
La ricercatrice Elena Pierotti di Lucca  vuol presentare con questa testimonianza  brevemente alcuni tratti del rapporto esistente tra Guelfi e ghibellini, perché  da toscana nelle sue ricerche storiche si è sempre trovata coinvolta in tali  processi. Si servirà di riferimenti a città toscane “minori”, ossia Siena, Pisa  Lucca ( la sua città). In quest’ultimo caso con alcuni accenni a situazioni che  si è trovata in prima persona ad esplorare; ma anche alla stessa Firenze. La  ricercatrice ricorda che il dottor Fabrizio Gabrielli parlando  di Siena sgombra il campo da alcuni luoghi comuni. Riporta perciò una  interessante narrazione del storico. La tradizione narra  che i nomi di guelfi e ghibellini ebbero origine in Germania nel XII secolo.  Ciò intorno al 1125 (gridi di battaglia tra i sostenitori della Casa di Baviera  e Casa dei duchi di Svevia. Ma l’accezione più politica si ebbe qualche anno  dopo, con i due partiti che si fronteggiarono autenticamente. Gli atteggiamenti  che ne derivarono, naturale retaggio della lotta per le investiture, non  riescono però a nascondere del tutto la fitta   trama di interessi feudali e dinastici che si addensano intorno alle due  grandi famiglie rivali. L’elezione di Federico I di Svevia, detto il  Barbarossa, a re di Germania nel 1152 segnò il trionfo della politica anti  ecclesiastica. Il suo atteggiamento conciliante verso la Casa di  Baviera voleva sopire la guerra la guerra in  Germania, per scatenarla con violenza in Italia, contro i due veri nemici  dichiarati del Sacro Romano Impero della Nazione germanica: il papato ed i  comuni, i quali dall’amicizia con il papa traevano la fonte delle loro libertà  conquistate soprattutto in campo commerciale ed economico. L’atteggiamento del  Barbarossa nei confronti dei comuni fu la miccia che scatenò una reazione a  catena nella società italiana del tempo, e la trasformazione dei due partiti  Guelfo e ghibellino da consorterie dinastiche elitarie come era avvenuto in  Germania a veri e propri partiti popolari, mobilitando il “popolo di mezzo”, la  borghesia, e di organizzare campagne di guerra contro città rivali.  L’intelligenza del Papa senese Rolando Bandinelli, Papa Alessandro III  (1159-1181) fu quella di saldare la propria lotta di interesse personale contro  il Barbarossa con quella di difesa a spada tratta delle autonomie locali dei  comuni che, se in un primo tempo non avevano assunto un vero atteggiamento anti  imperiale, in seguito il fondersi della lotta tra papato e Impero contribuirono  a determinare lentamente un prevalente orientamento Guelfo delle città  italiane. Firenze si disse e si  sentì Guelfa sia per essere stata dalla parte della Contessa Matilde e del  Papato durante la lotta per le investiture, sia perché Pisa era ghibellina  ottenendo dall’Imperatore quel Diploma del 6 giugno 1162 che la rese orgogliosa  e spronò verso nuove conquiste. A Firenze una disputa familiare per tradizione  accese la miccia tra Guelfi e Ghibellini: scontro tra i Buondelmonti con i  Fifanti, gli Uberti e i Lamberti. I comuni nell’Italia settentrionale e  centrale erano ormai pienamente sviluppati, con i loro organi costituzionali,  con le loro ricchezze e la lotta che l’Imperatore scatenò con scarsa conoscenza  della realtà del momento doveva finire fatalmente sconfitta. Certamente la  formazione delle fazioni cittadine è anteriore all’uso dei nomi Guelfi e  Ghibellini. Doveva derivare essenzialmente dai contrasti di famiglie, di  consorterie, di quartieri, favorita dalla mancanza di un potere superiore forte  e ordinato. Era già iniziato  dall’Italia settentrionale un altro movimento che doveva avere come conseguenza  la crisi e lo svuotamento dello stesso ordinamento comunale, a causa delle  lotte civili che stancavano le popolazioni e che doveva concludersi con la  caduta del Comune e con l’avvento della Signoria cittadina e regionale. Le  città italiane ondeggeranno tra l’una e l’altra parte. Solo alcune di esse,  come Pisa e Siena da una parte, e Firenze e Lucca dall’altra, rimarranno  tradizionalmente le une tenacemente Ghibelline e le altre prevalentemente  Guelfe. Pisa rivale di Genova, a sua volta legata agli Angiò e alla chiesa,  deve difendersi da Firenze che tende ad estendere il suo dominio fino al mare.  