"Quelle condanne a morte commutate a Reggio Calabria il 17 febbraio 1937" è stato il titolo della conversazione organizzata dal Circolo Culturale "L'Agorà". Nel corso della giornata di studi, organizzata dal sodalizio organizzatore reggino, sono emersi diverse cifre relative ad un duplice omicidio, di cui uno relativo ad una giovane donna che in precedenza era sequestrata, violentata e successivamente uccisa. Tra le vicende del primo trentennio del secolo scorso da non dimenticare ci sono gli eventi legati alla fucilazione alla schiena dei colpevoli per l’omicidio di Maria Teresa Giulia Ferrante e che scossero la Città di Reggio Calabria sia per il brutale assassinio della giovane ragazza, sia per le successive vicende che stabilirono l’esecuzione dei tre condannati. Era stata la matrigna di Maria Teresa Ferrante a volerne l’uccisione perché la giovane aveva sospettato che fosse stata costei la mandante del tentato omicidio del padre, maturato a seguito di dissidi coniugali. La donna, Artuso Antonietta, aveva richiesto l’esecuzione dell’omicidio a un piccolo camorrista reggino, tale Antonino De Stefano, il quale secondo l’accusa, prima di uccidere la ragazza, aveva chiesto l’autorizzazione al suo capo società, tale Francesco Mandalari. Le probabili congetture di quella tragedia, che sconvolse l’opinione pubblica reggina, sono da ricercarsi a seguito della morte della signora Adami Assunta, deceduta il 25 marzo del 1924, di anni trentadue, nata a Cosenza e residente a Reggio Calabria nella casa posta in via Sant’Anna. La signora Assunta era figlia di un possidente terriero, ed era coniugata con un altro possidente, il signor Ferrante Antonio, residente in Reggio Calabria. Dal loro matrimonio nacquero Ida (morta all’età di otto mesi), Maria Teresa Giulia ed un terzo figlio. A seguito della scomparsa della signora Adami Assunta, il vedovo Ferrante Antonio, avendo a cura due piccoli, si unisce con la signora Artuso Antonietta. Successivamente, all’interno di quel nucleo familiare si manifestarono diversi dissidi, tra i quali quello della matrigna Artuso Antonietta con la seconda figlia Maria Teresa Giulia. C’è da registrare il tentato omicidio del padre, maturato a seguito di contrasti coniugali. Gianni Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”), autore di tali ricerche, nel corso del suo intervento, ha ipotizzato, basandosi sui pochi documenti analizzati, che quell’efferato omicidio, è da ricollegare ad interessi economici.  Anche il signor Antonio Ferrante (era un proprietario terriero), così come la defunta consorte, la signora Assunta (coniuge del signor Antonio Ferrante), figlia di un possidente terriero. Per quanto contenuto nella Sentenza della Cassazione di Reggio Calabria, denominata Artuso Antonietta + 4, datata 18 agosto 1936, Francesco Mandalari non si limitò a dare la sua approvazione, ma affiancò al De Stefano il suo protetto, Amedeo Recupero.  A seguito di una serie di diverbi e di una successiva vertenza sindacale da parte di Amedeo Recupero nei confronti di Francesco Mandalari, suo datore di lavoro. Francesco Mandalari, in un periodo successivo, dopo aver accordato la controversia sindacale, utile ad estromettere probabili cause sul movente, decretò l’omicidio di Amedeo Recupero, che si svolse con le stesse modalità dell’assassinio di Maria Teresa Giulia Ferrante. Entrambi le vittime riportarono alcuni colpi di arma da fuoco alla nuca, entrambi vennero denudati, e gettati in distinte fosse nei pressi del greto di una fiumara cittadina. Una terza fossa rimase vuota, in vista di un nuovo omicidio, da qui il termine processo delle tre fosse. In un primo momento, le indagini, da parte degli investigatori, non sortirono gli esiti sperati, in quanto si pensò che il mandante di entrambi gli assassinii fosse un’altra persona, poi risultata innocente. Dopo il primo tentativo di depistaggio, architettato dagli autori del duplice omicidio, gli organi investigativi riuscirono a trovare il bandolo della matassa, smascherando Antonino De Stefano ed a farlo testimoniare contro i suoi complici. Nel corso della giornata di studi, organizzata dal sodalizio organizzatore reggino, sono emersi diverse cifre relative a quegli accadimenti. Erano le prime luci dell’alba di mercoledì 17 febbraio del 1937, quando dal Carcere giudiziario centrale di Reggio Calabria, secondo la cronaca del periodo, uscivano delle macchine, con relativa scorta. Quelle automobili percorsero alcune vie della città che dal carcere di San Pietro conducevano al Cimitero Comunale di Condera, ubicato nella zona collinare della Città. Tale percorso interessò la via Macello, la Via Marina, l’attuale via Cardinale Portanova, per raggiungere l’area cimiteriale, posta nella parte alta della città. In quell’area, posta all’esterno del Camposanto, venne eseguita, a mezzo di fucilazione, una condanna a morte.  Tre uomini con i ferri ai polsi vengono collocati faccia al muro e bendati, davanti al plotone del Regio Esercito italiano. Il confortatore spirituale, padre Agostino Morisani dell’Ordine dei Predicatori Domenicani, prima dell’esecuzione capitale, impartì a tre condannati a morte i conforti religiosi.  La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria nell’agosto del 1936, condannava all’esecuzione capitale, tramite fucilazione alla schiena, Francesco Mandalari, Domenico Artuso ed Antonino Destefano, per l’omicidio di Maria Teresa Giulia Ferrante, giovanissima donna che i tre avevano sequestrata, violentata ed uccisa.  L’esecuzione dei tre avvenne il 17 febbraio del 1937. Queste alcune delle cifre che sono state oggetto di analisi a cura di Gianni Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”. La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da venerdì 12 aprile.

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12 aprile 2024
la conferenza