e Sportive, attraverso l’osservazione della postura, della  morfologia del sistema muscolare, della somatometria dei distretti muscolari, di risalire -con poca percentuale di errore- alla specialità sportiva esercitata da un Atleta.
Vero è che un maratoneta presenta una forma muscolare diversa da un lanciatore di peso ed è anche vero che un lottatore appare fisicamente diverso da un karateka, pur praticando entrambi sport di combattimento.
Se il docente di Scienze Motorie e Sportive è nelle condizioni di poter osservare, anche, il particolare di un gesto tecnico, la percentuale di errore, per risalire al tipo di attività esercitata da un Atleta, si riduce al minimo.
Il Metodo “Interpretazione Muscolo-Operativa” permette, inoltre, di poter stabilire se il personaggio rappresentato da una statua è stato ritratto da un modello vivente, di attribuire il significato di gesti ed il tipo di attività bellica esercitata.
La forza di gravità ha condizionato e determinato la forma degli esseri viventi, dei vegetali e dei minerali.
L’uomo, anche per la forza di gravità, ha dovuto organizzare, trasformare e regolare la postura del suo corpo in relazione all’ambiente circostante ed alle sue necessità.
Quando l’uomo preistorico ebbe l’idea di utilizzare le mani per afferrare pietre e bastoni per difendersi dall’attacco di altri ominidi e perpraticare la caccia, diede inizio, forse involontariamente, alla sua evoluzione.
La stazione eretta, la forza, la deambulazione bipede, la visione binoculare/stereoscopica, il pollice opponibile, la lotta per la sopravvivenza, la capacità di ideare, costruire ed utilizzare armi ed utensili, la migrazione, la comunicazione verbale e scritta ed altri fattori, hanno determinato, nel corso di milioni di anni, l’evoluzione dell’uomo.
Dopo aver capito che la lotta corpo a corpo con nemici ed animali feroci era troppo pericolosa per la propria incolumità, l’uomo preistorico iniziò a costruire armi da lancio per colpire a distanza i suoi nemici.
La lancia, il giavellotto, l’arco e le frecce furono le sue prime creazioni.
L’attrezzo acuminato era lanciato con una tecnica che sfruttava una forza propulsiva che doveva, anche, controllare la precisione e la distanza.
Dopo milioni di anni il principio è rimasto invariato: un corpo acuminato (proiettile) viene lanciato con la forza lineare determinata da una piccola esplosione all’interno di una camera di scoppio.
Nella storia dell’umanità, l’arma che più è stata tenuta in considerazione per importanza è senz’altro il giavellotto.
I primi dati storici dell’esistenza del giavellotto ci provengono dai graffiti, raffiguranti scene di caccia e di guerra, scolpiti milioni da fa e ritrovati sulle rocce dell’Africa.
Negli scritti di Senofonte, allievo di Socrate, si legge che nell’antica Grecia il lancio del giavellotto era una delle specialità atletiche più considerate, assieme alla lotta ed alla corsa.
Le statue greche, i vasi ed i piatti del V secolo a.C. spesso rappresentavano gesti di lottatori, corridori e giavellottisti.
Presso il Museo archeologico di Vulci (Viterbo) è conservato un interessante corredo facente parte della “tomba della Panatenaica” caratterizzato da diversi elementi architettonici che avevano lo scopo di ornare  le tombe degli atleti.
Tra l'altro si evidenzia una grande anfora panatenaica che veniva data come premio all'atleta vincitore ed in tale vaso era raffigurata sia una scena della competizione nella quale l'atleta si era distinto che quella della dea “Athena Promachos” con elmo ed egida: in tale anfora era raffigurata anche il lancio del giavellotto.
La tecnica del giavellotto era simile all’attuale con la differenza che all’asta veniva legato un  laccio che l’atleta teneva tra le dita per darne una maggiore stabilità.

