


Proseguono  gli incontri relativi al progetto “Il centenario della grande guerra” a cura  del Circolo Culturale “L'Agorà”, presieduto da Gianni Aiello, che per la  valenza ed il significato di tale programma quadriennale 2014-2018 ha ricevuto l'Alto  Patronato delle Ambasciate di Austria, di Ungheria, della Repubblica Ceca e  della Repubblica Slovacca.
  Il primo incontro, organizzato dal sodalizio culturale reggino, dell'anno in  corso si basa sulla figura di Gabriele D'Annunzio e per tale iniziativa il  sodalizio culturale reggino ha ricevuto anche il patrocinio della Fondazione  "Il Vittoriale degli Italiani". 
  I  lavori della discussione culturale sono stati aperti dal presidente del  sodalizio reggino Gianni Aiello, che nella parte introduttiva ha ringraziando  tutti coloro che hanno collaborato a tale iniziativa e ringraziando per la  sensibilità dimostrata il direttore del quotidiano abruzzese “L'Opinionista”  Alessandro Gulizia e, non per ordine d'importanza il presidente della  Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” Giordano Bruno Guerrisia per il supporto dato all'incontro che all'alto significato dei  saluti che  il presidente della  Fondazione ha inviato al Circolo Culturale “L'Agorà”.
  I  contenuti della lettera in argomento sono stati letti da Gianni Aiello nel corso  del suo intervento: 
  “Nell'anno in cui in Italia e in tutta Europa si  organizzano manifestazioni a ricordo della Grande Guerra che vide fra i suoi  protagonisti Gabriele d'Annunzio, con grande piacere la Fondazione Il  Vittoriale degli Italiani ha patrocinato la vostra bella iniziativa che  vuole esplorare la sua figura non solo di letterato, ma uomo d'azione e di  soldato fra i soldati.
  Anche  il Vittoriale partecipa con proprie iniziative a queste celebrazioni  organizzando convegni -l'ultimo dei quali dal titolo Gabriele d'Annunzio e la  Grande Guerra tenutosi proprio a Gardone Riviera lo scorso mese di settembre  -promuovendo pubblicazioni e partecipando a mostre organizzate in Italia a  Trento, Modena, Roma e in Europa come quella che verrà inaugurata a Parigi  presso l'Istituto Italiano di Cultura.
  Desidero  salutare e ringraziare tutti voi che partecipate a questa iniziativa, saluto il  presidente del Circolo Culturale L'Agorà e saluto il relatore Antonino Megali.  Spero di tornare presto a Reggio Calabria, nella vostra bellissima città,  e come d'Annunzio in quell'occasione mi siederò sulla spiaggia, aspettando  Morgana, di contro le boe d'ormeggio, mangiando un limone o un cedro,e  infilando tra un morso e l’altro le conchiglie in un filamento d’alga.“.
  La parola è passata ad Antonino Megali, socio del  Circolo Culturale “L'Agorà” che ha relazionato sul tema "Gabriele  D'Annunzio e la Grande Guerra" 
  Sulle cause della  Grande Guerra - esordisce il relatore -  sono stati scritti migliaia di volumi con  responsabilità attribuite ora ad una potenza europea, ora all’altra. Lo storico  britannico Christopher Clark nel saggio “I sonnambuli. Come l’Europa arrivò  alla Grande Guerra” attribuisce le colpe a tutte le classi dirigenti europee, e  sono colpevoli perché si sono comportate come “dei sonnambuli, apparentemente  vigili e però non in grado di vedere, tormentati dagli incubi, ma ciechi di  fronte alla realtà dell’orrore che stavano per portare nel mondo”.
  Eppure pochi periodi  come quello precedente lo scoppio della guerra è stato ricco di fermenti  culturali. Lo ha dimostrato lo storico Florian Illies nel suo "1913. L’anno  prima della tempesta" l’Europa accoglie in quell’anno tutte le personalità  che faranno in seguito la storia e la cultura. A Vienna c’è Hitler e Stalin;  Spengler inizia a scrivere il Tramonto dell’Occidente; Sigmund Freud e Jung  troncano i rapporti, Proust pubblica il primo   volume della Ricerca. E poi ci sono Marcel Duchamp, Thomas Mann, Rilke,  KafKa, Coco Chanel, Camille Claudel, Musil e Virginia Woolf.
  E il nostro Gabriele  d’Annunzio dov’era in quel periodo? Superati già i cinquant’anni si era  rifugiato in Francia già dal 1910. L’aveva fatto per sfuggire ai creditori (pur  guadagnando moltissimo, conduceva una vita molto dispendiosa).
