
La musica così come il cinema sono stati da sempre uno strumento  di denuncia sociale nei confronti di diverse problematiche universali, come,  nello specifico al tema relativo alla guerra.
  Pink Floyd, Stanley Kubrick,  Fabrizio De Andrè, Greta Garbo, Beatles, Mario Monicelli, George Brassens, Kirk  Douglas, U2, Ermanno Olmi, sono alcuni degli acronimi che si sono susseguiti  con lo scorrere del tempo lungo nel groviglio di sangue e  violenze ed abusi delle belligeranze.
  Esse hanno portato ovunque  lutti e distruzione e tali conseguenze, come nel caso del primo conflitto  mondiale, inghiottirono diversi territori in un inferno di fango e di sangue,  modificandone profondamente il corso della storia contemporanea. 
  Dalle note dei Rolling  Stones alle sequenze visive di Stanley Kubirck questi alcuni degli aspetti che  sono stati trattati nel corso della giornata di studi avente come tema “Le  canzoni, il cinema e la guerra”.
  Tale appuntamento rientra  nel programma quadriennale “1914-2014: il centenario della grande guerra”  organizzato dal Circolo Culturale “L'Agorà” e che per la valenza culturale di  tale percorso, il sodalizio reggino, ha ricevuto l'Alto Patrocinio  dell'Ambasciata d'Austria, della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca e  dell'Ambasciata di Ungheria.
  Il “grande massacro” del primo conflitto mondiale è  stato esaminato attraverso l'analisi di quelle storie che diversi musicisti e registi ci hanno raccontato facendosi interpreti  della triste eredità che le guerre con il loro carico di morte e sofferenze seminano  al loro passaggio. 
  Quindi un argomento che da sempre è stato un mezzo di denuncia nei  confronti delle atrocità scaturite dagli eventi bellici e per quanto riguarda  il primo conflitto mondiale (1914-1918) esso fu la causa di circa 16milioni di vittime tra militari e civili.
Dunque,  la musica ed il cinema sono stati i due argomenti narrativi al centro della  giornata di studi organizzata dal Circolo Culturale “L'Agorà” sul tema della  Grande Guerra.
Un  percorso, quello effettuato da Gianni Aiello, che ha analizzato una serie di  schede informative a riguardo alcune delle canzoni relative sia alla guerra sia  nei confronti di ogni altra forma di violenze e soprusi che nel corso dello  scorrere degli anni sono state realizzate da artisti di diversi generi musicali.
Il  tragitto narrativo ha interessato sia l'area del cantautorato come Brassens, De Andrè, Beaz, che altri luoghi musicali  come la musica rock con Led Zeppelin, U2, Pink Floyd, il country di Neil Young  ad altri generi come si è passati a quella di altri territori musicali come  Litfiba, Inti Illimani,Manowar. 
Il percorso cronologico esaminato da Gianni Aiello ha interessato un  arco di tempo dal 1861 al 2002 ed in questo periodo sono state analizzate  alcune canzoni di vario genere musicale attraverso un'analisi di appropriate  schede inerenti a tali tracce sonore.
Occorre però precisare che lettura a riguardo il tema affrontato da  Gianni Aiello non riguarda esclusivamente quelle canzoni inerenti al tema del  primo conflitto mondiale ma quella letteratura relativa alla guerra in genere e  ad ogni altra forma di violenza sia fisica che psicologica.
A riguardo Gustave Naudad sono state scelte “Le soldat de Marsala  “(1861) ispirata alla spedizione garibaldina e “Le Roi Boiteux“(1870) una satura politica nei confronti  di Napoloene III che subì una censura del periodo e che successivamente venne  interpretata da George Brassens.
E proprio al cantautorato Gianni Aiello  ha rivolto uno spazio considerevole nel corso del suo intervento, mettendo in  luce gli aspetti fotografie all'interno dei testi, dove si intrecciano micro e  macro storie, a volte vissute dagli stessi autori.
Come ad esempio quelle relative a Mario  Castelnuovo “Nina” (1984), Fabrizio De Andrè   “La guerra di Piero“(1964). A riguardo la poetica deandreiana, evidenzia  Gianni Aiello, c'è da registrare un buon numero di esempi come “Girotondo” ,  “La ballata dell'eroe”, “Maria nella bottega del falegname”, “Il testamento di  Tito”, “La collina”, “Fila la lana”, “Morire per delle idee”, “Andrea”, “Fiume  Sand Creek”.  
Rimanendo sempre negli ambiti della musica dei cantautori troviamo  Sergio Endrigo con “La guerra“ (1963) e successivamente con ”Canzone della  libertà” (1968) e soprattutto “Francesco Baracca” (1982) che narra gli ultimi  momenti di vita del famoso “asso dei cieli” deceduto il 19 giugno 1918 (Nervesa  della Battaglia, Treviso) a seguito di “...un colpo basso della fanteria...”.
Anche in questa traccia – prosegue Gianni Aiello – troviamo degli  aspetti simbolici ma anche una sequenza fotografica di diverse storie che sono  avvertite in diversi racconti dell'excursus argomentato, così come nel colloquio tra due soldati dalla divisa di diverso  colore de “La riva bianca, la riva nera” (1971) di Iva Zanicchi.
Altre narrazioni descrittive le  troviamo in “Generale” (1978) di Francesco De Gregori: un “susseguirsi  di fotografie narrative  inserite in un  album dai chiari riferimenti di alto linguaggio poetico”, così come con “Auschwitz (Canzone del bambino nel vento)“ (1964) e la “Primavera di Praga” (1970) di Francesco Guccini, “La libertà” (1973) di  Giorgio Gaber.
Oltre  ai temi cari alla letteratura del cantautorato italiano sono stati analizzati  gli aspetti relativi ad altri chansonnier che hanno  contribuito con i loro lavori ad intensificare i contenuti ed i valori di tali  messaggi di denuncia. 
Come  Joan Baez, Boris Vian “Le Déserteur  “(1954), Pete Seeger “Where  Have All The Flowers Gone“ (1956) che tra le tante interpretazioni annovera ,  tra le altre, quelle di Joan Baez e   Marlene Dietrich. 
Ma anche i lavori di Eric Bogle "The Green Fields Of France (No  Man's Land)" (1976) che dopo aver visitato i cimiteri di guerra francesi  nei primi anni '70, trasformò una canzone popolare scozzese in un commovente  dialogo con il soldato semplice William McBride. Forse Bogle fu ispirato da una  pietra tombale che aveva visto.
