Il terzo e conclusivo appuntamento degli incontri estivi "Serate al Chiostro", organizzati dal Circolo Culturale "L'Agorà" ha avuto come tema una delle figure più significative del futurismo italiano e da queste cifre il titolo “Nel centenario della morte di Umberto Boccioni” .
La conversazione culturale è stata a cura di Antonino Megali, socio dell’Associazione organizzatrice che ha relazionato su uno personaggi che insieme a Filippo Tommaso Marinetti viene considerato tra i linguaggi  più significativi del futurismo italiano e che ha assunto un ruolo altamente significativo nella letteratura delle avanguardie artistiche. 
Da poco più di un mese - esordisce Antonino Megali - si è chiusa la mostra “Umberto Boccioni. Genio e memoria” ospitata dal Palazzo Reale a Milano per onorare Boccioni nel centenario della morte. La rassegna ha presentato disegni, dipinti, sculture, incisioni,fotografie, testi. Una della sue opere più importanti, La città che sale, del 1910, ispirata da un edificio industriale che si stava costruendo a Milano proprio davanti alle finestra del pittore, come di recente ricordava la storica dell’arte Elena Pontiggia si trova al Moma di New York. Infatti quando nel 1946 le figlie di Marinetti la misero in vendita, alcuni funzionari non vollero farla acquistare dallo Stato italiano. Secondo loro ancora il futurismo era sospettato di fascismo e quindi era meglio evitare… Peccato che l’artista fosse morto nel 1916 alcuni anni prima dell’avvento del fascismo.
Umberto Boccioni nacque il 19 ottobre 1882, per caso, a Reggio Calabria in via Cavour, da genitori romagnoli in una casa poi distrutta dal terremoto. Il suo nome fu imposto in onore al re Umberto I. Il padre era commesso di Prefettura,la madre sarta ricamatrice. La professione paterna obbligava la famiglia a continui trasferimenti. Poche settimane dopo la nascita sono a Forlì, poi a Genova e infine a Padova dove Umberto iniziò i suoi studi.
Dieci anni dopo segue il padre a Catania, mentre la madre e la sorella restano in Veneto. In realtà la scelta della madre era dovuta al fatto che il padre aveva un’altra relazione e forse anche per questo esisterà sempre un legame profondo tra l’artista e la madre, scelta spesso come modella. Nella città etnea frequenta l’Istituto tecnico. Al momento del conseguimento del diploma viene rimandato a ottobre perché insufficiente in tre materia: calligrafia, computisteria e, pensate un po’, disegno. Nel 1900 si trasferisce a Roma dove rimane sette anni con l’intenzione di seguire la via del giornalismo.
Poi qualcuno vedendolo disegnare per i giornali caricature e vignette, lo spinse verso il disegno e la pittura. Il padre, anche lui trasferitosi a Roma, lo manda a scuola da uno dei maestri italiani del manifesto pubblicitario: Giovanni Mataloni. Intanto conosce Gino Severini con il quale intreccia una profonda amicizia che durerà tutta la vita. Numerose le analogie nella vita dei due. Anche Severini è figlio di un dipendente della pubblica amministrazione, un usciere di Pretura; la madre è sarta e i due sono separati. Gino confida a Umberto di essere stato espulso da tutte le scuole del Regno per averne fatto di tutti i colori e di nutrire un grande amore per il disegno e la pittura. Insieme si iscrivono ad una scuola artistica, sezione Disegno pittorico. Qui studia anche architettura un giovane che lascerà traccia nella nostra Reggio: Marcello Piacentini.
Poi conosce Balla, dal quale dice di aver imparato in pochi giorni più che sei mesi di scuola. Solo che quando fa il ritratto ad una amica e lo paragona al ritratto fatto da Balla alla stessa persona, “c’è una bella differenza” dice e immediatamente lo cancella. Boccioni e Severini quando poi frequentano la Scuola Libera del Nudo conoscono Mario Sironi. Poi la fuga da Roma verso Parigi città che giudica straordinaria per il suo continuo movimento. A Parigi conosce Augusta Popoff, moglie di un funzionario governativo in missione a l’estero. A lei Boccioni darà lezione di disegno e poi accompagnarla in Russia. Qui il freddo gli è insopportabile e riparte pe l’Italia pagandosi il biglietto grazie al denaro donatogli da una società di beneficenza. Nei suoi Taccuini Futuristi alla data del 5 aprile 1907, Boccioni scrive:l’8 febbraio (stile russo) alla mia amica Augusta Petrovna è nato un bambino. Felicità a tutti e due. Su questo episodio ritorneremo alla fine. Negli anni seguenti a Milano conosce  Russolo  e Carrà. Il primo incontro con quest’ultimo rischia di finir male, dopo una critica negativa fatta a un quadro dello stesso Boccioni. Poi due incontri importanti e determinanti della sua vita: la Sarfatti e Marinetti.