LA TECNICA DI LANCIO DEL GIAVELLOTTO CON L’ANKÙLE
I Greci, già nel V sec. a. C. , avevano escogitato un sistema di leve che aumentava la gittata e la precisione dell’attrezzo.
Un laccio di cuoio denominato “ankùle”, avvolto “a bocca di lupo” attorno all’asta del giavellotto, diviene il braccio di una leva che produce una forza centrifuga che si somma alla forza muscolare prodotta dall’atleta.
Quindi il laccio in argomento che viene legato “a cappio” attorno all’asta del giavellotto diviene il braccio di una leva che permette di sfruttare la forza centripeta sviluppata dalla circonduzione dell’articolazione della spalla che si trasforma, nel momento del lancio, in forza centrifuga uguale e contraria a quella prodotta.
L’azione motoria inizia con la rincorsa e termina con il lancio, precisamente con la flessione prima del polso e successivamente delle due dita, indice e medio, impegnate a mantenere l’Ankulè.
Quest’applicazione di forza veloce, risulta efficace se sorretta da una tecnica esecutiva che rispetti i principi della biomeccanica.
Inoltre, l’ankùle, svolgendosi, produce un effetto “giroscopico” che permette all’attrezzo di rimanere stabile e non variare la direzione impressa dall’arto superiore dell’Atleta e dalle due dita, indice e medio, nel momento dello “sgancio”.
Quattro statue in bronzo risalenti al V secolo a. C. , custodite nei più importanti musei del mondo, rappresentano un giavellottista.
La statua in bronzo custodita nel Museo di Lussino (Croazia) rappresenta un giavellottista nell’atto di avvolgere il laccio di cuoio (ankùle); la statua custodita nel Getty Museum di Los Angeles rappresenta un giovane giavellottista mentre punta il giavellotto ed, infine, due statue custodite nel Museo di Atene (Grecia) rappresentano rispettivamente un giavellottista nel momento di puntamento ed un giavellottista nella fase finale di un lancio.
C'è da evidenziare che i risultati delle ricerche del relatore Riccardo Partinico presente nella giornata di studi organizzata dal Circolo Culturale "L'Agorà" sono stati, tra l'altro, presentati a suo tempo presso il "Getty Museum" di Los Angeles, alla presenza del direttore dell'importante struttura museale statunitense Jens Deahner, al quale Riccardo Partinico ha spiegato i risultati delle sue ricerche ed il metodo del lancio del giavellotto sia degli atleti che dei militi greci che usufruivano del supporto, per tali operazioni, di un laccio di cuoio chiamato ankùle.
Nel corso dell'incontro losangeleno sono stati piegati anche alcuni particolari di importanti opere statuarie del periodo classico, come ad esempio quelli relativi all'opera bronzea "l'Atleta che si incorona", ribattezzato per ovvie motivazioni precedentemente sopra indicate come il "Giovane giavellottista greco".
I risultati di tali ricerche relative alle tre statue custodite nei musei di Lussino, Los Angeles ed Atene sono confermate anche dal giavellottista, pluricampione italiano assoluto, Francesco Pignata.
A tal riguardo l'atleta reggino dimostra la fase di arrotolamento dell'ankùle, quella relativa all'operazione di puntamento ed il lancio del giavellotto così come veniva effettuato nell'Antica Grecia.
Per avere una maggiore visione di quanto esposto si invita alla visione delle sequenze visive (cliccando sulle apposite immagini) nella sezione video pubblicata nella colonna di questa pagina.
Ritornando alla manifestazione organizzata dal Circolo Culturale "L'Agorà" che si è svolta nei locali della Biblioteca Comunale "Pietro De Nava" di Reggio Calabria, ci sono da evidenziare altre cifre che hanno caratterizzato la giornata di studi in argomento.