  La Nazione della  cultura, della raffinatezza, dell’eleganza lo accolse con entusiasmo. Il poeta  divenne quasi un francese e scrisse alcune opere nella loro lingua, ottenendo  la stima dei celebri artisti e scrittori. Anatole France disse un giorno di lui  “Doveva venire un poeta dall’Italia per insegnarci a scrivere in Francese”.
  In realtà da tempo  progetta un rientro in Italia e trova il momento favorevole con gli avvenimenti  bellici. Sin dal settembre 1914 il Vate pubblica sul ” Journal” un appello agli  italiani perché diventino alleati con la Francia :” Questa guerra non è un  semplice conflitto di interessi,  che  possono essere passeggeri e diversi o illusori…
  Ѐ una lotta di razze,  una contrapposizione di potenze inconciliabili, una prova  del sangue, che i nemici del nome latino conducono  secondo la più antica legge ferrea”.
  Quest’articolo,  ripreso poi in Italia dal Corriere dà il via ad una netta posizione  interventista. Nel maggio radioso è proprio il Vate a mettersi alla testa del  fronte
  favorevole alla  guerra. L’occasione per tornare in Italia gli viene offerta dalla Legione  Garibaldina. Peppino Garibaldi, nipote dell’eroe, gli propose l’intenzione di  sbarcare a Genova per creare un clima di mobilitazione a favore del conflitto. 
  Nello stesso  tempo,  il suo amico Ettore Cozzani lo  invitava ufficialmente ad inaugurare una statua dedicata ai Mille. Il ricordo  dell’Impresa dei Garibaldini doveva rappresentare la riscossa della Nazione e  l’inizio della rinascita. Intanto prima di partire per l’Italia si ritirava  ad Arcachon, dove il Governo di Parigi gli  aveva evitato il pignoramento dei suoi beni, dopo che aveva impegnato finanche  gli smeraldi donatigli dalla Duse. Qui preparò il discorso e scrisse l’articolo  La très amère  Adriatique, dove rivendicava  il possesso di quel mare che “ci appartiene per diritto divino e umano”. Il 5  maggio fu un vero trionfo. 
  Il suo discorso fu  accolto con un entusiasmo indescrivibile. Come conclusione aveva declamato un  rifacimento del Sermone della Montagna evangelico che vale la pena riportare:
  “O beati quelli che  più hanno, perché più potranno dare, più potranno ardere.       
  Beati quelli che  hanno vent’anni, una mente casta, un corpo temprato una madre animosa.
  Beati quelli che,  aspettando e confidando, non dissiparono la loro forza ma la custodirono nella  disciplina del guerriero.
  Beati quelli che  disdegnarono gli amori sterili per essere vergini a questo primo e ultimo  amore.
  Beati quelli che,  avendo nel petto un odio radicato, se lo strapperanno con le loro  proprie mani; e poi offriranno  la loro offerta.
  Beati quelli che,  avendo ieri gridato contro l’evento, accetteranno in silenzio l’alta necessità  e non più vorranno essere gli ultimi ma i primi.
  Beati i giovani che  sono affamati e assetati di gloria, perché saranno saziati.
  Beati i misericordiosi,  perché avranno da tergere un sangue splendente, da bendare un raggiante dolore.
  Beati i puri di  cuore, beati i ritornanti con le vittorie, perché vedranno il viso novello di  Roma, la fronte incoronata di Dante, la bellezza trionfale d’Italia.
  Romain Rolland nel  suo diario annota: Quest’uomo, che è la menzogna letteraria fatta persona, osa  atteggiarsi a Gesù. A non usare l’ironia è il professore Josef Hofmiller noto  scrittore che contro il discorso di Quarto pronuncia un attacco senza  precedenti contro  d’Annunzio :” E questi  strilloni italiani credono di dover difendere la causa della cultura contro noi  barbari? Non la conosciamo forse la loro cultura?(...) Si fa rappresentare nei  momenti più solenni della sua storia da uno sporco avventuriero letterario, da  un lurido pagliaccio il cui nome era pronunciato ancora un anno fa con sdegno e  disprezzo da ogni italiano dabbene, perché il suo proprietario era stato  costretto ad abbandonare l’Italia coperto d’ insulti e di vergogna. Ѐ lui che  tiene il discorso a Quarto; il vecchio caprone bela la beatificazione della  castità dei giovani, arringa dal balcone la plebe delirante, conferisce da pari  a pari con Salandra e Sonnino, è ingaggiato dal teatro Costanzi per tenere un  discorso di guerra; il magnaccia è ricevuto dal re, diventa cavaliere  dell’Ordine dell’Annunziata, e con ciò degno compare del re medesimo…”
  Dopo l’intervento del  poeta si moltiplicano in Italia le manifestazioni interventiste. L’attacco  contro Giolitti e la sua maggioranza non conosce sosta .G. d’Annunzio l’accusa  di tradimento e arriva persino ad incitare il pubblico ad ammazzarlo come lo  stesso Giolitti riporta nel suo diario. 
