“Il fumetto italiano nella frontiera americana” è stato il tema del nuovo appuntamento sugli eroi di kina, organizzato dal Circolo Culturale “L'Agorà”, argomento al quale il sodalizio organizzatore presta una particolare attenzione ed i cui risultati in scrittura ed in video sono consultabili nell'apposito contenitore denominato IL FUMETTO . Nella premessa, a cura di Gianni Aiello, è stato evidenziato l'imput culturale di tale tipologia di fumetti, che oltre a far sognare diverse generazioni di ragazzi, ne ha, nel contempo stimolato la curiosità sia nei confronti della geografia che della storia delle Americhe. Quindi l'alto significato culturale di tale letteratura, grazie anche al messaggio prodotto nel tempo dalle case editrici quali la Bonelli, Araldo, Editoriale Dardo, EsseGesse, If ed alle altre che, pur se per brevi periodi hanno contribuito a far sviluppare l'interesse verso tali letture. La parola passa ad Antonino Megali che prima di affrontare l’argomento ricorda all'uditorio  tre recenti anniversari del mondo dei fumetti. Cento anni fa nasceva “Felix il Gatto” creato dall’americano Otto Messmer. Apparve prima nei disegni animati e conquistò subito grande popolarità. Si dice che sia stato modellato sulla figura del mitico Charlot. Poi nel 1923 Felix fece il suo debutto nelle tavole domenicali dei quotidiani americani e nel 1927 nelle strisce giornaliere. Il suo successo fu anche dovuto al fatto che per la prima volta un personaggio dei disegni animati esprimeva una forte personalità individuale. Come Mio Mao il gatto apparve sul Corriere dei Piccoli tra 1926 e il 1940. Ha dieci anni di meno l’altro celebre gatto: Mickey Mouse, Topolino. Esordì al cinema nel 1928 in un film di animazione. Solo dal gennaio 1930 fu trasferito nei fumetti. Fu il primo grande personaggio della Banda Disney e intorno a lui comparvero altri personaggi: Minnie, Pluto, Pippo, Orazio, Gambadilegno. Il topo divenne in breve uno dei più popolari eroi anche perché riassume le qualità del cittadino americano, intraprendenza, ottimismo, efficienza. In Italia il primo racconto a strisce fu pubblicato nel 1934 con il titolo “Topolino nell’isola misteriosa” sul settimanale Topolino, edito da Nerbini, poi passò alla Mondadori, che ne pubblicò tutte le storie. Settant’anni sono passati dal settembre 1948, data dell’apparizione del protagonista del fumetto più venduto e più conosciuto: Tex Willer. “Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole ?”. Questa la battuta d’esordio del nostro eroe, nato come fuorilegge per aver vendicato la morte del fratello, poi trasformatosi in custode della legge. Ranger del Texas, diviene capo dei Navajos con il nome di Aquila della Notte, e sposa Lilyth, figlia del capo Freccia Rossa. Nasce da questo matrimonio Kit, Piccolo Falco per i Navajos, che accanto a Kit Carson e a Tiger Jack, diventerà protagonista di una saga straordinaria, la più lunga del fumetto italiano. Di Tex è stato detto che “non è solo un personaggio, è un’idea. L’idea che in questo universo d’indifferenza sopravviva una misteriosa anomalia: il concetto di giustizia”. L’autore dei testi era Gian Luigi Bonelli e il disegnatore Aurelio Galleppini (Galep) ed esordisce con un piccolo albo a striscia di 36 pagine, al costo di quindici lire, intitolato “Il Totem misterioso”. Numerosi i comprimari delle sue avventure tra amici come El Morisco, Pat, il cacciatore Gros-Jean, Montales e nemici come Mefisto, Yama figlio di Mefisto, Lucero, il trasformista Proteus. Passiamo ora all’argomento della serata, il fumetto western che, inteso come epopea storica, è ambientato nei territori occidentali degli Stati Uniti, nella seconda metà dell’ottocento. Frontiera è quella striscia di terra, lunga circa 6000 miglia e larga in modo indeterminato, situata al confine fra territori dei biondi e le regioni occupate dagli Indiani, sempre in movimento verso il west. Tutte quelle regioni che si chiamano “Selvaggio west” o più semplicemente West, iniziano dal corso Mississipi-Missouri. Il “Far West” cioè il Lontano Ovest, si estende dalle Montagne Rocciose alla costa del Pacifico. Protagonisti di questo grande mito della cultura americana sono naturalmente gli Indiani, che si dovrebbero chiamare Nativi. È che, riferendoci ad alcuni secoli fa, Colombo e i suoi compagni, credendo di essere arrivati nelle Indie, chiamarono Indiani i primi abitanti che incontrarono. Poi si passò al termine “pellerosse”. L’origine della parola è incerta: sembra si riferisca al colore della pelle, anche se essa non è completamente rossa. Forse il termine fa riferimento al fatto che i primi indiani incontrati usavano dipingersi il corpo di rosso. Gli etnologi hanno inventato il termine, orribile, di “Amerindi”. A contatto con i bianchi, il modo di vita incominciò a cambiare. Divenne normale l’uso del cavallo, non conosciuto prima. A questo animale fu attaccato il travois, un traino privo di ruote (sconosciute ai Nativi), composto da due stanghe, e un piano su cui erano posti gli oggetti da trasportare. Divennero anche ottimi cacciatori. Preferita era la caccia al bisonte, il “buffalo” americano. Di questo animale veniva usato tutto: la carne tagliata a strisce, veniva essiccata e poi polverizzata. D’inverno con l’aggiunta di grasso e frutta diventata il pemmicam , un brodo di uso comune. Le armi indiane erano arco e frecce, lancia, scudo e tomahawk (un bastone con sopra fissata una pietra). Abilissimi nel lanciare le frecce  riuscivano cavalcando a tirarne anche dieci al minuto. Dall’altro lato protagonisti erano i cowboy. Ragazzi di età compresa tra i 18 e 25 anni, dediti alla cura del bestiame. Portavano un cappello a larghe falde, che serviva anche come cuscino o recipiente. Lo assicurava alla testa una cinghia di cuoio che passava sotto il mento. La camicia di lana aperta sulla gola lasciava scoperto un fazzoletto di seta, usato anche contro la polvere. Non mancavano gli stivali stretti e appuntiti col tacco alto. Obbligatoria la Colt, un tipo di Revolver americano, inventato da Samuel Colt. Paradossalmente il fumetto western ha visto le più belle pubblicazioni realizzate da autori europei. L’Italia degli anni del dopoguerra ha il primato della produzione western con l’invenzione di centinaia di personaggi. Non tutti di qualità e molti scomparsi dopo qualche inumerò. I primi fumetti western appaiono negli anni trenta del secolo scorso. Tra le prime pubblicazioni Broncho Bill che ebbe scarso seguito, poi Audax creato dallo scrittore Zane Grey come Sergente Daves King appartenente alle Giubbe Rosse. Più longevo Lone Ranger la cui caratteristica è di essere nato per una trasmissione radiofonica e di essere poi passato al fumetto nel 1939. È un eroe mascherato, unico superstite di un agguato, che usa pallottole d’argento ed è accompagnato da un fedele indiano, Tonto. In Italia è stato pubblicato come il Solitario della foresta, Il cavaliere rosso, Il cavaliere solitario, il re della prateria. Poi è la volta di Red Rider, migliore dei precedenti, che è un cowboy del classico vecchio west, non un eroe, ma un uomo deciso a far rispettare la legge con l’aiuto dei suoi concittadini. Nel 1945 viene pubblicato Casey Ruggles, in Italia apparso come Red Carson, curato da Gian Luigi e Tea Bonelli. Una striscia questa considerata anticipatrice di una visione dura e realistica del West. Creato nel 1937 da Rino Albertarelli, Kit Carson, fu il primo eroe del fumetto western italiano. Si discosta dallo stereotipo degli eroi del west. È anziano, calvo, ha un gran paio di baffi spioventi, ma infallibile tiratore. Ha avuto un notevole successo. Nel 1948-1949 compaiono tre personaggi che avranno un grande successo. Oltre Tex, già ricordato, nascono Il piccolo Sceriffo e Pecos Bill. Il primo protagonista è Kit Hodgkin, figlio dello sceriffo di Prairie Town, che assume le funzioni del padre, dopo la sua morte. Prima dodicenne diventa per il resto della storia quindicenne. L’accompagnano nelle avventure la sorella Lizzie, la ragazzina amata, Flossy, Garrett, padre di Flossy e dall’agente federale Piggy. Un posto hanno anche Blacke, un cavaliere nero, e Rocky, un coyote che salva spesso il padrone.  