Infatti, oltre alle informazioni sopra evidenziate, il relatore Riccardo Partinico ha inserito nel corso della giornata di studi altre cifre, e nello specifico quelle relative ai  restanti temi:

ASPETTI STORICO-ARTISTICI;
LO STUDIO SULLA STATUA DI LISIPPO;
LO STUDIO SULLA STATUA DI PERSEO CON LA TESTA DI MEDUSA;
LO STUDIO SULLA STATUA DI "Apoxyòmenos" ("Colui  che si deterge") .

ASPETTI STORICO-LETTERARI
Il giavellotto è l’arma che l’uomo preistorico ha utilizzato per procurarsi il cibo  cacciando la selvaggina e per difendersi da attacchi sia di suoi simili che da animali.
Esso ha origini antiche e veniva utilizzato dall'uomo preistorico per procurarsi il cibo e per difendersi e successivamente venne inserito tra le gare atletiche nella prima olimpiade del 776 a.C. nella specialità del Pentatlon.
Le prime notizie storiche sul lancio del giavellotto provengono dall'antica Grecia, più precisamente, dagli scritti di Senofonte, allievo di Socrate, nelle “Elleniche”.
Ma c’è anche da ricordare che tale pratica ci è stata tramandata attraverso le narrazioni di Omero e nel mondo egeo durante le manifestazioni olimpiche le armi da guerra, tra cui il giavellotto, venivano riadattate e regolamentate in chiave prettamente sportiva.
Infatti nel canto ventitreesimo dell’Iliade vengono narrate le prove relative alla corsa, al lancio del disco ed a quello relativo al giavellotto.
Mentre nell'ottavo canto dell’Odissea vengono descritte le attività sportive del popolo dei Feaci.
Nelle competizioni sportive i giavellotti avevano dimensioni più corte ed avevano la punta arrotondata, come la tradizione letteraria ci ha tramandato.
Sappiamo che il lancio del giavellotto – prosegue Riccardo Partinico - era sicuramente una delle specialità atletiche più legate alla attività di guerra e dunque una delle più considerate.
L’attrezzo del tempo era più corto e più pesante di quello attuale.
Ritornando agli aspetti militari c’è da ricordare, come riportano le fonti storiche che era consuetudine che la cavalleria greca era supportata anche da reparti di giavellottisti (hippakontistai) che insieme agli arcieri erano denominati “akrobolistai”, in quanto avevano il compito di effettuare delle azioni di disturbo nei confronti dell’esercito nemico.
Nel corso del tempo e dello spazio ha assunto diverse denominazioni come quelle relative agli etimi di pilum, geso, soliferrum, angone, falarica, harba.
Documenti ineccepibili sull’esistenza e sull’uso di tale utensile sono riportati sul Grande Dizionario della Lingua Italiana (Amento, sm. Stor. Correggia di cuoio fissato all’impugnatura del giavellotto per rendere più agevole il lancio), sull’Enciclopedia Ragionata delle Armi (Amentum, correggia fissata all’asta del giavellotto per aumentarne la spinta propulsiva.
In questa correggia si infilavano due dita della mano) e su alcune raffigurazioni, dipinte su vasi artistici risalenti al V° secolo a.C. .
Con tale accorgimento apportato al giavellotto romano se ne stabiliva la stabilità durante la sua traiettoria e questa faceva si che esso raggiungesse un bersaglio ad una distanza di circa duecento metri.
Il giavellotto usato dall’esercito romano assumeva il nome di pilum e la sua lunghezza variava dai 150 ai 190 centimetri e la sua parte finale era caratterizzata da ferro dolce (tranne la sua estremità).
Questa caratteristica rendeva inutilizzabile  l’uso del pilum dopo il lancio da parte dei nemici, in modo che quest’ultimi non potessero utilizzarlo per nei confronti dei militi romani.