  Già da tempo non gli  erano stati risparmiati insulti e ingiurie. Per Prezzolini è” la canaglia di  Dronero “; per Gobetti una “nullità politica”; per Edoardo Scarfoglio è  jettatore; per Salvemini Il ministro della malavita. Ma d’Annunzio in fatto di  improperi ha più fantasia. Per lui diventa” il mestatore di Dronero”,”  intruglio osceno “, “ boia labbrone” per il quale “la lapidazione, l’arsione,  subito deliberate ed attuate, sarebbero assai lieve castigo “. 
  Rispolvera il  paragone già usato molti anni prima a “una mortadella di Bologna: mezzo asino e  mezzo porco” giusto ma irripetibile “per tema di offendere i bolognesi e due  bestie innocenti”. E ancora è un “lecca piatti e lecca zampe del Cancelliere  tedesco. Scoppiata la guerra vuole subito il battesimo del fuoco. 
  Offeso per non essere  impiegato scrive al Presidente del Consiglio di sentirsi addolorato stupito ed  offeso. Io non sono un letterato dello stampo antico in papalina e pantofole.  Io sono un soldato. Ho voluto essere un soldato, non per stare al caffè o a  mensa, ma per fare semplicemente quello che fanno i soldati.
  Il 7 agosto vola su Trieste.Fa  due giri sulla città diventando bersaglio dell’artiglieria austriaca, che però  non lo colpisce. Lancia bandiere italiane, e un messaggio ai triestini dove,  fra l’altro, è scritto :”Coraggio ,fratelli ! Coraggio e costanza! Per  liberarvi più presto, combattiamo senza respiro. 
  Nel Trentino, nel  Cadore, nella Carraia, su l’Isonzo, conquistiamo terreno ogni giorno. (…) Io ve  lo dico, io ve lo giuro fratelli: la nostra vittoria è certa. La bandiera  d’Italia sarà piantata sul Grande Arsenale e sul Colle di San Giusto. Coraggio  e costanza. La fine del vostro martirio è prossima”. 
  Continuerà i suoi  voli sempre per lanciare manifesti propagandistici su Grado e su Trento. Il  Governo austriaco irritato mette una taglia per la sua cattura. Il 16 gennaio  1916, ammarando bruscamente nelle acque di Grado con un idrovolante resta  ferito battendo la tempia destra e il sopracciglio contro una mitragliatrice.  Cerca di far finta di niente, ma poi guardandosi allo specchio riesce a vedere  solo la fronte del suo volto. Gli viene diagnosticata la perdita dell’occhio  destro per un distacco di retina .
  Terrorizzato si fa  trasportare a Venezia dove gli viene confermata la diagnosi e prescritta  l’immobilità al buio per lungo tempo. In questo lasso di tempo il poeta  scriverà il Notturno o Comentario delle tenebre. Bendato e immobile scrive su  strette liste di carta. Nell’Annotazione che accompagnerà il testo dice:”  Questo Comentario delle tenebre fu scritto, riga per riga su più che diecimila  cartigli. La scrittura è più o meno difforme ,secondo la sofferenza del male,  secondo la qualità delle visioni incalzanti”. 
  In realtà il Notturno  non viene scritto secondo i modi riportati, ma il poeta recupera i diari che ha  incominciato a scrivere all’inizio della guerra, purgandoli dalle “intimità  bizzarre” e rielaborati prima di essere consegnati all’editore. Per l’incidente  che gli aveva provocato la cecità chiese la causa di servizio e una medaglia al  valore rivolgendosi direttamente a Cadorna. Il Generale gli fece dare una  medaglia d’argento la qualifica di mutilato e invalido di guerra. Verso la fine  del 1916 d’Annunzio riprende, vinte le resistenze dei superiori, i suoi voli  bombardando impianti militari. Visto il poco risalto dato alle sue imprese  scrive ad Albertini lamentandosene e chiedendo una promozione, tanto più , che,  “Guglielmo Marconi da tenente è passato maggiore senza mai essere stato al  fuoco”.
