Diverse sono le figure che si sono battute per il trionfo della legalità, della giustizia, pagando, in molti casi con la vita per tali principi. Il Circolo Culturale „L'Agorà” ha inteso ricordare la memoria di questi protagonisti, organizzando  una conversazione sulla figura dell'uomo e del giornalista Mario Francese, vittima di mafia. Il tema affrontato dal sodalizio culturale rientra nel programma denominato „I giorni della civetta” ,  filo conduttore di una serie di incontri il cui titolo ricalca al plurale il romanzo che diede la fama a Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta”.
Da queste premesse il nuovo appuntamento dedicato al giornalista Mario Francese che venne ucciso a Palermo la sera del 26 gennaio 1979 per […] l’attività giornalistica svolta da diversi anni da Mario FRANCESE su temi che coinvolgevano "Cosa Nostra"[...] come sentenziato dalla Corte d'Assise di Palermo il 13 dicembre 2002. La lettura su Mario Francese si è basata sulla  figura dell'uomo e del giornalista Mario Francese, un cronista – come ricordato dal senatore Michele Figurelli nel corso  della seduta della Commissione parlamentare d'inchiesta del 26 gennaio 1999 - che […] si occupava soprattutto di cronaca giudiziaria: l’inchiesta, la ricerca, il far parlare i fatti erano la sua costante preoccupazione; la professionalità, quindi non il pregiudizio e l’ideologismo, né lo scoop ed il «velinismo»: questo è molto importante […] . Continua il parlamentare […] È una lezione di giornalismo che per me è di grande valore e credo che tale possa essere per tutti coloro che ritengono contenuto e valore essenziale della democrazia un’informazione indipendente, libera, critica non inquinata dal «velinismo» ma, per l’appunto, protesa al conoscere e al fare verità e giustizia […].
Dopo i saluti di Antonino Megali (socio del sodalizio organizzatore), la parola è passata a Gianni Aiello (presidente del Circolo Culturale „L'Agorà” che ha porto ai presenti i saluti da parte del Presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci e non per ordine d'importanza la testimonianza di Giulio Francese, figlio di Mario, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Sicilia.
Mario Francese fu in prima linea nell'analisi della sfera della malavita organizzata siciliana. Il suo fu uno dei primi esempi di «giornalismo investigativo». Questi alcuni de dati che sono emersi nel corso dell'incontro organizzato da Circolo Culturale „L'Agorà”, al quale ha partecipato il giornalista Fabio Papalia (direttore della testata on line Newz.it) in qualità di relatore che nel corso del suo intevento ha effettuato un excursus su questa nobile figura.
Mario Francese, nasce a Siracusa il 6 febbraio 1925, ucciso a Palermo il 26 gennaio 1979, è stato un giornalista siciliano vittima di mafia. Terzo di quattro figli, dopo il ginnasio si trasferisce a Palermo da una zia, sorella della madre, per completare gli studi liceali e poi iscriversi all’università, facoltà di ingegneria. Il suo primo contatto con il giornalismo è all’agenzia Ansa, dove negli anni Cinquanta entra come telescriventista. Trova spazio anche come giornalista, con la promessa di assunzione nell’organico redazionale, un impegno che però non verrà mantenuto. All’Ansa inizia a muoversi nel mondo dell’informazione, e presto diventa corrispondente del giornale «La Sicilia» di Catania, per il quale scrive di cronaca nera e giudiziaria. Cerca una stabilità economica e dal primo gennaio 1957 entra alla Regione Sicilia come «cottimista». Anche alla Regione mette in mostra le sue doti, e viene nominato capo ufficio stampa all'assessorato ai Lavori pubblici. Nell'ottobre del 1958 l'assunzione alla Regione diventa definitiva, e quindi una volta raggiunta la “sistemazione” economica il 30 ottobre dello stesso anno si sposa a Campofiorito, nel Corleonese, con Maria Sagona. Dal matrimonio nasceranno quattro figli maschi. Nel frattempo ha nostalgia di tornare sul pezzo, la collaborazione con l’Ansa va via via scemando, fino a quando nel febbraio 1960 si licenzia. Prosegue la collaborazione con “La Sicilia” ma alla fine degli anni Cinquanta gli si propone una grande occasione: Girolamo Ardizzone lo chiama al “Giornale di Sicilia”. Dopo qualche tempo gli viene affidata la cronaca giudiziaria, e in breve viene apprezzato e riconosciuto come uno dei più esperti conoscitori delle dinamiche mafiose. Nel 1968 la grande decisione: gli viene imposto di scegliere, o la Regione o il Giornale di Sicilia. Coraggiosamente si licenzia dalla Regione Sicilia e, ormai divenuto