A testimonianza di quanto sopra evidenziato viene riportato nel “De bello Gallico” di Giulio Cesare:  « I Romani, lanciando dall'alto i giavellotti, riuscirono facilmente a rompere la formazione nemica e quando l'ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le spade in pugno contro i Galli; questi erano molto impacciati nel combattimento, perché molti dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli, cosicché non potevano combattere agevolmente con la sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto. »
Altra attestazione letteraria è quella riportata da Polibio nel libro VI delle “Storie”, dove: « ... e poiché incastrano la parte di ferro del pilum fino a metà dell'asta [di legno] stessa,  fissandolo poi con numerosi ribattini, la congiunzione risulta così ferma e la sua funzionalità è assicurata, che usandolo, prima che si allenti l'incastro, si spezza il ferro, malgrado nel punto di congiunzione con l'asta di legno abbia una grandezza di un dito e mezzo. Tale e tanta è la cura con cui i Romani mettono insieme i due pezzi. »
Le origini del “pilum” sono incerte, in quanto secondo alcune fonti sono di derivazione etrusca durante la guerra contro le popolazioni celtiche nel nord della penisola italiana, e successivamente anche dai Romani come ci ha tramandato . Plutarco in “Vita di Camillo”.
A testimonianza di ciò si riporta quanto segue  :  « [...] Camillo portò i suoi soldati giù nella  pianura e li schierò a battaglia in gran numero  con grande fiducia, e come i barbari li videro, non più timidi o pochi in numero, come invece si aspettavano.
Per cominciare, ciò mandò in frantumi la fiducia dei Galli, i quali credevano di essere loro ad attaccare per primi.
Poi i velites attaccarono, costringono i Galli ad entrare in azione, prima che avessero preso posizione con lo schieramento abituale, al contrario schierandosi per tribù, e quindi costretti a combattere a caso e nel disordine più totale.
Quando infine Camillo condusse i suoi soldati all'attacco, il nemico sollevò le proprie spade in alto e si precipitò all'attacco.
Ma i Romani lanciarono i giavellotti contro di loro, ricevendo i colpi [dei Galli] sulle parti dello scudo che erano protette dal ferro, che ora ricopriva gli spigoli, fatti di metallo dolce e temperato debolmente, tanto che le loro spade si piegarono in due; mentre i loro scudi furono perforati e appesantiti dai giavellotti [romani].
Le prime evidenze del pilum come arma romana partono, invece, dal IV secolo a.C.
I Romani adottarono questa nuova arma durante le guerre con i Celti e successivamente la impiegarono con successo anche contro le altre popolazioni del centro e sud Italia.
Plutarco  racconta, infatti, che 13 anni dopo la battaglia del fiume Allia, in un successivo scontro con i Galli (databile al 377-374 a.C.), i Romani riuscirono a battere le armate celtiche, e ne fermarono una nuova invasione: I Galli allora abbandonarono effettivamente le proprie armi e cercarono di strapparle al nemico, tentando di deviare i giavellotti afferrandoli con le mani. Ma i Romani, vedendoli così disarmati, cominciarono misero subito mano alle spade, e ci fu una grande strage dei Galli che si trovavano in prima linea, mentre gli altri fuggirono ovunque nella pianura; le cime delle colline e dei luoghi più elevati erano stati occupati in precedenza da Camillo, e i Galli sapevano che il loro accampamento poteva essere facilmente preso, dal momento che, nella loro arroganza, avevano trascurato di fortificarlo. Questa battaglia, dicono, fu combattuta tredici anni dopo la presa di Roma, e produsse nei Romani una sensazione di fiducia verso i Galli. Essi avevano potentemente temuto questi barbari, che li avevano conquistati in un primo momento, più che altro credevano che ciò fosse accaduto in conseguenza di una straordinaria disgrazia, piuttosto che al valore dei loro conquistatori. »
Altra importante testimonianza letteraria risulta nelle “Storie” di Tacito, il quale parlando dei Sarmati, ci tramanda quanto segue « [...] questa armatura, usata dai capi e da tutti i nobili, è conserta con lamine di ferro oppure cuoio durissimo, impenetrabile ai colpi; ma rende incapace di risollevarsi chi sia stato buttato a terra dall’urto del nemico. […] Il soldato romano invece, con la sua facilis lorica (agile, mobile), andando all’assalto coi pila e con le lance, trafiggeva al momento opportuno il Sarmata col suo gladio leggero (levi gladio), poiché il nemico non usa difendersi con lo scudo[...]» .
