La manifestazione indirizzata alla figura di Fabrizio De Andrè apre i battenti proprio in un ”altra città”, quella nascosta, proprio per dare un alto significato sociale e culturale alla manifestazione e nel contempo rafforzare ciò che il Circolo Culturale L’Agorà ha sempre inteso perseguire: quello di lavorare proprio in funzione della cultura, intesa anche come  messaggio di scambio di idee, di esperienze.
Come avvenuto con gli ospiti della Casa Circondariale di Reggio Calabria, un “agorà” nell’”agorà”, quindi un incontro-confronto con la comunità dei detenuti, quindi un interscambio sociale ed umano, proprio come quel Mediterraneo contenitore di diverse esperienze e fonte ispiratrice del suo poeta Fabrizio De Andrè.
È stato quindi un alternarsi di sensazioni contrastanti: dal senso di inadeguatezza di fronte al disagio espresso dai detenuti, al piacere di condividere con loro una bella canzone, quindi la gioia di aver vissuto dei momenti di forte comunione con gli inquilini dell'istituto penitenziario di Reggio Calabria.
Era come se, in quei momenti, l’alto muro grigio si fosse in parte sgretolato, permettendo un prezioso incontro fra chi sta fuori e chi sta dentro ed Alessio Gatto ha avuto il merito di contribuire, nonostante reduce da un incidente stradale, a contribuire a quanto in precedenza espresso.
Così come confermato sia dalla stampa locale, che ha ben evidenziato l’importanza e la valenza della lodevole iniziativa, soprattutto nelle sue modalità logistiche ed organizzative sia dalla direttrice dell’Istituto Maria Carmela Longo e dal funzionario della stessa struttura Rossella Chirico, i cui pareri si sono orientati sulla stessa lunghezza d’onda dei mass-media.
Dopo l’incontro-confronto con i detenuti, i quali sono rimasti favorevolmente contenti della giornata trascorsa insieme ai componenti del Circolo Culturale L’Agorà si è passati, prima della conferenza, alla giornata inerente la fase giudicatrice delle opere partecipanti all’odierna edizione che ha visto lavori in  fotografia e pittura realizzate dai testi
inerenti le seguenti canzoni:
1.     "Fiume Sand Creek" ;
2.     "Andrea" ;
3.     "Sidun" ;
4.     "Dormono sulla collina" ;
5.     "La ballata dell’eroe" .
Successivamente alla fase inerente il giudizio sugli elaborati iscritti, si giunti alla giornata conclusiva, tra l’altro molto attesa, visto che l’appuntamento dedicato a Fabrizio De Andrè risulta molto atteso in città, vista anche la buona cornice di pubblico presente ogni anno alla manifestazione.
Gianni Aiello, nel corso del suo intervento ha sottolineato hai presenti il filo conduttore relativo all’edizione in corso, e cioè, quello  relativo alla guerra, ai suoi drammi  e, naturalmente, alla  tragica conclusione della stessa.
Tale fase rappresenta, in ogni caso un triste bilancio caratterizzato da lutti e distruzioni, che tocca entrambi le parti contendenti: sia i vincitori che i vinti ne escono vinti, battuti, amareggiati, inevitabilmente sconfitti.
«Io partirei proprio da ciò – dice Gianni Aiello - che le opere riescono a narrare: emozioni e  stati d’animo attraverso i vari simbolismi, l’epicità e le composizioni narrative, le sintesi espressive e cromatiche dei testi che hanno dato spunto alla stesura espositiva dell’edizione 2007 de “Una giornata per De Andrè  – Popoli e Culture nel Mediterraneo”: come si  può ben notare il tema centrale è quello della guerra, dei soprusi, degli abusi».
Argomenti questi, come ha più volte sottolineato Gianni Aiello nel corso del suo intervento, da cui scaturisce la straordinaria inventiva lirica di De Andrè, quindi è uno sdegno etico, una consenso anche piuttosto personale, con gli ultimi, con le minoranze e questo vale tanto per interi popoli perseguitati,così come anche per i  pellerossa d'America, i palestinesi
«Avevo prima fatto un cenno all’epica – continua Gianni Aiello - , essa è anche memoria storica, concetto di informazione, così come le opere, la narrativa di De Andrè che è una sorta di codice di accesso alla mappa criptata della memoria, quindi la volontà di ricordare. 
E con lo sguardo rivolto al passato si può comprendere meglio il presente: c’è infatti uno stretto legame tra le due dimensioni temporali, esse sono connesse dalla necessità che determina il divenire storico».
Ritornando all’epica, il relatore ha effettuato un breve excursus su tale fase letteraria nella Grecia arcaica, dove la sua messa in opera, il canto epico, era stabilito su una base prettamente narrativa, come nell’Odissea, dove, si può cogliere un vasta serie interpretativa delle tradizioni di quei popoli.
