Si è giunti alla nuova edizione dedicata al poeta del Mediterraneo Fabrizio De Andrè che il Circolo Culturale “L’Agorà”, presieduto da Gianni Aiello, organizza a fa data dal 2003.
La manifestazione ha ricevuto anche quest’anno il patrocinio della Fondazione “Fabrizio De Andrè”, Ufficio Scolastico per la Regione Calabria, Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale della Calabria, Provincia di Reggio Calabria e Comune di Reggio Calabria e non per ultimo il contributo artistico di Guido Harari.
Il tema del concorso dell’edizione odierna  de “Una giornata per De Andrè – Popoli e Culture nel Mediterraneo” è stato quello relativo alla pubblicazione dell’album “Volume III”, uscito proprio nel 1968, e dal quale sono stati scelte cinque canzoni  “Il re fa rullare i tamburi”; “Nell’acqua della chiara fontana”; “La canzone di Marinella”; “S’i fosse foco”; “Amore che vieni, amore che vai”, dalle quale sono stati ricavati degli elaborati da parte degli studenti degli Istituti Artistici (Accademia di Belle Arti, Liceo Artistico ed Istituto d'Arte) della Provincia di Reggio Calabria, degli artisti residenti nell’Area dello Stretto, che hanno realizzato delle opere in pittura, fotografia e scultura, attinenti al tema trattato nel testo delle canzoni sopra indicate.
La giornata si è incentrata sulla discussione dell’album “Volume III” di Fabrizio De Andrè  uscito proprio nel 1968 e stampato per la Bluebell Records (BBLP 33) con l'esecuzione orchestrale ed assistenza tecnico-artistica di Gian Piero Reverberi.
Siamo quindi in un periodo storico di un certo rilievo culturale e di forti cambiamenti sociali, politici ed anche De Andrè con questo lavoro da un suo supporto alla protesta  antimilitarista, con “La guerra di Piero” e  “La ballata dell’Eroe” ma anche contro le istituzioni con “Il gorilla”, ma tratta anche notizie di cronaca vera come “La canzone di  Marinella”.
Per una completezza d’informazione inerente l’album in questione c’è da rilevare anche alcune composizioni del cantautore transalpino Georges Brassens e due riferimenti letterari uno rivolto a Cecco Angiolieri e l’altro ad una canzone tradizionale, quindi anche uno studio di ricerca, francese del XIV francese “Il re fa rullare i tamburi”.
Gianni Aiello, nel corso del suo intervento, pone all’attenzione dei presenti uno degli inediti di questo album e nella fattispecie il sonetto “S'i' fossi foco” del poeta senese Cecco Angiolieri.
Infatti il suo intervento ha inizio con il “biglietto da visita letterario” del poeta senese e nello specifico «Tre cose solamente m’énno in grado […] cioè, la donna, la taverna e ‘l dado», dove appunto si evidenziano la vita “movimentata” dello stilnovista e cioè le donne, il vino ed il gioco, questi ultimi rappresentati  dalla taverna e dal dado.
La voglia di libertà, di autonomia, di critica alle istituzione del poeta toscano, si ritrovano nella stesura delle note di Fabrizio De André :
S'i' fossi foco, arderei 'l mondo
s'i' fossi vento lo tempesterei
s'i' fossi acqua i' l'annegherei
s'i' fossi Dio manderei l'en profondo”
Nonostante il sostanzioso arco di tempo che divide i due personaggi letterari la disubbidienza ed il non allineamento accomunano sia Cecco che Fabrizio, così come l’ironia indirizzata ai potenti del periodo quali la chiesa e la monarchia:”S'i' fossi papa, sare' allor giocondotutt'i cristiani imbrigherei s'i' fosse 'mperator sa' che fareia tutti mozzerei lo capo a tondo
Ha preso poi la parola Gianfranco Cordì, responsabile della sezione "cinema" del Circolo Culturale "L'Agorà", che nel corso del suo intervento ha messo un evidenza i due punti principali della problematica discografica di Fabrizio De Andrè.
Nonché le due tematiche sempre ritornanti nell’ambito della discografia del cantautore genovese.
Da una parte l’attenzione per i deboli, i poveri di spirito, i negletti della società.
Come il secondino della canzone “Don Rafae” costretto a raccomandarsi col boss incarcerato per via di un suo fratello che ha fatto”novanta domande e duecento ricorsi”.
Dall’altra emerge come problematica fondamentale in Fabrizio De Andrè l’attenzione per le storie d’amore come quella di “Verranno a chiederti del nostro amore” Dove “ a quella gente consumata dal farsi dar retta”… “un amore così lungo tu non darglielo in fretta”.