A riguardo gli altri etimi e/o tipologie relative al giavellotto si riporta una breve descrizione relativa a:
geso;
oliferrum;
angone;
falarica;
harba.

IL GESO
Il gaesum era un tipo di arma bianca che caratterizzata l'armamentario delle antiche popolazioni celtiche del nord della penisola italiana in epoca preromana. Veniva utilizzato anche nell''Europa centro-occidentale ma anche nella penisola iberica, dalle popolazione galliche e britanne.
Esso era caratterizzato  da un'unica sottile barra di ferro ed aveva una lunghezza variabile dal metro e quaranta, come l'esemplare ritrovato nella Tomba Benacci di Bologna, ai due metri, come quelli ritrovati nella penisola iberica.
Queste sue caratteristiche vennero poi usate dall'esercito romano ed assunse il nome di soliferrum.
Piace anche ricordare altre due tipologie di armi da getto come la tragula, simile al giavellotto e che veniva usata con la stessa tipologia di una fiocina, in quanto era legata da una lunga corda che ne consentiva il recupero.
Sempre nel mondo celtico troviamo la cateia,  menzionata da Virgilio nell'ottavo canto dell'Eneide: “…sono abituati a lanciare la cateia, alla maniera dei Teutoni.” .

IL SOLIFERRUM
Le popolazioni celtiche ubicate nella penisola  iberica i Celtiberi facevano uso del soliferrum (o soliferreum), conosciuto anche come saunion: esso raggiungeva una lunghezza variabile dai 150 ai 200 centimetri.
L’uso di tale arma era in voga anche nella regione francese dell’Aquitania ed il suo utilizzo divenne caratteristica delle aree sopra indicate.

L'ANGONE
Simile al pilum usato dall'esercito romano, troviamo tale arma in epoca successiva e precisamente nel periodo alto-medioevale (476 d.C.  - 1000) quando veniva utilizzato sia dai Franchi che dalle popolazioni del ceppo anglosassone, tra cui quelle germaniche e il suo nome deriva dal greco (ἄγγων, aggon).
Questo tipo di giavellotto aveva delle dimensioni che variavano dai 160 ai 280 centimetri, come risultano da alcuni ritrovamenti effettuati durante la campagna di scavi nell’area di Nydam-Mose in Danimarca.
Oltre alle testimonianze archeologiche vi sono quelle letterarie come testimoniato dallo storico Ammiano Marcellino nel “Res gestae (Storie)” dove descrive le varie fasi della battaglia di Strasburgo, conosciuta anche come battaglia di Argentoratum (dalla derivazione latina della città alsaziana), che si svolse nell’agosto del 357 d.C. tra l’esercito dell’Impero romano diretto dall’imperatore Flavio Claudio Giuliano e la lega germanica guidata dal sovrano Cnodomario.
Nel “Res gestae” viene documentato l’utilizzo delle diverse armi da lancio usate dagli opposti schieramenti, come quelle usate dalla fanteria  romana che disponeva di una lancia dalle lunghe dimensioni, di alcuni giavellotti di dimensioni inferiori “lanceae” e di circa sei “plumbatae” (dardi a mano) che avevano una portata di circa 30 metri.
Ammiano Marcellino descrive anche ciò di cui disponeva la coalizione germanica, come il lungo giavellotto denominato “spicula (angone” simile al pilum, armi da lancio corte come la “verruta missilia” .
