Il docente dell'ateneo messinese , professore Giuseppe Caridi che ha relazionato sul tema sopra indicato soffermandosi a lungo sull'invasione  della repubblica romana nell'ottobre del 1798 da parte dell'esercito  borbonico, narrando poi della fuga del re Ferdinando IV in Sicilia per salvarsi dalla controffensiva transalpina.
Mentre Gianni Aiello ha trattato  le tematiche  relative a "Un primo elenco della spedizione sanfedista attraverso documenti inediti" .
Il 23 ottobre 1798 l'esercito borbonico, forte di 70.000 uomini, invase la Repubblica Romana e il 29 Ferdinando IV entrò in Roma. Ma una decisiva ed immediata controffensiva francese costrinse Mack ad ordinare la ritirata.
Ferdinando fuggì vergognosamente, cambiandosi gli abiti con quelli del duca D'Ascoli.
Ritornò a Napoli e, temendo di fare la fine di suo cognato Luigi, pensò bene di abbandonare tutto e tutti.
Il 21 dicembre scappò a Palermo imbarcandosi sul Vanguard di Nelson con tutta la famiglia e John Acton.
Non dimenticò, nonostante la fretta, tutto il danaro dei banchi ed i tesori d'arte fatti preparare dall' Acton e dall'ambasciatore inglese Sir Hamilton e affidò al principe Francesco Pignatelli l'incarico di rappresentarlo. Seguirono 30 giorni di assoluta anarchia.
Gli Eletti rivendicavano il loro diritto a rappresentare il Re, Pignatelli ordinò la distruzione di tutta la flotta e mentre si litigava tra le varie ipotesi (nuova dinastia, Repubblica aristocratica...), il Pignatelli il 12 gennaio del 1799 a Sparanise concluse una pesante resa col generale francese Championnet.
I repubblicani non restarono con le mani in mano, nella notte tra il 19 e 20 gennaio si introdussero nella fortezza di Sant'Elmo ed il 21 gennaio dichiararono decaduto il Re e proclamarono la Repubblica Napoletana innalzando la bandiera gialla rossa e turchina.
Il 23 Championnet entrò in città, riconobbe la repubblica napoletana indipendente e decretò per un governo provvisorio appoggiato dalle truppe francesi. 
Ottenuta l’ approvazione dello Championnet (23-24 gennaio), fu così creato un governo provvisorio di venti membri, poi portato a venticinque .  
Subito dopo la proclamazione della Repubblica giacobina nelle province si determinò una situazione di diffusa precarietà.
Un pò ovunque venivano a succedersi eventi di ritualità contrapposti: repubblicani locali e commissari  con rituali  giacobini, il «piantamento» dell'albero della libertà ornato di nastri e  bandiere repubblicane, con i colori giallo rosso e turchino, il canto di inni patriottici , la celebrazione del Te Deum .
Il primo governo provvisorio poté varare una sola legge importante, quella che aboliva fedecommessi e le prima geniture (29 gennaio 1799), mentre non poté andare per il momento in porto la legge per l’abolizione della feudalità.
Il 14 aprile un nuovo commissario francese, A. J. Abrial ( arrivato il 28 marzo in sostituzione del Faipoult), operò una riforma del governo della repubblica partenopea approvò il 25 aprile la legge di eversione della feudalità, sulla base di criteri relativamente radicali, che non poté però avere neppure un principio di attuazione in conseguenza della piega presa dagli avvenimenti. 
Non si arrivò invece ad approvare il progetto di costituzione preparato dalla precedente commissione legislativa . 
Mentre a Napoli si sviluppava questa vivace attività di governo, nelle province - dove pure la Repubblica era stata accolta favorevolmente dal ceto medio - la situazione andava precipitando e ciò permise ai Borboni di riorganizzarsi.          
In tale contesto si venne ad inserire la ììspedizione del cardinale Ruffo, che il 7 febbraio, con funzioni di «Commissario generale ìnelle prime province e Vicario generale», dalla  Sicilia sbarcò, a Pezzo con l'obiettivo di riconquistare il Regno di Ferdinando IV di Borbone.
Ad attendere il Ruffo sulla sponda reggina vi erano il Winspeare, il caporuota dell'Udienza provinciale di Catanzaro Angelo Fiore e il tenente scillese Francesco Carbone (forte di circa trecento armati), il segretario abate Lorenzo Sparziani, il cappellano Annibale Capogrossi, l'aiutante reale marchese Malaspina.