Margherita Sarfatti racconta di aver conosciuto Boccioni”il pittore dal profilo tagliente e dall’incredibile foga” a una mostra nell’aprile 1909 alla Permanente. Osserva le opere trovandole ”per la maggior parte mediocri, a parte un’acquaforte con una vecchia che cuce”. Boccioni, osservandola, le è a fianco e le domanda:” le piace signorina?”.
Da notare che la signorina in questione è sposata con l’avvocato Cesare Sarfatti e ha tre figli. Margherita l’invita a colazione e dall’ora inizia tra i due una relazione. Ma la vera svolta nella carriera artistica inizia nel 1910 quando conosce Marinetti. Un incontro fugace tra i due c’era stato in occasione di una esposizione. Ma tutto si era risolto in un “molto piacere,Boccioni”, “ caro Boccioni, come sta? Lei è bravissimo!”.
Per Boccioni Marinetti è già un mito e vuole assolutamente conoscerlo. Ma a presentarglielo non è la Sarfatti come si può pensare che lo frequentava. E suo marito, fra l’altro era stato suo difensore nel processo intentato dal tribunale di Milano in occasione della pubblicazione del libro Mafarka il futurista. L’accusa era di oltraggio al pudore.
La Sarfatti temeva che dall’incontro tra i due  sarebbe stata lei ad essere esclusa. A farli incontrare sarà un vecchio amico di Umberto, il poeta Remo Mannoni, che ora si fa chiamare Libero Altomare, pseudonimo trovatogli proprio da Marinetti. In data 11 febbraio 1910, Boccioni firma il Manifesto dei Pittori Futuristi dove in conclusione si legge:” voi ci credete pazzi. Noi siamo invece i primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata.
Le stesse firme sottoscrivono nell’aprile 1910 il Manifesto Tecnico della Pittura Futurista dove si ribadisce l’importanza del dinamismo :tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura, quindi, deve essere rappresentata in movimento e le sue parti mescolarsi  con l’ambiente che la circonda.
Intanto i rapporti con la Sarfatti s’inclinano per una critica apparsa sull’Avanti contro i futuristi e lo stesso Boccioni per l’entusiasmo dimostrato verso Picasso . Li accusa di essersi arresi al cubismo e di provincialismo. Nell’estate del 1910 Marinetti organizza a Venezia una mostra per Boccioni: vengono esposti una quarantina di opere tra quadri e disegni anteriori all’amicizia con Marinetti. Il pubblico resta deluso. Ma è Soffici che sulle pagine de La Voce con acrimonia scrive:”Umberto Boccioni, l’incendiario, l’anarchico, l’ultramoderno Boccioni, è un saggissimo pittorello”.L’anno dopo la stroncatura diventa più pesante. Dopo aver visitato una mostra futurista scrive ancora su La Voce:” le opere rappresentate non rappresentano in nessun modo una visione d’arte personalissima come forse crede qualche intrepido gazzettiere. No. Sono anzi sciocche e laide smargiassate di pochi scrupolosi messere, i quali vedendo il mondo torbidamente, senza senso di poesia, con gli occhi del più pachidermico maialaio d’America, vogliono far credere di vederlo fiorito e fiammeggiante, e credono che lo stiaffar colore da forsennati su un quadro di bidelli d’Accademia, e il ritirare in piazza il filacciume del divisionismo , questo morto errore segantiniano,possa far riuscire il loro gioco al cospetto della folla babbea”.
A questo punto Boccioni decide di dare una lezione a Soffici. Va a Firenze con Marinetti, Carrà e Russolo e lo schiaffeggia nel Caffè delle Giubbe Rosse. Alla rissa che segue partecipano gli amici dei due protagonisti. Finiscono tutti al commissariato dove ricevono dal commissario solo un’ammonizione, “ per questa volta, ma solo per questa volta”.
I vociani, con in testa Prezzolini, sono del parere che l’aggressione sia restituita. La replica così avviene alla stazione ferroviaria di Firenze dove i futuristi stanno partendo per Milano. Soffici bastona Boccioni; Prezzolini ingaggia  un corpo a corpo con Marinetti.