Interessante è stato anche lo sguardo dato al cantautore argentino León  Gieco autore di “Sólo le pido a Dios” (1978), una canzone che in primo momento  subì la censura da parte dal governo dittatoriale di Jorge Rafael Videla e  quattro anni dopo (1982), sempre dallo stesso regime venne dichiarata come  “canzone d'interesse nazionale per la pace”.
Rimanendo nella stessa area geografica non potevano mancare i manifesti  relativi a“El pueblo unido jamás será vencido“ (1970) degli Inti Illimani, una delle più note  canzoni legate al movimento Unidad Popular ed alla presidenza del Cile da parte  di Salvador Allende, morto nel tragico golpe cileno  del 1973. La canzone venne composta nel 1970 da  Sergio Ortega, musicista cileno facente parte del gruppo musicale Quilapayun.
Mentre “Guantanamera”, nata  prima come poemetto a cura di di José Martí Pérez (eroe nazionale cubano) che venne ispirato  dall'arresto del suo insegnante. Il testo venne musicato nel 1949 da Julián Orbón che  adattò alla musica il testo della poesia di apertura dei "Versos Sencillos" ("Versi Semplici"). Successivamente venne interpretata da diversi autori come  Pete Seeger, Josè Feliciano,Joan Beaz, Zucchero Fornaciari, Buena Vista Social  Forum. 
Altro  capitolo importante in questa letteratura – prosegue Gianni Aiello, spetta ad  un altro poemetto intitolato "La canzone di una giovane  sentinella", che venne scritto nel 1915 da Hans Leip, poco prima di  recarsi al fronte nei Carpazi, sempre nello stesso anno ed il testo venne  musicato nel 1937 da Norbert Schultze e passato ai posteri come “Lili Marleen“. 
Tale canzone venne mandata in onda il 18  agosto del 1941 andò in  diffusione sulle frequenze di Radio Belgrado nel programma "Soldatensender  Belgrad".
Captata anche dagli eserciti avversari,“Lili Marleen” divenne la  canzone più nota e preferita dei soldati di entrambi gli schieramenti, che la  cantavano in tedesco o nella propria lingua. 
Una canzone, insomma, che riuscì a unire migliaia di persone che  stavano combattendosi accanitamente. una canzone universale di fratellanza di  soldati che condividevano lo stesso terribile destino. 
Il simbolismo in tale percorso musicale ha avuto una fettarilevante che  non ha interessato – continua Gianni Aiello-solamente il mondo del  cantaurorato, ad esempio il significato dei fiori come il papavero (De Andrè) o  la rosa bianca (Sergio Endrigo o nel testo di “Guantanamera”)  ma anche altri aspetti come quelli riferiti a “Proposta (Mettete dei fiori nei  vostri cannoni)“ (1964) del complesso milanese dei Giganti.
Una canzone contenuti simbolici “mettete dei fiori nei vostri cannoni”  i cui contenuti si vedranno in altre situazioni storiche, come ad esempio la  “Rivoluzione dei garofani“che pose fine alla dittatura di Salazar in Portogallo  il 25 aprile del 1974. 
A tal proposito di ricorda che l'acronimo dato alla “Rivoluzione dei  garofani” derivò da un'azione di una fioraia che nella capitale lusitana regalò  dei garofani ai militari che a loro volta l'inserirono nelle canne dei loro  fucili.
La  guerra del Vietnam ha una letteratura musicale di un certo livello creativo  come ne sono testimonianza diverse stesure sonore che si sono succedute con il  trascorrere del tempo come “Masters of  War“(1963) di Bob Dylan, “C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i  Rolling Stones” (1966) di Gianni Morandi, “Street Fighting Man” (1968) dei  Rolling Stones, “War Pigs“  (1970) dei  Black Sabbath, e successivamente (1971) il gruppo di Birmingham incideva  “Children of the Grave”, oppure “Violence and Bloodshed” (1987) dei newyorkesi  Manowar: queste, naturalmente, alcune delle stesure sonore che riguardano il  capitolo Vietnam.
Alla rivoluzione dei sopra citati Stones  di ”Street Fighting  Man” (1968) fa eco, sempre nello stesso anno “Revolution” dei Beatles, una  canzone dagli intenti diversi dove: « Dici di volere una  rivoluzione,ebbene, sappi,che tutti vogliamo cambiare il mondo. Ma quando parli  di distruzione,ebbene, sappi che non puoi contare su di me »
Gli anni dei '60's si chiudono con un  altro manifesto di non violenza e nello specifico “Gimme  Shelter” (1969) dei Rolling Stones.
Gli anni settanta registrano altre icone  come “Imagine” (1971) di John Lennon che poggia sull'asse letteraria della  fratellanza universale ma anche le speranze di una intera generazione rivolte  ad un mondo senza guerre. 
In quegli anni - prosegue Gianni Aiello  – viene analizzata la questione irlandese da parte di Paul Mc Cartney che  insieme al suo nuovo progetto musicale con i Wings, realizza nel 1972 “Give Ireland Back to the Irish” (1972),  rifacendosi alla drammatica “domenica di sangue” di Derry (Irlanda del Nord)  del 30 gennaio dello stesso anno, dove a seguito di una pacifica manifestazione  vengono uccise quattordici persone e diversi civili furono feriti da parte  dell'esercito britannico.
Sempre a tal proposito, John Lennon nello stesso anno incide a New York  “Sunday Bloody Sunday” e nel 1983 gli U2 incisero un'altra canzone sempre con  lo stesso titolo, anche se con situazioni musicali completamente diverse.
I '70's registrano “Cortez the Killer” (1975) di Neil Young, canzone  che venne censurata in Spagna durante la dittatura di Francisco  Franco,"Bohemian Rhapsody" (1975) dei Queen, la vittoria delle forze  del bene su quelle del male da parte dei Led Zeppelini in “The Battle Of Evermore“  (1971)con chiari riferimenti alla letteratura di tolkieniana memoria, di cui  Robert Plant è un grande estimatore.
Nel corso della relazione a cura di  Gianni Aiello è stato ricordata  la  figura di Francesco Di Giacomo, cantate del gruppo prog del Banco del Mutuo  Soccorso che nel 1972 incideve “R.I.P” (musica: Vittorio Nocenzi / testo: Francesco Di  Giacomo, Vittorio Nocenzi).