Pecos Bill è dopo Tex il personaggio più famoso dei fumetti western. Curato da Paparella, De Vita e Martina, biondo con la frezza nera, non porta pistole e per combattere i nemici usa solo il lazo. Vive nel Texas che percorre con il suo cavallo Turbine. È affiancato da Sue Sloefoot e da Calamity Jane, due bellissime ragazze e da Davy Crockett, vecchio ubriacone, grasso e sporco. Non manca un compagno indiano: Penna Bianca. Un po’ anomala la fine del primo ciclo che vede Sue diventata moglie e madre di un bambino, presenta la morte di Pecos Bill, assunto nelle verdi praterie del Cielo a cavalcare con gli altri eroi del West. Nel 1950 si uniscono tre autori torinesi sotto la sigla EsseGesse (pseudonimo di Giovanni Sinchetto, Dario Guzzone, Pietro Sartoris). L’esordio è la serie intitolata Kinowa. È un cacciatore di indiani, con una maschera verde e due corna. Sam Boyle, l’unico sopravvissuto al massacro di una carovana, in cui trovano la morte moglie e figlio e in cui lui stesso è scotennato. Incomincia a vendicarsi uccidendo indiani con una violenza inaudita che si attenua quando scopre che il figlio è vivo ed è stato allevato dagli indiani col nome di Silver Jack. Suo compagno d’avventura è Long Rifle, un vecchio Scout armato di un fucile a canna lunga. Poi il successo per la EsseGesse arriva con Capitan Miki e il grande Blek. Miki (1951) è un giovane che a sedici anni, quando muore ucciso il suo tutore, si arruola nei Rangers del Nevada. Ben presto per le sue imprese diventa capitano e quindi il più giovane ufficiale dei Rangers e forse di tutto il Far West. Dall’avamposto di Fort Coulver affronta le insidie della frontiera in compagnia di Doppio Rhum, esperto cacciatore che ricorda un po’ i vecchietti del cinema e il Dottor Salasso, anch’egli vecchio ubriacone che considera l’alcool una medicina che guarisce ogni malattia. C’è anche nella compagnia il Ranger napoletano Germano Esposito, poco convincente nel suo ruolo. La figura femminile è Susy, figlia del colonnello Brown, fidanzata gelosa e petulante. Tra i nemici spicca Magic Face, abile trasformista e irriducibile avversario di Miki. Ha un grande successo, per la sua giovane età, fra gli adolescenti, ma forse dovuto non tanto per la figura del protagonista, sempre uguale e ovvia, quanto per i suoi comprimari ubriaconi. La caratteristica popolare della pubblicazione rappresenta un suo limite, ma anche la sua carta vincente. Non si spiega altrimenti il successo durato decenni. Sulla scia del successo di Capitan Miki la EsseGesse lancia nel 1954 un’altra produzione ispirata alla storia americana del settecento. Nei boschi del Maine, i patrioti guidati da Blek Macigno, combattono le Giubbe Rosse, incarnazione della tirannia britannica nelle colonie americane. Il Grande Blek con i suoi trappers è costantemente impegnato, dotato com’è di cervello e di muscoli, a rendere impossibile la vita al governatore inglese. Manca l’elemento femminile. Le due spalle sono Roddy, un ragazzo biondo e lentigginoso, coraggioso ma ingenuo, al quale gli inglesi hanno ucciso il padre e di cui Blek è il tutore. Poi c’è il professor Occultis, gaudente, con i baffi impomatati e una spiccata attitudine a truffare tutti. Inventa piani che giudica geniali e invenzioni che in pratica sono destinate a fallire costringendo continuamente Blek a intervenire per salvare complicate situazioni. È un personaggio meno convincente di Miki, di cui vengono conservate alcune caratteristiche vincenti, ma le sue avventure appassionano perché si svolgono in un periodo storico poco sfruttato e poco conosciuto. Lo studio EsseGesse nel 1965 crea un altro eroe, il Comandante Mark, che appare solo nel settembre 1966 per vari tipi delle Edizioni Araldo di Sergio Bonelli. Salvato da un naufragio, figlio di ignoti, adottato dagli indiani, allevato da un francese che gli insegna l’uso delle armi e gli infonde la passione