
Dio udì le Nazioni in guerra gridare e cantare:
    “Dio punisca l’Inghilterra”-“Dio salvi il re”
    “Dio è da questa  parte”- “Dio è da quell’altra”. 
    “Buon Dio”, disse Dio, “mi hanno trovato un lavoro”.
    La guerra era fra l’altro considerata una costante nella  storia e a questo proposito ci piace riportare quanto scrive il nostro Corrado  Alvaro nel romanzo Vent’anni: ”Tutto il mondo ha fatto sempre la guerra ed è  cominciato con la guerra. La vita è corta,e pochi se ne accorgono che il mondo  ha fatto sempre guerra. A ogni guerra dicono che questa sarà davvero l’ultima,  la fine di tutte le guerre. Ma poi vengono i nuovi che crescono, divengono  forti,  quello che hanno preso non gli  basta, la famiglia si è allargata, e ricominciano. Non c’è nessuno che voglia  la guerra, e tutti a un certo punto la fanno. Come lo spiegate? Date retta: i  libri dicono che niente di meno gli uomini non hanno fatto che guerra;e il più  lungo periodo di pace che abbia avuto il mondo è stato di poco più che  cinquant’anni; neppure lo spazio della vita di un uomo. Ma voi mi dite: sono  tutte belle ragioni, ma il fatto è che in guerra si muore. Io vi dico che anche  a vivere si muore. Soltanto, uno non se lo aspetta, e allora sembra lontano.  Chi lo vede che succede nel mondo mentre noi stiamo tranquilli a casa nostra?  Nello stesso minuto gente nasce e gente muore sembra che proprio a noi non  debba toccare, e che proprio noi siamo dispensati da questo passo”.
    Abbiamo già detto della sconfitta di Benedetto XV ma è  indubbio che aprì una crepa in quelle teorie che erano alla base della “guerra  giusta”. Inoltre aveva intuito che la Grande Guerra si differenziava dalle  precedenti per le nuove armi usate, e il numero di morti e per l’estensione del  fronte su cui si combatte e che finirà col modificare la politica europea.  Cambiò non solo il teorema della guerra giusta ma anche il concetto di patria.  Lo scrittore tedesco Erich Maria Remarque scisse nel famoso Niente di nuovo sul  fronte occidentale: “Coi nostri giovani occhi aperti vedemmo come il classico  concetto di patria, quale ce lo insegnarono i nostri maestri, si realizzasse  per il momento in una rinunzia della personalità,quale mai non si sarebbe osato  imporre alla più umile persona di servizio. Saluto, attenti passo di parata,  presentat’arm, fianco dest’, fianco sinist’, battere i tacchi, cicchetti e  mille piccole torture. C’eravamo figurati diversamente il nostro compito;  sembrava che ci si preparasse all’eroismo come cavalli da circo; ma finimmo con  l’abituarci”.
    Facciamo un passo indietro per tonare a prima dello scoppio  del conflitto. La Gerarchia ecclesiastica un po’ dovunque era favorevole alla  scelta della neutralità. Oltretutto da noi era ancora irrisolta la questione  romana sorta tra Stato e Santa Sede e che era culminata con l’allontanamento dalla  politica dei cattolici più intransigenti (non expedit). Scoppiata la guerra  diventava sempre più difficile persistere nell’opzione neutralista e quindi non  mancarono posizioni diverse anche dalla parte dei Vescovi. In Francia  particolarmente, ma anche in Inghiltera e Germania, il clero cattolico si  adeguò al sostegno della guerra voluto dai fedeli e dai governanti. Più  difficile la situazione nei paesi a maggioranza protestante. Nel Regno Unito la  minoranza cattolica era sopportata e sospettata di obbedire ai comandi del  papa. In Irlanda i cattolici si auguravano la sconfitta dell’Inghilterra perché  avrebbe favorito l’indipendenza della loro isola. In Italia dati i rapporti tra  Stato e Chiesa e la presenza di massoni nel Governo, i Vescovi e la maggio  parte del clero rispettarono le direttive del Papa, anche se non mancarono gli  interventisti. Fra questi Mons. Orazio Mazzella, vescovo di Rossano, che definì  giusta e legittima la guerra dell’Italia perché difensiva contro gli Imperi  centrali che tenevano sotto la propria sovranità territori naturalmente  italiani. E un altro vescovo, quello di Sorrento, scrisse su “La  libertà”:”Concordi nel voler la guerra che Dio ha voluto, che l’autorità  legittima ha ordinato …ad inviare i nostri cari più intimi a prestare l’opera  loro…a rendere più grande e gloriosa l’Italia nostra”.