Anche in questo caso – evidenzia Gianni Aiello – ci troviamo di fronte  ad una serie di fotografie narrative che riportano alla mente quella  letteratura classica che Omero e Virgilio ci hanno tramandato:lance rotte,  polvere, carri, cavalli, rumore delle armi, il silenzio: tutti elementi cari  alla narrativa epica. Il testo è il racconto della guerra e delle sue fasi più  cruente della stessa: tali situazioni vengono narrate dagli occhi di un soldato  deceduto su un campo di battaglia. 
“R.I.P.” è un manifesto contro le violenze e gli abusi della guerra che  non fa vincitori ma solo vinti.
Una  menzione particolare è stata rivolta da parte di Gianni Aiello ai Pink Floyd ed  ad alcune delle sue canzoni che narrano le vicende belliche e  nel contempo raccontano le vicende personali  della famiglia Waters: infatti il padre di Roger (bassista e cantante dei Pink  Floyd) Eric Fletcher (ufficiale britannico) morì durante le operazioni militari  di Aprilia (Roma) del 18 febbraio del 1944 ed il cui corpo non venne mai  ritrovato.
Questa  tragedia familiare è stata tributata in diverse trasposizioni musicali dei Pink  Floyd come in “Free Four”,(Obscured by Clouds 1972); “Us and Them”, (The Dark  Side of the Moon,1973);”Another Brick in the Wall”, (The Wall ,1979); “When the  Tigers Broke Free”, (The Wall,1982), “The Final Cut” (1983) ed anche in”The  Ballad of Bill Hubbard”, (Amused to Death,1992), album  solista di Roger Waters.
Dopo i Pink Floyd, Gianni Aiello ha riportato altre cifre a riguardo la  produzione discografica degli '80's come “Enola Gay”,(Organisation, 1980) degli  OMD (Orchestral Manoeuvres in the Dark); “For Whom The Bell Tolls”, (Ride the  Lightining, 1984) dei Metallica che prende spunto dal romanzo omonimo Ernest  Hemingway. 
  Nel 1985 il gruppo fiorentino dei Litfiba realizza l'album  “Desaparecido” con l'omonima traccia che narra una delle pagine più drammatiche  del novecento causate dal regime militare di Jorge Rafael Videla Redondo. 
  Sempre nello stesso lavoro è inserita “Eroi nel vento” […guerre di eroi, tradite senza pietà, e svanite nei  secoli...] 
  Nel 1992 è la volta dei Ramones che in “Censorshit” narrano di altre forme di  violenze e nello specifico quelle relative alla libertà di espressione, ma  anche del difficile ritorno alla vita  normale dei reduci di guerra, prigionieri dei loro incubi in “Fortunes Of War”  (The X Factor,1995) degli Iron Maiden  e sempre la stessa band che narra della  doppia realtà del soldato di ventura in “The Mercenary” (Brave New World,2000)  […pagato per uccidere, muori per aver perso ...cacciato e cacciatore quale  tu sei...]
  La  panoramica a cura di Gianni Aiello sul tema argomentato nella giornata di studi  ha riguardato “Self Evident” (So Much Shouting, So Much Laughter, 2002) di Ani  Di Franco , canzone scaturita a seguito della tragedia dell'11 settembre del  2001.
  A  tal proposito la cantautrice di Buffalo, nota anche per il suo impegno nel sociale,  ebbe delle ripercussioni a riguardo quella “carica di vergogna” che ella  manifestò in quell'occasione nei confronti del suo Paese con chiari riferimenti  al presidente statunitense George W  Bush e tali intendimenti fungono da anello di congiunzione con la successiva  stesura sonora “The War On Errorism”dei californiani NO FX.
  Un album composto da quattordici tracce caratterizzate da un forte  manifesto comune di denuncia nei confronti della politica governativa del  presidente Bush.
  Il percorso effettuato da Gianni Aiello, rappresenta la classifica  punta dell'iceberg – come lo stesso ha evidenziato nelle sue conclusioni- di  canzoni che se pur scritte in momenti storici differenti, rappresentano una  testimonianza sempre attuale a riguardo la guerra ed a ogni tipo di violenza,  quindi un momento di riflessione a tal riguardo.
  Nella seconda parte della giornata di studi sono stati trattati alcuni  degli acronimi appartenenti al mondo del cinema a cura di Tonino De Pace come  Stanley Kubrick, Mario Monicelli, Kirk Douglas, Greta Garbo, Ermanno Olmi,  Charlie Chaplin: questi sono state alcune delle figure artistiche che hanno dedicato al  primo conflitto mondiale uno spazio indelebile sia sul grande schermo che su  quello televisivo.  
  A  riguardo la produzione filmica solo negli Stati Uniti vennero realizzati circa  2.500 pellicole nel triennio 1915-1918, di contro l'Europa ne produsse, secondo  le statistiche cinematografiche circa 400.
  Durante  il periodo bellico tale produzione aveva dei fini chiaramente propagandistici ed  in   Italia il primo film con preciso  scopo propagandistico fu Maciste alpino del 1916 di Giovanni  Pastrone, che in realtà si chiamava Pietro Fosco e che aveva già realizzato il  colossal Cabiria. Il film è semplice e la funzione del forzuto dal cuore  d’oro, inventata da Gabriele D’Annunzio, è quella di fare da giustiziere degli  austriaci. 
  Parallelamente,  negli Stati Uniti, il genio di Charlie Chaplin realizzava nel 1918 Charlot  soldatoun sogno ad occhi aperti in cui il piccolo e debole Charlot  catturava il Kaiser. 
  Negli USA, nel 1925, viene prodotto La grande  parata, di King Vidor, film che ebbe un notevole successo, un  melodramma centrato sulla figura di un ricco che si arruola per la guerra,  ferito in Francia si innamora e sposa la donna che lo ha salvato. Forse c’era  in quel film un antimilitarismo puerile, ma era solo l’inizio.
  La brezza antibellica e pacifista, stava per  diventare un vento sostenuto e nel 1930 sarebbe uscito il pimo film europeo di  netto stampo pacifista. Si tratta di Westfrontdel tedesco Georg  Wilhem Pabst. 
  La storia è quello di un giovane soldato che giunge  in prima linea sul finire della guerra e viene accolto e protetto da tre  veterani. In verità il film vive più di accumulo di immagini che di una vera e  propria storia. Ma il suo potenziale pacifista e soprattutto l’orrore che  suscitava per la guerra con i corpi dei soldati ammassati e seppelliti vivi  nelle trincee ne fece un film proibito in Germania per molto tempo.