per la libertà. Nelle foreste dell’Ontario i suoi nemici sono le Giubbe Rosse di Sua Maestà Britannica. È decisamente somigliante con altri personaggi creati dalle EsseGesse. Compagni del Comandante Mark sono Mister Bluff che ricorda il Professor Occultis e il dottor Salasso di Blek e Miki. La fidanzata Betty richiama la Susy, ancore di Miki, rientra nel numero delle eterne fidanzate del fumetto. È sempre indaffarata a preparare il cibo al suo eroe e va su tutte le furie quando Mark guarda qualche ragazza, o meglio crede che la guardi, essendo l’erotismo inesistente in queste avventure, essendo i personaggi quasi asessuati. Fra i fedeli amici di Mark il già citato Mister Bluff, il classico spaccone frequentatore di bettole e consumatore di buon cibo e vino. Poi c’è Gufo Triste, un indiano superstizioso e astuto, figura molto simpatica che sa anche prendersi una sua autonomia. Curioso il rapporto con il suo amico-nemico, cane Flok, prediletto da Mister Bluff. Il cane ha un suo ruolo nel fumetto. È brutto e pasticcione, ma anche intelligente e capace di esprimere un “pensiero”, indicato nella classica nuvoletta. Il nostro eroe diventa il simbolo stesso della ribellione e della libertà e viene descritto come “alto, coraggioso e bello come un semidio”; quando combatte diventa “un leone a cui nessuno può resistere”. Con i suoi Lupi dell’Ontario terrorizza gli inglesi con la sua abilità nel maneggiare la spada e le armi da fuoco. Le sue avventure tra Giubbe Rosse e pirati hanno corto respiro, la narrazione è semplice e pertanto è più adatto piuttosto che agli adulti, ai ragazzi dove ha avuto un seguito non indifferente. Lo schema del fumetto è quello classico: egli rappresenta il bene senza riserve e gli inglesi il male secondo lo schema dei fumetti tradizionali. Ritorniamo ora alle edizioni Bonelli che, come scrive Oreste Del Buono, ha narrato l’Avventura con fede e purezza, tanto da diventare un mito. Certo quando si dice Bonelli, si pensa a Tex, personaggio che non ha avuto uguali. Ma sarebbe ingiusto non citare altri piccoli e grandi eroi creati da questi editori, Nel 1958 appare Un ragazzo del Far West, un western tradizionale, che narra di Tim Carter, un orfano che si esercita nell’esercito unionista. Al suo fianco Dusty, un soldato ubriacone e un po’ fifone. Di diverso spessore è Il Piccolo Ranger di Andrea Lavezzolo, che riprende in parte temi sviluppati nelle avventure di Capitan Miki. Tra i comprimari Frankie Bellevan dotato di due enormi baffi; Claretta Morning, figlia della cuoca del Forte e innamorata di Kit; Annie Quattropistole, una vecchietta che fuma, beve, impreca e spara come un uomo. Il suo sogno è portare all’altare Frankie come ottavo marito. Nella serie numerose le storie al limite della fantascienza. Nel 1961, il 15 giugno, nasce un altro grande personaggio tra i più amati del fumetto italiano: Zagor. Creato da Guido Nolitta (Sergio Bonelli) e Gallieno Ferri. È un po’ la sintesi di tanti eroi: Tarzan, Tex, Uomo Mascherato,Capitan Miki, Grande Blek e Mandrake. Zagor, il cui nome intero è Zagor-te-nay spirito con la scure, ha visto i suoi genitori uccisi dagli indiani Abenaki. Viene allevato da Fitzy, un vagabondo che si dichiara “libero da tutte le ipocrisie e convenzioni che rendono schiavi gli uomini che amano definirsi civili”. Desiderio di vendetta e sterminio conseguente degli Abenaki, prima di scoprire che suo padre era stato radiato dall’esercito perché aveva ordinato il loro massacro. Capisce quindi che la vendetta è sempre da evitare e incomincia a credere nell’uomo, nella sua possibilità di redenzione. La bontà e l’onestà sono parte del personaggio come la sua divisa. È onesto, coraggioso, leale e solidale con i più deboli. Nella sua vita ci sono presenze femminili. Vive in una casetta di legno, accanto scorre un torrente che si perde nelle cascate e intorno alberi giganteschi le cui liane servono al nostro eroe per muoversi con velocità. Protettore della foresta di Darkwood Zagor-te-nay è lo “Spirito con la Scure” perché