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Era stata la matrigna di Maria Teresa Ferrante a volerne l’uccisione perché la giovane  aveva sospettato che fosse stata costei la mandante del tentato omicidio del  padre, maturato a seguito di dissidi coniugali. La donna, Artuso Antonietta, aveva richiesto l’esecuzione dell’omicidio  a un piccolo camorrista reggino, tale Antonino De Stefano, il quale secondo l’accusa, prima di  uccidere la ragazza, aveva chiesto l’autorizzazione al suo capo società,  tale Francesco Mandalari. Le probabili  congetture di quella tragedia, che sconvolse l’opinione pubblica reggina, sono  da ricercarsi a seguito della morte della signora Adami Assunta, deceduta il 25  marzo del 1924, di anni trentadue, nata a Cosenza e residente a Reggio Calabria  nella casa posta in via Sant’Anna. La signora Assunta era figlia di un  possidente terriero, ed era coniugata con un altro possidente, il signor  Ferrante Antonio, residente in Reggio Calabria. Dal loro matrimonio  nacquero Ida (morta all’età di otto mesi), Maria Teresa Giulia ed un terzo  figlio. A seguito della scomparsa della signora Adami Assunta, il vedovo  Ferrante Antonio, avendo a cura due piccoli, si unisce con la signora Artuso  Antonietta. Successivamente, all’interno di quel nucleo familiare si  manifestarono diversi dissidi, tra i quali quello della matrigna Artuso  Antonietta con la seconda figlia Maria Teresa Giulia. C’è da registrare  il tentato omicidio del padre, maturato a seguito di contrasti coniugali. Gianni  Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”), autore di tali ricerche,  nel corso del suo intervento, ha ipotizzato, basandosi sui pochi documenti  analizzati, che quell’efferato omicidio, è da ricollegare ad interessi  economici.  Anche il signor Antonio  Ferrante (era un proprietario terriero), così come la defunta consorte, la  signora Assunta (coniuge del signor Antonio Ferrante), figlia di un possidente  terriero. Per quanto contenuto nella Sentenza della Cassazione di Reggio  Calabria, denominata Artuso Antonietta + 4, datata 18 agosto 1936, Francesco  Mandalari non si limitò a dare la sua approvazione, ma affiancò al De Stefano  il suo protetto, Amedeo Recupero.  A  seguito di una serie di diverbi e di una successiva vertenza sindacale da parte  di Amedeo Recupero nei confronti di Francesco Mandalari, suo datore di lavoro. Francesco  Mandalari, in un periodo successivo, dopo aver accordato la controversia  sindacale, utile ad estromettere probabili cause sul movente, decretò  l’omicidio di Amedeo Recupero, che si svolse con le stesse modalità  dell’assassinio di Maria Teresa Giulia Ferrante. Entrambi le vittime  riportarono alcuni colpi di arma da fuoco alla nuca, entrambi vennero denudati,  e gettati in distinte fosse nei pressi del greto di una fiumara cittadina. Una  terza fossa rimase vuota, in vista di un nuovo omicidio, da qui il termine  processo delle tre fosse. In un primo momento, le indagini, da parte degli  investigatori, non sortirono gli esiti sperati, in quanto si pensò che il  mandante di entrambi gli assassinii fosse un’altra persona, poi risultata  innocente. Dopo il primo tentativo di  depistaggio, architettato dagli autori del duplice omicidio, gli organi  investigativi riuscirono a trovare il bandolo della matassa, smascherando  Antonino De Stefano ed a farlo testimoniare contro i suoi complici. Nel  corso della giornata di studi, organizzata dal sodalizio organizzatore reggino,  sono emersi diverse cifre relative a quegli accadimenti. Erano  le prime luci dell’alba di mercoledì 17 febbraio del 1937, quando dal Carcere  giudiziario centrale di Reggio Calabria, secondo la cronaca del periodo,  uscivano delle macchine, con relativa scorta. Quelle automobili  percorsero alcune vie della città che dal carcere di San Pietro conducevano al  Cimitero Comunale di Condera, ubicato nella zona collinare della Città. Tale  percorso interessò la via Macello, la Via Marina, l’attuale via Cardinale  Portanova, per raggiungere l’area cimiteriale, posta nella parte alta della  città. In  quell’area, posta all’esterno del Camposanto, venne eseguita, a mezzo di  fucilazione, una condanna a morte.  Tre  uomini con i ferri ai polsi vengono collocati faccia al muro e bendati, davanti  al plotone del Regio Esercito italiano. Il confortatore spirituale, padre Agostino  Morisani dell’Ordine dei Predicatori Domenicani, prima dell’esecuzione  capitale, impartì a tre condannati a morte i conforti religiosi.  La  sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria nell’agosto del 1936,  condannava all’esecuzione capitale, tramite fucilazione alla schiena, Francesco  Mandalari, Domenico Artuso ed Antonino Destefano, per l’omicidio di Maria  Teresa Giulia Ferrante, giovanissima donna che i tre avevano sequestrata,  violentata ed uccisa.  L’esecuzione dei  tre avvenne il 17 febbraio del 1937. Queste alcune delle cifre che  sono state oggetto di analisi a cura di Gianni Aiello (Presidente del Circolo  Culturale “L’Agorà”. La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale  reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti  nella rete, a far data da venerdì 12 aprile.

 
  
 
 12 aprile 2024
  
  
la conferenza