  Nello stesso anno, ma negli Stati Uniti un altro  film avrebbe segnato un altro punto contro l’idea bellica come risolutrice dei  contrasti tra paesi. Lewis Milestone avrebbe infatti realizzato in quell’anno All’ovest  niente di nuovotratto dal romanzo antimilitarista di Erich Maria  Remarque. È la storia di un gruppo di giovani studenti che, istigati dal loro  professore, si arruolano per la guerra. Presto scopriranno che gli eventi  bellici sono differenti dagli ideali per i quali sono partiti e nessuno di loro  tornerà.
  L’altoatesino Luis Trenker fu un regista, scrittore,  guida alpina, innamoratissimo delle sue montagne e autore e realizzatore di  molti film che hanno come sfondo e protagonista proprio la montagna. La sua  esperienza di soldato proprio durante la prima guerra mondiale fu in parte  riversata in un romanzo che nel 1931 diventò un film con lo stesso titolo del  libro: Montagne in fiamme. Una storia di eroismi che vede la  montagna come simbolo universale di fratellanza. Il film è interessante perché  la cultura del suo autore è vissuta a cavallo tra le due parti contrapposte e  il suo film, come molti altri di cui stiamo ricordando i temi, non rinuncia ad  una idea di solidarietà senza barriere e confini fondando queste riflessioni  sulla propria diretta esperienza personale. 
  Mentre Westfront di Pabst costituisce un  pamplhet contro gli orrori della guerra e il conflitto resta centrale e  protagonista assoluto della vicenda, capita che a volte la guerra, nel cinema,  diventi solo lo sfondo delle storie private e magari il corso di quegli  avvenimenti modifichi le vicende personali o ne condizioni il loro evolversi. è ciò che accade ai due amanti di Addio  alle armi, nella riduzione del famoso romanzo di Hemingway che Frank  Borzage realizzò nel 1932. La melodrammatica storia dei due amanti sul fronte  italo – austriaco è quella che conosciamo dal racconto del grande scrittore  americano e l’impegno profuso diede i suoi risultati anche se il finale dovette  essere adattato per esigenze di censura e scomparve, ad esempio, la disfatta di  Caporetto. Nel 1957 sarebbe stata fatta un’altra versione del romanzo girata da  Charles Vidor interamente in Italia.  
  La grande illusione, 1934, di Jean Renoir era il film che ci si  aspettava perché facesse da capostipite al cinema antimilitarista e pacifista.  Un film che sconta il suo essere avanti rispetto ai tempi e che tra le sue  righe cancella ogni inimicizia tra i popoli a vantaggio di una solidarietà  autentica. Tanto autentica che Renoir non dimentica che sono le differenze di  classe a condizionare gli eventi o comunque a dargli un volto preciso. La  storia è quella di due soldati dell’aeronautica francese che abbattuti su  territorio tedesco troveranno due modi diversi di essere trattati a seguito  delle loro appartenenza all’aristocrazia o meno. Troveranno entrambi il modo di  salvarsi per un ultimo gesto di solidarietà “nemica”, ma Renoir non usa la  facile retorica di un pacifismo universale che non tenga conto delle differenze  sociali. Il film non piacque al regime fascista e alla Mostra del Cinema di  Venezia il Leone d’Oro quell’anno andò a Carnet da ballo, ma il film di  Renoir resta una delle pietre miliari del cinema mondiale e non manca in  nessuna storia del cinema che voglia attraversare e raccontare il tempo passato  guardando il mondo com’è l’ha guardato il cinema.
  Sempre dalla Francia, in quegli stessi anni, era il  1938, arrivava per la regia di Abel Gance J’accuseuna sorta di  seguito di un film precedente che lo stesso regista aveva girato anni prima. In  Italia avrebbe avuto il titolo di Per la patria. Un film che si divide  tra fantascienza e fantapolitica ante litteram, ma che ha il pregio di  essere “sincero e carico di un lirismo barocco e apocalittico” come ebbe  a dire lo storico del cinema e sceneggiatore francese Jacques Lourcelles.
  In Italia nel 1936 Goffredo Alessandrini aveva girato Cavalleriacon una giovanissima Anna Magnani e con quello che  sarebbe divenuto il divo di quegli anni Amedeo Nazzari qui alla sua seconda  interpretazione. Un film elegante e che fa della sobrietà uno dei tratti  distintivi, ma siamo ancora al racconto di una storia d’amore impossibile con  la guerra sullo sfondo. 
  Capita che certi film, pur pregevoli, quanto meno  per la storia che raccontano, siano dimenticati e questo è accaduto per La  storia d’Edith Cawell diretto dal regista e soprattutto produttore irlandese  Herbert Wilcox. Il film narra la vera storia di una infermiera che in Belgio,  durante il conflitto mondiale, aiutò molti soldati, di entrambi le parti in  guerra, a fuggire. Per questo venne giustiziata dai tedeschi e oggi è venerata  dalla Chiesa Anglicana.
  Del 1941 è Il sergente Yorkdiretto da  Howard Hawks un regista che conosceva il cinema, i suoi meccanismi spettacolari  e che ha sempre realizzato un cinema autenticamente spettacolare, lavorando  intensamente sui generi e rivolgendosi alla scrittura come mezzo essenziale di  costruzione della messa in scena. Il film ebbe dieci candidature all’Oscar, ma  ne vinse due soltanto e una andò al suo interprete che era Gary Cooper. La  storia è quella del giovane contadino con una mira eccezionale, eroe controvoglia  in una guerra di cui non riconosce i principi per le sue convinzioni religiose.
  Girato nel 1946, ma uscito sugli schermi nel 1951, è  il film Senza bandiera  dell’avellinese  Lionello De Felice, un dignitoso artigiano del cinema e della televisione dedicatosi  ai generi popolari e questo film segna il suo esordio alla regia. La storia è  quella di uno scassinatore provetto assoldato dall’esercito italiano per  sottrarre documenti agli austriaci. Un film per il quale si apprezza il  mestiere dell’esordiente regista e che vive sui principi di un patriottismo che  non è mai fuori registro o sensazionalistico.
  Riccardo Freda è stato un altro dignitosissimo  artigiano del cinema la cui prolificità si è manifestata in numerosi generi che  hanno fatto popolare il nostro cinema. Nel 1952 si è cimentato nel melodramma  ambientato durante gli anni di quella prima guerra mondiale. Con La  leggenda del Piave, storia di una coppia con lei fervente patriota e  lui che va in guerra per i suoi affari illeciti, il regista avrebbe dato il suo  contributo ai temi sviluppati attorno a quegli eventi, ma Freda avrebbe firmato  migliori produzioni e il film va ricordato perché la guerra resta in qualche  misura protagonista per le influenze che ha sulle relazioni tra i personaggi. 