Altra testimonianza è quella relativa alla battaglia del Volturno, avvenuta nell’ottobre del 554 d. C.  tra l’esercito bizantino diretto dal generale Narsete contro quello composto dalle milizie dei Goti, Vandali, Franchi ed altre popolazioni germaniche dirette da Butilino o Buccellino ;/Butilinus/Buccellenus) che morì nella stessa battaglia.
A tal proposito Agazia riferisce che i Franchi usarono gli angoni nel corso di quella battaglia svoltasi nei pressi del fiume Volturno, conosciuta anche come battaglia di Capua o del Casilino.
La cronaca di quella battaglia ci è stata tramandata dallo storico bizantino Agazia Scolastico che  nella sua documentazione “Sul regno di Giustiniano”  parla dell’uso dell’angone  nella battaglia del Volturno.

LA FALARICA
Questa arma da lancio veniva denominata anche  “phalarica” ed aveva una lunghezza di circa 90 centimetri, tale termine deriva dal greco antico “phalos”, “phalaros” splendido, bianco e dall'etrusco “fala” , da queste etimologie si comprende che tale asta veniva utilizzata come arma incendiaria.
Infatti tale giavellotto aveva una punta alquanto ristretta ed aveva la capacità di contenere della stoffa imbevuta di sostanze infiammabili e veniva usato durante gli assedi sia per colpire le linee difensive che gli avversari.
Lo storico romano Publio Flavio Vegezio Renato nella sua opera “Epitoma rei militaris” (“De re militari” o anche “L'arte della guerra”) riporta a  tal riguardo che « La falarica è un'asta forata con un gagliardo ferro in cima, pieno di zolfo, resina, bitume, e stoppa infusi di olio incendiario, la quale, tirata con la furia della balestra, rompe le coperte e ficcandosi ardendo nel legno spesse volte abbrucia le torri.».

L'HARBA
È un giavellotto di piccole dimensioni usato dalle popolazioni arabe ubicate nell'altipiano dello Yemen. Di esso ci è stato tramandato dalle fonti storiche che venne usato durante la battaglia di Uhud del 23 marzo del 625: essa rappresentò la prima sconfitta musulmana della storia.
La tradizione narra che quest'arma da lancio trafisse mortalmente lo zio di Maometto Hamza ib, 'abd al-Muttalib durante tale battaglia tra lo schieramento musulmano e la coalizione meccana.
Dopo questo excursus storico-letterario relativo ad alcune  tipologie del giavellotto si  passa alla disamina delle opere statutarie oggetto della ricerca effettuata da Riccardo Partinico e nello specifico quelle relative a:
STATUA DI LISIPPO;
STATUA DI "Apoxyòmenos";
STATUA DI PERSEO CON LA TESTA DI MEDUSA.

LA STATUA DI LISIPPO
Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
dimensioni: 151,5 cm. in altezza; denominazione: Atleta che si incorona;
luogo di ritrovamento: Scogli di Pedaso a Fano (Pesaro) - 14 agosto 1964;
Luogo di esposizione: Museo Getty di Los Angeles;
Interpretazione del gesto: Atleta che mantiene il giavellotto con l’Ankùle.
ANALISI INTERPRETATIVA:  Gli studiosi di Storia dell’Arte, commettendo un errore di valutazione, hanno denominato “Victo­rious Youth (Giovane Vittorioso)” o “Atleta che si incorona” la statua custodita nel Getty Museum di Los Angeles risalente al Periodo Classico.
La statua, priva dei piedi e di una parte delle gambe (circa 20 centimetri), misura in altezza 151,5 cm.
Al termine della mia analisi interpretativa, posso affermare che il giovane rappresentato dalla statua trovata nel Mar Adriatico nell’anno 1964 è un Atleta Greco, di età compresa tra i 15 ed i 18 anni, che pratica il lancio del giavellotto.