Intervengono i carabinieri e li portano in caserma. Anche questa volta non ci saranno conseguenze legali. Poi accade un fatto sorprendente. Soffici, Boccioni e Carrà cominciano a discutere pacatamente, poi cordialmente,  tanto che il maresciallo li manda tutti a casa dopo aver redatto un semplice verbale.
Prima di addentrarci nel capitolo Grande Guerra, vediamo i rapporti intercorsi con Apollinaire e Sibilla Aleramo. Apollinaire, di origine italiana in quanto nato a Roma a Trastevere in occasione della mostra futurista a Parigi del 1911 aveva scritto sul “Mercure de France” mettendo in risalto più il taglio inglese dei loro abiti e la strana abitudine di Severini di portare calzini di due colori diversi(in quell’occasione il destro color lampone e il sinistro verde bottiglia). Aveva riconosciuto comunque in Boccioni il” teorico della scuola”. L’anno dopo insiste scrivendo: “ I futuristi hanno avuto finora idee più filosofiche e letterarie che plastiche”. Nel 1913 tocca a Boccioni attaccarlo su “Lacerba” perché ha sostenuto l’originalità del cubismo:” tonando a Apollinaire, anch’egli di sangue italiano, lo ringraziamo della tendenza che ha scoperto senza nominarne la provenienza futurista italiana. Questo è molto francese…” poi il poeta francese interviene all’inaugurazione di una mostra di sculture in gesso e Boccioni scrivendo ad un amico preciserà che Apollinaire è completamente riappacificato con me… dice che non vi sono più che io nella scultura moderna.
E dalle discussioni di Marinetti Boccioni e Apollinaire nascerà l’Anti Tradizioni Futuriste, il manifesto più futurista pubblicato da Lacerba. Lo scritto si divide in due: sotto la voce Mer--Da figura tutto quanto è da evitare: D’Annunzio, Rostand, Tolstoi, l’India, l’Egitto, la Teosofia e lo Scientismo, critici, pedagoghi, professori, musei.Sotto la voce Rose i pittori, gli scultori, gli scrittori che valgono .
L’elenco inizia con Marinetti, poi Picasso ,Boccioni, Apollinaire, Palazzeschi, Papini, Soffici. Manca uno dei veri amici di Boccioni:Sironi. Come è noto Apollinaire andrà in guerra e morirà di influenza spagnola a guerra finita.
Sibilla Aleramo ( Rina Faccio il suo vero nome), nasce nel 1876 ad Alessandria; come me diceva Marinetti, lei però ad Alessandria del Piemonte, io d’Egitto.Definita “errabonda” dall’amico Cecchi è autrice di un libro di grande successo:Una donna. Ha avuto parecchi amanti come Cardarelli, Cascella,Boine, Rebora, Campana, Evola, Parise, Quasimodo,Papini, Giovanni Cena scrittore e Vincenzo Gerace e non si sa quanti altri. Tanto che Prezzolini la definì poco elegantemente “lavatoio sessuale della letteratura italiana”. Sibilla aveva conosciuto Umberto più giovane di lei di sei anni, nel luglio 1913. Ricordando l’incontro avvenuto in una cena con altri futuristi.
Scriverà:” I miei occhi s’incontrarono con quelli di Boccioni ed ebbero e trasmisero una scintilla elettrica”.Se ne innamora sognando un rapporto sentimentale e intellettuale, pur non giudicandolo una grande bellezza. Infatti lo descrive così:” Occhi un po’ allungati e penetranti, carnagione olivastra. La bocca troppo grande incorniciata da due sgradevole rughe, il naso lungo e sottile, la fronte piatta su cui ricade qualche ciocca di capelli neri e lisci. Un insieme che può forse conferirgli un’aria torva ed equivoca. E a tutto questo si aggiunge un’espressione di sufficienza, da uomo insensibile”.
Per Boccioni Sibilla incarna quel tipo di donna che detesta e che definisce nel suo improbabile francese, “femme à écrire”e finisce col non sopportare più le sue lettere “da epistolario come si dice che i grandi scrivessero ai grandi”. Dopo tre giorni Umberto si allontana da lei. Il motivo è sempre lo stesso:”non vuole convivere con nessuna donna, non vuole sposarsi, vuole solo donarsi all’arte. E lo ribadisce in un passo di una lettera:”Tutte le donne che ho amato-adopero questa parola per intenderci- appartenevano ad altri. Non ho mai vissuto tre giorni insieme con una donna. Non ho quasi mai dormito con una donna”.Sibilla va a Parigi dove frequenta Rodin, Péguy e i fratelli Gourmont, ma non dimentica Boccioni.” Ma che idea, venire a Parigi per piangere questo calabrese!”,la rimprovera un’amica. E Rodin :” Ѐ sempre quel pittore della malora che vi rattrista signora Aleramo? Mi hanno detto che volevate morire. Guardate la vita, invece!” ma lei ancora spera.