I deboli cantati da De Andrè cono quelli che il cantautore genovese ha più vicini per via della sua lunga militanza nelle file dell’anarchismo italiano.
Sappiamo che molta parte del ricavato dei concerti di De Andrè andrà alla rivista “A” come Anarchia.
Le storie d’amore non sempre vanno a finire bene, c’è l’amore per un amante di turno, una certa Roberta, cantato nella canzone “Giugno 73”, ‘è l’amore mancato di “Marinella” e l’amore di “funesta custa nova gelosia”: l’amore macchiato dal sentimento funesto della gelosia.
Le due tematiche nel corso degli anni corrono appianate nel discorso musicale di De Andrè per approdare nel disco capolavoro “Creanza de ma” all’unica tematica del recupero delle proprie radici genovesi.
Recupero effettuato con una rivalutazione del vernacolo parlato nella Liguria.
I dischi successivi apriranno, ha detto Cordì, a tematiche molto diverse, molto più minimaliste.
Basti pensare a “Ottocento” dove un “figlio bello e audace, bronzo di Versace” se la deve  vedere con “tanti pezzi di ricambio, tante meraviglie”, oppure, nell’ultimo lavoro discografico della produzione di De Andrè, “Anime salve” scritto con Ivano Fossati al recupero delle “Acciughe” che fanno il pallone oppure nella canzone “Smisurata preghiera” il ricordo e la dedica a tutti quelli che viaggiano “in direzione ostinata e contraria”.
Possiamo azzardare un ipotesi, ha affermato Cordì, che se la vita di De Andrè fosse continuata ancora avremmo avuto dei nuovi dischi in cui la tematica minimalista sarebbe stata di molto approfondita.
Sarebbe stata dominante, visti gli sviluppi che vanno da “Creuze de ma” alle “Nuvole“ ad “Anime salve”: l’attenzione per i deboli però continua a non venire meno, basti pensare a canzoni come “Prinzesa” e nemmeno la tematica amorosa, nell’ultimo disco esemplata da “Korakane”.
La tematica amorosa, intanto, si infarcisce di altri elementi portai in auge dalla realtà del tempo che De Andrè sta vivendo, mentre anche i deboli cambiano aspetto e non sono più quelli di “Via del campo”, quelli dei carrugi genovesi.
Il percorso musicale di De Andrè rispecchia infatti pienamente l’andamento sociale dell’Italia che è vissuta dal cantautore.
Nel 1968, lo stesso anno di “Tutti morimmo a stento”, Fabrizio De Andrè pubblica un’antologia di successi con una veste musicale rinnovata, aggiungendo inoltre quattro brani inediti.
Così nasce il “Volume III”,  che rimane in classifica per quasi due anni raggiungendo anche il primo posto.
Il disco riprende la precedente produzione edita su 45 giri dall’etichetta Karim cambiando gli arrangiamenti secondo una forma più classicheggiante, sobria e raffinata.
Basso e batteria vengono ridimensionati a favore di un maggiore apporto da parte dell’orchestra, che in molti casi sostiene la struttura portante della  canzone, mentre contrabbasso, chitarre classiche, armonica e fisarmonica accompagnano la melodia.
Sul piano dei contenuti, l’album in questione racchiude molti dei classici temi di Fabrizio De Andrè.
Per esempio l’amore, non tanto e non solo quello platonico ma anche quello fisico.
Scevro da atteggiamenti sessuofobici, il cantautore tratta l’amore evidenziando come la  fisicità e il senso del corpo ne rappresentino, soprattutto nella cultura medievale, un elemento costitutivo e decisivo.
Individuata una fortissima componente erotica nel gesto del bagno femminile, Fabrizio compone “Nell’acqua della chiara fontana”, delicatissima e rapsodica traduzione di un testo di Brassens in cui un uomo e una ragazza iterano un incontro casuale all’insegna di un sesso vissuto ma non esibito, celebrato con molto pudore .
Più squisitamente deandreaina - prosegue l'altro relatore, il gionalista Vincenzo Foti -  è, nel “Volume III”, l’attenzione verso gli sconfitti.
Lo spazio che De Andrè dedica agli emarginati, agli umili, ai vinti, è composto da più luoghi,  in ciascuno dei quali ogni personaggio vive una fine ineluttabile sul piano materiale, ma spesso acquistando una nuova consapevolezza che gli consente di salvarsi sul piano morale.
Spazio dei vinti è allora il fronte dei soldati caduti in battaglia, rappresentato dalla Ballata dell’eroe e dalla Guerra di Piero.