Firenze le cui mosse prendono origine dalle concessioni della Contessa Matilde  e dunque con legami romani. I maggiori banchieri fiorentini finanziatori del  papato. Un suo articolo  scritto e pubblicato sul sito www.storico.org,  dal titolo “Il Sacco di Lucca e la diaspora Templare” accenna ad alcune vicende  del periodo che riconducono nella sua città ai rapporti tra Guelfi e  Ghibellini. Anno 1314. Il Signore di Pisa Uguccione della Faggiuola in balia di feroci  discordie interne e di fazioni contrapposte, Guelfi Neri capeggiati dagli  Obizi; e i ghibellini, guelfi bianchi e fuoriusciti dall’altra, capeggiati dai  Bernarducci e dagli onesti, anche in Lucca, dopo un simulacro di accordo con  Pisa, finirà per cadere in mano al Faggiolano. Assalita e occupata il 14 giugno  1314, non senza il tradimento dell’esule fuoriuscito bianco Castruccio  Castracane degli Antelminelli e di una ventina di altre famiglie lucchesi,  Lucca sarà sottoposta ad uno dei saccheggi più rovinosi che la città abbia mai  subito nel corso della sua storia. Per l’occasione due giorni di devastazioni,  1400 case date alle fiamme, perduti per sempre tutti i documenti dell’archivio  pubblico del Comune, tra cui gli Statuti precedenti a quelli del 1308, e tutta  la documentazione relativa alla prima età comunale, e alla costruzione della  seconda cinta muraria a partire dal 1275. Non solo, ma sarà pure trafugato il  tesoro del Papa Avignonese Clemente V, custodito nella Sagrestia di San  Frediano, ammontante a un milione di Scudi. Scriverà il villani che la ruberia  fu “sì grande che mai uomo potrebbe dire”. La ricercatrice sostiene che ce ne sia già  abbastanza per raccontare le reali vicende dell’Ordine cavalleresco più  discusso, chiaccherato, vituperato e ammirato della storia dell’occidente.  Perché  qui se la versione ufficiale  vuole il tesoro custodito per metà in San Frediano e per l’altra metà in San  romano dove avevano sede i frati domenicani , peraltro confinanti con la  Magione templare lucchese. E che le truppe di Uguccione dimenticarono la parte  del tesoro in mano ai frati salvo poi ritornarvi in un secondo tempo a  riprendersela. Ed i lucchesi, che da allora in poi fecero defluire fuori molti  capitali e la città non si riprese più; per questo se la legarono al dito  accusando Castruccio che per l’occasione era fuori Lucca, di essere il responsabile  delle nefandezze. Castruccio, che di lì a poco sarebbe divenuto il Signore di  Lucca. La ricercatrice ha voluto perciò ipotizzare nell’articolo che  Castruccio, con possibili legami parentali in Lucca con famiglie afferenti  all’Ordine Templare medesimo, e che era stato al servizio di Filippo il Bello  re di Francia, avesse potuto “salvare” i membri dell’Ordine in quel periodo  sciolto, al punto che come scrive il dottor Mencacci in “Templari a Lucca”, con  prefazione del Professor Franco Cardini, qui i Templari anche dopo lo  scioglimento dell’Ordine continuarono a fare quanto facevano prima. De resto lo  storico Mencacci  nella sua pubblicazione  “Tamplari a Lucca” curata dal professore Franco Cardini, ricorda che i Templari  lucchesi erano sempre andati d’amore e d’accordo in città, stranamente, sia con  l’Ordine Domenicano che quello Francescano. E che gli orti della magione  Templare erano confinanti con quelli dei frati domenicani. La domanda che la  ricercatrice si pone è: confinanti o coincidenti?  Naturalmente chiede di considerarla come una  supposizione. L’episodio del sacco lucchese però bene  chiarisce i movimenti interni complessi che i guelfi e i ghibellini costruirono  sul territorio e quanto questi movimenti fossero essenziali in quelle dinamiche  politiche. In questo caso Firenze da ora in poi divenne la città dominante in  Toscana e Lucca relegata a ruolo di subordine, seppur sempre città Stato  indipendente. Castruccio Castracani  del resto, di cui ci parla ampiamente il Machiavelli, fu esempio fulgido di chi  seppe fare delle Signorie nascenti il sostituto di quella che era stata la  storia comunale italiana. In Italia solo la politica dell’equilibrio di Lorenzo  il Magnifico, seguita al superamento delle difficoltà medievali, potette  realizzare parzialmente un punto d’incontro comune, ma fragilissimo e perciò  mai ci fu una unificazione di fatto dell’intera penisola sotto un unico  sovrano. Quanto poi accadrà al momento dell’Unificazione politica della  Penisola rappresentò un compromesso e nulla più, con risvolti determinanti  andati perduti perché tenuti dai vincitori sotto silenzio. 
  




(1) F. Gabrielli, in rete su www.il palio.org, di Gabrielli (Guelfi e Ghibellini);
(3) P. Bini, “Sei miglia e contado”, Lucca Maria Pacini Fazzi. www.storico.org, “Il Sacco di Lucca e la diaspora Templare”, Elena Pierotti, marzo 2020.