  Due film avrebbero segnato il 1957 e sono Addio  alle armi di Charles Vidor e Orizzonti di gloria di  Stanley Kubrick. Sul primo non c’è molto da dire non solo perché fu un fiasco  al botteghino, il che nella storia del cinema non ha particolare significato,  ma soprattutto perché il film, girato in Italia tra il Friuli e il Lago  Maggiore e cioè sul teatro di guerra descritto dal romanzo, non restituisce il  respiro della storia di Hemingway. I due attori italiani, Sordi e De Sica  superarono in bravura i loro colleghi americani nella resa recitativa  nonostante i due si chiamassero Rock Hudson e Jennifer Jones, quest’ultima  moglie del produttore Selznick e va detto che carriera di quest’ultimo si  chiuse proprio con questo film. Tutto trova conferma se si pensa che De Sica  per questo film ebbe la candidatura all’Oscar per il migliore attore non  protagonista.
  Sul secondo, invece va spesa qualche parola. Non  solo perché fu realizzato dal regista americano considerato a ragione un genio  assoluto del cinema, ma perché pur essendo ambientato nel grande scenario della  prima guerra mondiale, come già per La grande illusione e, in genere  tutti i film con grandi qualità, la sua efficacia travalica la storia e i tempi  per diventare un’opera dal respiro universale e sempre attuale. Per Kubrick i  temi della guerra costituivano una ciclica riflessione. Il suo esordio fu Paura  e desiderio nel 1953 da poco tornato nelle sale; poi arrivò questo film,  nel 1957; nel 1963 fu la volta di Il dottor Stranamore e nel 1987 di Full  metal jacket. Un discorso ininterrotto quello di Kubrick sugli eventi  bellici. Il suo cinema sempre composto e ultimativo, anche su questo argomento  ha scandagliato ogni profilo e Orizzonti di gloria dimostra i suoi  principi che con un’atmosfera più metafisica e in forma di parabola umanitaria,  erano stati espressi in Paura e desiderio.
  Quando nella tarda primavera del 1959 Mario  Monicelli girava nel Friuli La grande guerra non avrebbe  immaginato che quel film sarebbe diventato uno dei più importanti del cinema  italiano e che non solo avrebbe vinto il Leone d’oro in quello stesso anno a  Venezia in ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellinie sarebbe stato candidato all’Oscar per il miglior film straniero. Forse il  segreto del film di Monicelli risiede nella capacità, unica e straordinaria di  mescolare con saggio equilibrio tragedia e comicità, satira e dramma e di fare  un ritratto autentico della vita e di un’Italia popolare prendendo due figure  tipiche ma non abbozzate o macchiettiscamente caratterizzate e che poi questa  vita in particolare sia una vita di guerra costituisce un profilo particolare  che merita qualche parola. 
  I suoi due protagonisti Alberto Sordi e Vittorio  Gassman rappresentano i volti degli italiani, le loro debolezze che sono anche  le nostre. Soldati spaesati in un terra non loro, spaventati e forse anche un  po’ codardi. Portare a casa la pelle era il loro unico scopo, eppure mostrano  alla fine il loro disinteressato eroismo, orgogliosi, ad un passo dalla  soluzione, ma anche dal necessario riscatto. Avremo per sempre nella memoria  Oreste Jacovacci e Giovanni Busacca, come i soldatini di piombo che difendono  le loro vite, ma pronti a morire quando l’offesa non è più sopportabile. Il  capolavoro di Monicelli è anche una lezione di etica, sfrondata da ogni  propaganda, un film profondamente onesto e profondamente italiano.
  Va ricordato, ma solo perché l’autore della storia  da cui è tratto il film è Ernest Hemingway, Le avventure di un giovanedi Martin Ritt del 1962. La storia di un giovane giornalista che si ritrova  in guerra e si innamora dell’infermiera che lo cura. Lei morirà durante un  bombardamento e al suo ritorno lui apprenderà del suicidio del padre. Un film  che è forse il peggiore del talentuso e progressista regista americano e che  vede la guerra come sfondo scenografico di un dramma tutto personale.
  L’americano e comunista Joseph Losey resta uno degli  autori più anomali del panorama mondiale. Originale e sensibile, il suo cinema,  un po’ come quello di Kubrick è molto vicino alla cultura europea, anglosassone  in particolare, piuttosto che a quella americana, dalla quale, in verità si  sentì sempre molto lontano. Nel 1964 il suo spirito pacifista, dopo l’allegoria  di Il ragazzo dai capelli verdi, tornava sui temi della solidarietà e lo  faceva guardando ai fatti della prima guerra mondiale. Per il re e per la  patriadel 1964 è da molti critici paragonato a Orizzonti di gloria,  proprio per la sua forma asciutta, un po’ brechtiana che fa trasparire la  violenza insita nelle situazioni senza che vi sia alcuna sequenza  particolarmente violenta. Un film per la gran parte girato in studio che  opprime ancora di più la visione e la cui cupezza è accresciuta dai sordi colpi  di artiglieria che si sentono in lontananza. Dentro questi ambienti angusti si  consuma la vicenda del soldato Hamp disertore per errore e fucilato per davvero  dai suoi stessi commilitoni destinati anch’essi a finire i loro giorni molto  presto. Un film sulla irragionevolezza delle regole militari applicate con  cinismo nella folle gloria del comando.
  Di tutt’altra fattura è La caduta delle aquiledi John Guillermin, 1965, un film biografico su un eroe dell’aviazione  della prima guerra mondiale. La caratteristica di Bruno Stachel, è lui l’eroe,  è che era di estrazione popolare contrariamente agli altri tutti appartenenti  all’aristocrazia. Il suo arrivismo gli farà però perdere la vita.
  È del 1969 uno tra i film più ignorati della  cinematografia italiana che abbia ad argomento i temi della prima guerra  mondiale e nel contempo i principi antibellici e antimilitaristi. Fräulein  Doktordi Alberto Lattuada racconta le vicende di Elisabeth  Schragmuller la spia tedesca che tanto filo da torcere diede agli eserciti  alleati. Un film dimenticato e a torto, costituendo, invece, una delle opere  migliori che siano state girate in Italia e che abbiano ad ambientazione il  primo conflitto mondiale. 