Vi erano anche il commissario di guerra tenente colonnello Domenico Pietromasi  che insieme a pochi uomini raccolti da loro e dal governatore di Reggio Nicola Macedonio.
Iniziò quindi l'avventura del porporato, nativo di San Lucido che facendo leva sull’odio delle masse contadine nei confronti dei proprietari, identificati sommariamente nei giacobini, era infatti riuscito a impadronirsi rapidamente della regione, avendo in Palmi il momentaneo Quartier Generale. 
Il 6 marzo, da Pizzo, il Ruffo scrisse al ministro Acton di avere già raccolto 4.000 uomini e di provvedere ad allestire una quantità di risorse umani pari ad almeno 10.000 unità appena fosse giunto a Catanzaro ed il 3 aprile gli comunico che le Calabrie erano completamente conquistate successivamente avanzò in Basilicata e nelle Puglie e sul proprio tragitto disseminò una lunga scia di sangue derivata da vendette e saccheggi, esempio eclatante è l’assalto di Altamura: il 10 maggio, dopo 3 giorni di assedio venne espugnata e tra il 13 ed il 22 maggio le altre città pugliesi di Bari, Barletta, Manfredonia e Foggia vennero annesse, giungendo  Napoli il 13 giugno .
Alle conquiste delle città di chiara fede giacobina come Crotone, Paola ed Altamura, che opposero dura resistenza alle truppe realiste
vennero inferte dure sanzioni e saccheggi, soffocati nel sangue,  «un'orda di cospiratori settari» e durante la spedizione, il Ruffo alternò abilmente provvedimenti che andavano incontro alle più impellenti esigenze popolari, come l'abolizione o la riduzione di alcune pesanti tasse e gabelle, a editti di perdono per quanti si fossero arresi e a repressioni delle città che resistevano alle truppe, notevolmente ingrossate da schiere di contadini inneggianti alla Santa Fede e bramose di bottino. 
Il sostentamento a questo crescente esercito, diviso in «masse», guidate da uomini di sua fiducia, fu in parte assicurato dal cardinale  mediante la requisizione forzosa delle rendite dei feudi i cui signori si erano trasferiti a Napoli  ed erano quindi sotto il controllo del Governo repubblicano. 
Un esercito costituito prevalentemente da calabresi, di tutte le estrazioni ma dove predominavano briganti ed avventurieri; un esercito che si rafforzava sempre più risalendo la Calabria e che passerà alla storia per le atrocità, le violenze, le ruberie perpetrate lungo il percorso di avvicinamento a Napoli per la riconquista del regno nel nome dei Borboni.  
Dopo una disperata resistenza al ponte della Maddalena e poi nei castelli della città, i patrioti scampati alle stragi operate dalle bande sanfediste e dai "lazzaroni" insorti ottennero una onorevole capitolazione (19-23 giugno), offerta dal Ruffo ma non accettata da Orazio Nelson (che aveva appoggiato con forze navali inglesi i Borboni) e dichiarata poi decaduta l’ 8 luglio dal re appena giunto a Napoli. 
Ebbe così inizio l’esecuzione dei patrioti napoletani, giudicati dalle giunte di Stato nominate da Ferdinando IV.
Punto centrale del convegno è stato il ritrovamento, da parte di Gianni Aiello, nell'Archivio di Stato della città dello Stretto di un atto notarile che riporta un primo elenco di persone che avevano partecipato alla spedizione sanfedista del 1799.
Il documento narra le vicende di un commerciante di Bagaladi , tale Domenico Molinari, proprietario di un'imbarcazione, una feluca, che utilizzava per il trasporto di olio a Trieste: ma in quel periodo non poteva esercitare la sua attività commerciale in quanto le coste della Dalmazia erano presidiate di francesi e da imbarcazioni corsare.
Questo testo inedito nella sua prima parte, come ha spiegato lo stesso ricercatore, riporta l'importanza di questo commerciante che partecipò all'assedio della città di Monopoli «... e per lo spazio di sei giorni, notte e giorno ...» .
Nell'ultima parte del documento si narra che il Molinari ebbe a consegnare dei cannoni ed a far liberare cinque marinai di Scilla nella città di Crotone, visto i buoni rapporti che aveva con lo stesso cardinale Ruffo, come è ben evidenziato nell'atto .

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11 novembre 1999