Conoscendo l’ambizione del suo amato, prende lo spunto della pubblicazione di Pittura Scultura Futuriste per promettere a Boccioni l’invio del libro a D’Annunzio e organizzare una cena per farli incontrare. Boccioni, che da anni si diverte a prendersi beffe di lui, ne rimane affascinato anche se D’Annunzio si guarda bene dall’accennare al libro, alle avanguardie e tutto quello in cui sperava Sibilla.Anzi il Poeta rimprovera Boccioni di non fare abbastanza attenzione alle uova che mangiava, “preparate in maniere specialissima, una delle novantatré che si hanno in Francia di cuocere le uova”. Il desiderio di Sibilla non si è realizzato ed è avvenuta la rottura definitiva.
Scoppia la Grande Guerra. Boccioni e i suoi amici sono tutti per l’intervento e durante una manifestazione, lui, Marinetti ed Altri vengono arrestati. Durante l’arresto scrive alla madre in questi termini:”Mangio, bevo, dormo e leggo. Questo riposo ci voleva, però non durerà che qualche giorno”.
Con l’entrata in guerra dell’Italia partono volontari per il fronte nel luglio 1915 nel battaglione dei Volontari Ciclisti per passare poi in Trentino tra gli alpini. Marinetti pima respinto, si fece operare subito di ernia per essere dichiarato abile. Boccioni tiene un diario di guerra tra l’agosto e novembre 1915 dove oscilla tra  manifestazioni di paura, eccitazione e patriottismo.
Nel dicembre del 1915 fu congedato e durante la licenza approfitta per dipingere tele e tenere conferenze. Ma nel luglio 1916 viene richiamato alle armi. Ѐ sempre un convinto interventista, ma parte controvoglia.
Si era infatti innamorato di Vittoria Colonna moglie di Leone Caetani, con la quale passa alcuni giorni sul lago Maggiore. E poi la ripresa del lavoro di artista aveva raffreddato il suo entusiasmo verso la guerra. Da questa esistenza- scriverà- io uscirò con un disprezzo per tutto ciò che non è arte. Esiste solo l’arte.
Poi il fatale 16 agosto 1916. Insieme a degli ufficiali va a fare una passeggiata a cavallo. Gli danno una giumenta,Vermiglia, e promette di non separarsi dal gruppo. Si allontana però per raggiungere un amico. La cavalla spaventata da un autocarro lo disarciona. Boccioni resta con un piede impigliato in una staffa e batte più volte la testa sul terreno. Muore alle prime luci del giorno seguente 17 agosto. La madre appresa la notizia perde la parola per non riacquistarla mai più fino alla morte.
Prima tumulato nel campo comune del cimitero veronese verrà poi trasferito nel Cimitero Monumentale di Verona in un loculo accanto alla madre.Sul Campo di battaglia il 10 ottobre dello stesso anno muore Sant’Elia. Il 28 dicembre, inaugurazione a Milano,in via Manzoni, alla Galleria Centrale d’Arte,della “Grande Esposizione Boccioni pittore e scultore”. Sono esposte più di 400 opere (scultura,pittura,disegni,pastelli,guazzi). 
Per Aldo Palazzeschi la grandezza di Boccioni fu anche “nell’insegnare ai giovani ad essere giovani in un paese dove a quel tempo nei confronti dell’arte si nasceva ottuagenari”. Oltre alla madre e alla sorella Boccioni lascia un figlio, avuto da Augusta, la donna frequentata in Russia nel 1906, e alla quale nel passo che abbiamo citato fa gli auguri in occasione della nascita del bambino. Una fotografia del piccolo fu trovata nel portafoglio di Boccioni dopo la sua morte.
Fu chiamato Piotr di nome e di cognome Berdnikoff quello del marito della madre. Questa notizia, tenuta segreta per decenni, venne resa nota alcuni anni fa da Gino Agnese, uno dei maggiori studiosi dell’artista che l’inserisce in una nuova edizione della biografia di Boccioni. La madre del piccolo morirà in un sanatorio. Madre e figlio mantennero sempre i  rapporti con la sorella di Umberto, Amelia, che chiese pure di adottarlo, ricevendone un rifiuto dalla nonna materna. Dopo i vent’anni si trasferì a Parigi. Si rivolse poi a Gino Severini, il migliore amico di suo padre perché l’aiutasse a diventare pittore. Severini cercò di fargli da maestro, ma dopo averlo seguito per un po’ non convinto delle sue capacità, lo dissuase dal continuare. Morirà nel 1995.