  Sul tema del pacifismo e soprattutto  dell’antimilitarismo non poteva mancare una commedia musicale. Ci pensò nel 1969, in pieni anni di  contestazione giovanile, un po’ come accadde per Hair di Milos Forman,  l’inglese Richard Attenborough con Oh che bella guerra!Una  beffarda satira antimilitarista che si avvaleva di un cast eccezionale e tra  loro Lawrence Olivier, Dirk Bogarde e Maggie Smith.
  Di ben altra fattura drammatica è invece un film del  1970 scritto e diretto da Dalton Trumbo il cui vero mestiere era lo  sceneggiatore, ma inseguì il progetto di portare sullo schermo questo film per  trent’anni e finalmente a 65 anni realizzò il suo desiderio. Il film si intitola E Johnny prese il fucile. È forse il film più dolente e doloroso  girato sulla guerra e nel quale il pacifismo e l’antimilitarismo sono  rappresentati dalla figura inerte di Johnny il cui corpo smembrato sembra  urlare a gran voce contro ogni guerra. La storia, infatti è quella di Johnny  che a causa di una cannonata perde gli arti superiori e inferiori, è ridotto  senza la parola ad un troncone in un letto e può comunicare solo attraverso gli  occhi. Il senso di impotenza e di costrizione di questo film è assoluto anche  per gli spettatori ed è accentuato dalla costruzione su due livelli: il  presente di Johnny (in bianco e nero) e il suo passato (a colori) tutto il  dolore nostro e di Johnny sembra solo lievemente alleggerito dal rapporto che  naturalmente si instaura tra il soldato e un’infermiera che lo assiste. Film  efficacissimo sotto il profilo del suo effetto sulle coscienze e altrettanto  invisibile agli occhi degli spettatori del nostro secolo.
  Anche l’Italia in quegli anni, era il 1971, avrebbe  dato il suo contributo alla causa pacifista e l’avrebbe fatto attraverso il  film di Francesco Rosi Uomini contro, nel cui cast sarebbe stato  chiamato Gian Maria Volontè, forse l’attore più simbolico di una certa cultura  antimilitarista di quegli anni. Film liberamente ispirato al libro di Emilio  Lussu Un anno sull’altipiano è la storia di uno studente interventista  che scopre la follia della guerra e soprattutto l’insensatezza di alcuni ordini  che vengono impartiti dagli alti ufficiali. Un film indubbiamente polemico che  fa del pacifismo e dell’antiautoritarismo una bandiera. Sceneggiato da Tonino  Guerra e Raffaele La Capria, il film non ebbe vita facile e come Orizzonti  di gloria, al quale anche per il suo contenuto viene spesso accomunato, fu  visto in sala solo qualche anno dopo la sua realizzazione.
  Negli anni 70 oltre al film di Rosi vanno citati Il  barone rosso di Roger Corman, 1971, maestro dell’horror che si cimenta  in un dignitoso film di guerra sulla figura del famoso e imbattibile aviatore  austriaco. Un film malinconico e semplice nella sua messa in scena secondo  l’estetica del maestro americano e che fu girato utilizzando i veri aerei  dell’epoca. Va citato doverosamente anche La battaglia delle aquile di Jack Gold del 1976. Un film altrettanto onesto e sincero, ambientato anche  questo sui cieli, ma qui la protagonista è l’aviazione inglese. Un’opera  fortemente critica nei confronti dei valori militari che confuta ogni comune  opinione sull’eroismo. Chiude il decennio degli anni settanta un film che  costituisce una nuova messa in scena del romanzo di Remarque e il cui titolo  ricalca ovviamente quello dell’opera letteraria. Niente di nuovo sul  fronte occidentale del 1979 per la regia di Delbert Mann. È una  trasposizione dignitosa e diligente del racconto, ma in fondo nulla di più.
  Gli anni spezzati – Gallipoli, del 1981 è un film dell’allora trentasettenne  regista australiano Peter Weir. Un racconto picaresco di amicizia spezzata  dalla guerra. L’episodio rievocato è quello dell’assedio del porto turco di  Gallipoli nel 1915 dove centinaia di soldati australiani furono massacrati  dall’esercito turco. 
  Nel 1982, con il registro da commedia che è più  congeniale ai registi italiani esce Porca vacca, per la regia di  Pasquale Festa Campanile. Il film vive sulla comicità delle situazioni e Renato  Pozzetto, che ne è il protagonista tira fuori il mestiere. Ma la guerra resta  sullo sfondo e insieme a lei molte altre cose.
  Sempre dall’Australia, per la regia di Simon Wincer  nel 1987 arriva Lighthorsemen: attacco nel desertoche ricorda un  avvenimento accaduto nel deserto durante la guerra ’14 – ’18 e che ha visto  l’esercito australiano impegnato contro quello tedesco nel nord Africa.  L’ennesimo ripudio della guerra qui è impersonato da una recluta che si rifiuta  di uccidere altri uomini anche a costo di soccombere.
  Cè un film davvero anomalo nel raccontare la prima  guerra mondiale. L’autore è il grande regista francese Bertrand Tavernier, il  titolo La vita e niente altro del 1989. Un’acuta e quanto mai  indiretta riflessione sulla guerra compiuta da un ufficiale che cerca un  disperso in guerra e dalla moglie di quest’ultimo. Da questa ricerca nascerà il  loro amore, ma il film resta un’invettiva per nulla banale o superficiale  contro l’inutilità di tutte le guerre. Dell’inglese Richard Attenborough, già  autore di Oh che bella guerra è Amare per sempredel 1996 tratto dal libro di Henry S. Villard dal titolo lunghissimo: In amore e  in guerra. Il diario perduto di Agnes von Kurowsky, le sue lettere e le lettere  di Ernest Hemingway. Il film insiste sul binomio amore e guerra e quanto  quest’ultima possa impedire e ostacolare le storie d’amore, privando molti  giovani dell’emozione dell’innamoramento.
  Bertrand Tavernier avrebbe rivisitato qualche anno  dopo La vita e niente altro i temi della guerra guardando ancora al  primo conflitto mondiale con un un film del 1996 dal titolo Capitan Conan.  Ambientato sul fronte balcanico sul finire degli eventi, dopo la resa della  Bulgaria il Capitano Conan porterà le sue truppe d’assalto in Romania contro i bolscevichi.  Un altro film che guarda alla guerra in modo trasversale, ma per questo  addirittura più originale e che ha lo scopo di denunciare gli orrori attraverso  i suoi devastanti effetti che incidono irreparabilmente sulle vite dei suoi  protagonisti. 