Quindi, non ha vinto nessuna gara, non si incorona con la mano destra e nella mano sinistra non trattiene alcuna corona di alloro.
Semplicemente, con lo sguardo rivolto in avanti, sta assumendo la classica postura di chi si appresta a lanciare il giavellotto munito di Ankùle.
Infatti, le dita della mano destra, indice e medio, sono impegnate a trattenere l’immancabile laccio di cuoio che veniva arrotolato dai Greci attorno al giavellotto per migliorare la presa, imprimere un effetto rotatorio ed aumentare la propulsione e la precisione dell’attrezzo.
La muscolatura dell’Atleta, vista la giovane età, si presenta poco ipertrofica ed anche la gabbia toracica è di piccole dimensioni.
I muscoli pettorali sono caratteristici -quanto a forma- a quelli degli adolescenti al termine dello  sviluppo prepuberale.
I muscoli degli arti inferiori appaiono agili ed allenati alla corsa breve e veloce.
Il braccio sinistro leggermente flesso ed abdotto e la mano sinistra del giovane, che assume lo stesso gesto della mano destra, dimostrano simmetria ed equi­librio.
Probabilmente, il gesto appena descritto è determinato dal fatto che, nell’uomo, i due emisferi cerebrali, destro e sinistro, sono in comunicazione tra loro per mezzo del corpo calloso e, nelle fasi statiche o istintive, ripropongono la stessa postura, in questo caso le dita, indice e medio, divaricate.
Infine, non può essere esclusa la possibilità che l’Atleta in posa mimasse di avere nella mano sini­stra un altro giavellotto, considerato che le gare di questa specialità, nell’Antica Grecia, si svolgevano al meglio dei due lanci.

LA STATUA DI “Apoxyòmenos” (“Colui che si deterge”)
Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Apoxyòmenos (colui che si deterge);
data di ricupero: 27 aprile 1999;
luogo di ritrovamento: Mare Adriatico vicinol’Isola di Lussino (Croazia);
dimensioni: 192 cm in altezza;
Luogo di esposizione: Museo di Lussino (Croazia);
Interpretazione del gesto: Atleta che avvolge l’Ankùle attorno al giavellotto.
ANALISI INTERPRETATIVA: I Greci rappresentavano gli Eroi, Atleti o Guerrieri, con le armi o con l’attrezzo che essi utilizzavano per dimostrare il proprio valore nello sport e la propria audacia nelle guerre.
Tale affermazione è confermata da innumerevoli dipinti raffigurati sui vasi dell’epoca e da relazioni di autorevoli studiosi di Storia dell’Arte.
La statua in bronzo custodita nel Museo di Lussino, denominata “Apoxyòmenos-Colui che si deterge”, a mio modesto avviso, riproduce, invece, un Atleta che pratica il Lancio del Giavellotto.
Infatti, analizzando il volto dell’uomo rappresentato dalla statua, in particolare il naso e le orecchie, non si riscontrano segni caratteristici derivanti dalla pratica di Sport di combattimento - setto nasale deviato, zigomi deformati, orecchie ingrossate da otoematomi, ecc. - : quindi, non è un pugile e neanche un lottatore che si deterge il sudore, l’olio e la polvere con lo strìgile.
Infatti, le mani snelle ed agili, la muscolatura lon­gilinea, i deltoidi ed i trapezi ipertrofici, lo sguardo rivolto verso il basso, concentrato a prepara­re, con le mani, l’azione preliminare di un lancio, ovvero, la legatura e l’arrotolamento dell’Ankùle attorno al giavellotto avvalorano la mia tesi.
L’atto di detergere il sudore, così come indicato da molti studiosi di Storia dell’Arte e riportato da autore­voli Riviste, è un’interpretazione errata del gesto effettuato dal giovane  rappresentato dalla statua.