  Nel 1917 l’America  entra in guerra. Per l’esaltazione scrive un’ode Per l’America in armi e manda  un comunicato ai giornali in cui fra l’ altro si dice :” Oggi per l’anima  d’Italia, il Campidoglio di Washington è diventato un luogo eccelso come l’arce  romana(…). Il gran popolo della bandiera stellata, alzandosi in piedi per  difendere lo spirito eterno dell’ uomo, oggi aumenta a dismisura la somma di  bellezza opposta al furore e al fragore della barbarie… Eravate una massa  enorme e ottusa di ricchezza e di potenza. Ed ecco vi trasfigurate in  spiritualità ardente e operante”.
  “Per Frate Vento che  non ci avverserà. Per Frate Focu che non ci arderà. Per Suor Acqua che non ci  annegherà “. 
  Declamando questi  versi partono 14 aerei la notte fra  il 4  e il  5 ottobre 1917 per le Bocche di  Cattaro. Tutti rientrano incolumi dopo aver bombardato i sommergibili austriaci  “ Scaricando tre  tonnellate di esplosivo  con visibili risultati”. In verità l’azione di Cattaro fu un fallimento  nonostante l’esaltazione del Vate che vive momenti di vera gioia “Quella gioia  di guerriero che non somiglia ad alcun’ altra e che poteva rimanermi ignota se  la sorte non mi avesse gettato nella guerra, dopo tanti anni di tristezza, alla  fine del mio vigore”.
  Ad ogni buon conto  l’impresa gli procurò una medaglia di bronzo per aver colpito- dice la  motivazione- con esattezza ed efficacia gli obiettivi navali, tornando con  tutti gli altri alla base, nonostante le deviazioni inevitabili per la  crescente foschia. Il fallimento fu tenuto nascosto e alcuni anni dopo il poeta  potrà affermare di essere stato l’unico a raggiungere Cattaro. La disfatta di  Caporetto di pochi giorni successiva, lo mobilita per una serie di discorsi ai  quali i giornali danno tutto lo spazio possibile. Resta famoso il motto” Non  piegare d’un’ugna”.
  Siamo nell’anno che  vedrà la fine della guerra.G. d’Annunzio lega il suo nome ad alti due celebi  episodi: la beffa di Buccari e il volo su Vienna. Tre Mas (motoscafi armati  siluranti) entrano nella baia austriaca di Buccari  e lanciano i loro siluri contro tre piroscafi  da carico ed uno passeggeri. I motoscafi ritornano dopo aver lasciato nella  baia alcune bottiglie con un messaggio scritto dal poeta:”In onta alla  cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri  la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza  nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia,che si ridono d’ogni sorta di  reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. 
  E un buon compagno,  ben noto –il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola  e di Cattaro- è venuto con loro a beffarsi della taglia”. L’azione non ha  nessuno effetto concreto ma per l’ardimento dimostrato ha una grande risonanza  in Italia. Così come avviene per il volo su Vienna. G. d’Annunzio con una  squadra di sette biplani sorvola Vienna e lancia sulla capitale quarantamila  volantini con un suo testo italiano e altre trecentocinquantamila con un testo  di Ugo Ojetti tradotto in tedesco. 
  Il messaggio del  poeta invita i viennesi alla resa: ”In questo mattino d’agosto, mentre si  compie il quarto anno della vostra convulsione disperata luminosamente  incomincia l’anno della nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce  all’improvviso come indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si  volge verso di noi con una certezza di ferro. Ѐ passata per sempre l’ora di  quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta. La vostra ora è  passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la vostra volontà  predomina. Predominerà fino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i  combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno , con una ebrezza che  moltiplica l’impeto. 
  Ma se l’impeto non  bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano  combattere dieci contro uno. (…) Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi  della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo  venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo,  nell’ora che sceglieremo”. Questo messaggio viene giudicato , rispetto a quello  di Ojetti pieno di retorica. Più pragmatico l’Ojetti :”Viennesi! Imparate a  conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a  tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della  libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.  Noi facciamo la guerra al vostro Governo nemico delle libertà nazionali, al  vostro cieco testardo crudele Governo che non sa darvi né pace né pane, e vi  nutre d’odio e d’illusione”.