"La ballata dell’eroe" è uno dei primi componimenti di Fabrizio che già ne mostra la maturità espressiva attraverso la linea parca della melodia e la sobria intensità delle immagini.
Qualche critico rileva, come limite del brano, lo scarso tratteggio psicologico del  protagonista, un personaggio anonimo che obbedisce, combatte e muore senza alcun sussulto di dignità, e nel cenno alla sua vedova, costretta a giacere accanto a una medaglia alla memoria, soluzione brusca e frettolosa per accostare la tragedia del dolore privato all’inutile manifestazione del cordoglio pubblico. 
Di tutt’altra levatura è ciò che, insieme alla "Canzone di Marinella", a "Preghiera in gennaio" e al "Pescatore", costituisce il vertice della poesia di De Andrè: "La guerra di Piero". Questa seconda figura di combattente si trova al centro di un brano che, senza una parola né una nota fuori posto, comunica più orrore per la guerra di quanto ne abbia prodotto la pur cospicua produzione in versi lasciata in eredità dal ‘900.
Con le sue immagini di evangelica impassibilità di fronte alla passione di Piero e i suoi contrasti studiatissimi e naturali – la guerra e la memoria della quiete familiare, il meccanico gesto che Piero compie per difendersi e la fatale destinazione che gli viene dall’interrogarsi su quanto produrrà la sua violenza; l’addio alla vita mentre esplode la primavera – "La guerra di Piero" raggiunge perfettamente quell’equilibrio tra idea e la sua espressione.
La stessa voce di De Andrè, evitando scontate lamentazioni antimilitariste, interagisce con i pensieri e con i gesti del protagonista, affidando per intero il messaggio al racconto: la violenza della coscrizione obbligatoria, sigillo dello stato moderno, la lontananza di una ragione politica che spinge alla guerra, la follia di una morte ante diem.
Spazio dei vinti è anche la strada, rappresentato nel "Volume 3" dalla "Canzone di Marinella".
Il brano nasce da un fatto di cronaca nera: una sedicenne costretta alla  prostituzione e poi uccisa per pochi spiccioli da un rapinatore.
Il suo corpo venne ritrovato nel fiume Tanaro, un affluente del Po che bagna la provincia di Asti.
Nella sua composizione, il giovane Fabrizio trasforma l'anonima sventurata in un'innamorata in attesa, il suo carnefice in un re e la morte atroce nel capriccio di un fato anonimo, che comunque conduce Marinella sulla via dell’eternità.
Il fondo tragico della storia è che l’amore e l’innocenza non hanno spazio nel mondo; in questo senso, un poeta può a malapena tentare di sfumare o di addolcire i toni di una realtà violenta trasfigurandola, appunto, nella poesia e rendendola così legge universale.
Il terzo luogo dei vinti è il carcere.
A questo proposito, lo sfondo della "Ballata del Michè" è quello di un’Italia scissa tra modernità e i valori arcaici, primari e un tempo inseparabili dell’amore e dell’onore.
Il protagonista della canzone, incarcerato per un delitto d’onore, sceglie il suicidio perchè non sopporta di stare lontano dalla sua amata Marì.
Ecco uno dei tanti esempi dell’instancabile  riflessione di Fabrizio sull’inadeguatezza della legge in sè, rigida, immutabile, dunque incapace di seguire e comprendere la mutevole dinamicità dei moventi che spingono l’uomo a infrangere le regole.
Michè, innamorato buono e inoffensivo, è infatti travolto da un gesto condannabile ma che, ai suoi occhi, rappresenta il tributo inevitabile alla sua dignità di uomo.
La Corte lo condanna a vent’anni, fissandolo alla sua colpa e negandogli per sempre l’amore.
Da qui la scelta del suicidio, gesto di libertà e insieme di protesta rispetto al quale a sua volta manifesta la sua inadeguatezza anche la legge della Chiesa, che nega il funerale.
Solo una mano anonima porrà sulla terra bagnata e smossa una croce col nome e le date troppo vicine in cui è stata racchiusa la vita di Michè.
Brano della nostalgia non solo dell’amore e della vita perduti, ma di un tempo in cui la pena poteva e sapeva commisurarsi alla colpa, "La ballata del Michè" segna come pochi il divorzio irrimediabile di De Andrè dai meccanismi e dai percorsi della modernità.
Alla fine della manifestazione sono stati consegnate delle pergamene ai relatori e, naturalmente si è passato alla premiazione dei partecipanti al concorso scolastico, i cui lavori sono presenti e visitabili nell'apposita galleria.

ShinyStat
5 luglio 2008