annuncia la sua presenza con tuoni, fulmini o altri effetti speciali e poi nell’uso della scure è imbattibile anche se maneggia con uguale abilità pistole e fucili e tutte le altre armi. L’ambientazione non è nel sud-ovest degli Stati Uniti d’America, ma in un paesaggio selvaggio, a ridosso dei monti Appalachi, un sistema montuoso che si estende per oltre duemila chilometri dalla foce del fiume San Lorenzo all’Alabama. Qui vivono antiche tribù indiane, pionieri, avventurieri di ogni risma. È in questo territorio che Zagor diventa paladino della giustizia e difensore dell’ordine contro tutte le ingiustizie. I suoi nemici sono figure dotate di poteri straordinari, negromanti, vampiri, scienziati pazzi, e pseudo maghi. Perché questa è la caratteristica di Zagor, vivere le sue imprese in tutti i generi narrativi, dal westewrn al fantasy, dall’umorismo all’horror, dalla fantascienza al thrilling. Tutte le spalle sono importanti nelle storie dei fumetti, ma nel caso di Zagor sarebbe inconcepibile immaginarlo senza Cico Pauroso, sbruffone, ama definirsi nobile di Spagna, discendente dei Conquistadores, eternamente affamato, Cico compare nella prima avventura di Zagor, quando rivolto a un barista che non vuole fargli credito, lo rimbotta: “Caramba! Soltanto un aspirante cadavere oserebbe chiamare vagabondo Don Felipe Cayetano Lopez Martinez y Gonzales”, e intanto tenta di rifilargli una smeraldo sottratto al rajà di Ranchipur, che è un fondo di bottiglia. Cico prigioniero degli indiani è salvato da Zagor, che vuole accompagnarlo al forte per non rischiare di perdersi nella foresta, Cico reagisce e si allontana da solo dichiarandosi offeso. Ma quando scambia gli occhi di un gufo per quelli di un mostro, decide di accettare la compagnia di Zagor: “Non che abbia paura, sia ben chiaro, ma soltanto per fare quattro chiacchiere”. Dopo tante insistenze riesce a farsi accettare (il nostro eroe lo vorrebbe mollare per non fargli rischiare la vita) mettendosi al suo servizio: “Io ti prometto che non ti darò alcun fastidio e ti servirò come uno schiavo”. Cico è vanitoso, è galante ed egli stesso oggetto di corteggiamento di donne non proprio belle, abile nel travestirsi (da marajà, da guerriero apache, da attore e anche da Cupido). Gli indiani lo conoscono come Piccolo Uomo dalla Grande Pancia e L’uomo che mangia di notte. Ha ragione un critico di fumetti, Cuccolini, quando parla di Cico come “Un personaggio quasi patetico che nato come spalla dell’eroe ha finito per evidenziare una sua personalità grossolana, ma scaltra, una saggezza popolare tutta improntata al buon senso e addirittura una certa sagacia nel salvare a più riprese la vita all’amico. In più di un dialogo, alle nobili e ideali istanze dell’eroe contrapporrà con forza dialettica esigenze più concrete ma più umane quali la necessità del riposo, della tranquillità, del ristoro e soprattutto della sopravvivenza fisica.  Altri comprimari nel fumetto e che talvolta fanno da spalla allo stesso Cico sono Druncky Duck postino indiano, Quattrocchi, occhialuto stregone, Bat Batterton sedicente detective, Digging Bill, cercatori di tesori, Guitar Jim, simpatico chitarrista e infine Tramp, compagno di truffe. Ora è la volta di un western diverso, che risente della nuova visione del genere operata anche dal cinema negli anni sessanta e settanta e che appare nel giugno 1977: Ken Parker. Creato da Berandi e Milazzo nel giugno 1977 con l’episodio “Lungo Fucile” riscuote un notevole interesse, dovuto all’intreccio ben curato, all’ironia presente sempre anche nelle avventure che sembrano cariche di tensione. Niente in comune con gli eroi western che conosciamo, uomini d’azione e infallibili con la pistola. Parker ha solo un vecchio fucile, un Kentucky, a un colpo solo, usato dai cacciatori di pellicce, per cui è chiamato appunto “lungo fucile”. Le storie sono moderne e ben costruite con protagonisti che rappresentano l’intera umanità. Niente supereroi, ma gente comune con pregi e difetti anche banali. Ken Parker