Infatti, tale epopea letteraria ha anche un aspetto prescrittivo: nell’Iliade, ad esempio,  Achei e Troiani agiscono secondo atteggiamenti  che sono narrati con dovizia di particolari: lo svolgimento di un sacrificio o di un rito funebre, la vestizione di un guerriero, i momenti di un duello, che diviene cronaca, quindi narrazione.
Quando detto prima risulta letteralmente visivo anche in Fabrizio De Andrè [… la terra del  bisonte … tende capovolte …] (1) anche se nel  “Fiume Sand Creek”  il cantore, a differenza della poesia egea, non è un anziano, ma è un bambino testimone di quel massacro che attraverso il linguaggio innocente e forse un po' surreale racconta la triste vicenda del 29 novembre 1864.
Tale triste evento,  rappresenta una delle conseguenze che sfociarono nelle cosiddette “guerre indiane” causate anche  dalla forsennata ricerca dell’oro da parte di coloni, avventurieri   e dall’estensione della rete ferroviaria: se vogliamo il “progresso” è stato  indice di un vero e propria atto di belligeranza contro gli Apache guidati da capi leggendari come Cochise e Geronimo, i Cheyenne di caldaia Nera e i Sioux di Cavallo pazzo e di Toro Seduto, quindi un’invasione. (2)
Certo, nonostante i mezzi (come le armi, il telegrafo, i trasporti veloci) di cui disponevano le “giacche blu” (3) , l’esercito  degli Stati Uniti conobbe anche la sconfitta in  diverse occasioni, come nel 1876 a Little Big  Horn con la disfatta del generale George Caster che trovò la morte in quella battaglia.
Ritornando alla triste vicenda che si consumò in modo inesorabile all'alba del 29 novembre 1864 ed alle sue conseguenze, essa fu il penultimo atto dell’impari lotta che si concluse con la carneficina di Wounded Knee nel 1890 che determinò la parola fine alla resistenza da  parte dei Pellerossa nei confronti dell’uomo bianco: successivamente a ciò gli “sconfitti” vennero tradotti in veri e propri campi di prigionia, le cosiddette “riserve”, strutture appositamente ubicate in territori privi di risorse naturali. (4)
Ciò che avvenne nel campo Cheyenne di Sand Creek, dove sventolava una bandiera statunitense ubicata al centro del villaggio, viene tratteggiato con diverse sequenze fotografiche da parte di Fabrizio De Andrè con parole di altissimo lirismo che descrivono le “azioni” del colonnello Chivington [... un generale di  trent'anni, figlio di un temporale ...] ed il dramma del Sand Creek si trasforma in un sogno, come lo vive la voce narrante del piccolo pellerossa [ … quando l’albero della neve fiorì di stelle rosse…] che elabora la menzogna che il  nonno ha dovuto raccontargli .  (5)
Storie quindi che narrano della natura e dell’uomo praterie, animali, popoli anche lontani ma che troviamo idealmente vicini nel decimo album in studio, meglio conosciuto come "L'indiano" a causa della copertina dove compare l'immagine di un nativo americano a cavallo, motivo questo, anche per cui, Gianni Aiello,ha letto ai presenti alcuni  canti indiani, molto narrativi, epici, dove si possono scorgere altre fotografie in sequenza.
Per concludere, Gianni Aiello, ha voluto fare con un altro grande del cantautorato italiano: Francesco De Gregori, che anche lui parla degli orrori della guerra, in un testo, anche questo denso di sequenze fotografiche, dove la voce narrante  inizia con una speranza [… c’è una contadina,curva sul tramonto sembra una bambina, di cinquant’anni e di cinque figli, venuti al mondo come conigli, partiti al mondo come soldati e non ancora tornati …] per continuare con la dura realtà, con la drammaticità  dei fatti [… queste cinque stelle, queste cinque lacrime sulla mia pelle che senso hanno dentro al rumore di questo treno, che è mezzo vuoto e mezzo pieno …], qui la voce narrante è quella di una madre che piange la morte dei propri figli in guerra e che il cantautore romano, spera che sia l'ultima [...il nemico è scappato, è vinto, è battuto, dietro la collina non c'è più nessuno, solo aghi di pino e silenzio ...]. (6)
La parola è passata è passata a Gianfranco Cordì che ha basato il suo intervento ponendo l'attenzione dell'uditorio diretto ad un periodo storico della penisola italiana del dopoguerra.
La canzone “La domenica delle salme” è emblematica per la produzione artistica di Fabrizio De Andrè e per il periodo storico che intende descrivere e tratteggiare.
Si tratta di un brano falsamente politico ma che  in realtà ha un taglio di introspezione sociale.
L’Italia (e forse l’Europa) descritta da De Andrè in questo brano è l’Italia degli anni ottanta, quella di Craxi, Forlani e di tangentopoli.
Su questo De Andrè è molto chiaro fin dall’inizio.