Qualche curiosità ora sull’artista. Sappiamo che aveva preparato, tra il 1913 e il 1914, un suo Manifesto dell’Architettura Futurista costituito da otto fogli manoscritti a penna trovati poi da Marinetti. Naturalmente è espresso l’impegno di battersi conto l’architettura passatista con nuove proposte rivoluzionarie. Pertanto deve essere l’architettura del calcolo, dell’audacia temeraria e della semplicità; del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile, e di tutti quei surrogati al legno, alla pietra, al mattone che permettono di ottenere il massimo dell’elasticità e della leggerezza.
Boccioni ancora era intransigente nel sostenere che la fotografia non era altro che un’attività tecnica. Con altri membri del gruppo futurista nel 1913 firmò su Lacerba una nota molto dura:”Avviso. Data l’ignoranza generale in materia d’arte,e per evitare equivoci, noi Pittori Futuristi dichiariamo che tutto ciò che si riferisce alla Fotodinamica concerne esclusivamente delle innovazioni nel campo della fotografia. Tale ricerche puramente fotografiche non hanno nulla a che fare col Dinamismo plastico da noi inventato, né con qualsiasi ricerca dinamica nel dominio della pittura della scultura e dell’architettura”.
E in contrasto con Marinetti che voleva inserire Anton Giulio Bragaglia tra i futuristi, arrivò a scrivere a un proprietario di una galleria che esponeva opere futuriste per raccomandargli “ A nome degli amici futuristi, escludi qualsiasi contatto con la fotodinamica del Bragaglia. Ѐ una presuntuosa inutilità che danneggia le nostre aspirazioni di liberazioni della riproduzione schematica o successiva della statica e del moto”.
Ingenerosi i commenti della Sarfatti e di Prezzolini sulla morte dell’artista. Margherita scriverà nelle sue memorie che Umberto era morto “durante un’amorosa  vanità, sotto le finestre di una ragazza, mentre era in servizio militare a Verona,  l’anno 1916”. E pensare che proprio a lei quel 16 agosto Umberto scrive una cartolina.”I miei superiori sono con me di un’estrema cortesia” e continua “grazie a loro sono sempre a cavallo e ciò mi svaga un poco”. Prezzolini, dopo aver definito il suo fascino “irritante come la sua arte”, in data 4 ottobre 1916 scrive nel suo diario: “la morte è stata crudele con Boccioni, che è finito cadendo da cavallo: morte da fatto di cronaca.
Gli ha tolto la possibilità dell’eroismo”. In compenso lo vediamo collocato  da Maurizio Calvesi  al vertice dell’arte italiana del ventesimo secolo. E lo stesso critico sostiene che a differenza dei De Chirico, dei Morandi, dei Burri, Boccioni ha questo di profondamente diverso  e fascinoso:che sa, è vero, che cos’è l’arte, ma come un credente sa che cosa è Dio:” l’incommensurabile, il trascendente e,più che l’assoluto, il totale”.
ShinyStat
20 agosto 2016
la conferenza
R. DE CECCATTY,”Sibilla”, Mondadori, 1992;
“Umberto Boccioni” ,Taccuini Futuristi,Carlo Mancosu editore, 1993;
“I Futuristi” a cura di F. GRISI,Newton economici, 1994;
G. AGNESE, “Vita di Boccioni”, Camunia, 1996;
G. LISTA, “Le Futurisme: création et avant-garde”, Éditions L'Amateur, Paris, 2001;
C.TISDALL- A.BOZZOLLA, “Futurismo”, Rizzoli, Skira, 2002;
D. MEO, “Della memoria di Umberto Boccioni”, Mimesis, Milano 2007;
G. AGNESE, “Boccioni da vicino”, Liguori editore, 2008;
B. CORÀ, T. SICOLI, C. SONDEREGGER, (a cura di), “Omaggio a Umberto Boccioni”, Silvana, Cinisello Balsamo 2009;
R. FERRARIO,”Margherita Sarfatti”, Mondadori, 2015;
G. AGNESE, “Umberto Boccioni”,Johan & Levi Editore ,2016.