insegna ai lettori l’onestà e la reciproca comprensione usando anche l’ironia ed esercitando anche l’abitudine del dubbio, pronto a cercare nuove spiegazioni e a rimettere tutto in discussione. Il disegno è accurato e le storie che si dipanano in un’atmosfera particolare lo rendono un fumetto di assoluto rilievo. È forse l’unico personaggio western che si confronta con la morte, con la natura e con gli indiani in modo diverso degli altri. Come ha scritto il suo autore è “un uomo d’oggi, con i problemi di oggi. Non ha nessuna certezza, nessuna sicurezza, vive giorno per giorno con gli ideali che si è costruito da sé cercando ardentemente di essere coerente”. In conclusione citiamo dei fumetti i cui protagonisti non sono visi pallidi, ma pellerossa. Kociss di Bonelli e Uberti è del 1957, capo degli Apache Chiricahua ricalca nel nome il Cochise realmente esistito. Vive in un west senza tempo e le sue avventure sono un miscuglio di avventure fantasiose (con riti magici, animali mostruosi), senza mai dimenticare quello che è il suo scopo principale: difendere la sua gente dalle prepotenze dei colonizzatori. Non deve sorprendere che un indiano sia protagonista di una serie di avventure. Bonelli era noto per la sua totale mancanza di pregiudizi razziali. Del resto basta ricordare la figura di Tex che, al di là della appartenenza di razza, pensava solo a raddrizzare i torti e a riconoscere le ragioni anche degli indiani. Lo stesso Bonelli con Pietro Gamba, disegnatore, quattro anni prima aveva realizzato un’altra serie, Zà La Mort, un apache, affiancato da un pard bianco, lo scout dell’esercito Tom Jeffords ed ambientato alla fine dell’ottocento. Abile nell’uso della Colt, indossa un pantalone a strisce e ha l’abitudine di tracciare una zeta (come Zorro) sul petto dei suoi prigionieri. Il nome era stato preso dal protagonista di una serie di pellicole girate dal 1912 al 1922, che era un delinquente-giustiziere che operava nei bassifondi di Parigi. Come abbiamo visto il fumetto, come il cinema, si è ispirato alla storia del vecchio west, ma senza rispettarla e seguirla nella sua evoluzione. La sua popolarità è derivata dalla presenza delle tribù indiane in lotta contro “i visi pallidi”, dalle cavalcate attraverso le praterie dell’Ovest americano, dalla presenza di uomini coraggiosi che vogliono difendere la legge. Ritorna l’eterna lotta tra il bene contro il male, destinato sempre, nel fumetto, a perdere. In fondo i personaggi protagonisti sono sempre uguali: sceriffi, Cowboy, cercatori d’oro calati nella lotta tra bianchi e pellerosse. Nonostante questo, nonostante la troppo libera interpretazione e reinvenzione della Storia del West, il successo non è mai venuto meno. Un po’ quello che è accaduto per il cinema. È attribuita al regista John Ford la battuta che dice: “per fare un nuovo western non occorre cambiare niente rispetto ai film precedenti. Basta cambiare i cavalli”. Ma negli ultimi decenni l’evoluzione c’è stata sia nei fumetti che nei film. I cattivi pellerossa sono visti come esseri più umani e più disonesti appaiono i pionieri bianchi. I nostri eroi sono diversi dai primi protagonisti secondo i quali “un indiano è buono solo quando è morto” e usano le armi sempre di meno e solo quando è necessario. Questo mondo fantastico, irreale con personaggi mitici riportato nei fumetti chiede di farsi leggere. E il suo grande pregio, quando lo leggi, è che ti fa dimenticare tutti i problemi e ti fa evadere dalla realtà che ti circonda.
ShinyStat
23 maggio 2019

G. BRUNORO, “Un’editore, la nuova avventura - dalla Bonelli "tradizionale" alla "nuova" Bonelli ” , A.N.A.F , 1983;
A. CASTELLI - G. ALESSANDRINI , “La grande avventura dei fumetti”,De Agostini, 1990;
R.GUARINO-M.POLLONE, “Sentieri di carta nel West. Quaranta interviste ad autori italiani di fumetti western”, Allagalla, 2017;
R.GUARINO-M.POLLONE, “La conquista del West. Storie, protagonisti ed eroi del fumetto western italiano”, Allagalla, 2018. 

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