Infatti, un Atleta, per utilizzare lo strìgile, non avrebbe posto molta attenzione su tale attrezzo e non avrebbe compiuto l’azione frontalmente, ma lateralmente, così come rappresentato da altra statua in marmo (Museo Città del Vaticano), copia originale dell’opera in bronzo attribuita allo scultore Lisippo.
Infine, lo strigile è un attrezzo con il manico a forma di cucchiaio e, quindi, la postura delle mani dell’Atleta, rivolte verso il basso, non è compatibile con l’interpretazione in analisi.
Pertanto, si desume che la mano destra dell’Atleta mantiene ferma, con le due dita indice e medio, l’Ankùle e la mano sinistra, invece, ruota l’asta, in senso antiorario, per arrotolarlo.

LO STUDIO SULLA STATUA DI PERSEO CON LA TESTA DI MEDUSA
Opera d’Arte: Statua in bronzo risalente al Periodo Classico;
denominazione: Paride con la mela, Perseo con la testa di Medusa;
dimensioni: 194 cm in altezza;
luogo di ritrovamento: Anticitera - Coste del Peloponneso (Grecia) -1900;
Luogo di esposizione: Museo di Atene;
Interpretazione del gesto: Atleta che lancia il giavellotto con l’Ankùle.
ANALISI INTERPRETATIVA:  Non è Paride con la mela, non è Pèrseo con la testa di Medusa: è, invece, un Atleta Greco, di età compresa tra i 20 ed i 25 anni, specialista del lancio del giavellot­to.
Sembra la stessa persona rappresentata dalla statua custodita nel Getty Museum di Los Angeles, in età più matura.
Il gesto della mano destra rappresenta le due dita, indice e medio, inserite nell’Ankùle nella fase finale di un lancio di precisione con un giavellotto.
L’Ankùle (greco) o Amentum (latino) era il laccio di cuoio che gli Atleti Greci arrotolavano attorno al giavellotto per lanciarlo con effetto rotatorio e con maggiore potenza e precisione.
Le tecniche insegnate agli efebi erano quelle finalizzate a migliorare la precisione dei lanci.
Le dita flesse della mano destra della statua, con quella postura, non possono, certamente, sostenere il peso di una testa e non sono neanche compatibili alle dita che do­vrebbero tenere una mela.
Infatti, nel primo caso l’uomo rappresentato dalla statua avrebbe dovuto chiudere completamente la  mano per poter sorreggere il peso di una testa, nel secondo caso, invece, una mela non coincide, per dimensioni, con lo spazio disponibile tra le cinque dita.
La muscolatura dell’Atleta custodito nel Museo di Atene appare bene sviluppata, simmetrica e proporzionata.
I muscoli degli arti inferiori appaiono potenti ed allenati alla corsa veloce e di breve durata, mentre i deltoidi, i pettorali, i bicipiti brachiali ed i tricipiti evidenziano la capacità di effettuare azioni rapide e precise.
I muscoli addominali obliqui si dimostrano allenati nelle torsioni del busto.
La mano sinistra ripropone il gesto che gli estensori del braccio destro hanno modificato nella stessa mano per consentire di lanciare il giavellotto.
Il piede destro dell’Atleta raffigurato dalla statua è poggiato sull’avampiede, la gamba destra semipiegata ed il peso del corpo sull’arto sinistro, con la spalla destra avanzata, con l’arto destro in avanti e le due dita, indice e medio, divaricate.
Al termine dei miei studi, pos­so confermare che quel gesto rappresenta il momento finale di un lancio di precisione.
Infatti, a differenza di altri tipi di lancio, il lancio di precisione richiede stabilità e controllo del corpo.
L’Atleta deve impegnare soltanto i distretti muscolari interessati, in questo caso l’arto superiore destro, la spalla destra e l’anca destra, mentre, la parte sinistra del corpo svolge la funzione di sostegno e controllo.

ShinyStat
19 gennaio 2012
al "Getty Museum"
Francesco Pignata
al "Getty Museum"