  Regeneration è un  film del 1997 dell’inglese Gillie MacKinnon. L’opera mette al centro della  storia due poeti ricoverati in un’ospedale per traumi neurologici causati dai  combattimenti. Un film composto, molto inglese, ma tutto sommato efficace nel  suo effetto finale non dissimile dagli altri sull’argomento.
  La battaglia della Somme del 1° luglio 1916 è  ricordata dagli storici della prima guerra come la battaglia più sanguinosa  combattuta dall’esercito britannico e da quello francese contro i tedeschi. Un  battaglia con un fronte di 40 chilometri che provocò circa un milione tra  morti, feriti e dispersi. Il sanguinoso evento è al centro del film La  trinceadel 2000 realizzato da William Boyd ghanese di nascita,  ma britannico per le sue origini. Un film pervaso dall’angoscia e dalla paura  dei soldati che vanno incontro alla loro fine su quello sterminato campo di  battaglia. 
  È del 2001 Il battaglione perdutoper  la regia dell’australiano Russel Mulcahy. Ambientato nelle Argonne sul finire  del conflitto, narra la storia di un battaglione americano che finito dietro le  linee nemiche resta intrappolato senza viveri e medicinali. Dei 600 soldati che  lo componevano, torneranno meno di 200. Un film un po’ visionario e molto  originale che sceglie di mettere al centro la necessaria umanità dei soldati  protagonisti della vicenda realmente accaduta.
  Un altro originale racconto della prima guerra  mondiale è il film sempre del 2001 del francese François Dupeyron La  chambre des officiers. Tratto dal romanzo di Marc Dugain è la storia di  un giovane ufficiale costretto a ”guardare” la vita dalla sua stanza nella  quale trascorre i cinque anni della guerra a causa di una ferita subita durante  i primi giorni delle ostilità. Il protagonista si prepara alla vita mentre  infuria la guerra.
  Il cinema a volte ha bisogno di scenari veri per  mettere in scena le proprie finzioni e anche la prima guerra mondiale diventa  un set, uno scenario. Accade per Deathwatch – La trincea del maledel  2002. La guerra è un orrore in se e qui l’inglese Michael J. Bassett, attratto  dal genere horror, ha realizzato un film in cui le paure vere della guerra e  quelle costruite del genere cinematografico si accavallano. Non è propriamente  un film su quella guerra, ma una metafora, come spesso accade nel cinema dell’orrore,  che in questa occasione riguarda ogni conflitto.
  Pieno di buoni sentimenti e non scevro da una  sottile retorica, benchè complessivamente efficace è il film di Christian  Carion Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia, del  2005 ispirato ad un avvenimento realmente accaduto. Sul fronte di guerra,  durante la notte di Natale, quando una cantante lirica intonerà le note di una  canzone per allietare le truppe tedesche, vedrà rispondersi in accompagnamento  dal suo collega scozzese al suono della cornamusa. Sarà l’occasione per i  soldati di incontrarsi e scoprire la propria umanità al di là di ogni  frontiera. I soldati francesi si uniranno e tra champagne e canti il sorriso  allieterà il loro Natale di guerra.
  L’americano Tony Bill nel 2005 realizza Giovani  aquile che narra la storia di un gruppo di giovani aviatori americani  entrati in guerra come volontari al fianco dei francesi prima ancora che gli  USA si interessassero al conflitto. Tony Bill è un cultore di quella guerra e  anche collezionista di cimeli e con questo suo lavoro ha voluto rendere omaggio  a quei giovani e al loro senso d’onore che li ha portati ad annullare ogni  differenza sociale ed etnica nei voli di guerra che hanno compiuto. Tutto  questo ne fa uno dei migliori film degli ultimi anni.
  Passchendaele del canadese Paul Gross è un film del 2008, ma racconta un famoso  evento bellico del 1917. Al centro della vicenda vi è una massiccia offensiva  delle truppe alleate canadesi e britanniche contro i tedeschi per occupare il  paesino di Passchendaele. Morirono 300.000 uomini stroncati anche dai gas  tossici dei tedeschi e la presa del paese si rivelò in fondo inutile.
  Nel 2011 Steven Spelberg realizza War horse ,  una storia di un’amicizia profonda tra un ragazzino e un cavallo. Il cavallo venduto  per sanare i debiti familiari finirà sulle prime linee della prima guerra  mondiale. Anche il ragazzo partirà per il fronte e uno dei suoi scopi sua sarà  la ricerca affannosa del suo cavallo ormai eterno amico. Un film dalla  struttura semplice che tradisce la voglia di favole anche dello Spielberg più  adulto e che fa ritrovare, grazie ad un cavallo, un poco di umanità nei luoghi  in cui le vite di giovani uomini si consumano inesorabilemente.
  Un ultimo film, in ordine cronologico, uscito di  recente in sala e che abbia come tema quello della guerra ’14 – ’18, si  intitola La montagna silenziosa, di Ernst Gossner. La storia è  quella di due giovani innamorati, lei italiana, lui sud-tirolese che si  conoscono e si innamorano alla vigilia del conflitto. Lui dovrà partire per il  fronte, ma le loro origini li contrapporranno e da innamorati si ritroveranno nemici.  Il film, girato sui luoghi altoatesini è anche un’analisi di quegli effetti  terribili che la guerra ebbe sulle popolazioni dei luoghi dolomitici dell’Alto  Adige a causa di ciò famiglie che prime erano amiche e solidali si trovarono su  fronti opposti e separati nei loro stessi villaggi.
  A questi film che sono stati prodotti per il cinema  si aggiungono anche i molti documentari di guerra che hanno tramandato, con le  loro immagini tremolanti e accelerate i visi dei soldati, i cannoni, le cime  innevate e le fatiche delle truppe. Ma ci sono anche gli sceneggiati realizzati  per la TV che hanno raccontato, usando termini più popolari, la guerra e le  vicende di quegli anni. Tra questi ricordiamo L’amore e la guerra di Giacomo Campiotti del 2007 miniserie televisiva con Martina Stella e Daniele  Liotti, Mino sceneggiato del 1989 realizzato da Gianfranco Albano  tratto dal libro di Salvator Gotta e soprattutto La sciantosa del  1971 per la regia di Alfonso Giannetti e con due interpreti di prim’ordine Anna  Magnani e Massimo Ranieri.
  Tutte queste opere offrono innegabilmente un  panorama ricco e variegato, un cinema che si è eticamente schierato dalla parte  di un pacifismo consapevole e ci si augura che tale percorso descrittivo, che  tale lunga scia di sangue descritta sia nella sfera musicale che in quella  cinematografica possa favorire a non ritenere la guerra come  qualcosa di inevitabile. 