Il discorso della canzone invece vira fin da subito su corde molto più intime e private ben diverse da quelle squisitamente politiche.
L’Italia che De Andrè sta cantando non è che un pretesto.
Al cantautore genovese interessano altre cose.
Interessa descrivere un certo mondo che in qualche misura non c’è più ed un altro che è  sorto al suo posto e che ne ha preso il posto.
Si tratta della fine dei sistemi comunisti  (“comunista per comunista…”) dovuta alla caduta del Muro di Berlino del 1989 e la loro  sostituzione con uno stile di vita ed un sistema determinato da una corsa sfrenata all’arricchimento che nasconde in realtà un funerale: “il cadavere di utopia”.
Che mondo abbiamo davanti dunque?
Il mondo che abbiamo davanti è quello dove ogni cosa è stata consumata ed è giunta ed è stata fatta giungere alle sue estreme conseguenze dove regna “una pace terrificante”: l’uniformazione e l’omologazione che di li a poco sarebbe diventata la globalizzazione.
In un simile universo dove ogni cosa è stata consumata e compiuta, nel mondo dove tutto è uguale a tutto, dove ogni cosa equivale a un'altra cosa, De Andrè vede solamente un canto di cicale quasi di scherno ad accompagnare il funerale e ben poco altro, ben poco ottimismo.
Cosa ci salverà?
Cosa rimane ancora da fare?
Cosa si può ricostruire?
De Andrè parte dal presupposto che anche, negli stessi anni Antonio Tabucchi fa suo, un “pettirosso da combattimento” sta portando  avanti “le ragioni del cuore”. Come dice Tabucchi: Sostiene Pereira. “le ragioni del cuore sono le più importanti” da dire Tabucchi al personaggio principale del suo romanzo.
Per De Andrè vale la stessa cosa.
Esse sono “le più importanti” e da esse tocca ripartire per costruire quest’Italia “devastata dal dolore” come cantava negli stessi anni Franco Battiato.
Il pettirosso da combattimento  ha il suo “coraggio”: Maurizio Baggiani scrive infatti “il coraggio del pettirosso”.
Sono le ragioni del cuore a procurargli questo coraggio.
E’ dal cuore da quello che è mancato nell’Italia degli affari e dei soldi facili che bisogna ripartire.
Sotto le righe della sua canzone De Andrè propende per una morale di questo tipo.
Il cuore è importante per non avere di fronte un Italia dove “i polacchi non morirono subito” e le “troie di regime” imperano ai semafori. Il cuore è tutto.
E De Andrè conosce bene questo cuore e questo tutto.
De Andrè ha avuto molte occasioni per mettere alla prova e per vedere lavorare questo cuore.
Le occasioni che egli ha avuto sono state esemplare anche nelle sue canzoni.
Nelle canzoni che egli nel corso degli anni ha scritto e che non hanno parlato solo d’amore.
Ma nel corso di un album come “le nuvole” dove l’ironia diventa satira pungente e tagliente sembra davvero non esserci spazio per il cuore.
Non è così. Fra le righe De Andrè propone un recupero della parte pià vera di noi stessi di quella parte che lo ha sempre portato a stare dalla parte degli “umili”, degli “ultimi” dei “paria” della società che ha conosciuto e che ha visto.
E’ per un fatto di passione, potremmo dire di  “cuore” che De Andrè si è sempre schierato con gli ultimi con i perdenti della società.
E’ da essi che tocca dunque ripartire in questa  domenica dove si vedono circolare solamente  delle “salme”.
La politica oramai ha fatto il tempo che ha fatto. La vita del paese sta correndo lungo altri binari. Tanto vale ripartire dagli ultimi. E gli ultimi sono i portatori di quelle “ragioni del cuore” che Tabucchi, citando Pascal, fa dire a Pereira essere “importanti”.- anche di fronte alla dittatura portoghese di Salazar.
Anche di fronte ad un Italia sprofondata nel baratro degli anni bui di Craxi.
Il messaggio di De Andrè è chiaro e l’intero album, “le nuvole”, si conclude con un frinire di cicale ma anche con una musica di Chopen: autore romantico, e quindi “del cuore”, per  eccellenza!

ShinyStat
13 luglio 2007
canti degli indiani d'America

(1) Fabrizio De Andrè, "L'indiano", 1981;
(2) I. Wellman Paul, "Guerrieri del deserto. Le grandi guerre indiane contro i bianchi", Milano, Rusconi Libri, 1989;
(3)  termine con il quale venivano indicati con  "giacche blu" l'esercito nordista, mentre con "giacche grigie" quello confederato sudista;
(4)  D. BROWN, "Seppellite il mio cuore a Wounded Knee", Milano,    Mondadori, 1972;
(5)  Fabrizio De Andrè, citato;
(6)  Francesco De Gregori, "De Gregori" , 1978;
(7)  Antonio Tabucchi, “Sostiene Pereira”, Feltrinelli, 1997.

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