giornalista professionista, prende posto in trincea per raccontare i fatti di mafia. Si è occupato di tutti i principali delitti di mafia, dalla strage di Ciaculli, al processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Fu l'unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella. Nelle vicende di cui si è occupato ha cercato sempre di offrire una «lettura» diversa e più approfondita del fenomeno mafia. Mario Francese è un raro esempio di «giornalismo investigativo». Francese fu il primo a capire l'evoluzione strategica e i nuovi interessi della mafia corlenoese, individuati dal giornalista con lucida analisi negli intrighi della costruzione della diga Garcia. Raccontò, unica voce isolata, della frattura nella “commissione mafiosa” tra i seguaci di Liggio e l’ala moderata, definita “guanti di velluto”. Fu il primo a rivelare l'ascesa dei Corleonesi e a chiamare "commissione" il vertice della cupola. Non è un caso se Cosa Nostra ha tolto di mezzo per primo proprio lui. Il delitto avvenne la sera del 26 gennaio 1979 davanti casa di Francese, che stava rientrando dopo una giornata di lavoro, dove aveva salutato i colleghi con una frase che gli era tanto cara: “Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado”. Fu l’ultima volta che li salutò, aveva 54 anni. Il delitto Francese aprì la lunga catena di omicidi eccellenti decisa da Cosa Nostra. Sotto i colpi dei mafiosi caddero nel 1979 il segretario provinciale della Dc Michele Reina, il capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova. Nel 1980 la mattanza proseguì con il presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella. L’omicidio di Francese venne dimenticato, e l’indagine archiviata. Ci vollero 20 anni prima che lo Stato riconoscesse Francese come vittima di mafia, grazie soprattutto alla determinazione del figlio più piccolo di Francese, Giuseppe, che si spese durante tutta la sua vita per ottenere Giustizia in memoria del padre, e che terminate le vicende processuali il 3 settembre 2002 si suicidò appena 36enne, devastato dal vuoto incolmabile della perdita del genitore. Il processo di primo grado celebrato con rito abbreviato si conclude nell’aprile 2001, con la condanna di Totò Riina a 30 anni di reclusione, e la condanna per la metà della “cupola”. Ergastolo per Bernardo Provenzano, processato con rito ordinario. Così è scritto nella sentenza di primo grado, in cui si evidenzia che dagli articoli e dai dossier redatti da Mario Francese emerge «una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi, di interpretarli con coraggiosa intelligenza, e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità sulle linee evolutive di Cosa nostra, in una fase storica in cui oltre a emergere le penetranti e diffuse infiltrazioni mafiose nel mondo degli appalti e dell’economia, iniziava a delinearsi la strategia di attacco di Cosa nostra alle istituzioni. Una strategia eversiva che aveva fatto - si legge nelle motivazioni della sentenza - un salto di qualità proprio con l’eliminazione di una delle menti più lucide del giornalismo siciliano, di un professionista estraneo a qualsiasi condizionamento, privo di ogni compiacenza verso i gruppi di potere collusi con la mafia e capace di fornire all’opinione pubblica importanti strumenti di analisi dei mutamenti in atto all’interno di Cosa nostra». L’accusa regge anche in appello, la sentenza di primo grado viene confermata nel dicembre 2002. I giudici mettono nero su bianco che «con la sua morte si apre la stagione dei delitti eccellenti» e spiegano anche il perché: «Mario Francese era un protagonista, se non il principale protagonista, della cronaca giudiziaria e del giornalismo d’inchiesta siciliano. Nei suoi articoli spesso anticipava gli inquirenti nell’individuare nuove piste investigative». Francese quindi rappresentava «un pericolo per la mafia emergente, proprio perché capace di svelarne il suo programma criminale, in un tempo ben lontano da quello in cui è stato successivamente possibile, grazie ai collaboratori di giustizia, conoscere la struttura e le regole di Cosa nostra». Nell’appello dell’ordinario viene confermato anche l’ergastolo per Bernardo Provenzano. In Cassazione la sentenza del dicembre 2003 conferma i 30 anni di reclusione per Totò Riina. Nel 1993 è stato istituito un premio alla sua memoria, il Premio Mario Francese. Il premio viene assegnato periodicamente dall'Ordine dei Giornalisti di Sicilia.
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8 giugno 2018
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