Charlot in trincea, regia di Charlie Chaplin, (1918), Gran Bretagna; 
    Heart of the world (Il cuore della Terra), regia di David W. Griffith, (1918),USA;
    J'accuse, regia di Abel Gance, (1919),Francia; 
    I quattro cavalieri dell'Apocalisse, regia di Rex Ingram , (1921),USA;
    La suora bianca,regia di Henry King (1923),USA;
    La grande parata, regia di King Vidor, (1925), USA;
    Ali, regia di William Wellman, (1928), USA;
    Verdun,visioni di storia,regia di Léon Poirier, (1928),Francia;
    Arsenale, regia di Alexandre Dovjenko,(1929),URSS;
    Somme Germania,  regia di Heinz Paul, (1930),Germania;
    Westfront Germania, regia di Georg Wilhelm Pabst, (1930),Germania;
    Gli angeli dell'inferno,regia di Howard Hughs, (1930),USA;
    All'Ovest niente di nuovo (All Quiet on the Western  Front),regia di Lewis Millestone,  (1930),USA;
    Journey's End, regia di James  Whale,(1930),USA;
    Mata Hari,regia di George Fitzmaurice,(1931),USA;
    Berge in flammen (Montagne in fiamme),regia di Hartl – L.Trenker,(1931),Germania;
    Il compagno B (Pack Up Your Troubles),regia di George Marshall,Raymond McCarey  ,(1932),USA;
    Terra di nessuno, regia di Victor Travis,(1932),USA;
    Addio alle armi (A farewell to arms),regia di Frank Borzage,(1930),USA;
    Ero una spia, regia di Victor Saville,(1933),Gran Bretagna;
    La guerra lampo dei Fratelli Marx (Duck Soup ),  regia di Leo McCarey,(1933),USA;
    Stosstrupp 1917 Stati Uniti regia di Ludwig Schmid-Wildye Hans  Zöberlein,(1934),USA;
    L'angelo delle tenebre Stati Uniti regia di Sidney Franklin,(1935),USA; 
    Le scarpe al sole, regia di Marco Elter,(1935),Italia;
    Le vie della Gloria Stati Uniti regia di Howard Hawks,(1936),USA;
    Cavalleria , regia di Goffredo Alessandrini,(1936),Italia;
    La grande Illusione (La grande illusion),regia di Jean Renoir,  (1937),Francia;
    J'accuse, regia di Abel Gance (remake), (1937),Francia;
    La storia d'Edith Cavell, regia di Herbert Wilcox, (1939),Gran Bretagna;
    Il sergente York Stati Uniti regia di Howard Hawks, (1941),USA;
    Senza bandiera,regia di Lionello De  Felice,(1951),Italia;
  La leggenda del Piave,regia di Riccardo Freda, (1952),Italia;
  Orrizonti di gloria (Paths of Glory),regia di Stanley Kubrick,(1957),USA;
  Addio alle armi (A farewell to arms), regia di Charles Vidor,(1957),USA;
  La grande guerra, regia di Mario Monicelli,(1959),Italia;
    Le avventure di un giovaneregia di  Martin Ritt,(1962),USA; 
  Lawrence d'Arabia, regia di David Lean,(1962),Gran Bretagna;
  Per il re e per la patria,regia di Joseph Losey,(1964),Gran Bretagna;
  La caduta delle aquile (The Blue Max),regia di John Guillermine,(1966),USA;
  Oh che bella guerra!,regia di Richard Attenboroug,(1969),Gran Bretagna;
    I recuperanti,regia di Ermanno  Olmi,(1969),Italia;
  E Johnny prese il fucile,regia di Dalton Trumbo,(1970),USA;
  I recuperanti,regia di Ermanno Olmi,(1970),Italia;
  Uomini Contro,regia di Francesco Rosi,(1970),Italia;
    Von Richthofen and Brown (Il barone rosso),regia di  Roger Corman,USA,(1971);
    La sciantosa, regia  di Alfonso Giannetti,Italia, (1971);
  La Battaglia delle Aquile,regia di Jack Gold ,(1977),Gran  Bretagna;
  All'Ovest niente di nuovo (remake),regia di Delbert Mann  ,(1979),USA;
  Fraulein doctor,regia di Alberto Lattuada,(1979),Italia;
  Gli anni spezzati (Gallipoli),regia di Peter Wair,(1981),Australia;
    Porca vacca,regia di  Pasquale Festa Campanile,(1982),Italia;
  Mata Hari (un corpo da spiare), regia di Curtis Harrimgton,(1985),USA;
  Light Horsemen (Attacco nel deserto),regia di Simon Wincer,(1987),Australia;
  La vita e niente altro,regia di Bertrand  Tavernier,(1989),Francia;
  Mino (sceneggiato per la TV),regia di  Gianfranco Albano,(1989),Italia;
  Amare per sempre,regia di Richard  Attenborough,(1996),USA-UK; 
  Capitan Conan (Capitaine Conan),regia di Bertrand  Tavernier,(1996),Francia;
  Regeneration,regia di Gillies  MacKinnon,(1997),UK,Canada;
    La Trincea (The Trench),regia di  William Boyd,(1999),Francia-Regno Unito; 
  Il Battaglione perduto Stati Uniti regia di Russel  Mulcahy,(2001),USA; 
    La chambre des officiers,regia di François Dupeyron, (2001),Francia; 
  Deathwatch -  La trincea del male, Michael J.Basset,, (2002),Francia,Italia;
    Una lunga domenica di  passioni (Un long dimanche de fiançailles),di Jean-Pierre Jeunet  (2004),Francia;
  Joeux Noel (La tregua di Natale) regia di Christian Carion,  (2005),Francia;
  Giovani Aquile (Flyboys)  regia di Tony Bill ,(2006),Usa-Francia; 
  L'amore e la guerra (sceneggiato per la TV), regia di  Giacomo Campiotti,(2007), Italia;
  Passchendaele ,regia di Paul Gross,(2008),Canada;
  The  Somme from defeat to Victory,regia di Detlef  Siebert,(2009),Inghilterra;
  War Horse, Stati Uniti regia di Stephen  Spielberg,(2011),USA;
    La Montagna Silenziosa  (Der Stille Berg), (2013) regia di Erns Gossner,Austria;
    Torneranno i prati,  (2014), regia di Ermanno Olmi, Italia.