  Anche Ferdinando  Martini critica il messaggio dannunziano e lo giudica privo di efficacia:”Quando  fece le sue prime prove come soldato,la gente, poco fidando nel suo valore o  nella sua bellica attività, disse:” Scriva e non faccia”. Ora io dico di lui,  dopo altre molte prove:” Faccia e non scriva”. 
  La guerra giunge  ormai al termine. La battaglia di Vittorio Veneto- cui d’Annunzio partecipò con  la sua squadriglia aerea San Marco- ne decretò la fine. Ma già in coincidenza  con l’inizio della battaglia sul Corriere compare il suo avvertimento:Vittoria  nostra non sarai mutilata.
  Il poeta si scagliava  contro Wilson, il “falso profeta” che negava Fiume all’Italia, sostenendo che  la popolazione italiana in quella città era solo un “nucleo isolato”. Ѐ quindi  contro  la pace e l’armistizio:” Sento  fetor di pace “, “che farò se scoppierà la pace? Come potrò vivere?” Questi  erano i pensieri che passavano per la sua mente fino a desiderare di farsi  frate. Egli pertanto voleva continuare a combattere , per conquistare Fiume e  la Dalmazia e anche d’impadronirsi di Roma per mettere fine a un Parlamento  moribondo. 
  Non volle recarsi a  Trieste e non gli dispiacque:” Quando i neutralisti e i disfattisti più  pestilenziali si fanno avanti e sono festeggiati come “padri della Patria “,  giova rimanere in disparte e in silenzio, come io faccio”. E ancora:” Non ho  mai sentito tanto profondo l’orgoglio di essere italiano: solo l’Italia era  pura, solo l’Italia era grande, e la conferenza della Pace sarebbe stata impotente  contro una nazione vittoriosa, anzi contro la più vittoriosa di tutte le  nazioni, anzi contro la salvatrice di tutte le nazioni.
  Per le ultime imprese  viene promosso a tenente colonnello e decorato con la medaglia d’oro, che gli  verrà consegnata dal Duca d’Aosta sul sagrato di San Giusto nell’aprile 1919  con la motivazione: Volontario e mutilato di guerra, durante tre anni di aspra  lotta, con fede animatrice, con instancabile opera, partecipando ad audacissime  imprese in terra, sul mare, nel cielo, l’alto intelletto e la tenace volontà  dei propositi, in armonia di pensiero e d’azione, interamente dedicò ai sacri  ideali della Patria, nella pura dignità del dovere e del sacrificio.
  Il suo desiderio di  continuare la guerra sembra avverarsi quando Wilson respinge la richiesta  Italiana di annettere Fiume. La delegazione abbandona la Conferenza e torna a  Roma, suscitando l’entusiasmo di d’Annunzio. Pronuncia un violento discorso  contro il Presidente americano dai “ trentadue falsi denti” e dalla “lunga  faccia equina “ e due giorni dopo parla ai combattenti dalla ringhiera del  Campidoglio:” Noi vogliamo ardere. Noi non vogliamo spegnerci. 
  La nostra povertà  arde e sfavilla. E tutto loro transatlantico è opaco al suo cospetto. (…) Il  castello di Versaglia è assai meno alto dell’Arce Capitolina “.
  Quando però la  delegazione italiana tornò a Parigi per riprendere le trattative di pace,  d’Annunzio chiese di pronunciare altri discorsi, ma il Governo lo vietò e il  Ministero della guerra lo richiamò a Venezia. Il poeta chiese allora di essere  congedato. Occupò Fiume nel settembre 1919 che proclamò italiana e tenne per  più di un anno come reggente. Infine nel 1921 decise di trasferirsi in quello  che sarebbe diventato- grazie all’impegno dell’architetto Gian Carlo Maroni- il  Vittoriale.
  Il ruolo svolto nel  1915 e le spettacolari imprese in mare e nell’aria aveva fatto di d’Annunzio un  eroe popolare. Nonostante gli istrionismi che possono essere presenti nelle sue  azioni, nonostante la retorica di cui sono pieni i suoi discorsi, è innegabile  che sia stato uno dei pochi a credere e a darsi fisicamente tutto alla guerra.  Pertanto risultano superficiali e ingiusti i versi dedicatigli da Ernest  Hemingway nel 1920:
  D’Annunzio
  Capito il  figlio di puttana?
  Mezzo  milione di mangiaspaghetti morti
E lui se ne  fotte. 

   
 
12 marzo 2015
  
  
la manifestazione