    Paradossalmente in tutta Europa si usavano i luoghi di culto  per chiedere a Dio il successo del proprio esercito e per ringraziarlo con i Te  Deum per le vittorie. Situazione che fece dire allo scrittore irlandese George  Bernard Shaw che sarebbe stato meglio chiudere le chiese piuttosto che sentire  preghiere per la sconfitta del nemico. Dopo Caporetto il Comando Supremo decise  di agire sul clero per convincere la popolazione a un maggiore impegno contro  il nemico. Il ministro guardasigilli Ettore Sacchi inviò una circolare ai  vescovi perché:”Anche il clero intensifichi la sua cooperazione, specie nei  comuni rurali presso le famiglie dei soldati, per fortificare lo spirito di  resistenza e di sacrificio e diffondere il convincimento che dall’esito felice  della nostra guerra nazionale dipendono la salvezza e la fortuna della Patria  cui è indissolubilmente legato il benessere morale e materiale dei singoli  cittadini”. I risultati dell’invio di questa circolare furono positivi come  ammise anche il comandante Diaz. Qualcuno, come Mons. Rodolfi, vescovo di  Vicenza difese i suoi sacerdoti dall’accusa di disfattismo. Risentito scrisse  al capo del Governo:”Ho settecento preti, duecento sotto le armi, cinquecento  in cura d’anime. Dei duecento sacerdoti soldati alcuni sono morti … altri  furono feriti, alcuni decorati, altri encomiati :nessuno ha mai mancato al suo  dovere, nessuno”.
    Vediamo ora le reazioni di preti soldati, di cappellani  militari, di seminaristi a contatto con le trincee. Tra quindicimila preti ne  furono scelti come cappellani militari circa duemila quattrocento, altri  trovarono spazio nel servizio sanitario e molti finirono al fronte. I  cappellani, nell’intenzione del generale Cadorna, avrebbero dovuto favorire lo  spirito di ubbidienza e disciplina. Tra di loro alcuni divennero personaggi di  rilievo e tenuti in grande considerazione. Come il barnabita ex modernista  Giovanni Semeria che da posizioni pacifiste passa a convinto sostenitore della  guerra per poi, quando vide gli orrori del conflitto “Provare l’angoscia di  aver tradito la sua vocazione sacerdotale”. Fu poi ricoverato in una casa di  salute svizzera e pensò di suicidarsi, “Credendosi colpevole della morte di  giovani, di padri di famiglia che alcuni nostri incitamenti che potevano forse  avere spinto alla guerra”. 
    Interventista fu anche don Primo Mazzolari, che dopo il  conflitto prenderà le distanze da quell’esperienza affrontata con ingenuità :”  L’esercito, non c’è scampo, è il rifugio degli imbecilli”, mentre avrebbe  voluto sentire altro:” Se invece di dirci che ci sono guerre giuste e guerre  ingiuste i nostri teologi ci avessero insegnato che non si deve ammazzare per  nessuna ragione, che la strage è inutile sempre, e ci avessero formati ad una  opposizione cristiana chiara, precisa e audace, invece di partire per il fronte  saremmo discesi sulle piazze. E noi, in buona fede, abbiamo creduto che bisognava  finirla una buona volta coi prepotenti di ogni risma, e siamo partiti come per  una crociata. Perché a noi non importava né Trento, né Trieste, né questa, né  quella revisione di confini.” Stesso percorso affrontò Luigi Sturzo fondatore  del Partito popolare che vedeva la nascita di una nuova Europa e libertà per le  Nazioni. Anch’egli cambiò idea nel dopoguerra di fronte alla grave crisi  economica che aveva colpito la Nazione. E ancora Angelo Roncalli futuro Papa  Giovanni XXIII, richiamato alle armi non chiede di fare il cappellano, ma  prende servizio come sergente,nominato poi sottotenente e cappellano militare,  coordina le Case del Soldato dove i militari potevano leggere, riposare e  assistere alle funzioni religiose. Citiamo per ultimo il frate francescano  Agostino Gemelli arruolato come capitano medico e futuro fondatore  dell’Università Cattolica. Il frate non solo diede il suo convinto sostegno al  conflitto, ma teorizzò il dominio assoluto degli ufficiali sulla truppa. Il  soldato deve solo eseguire gli ordini impartiti, anche se privi di logica o  morale. Arriva a sostenere il valore divino della guerra :”Ho detto che la  guerra è divina. Con ciò non intendo enunciare un paradosso . 
    Io intendo dire soltanto che l’effusione del sangue umano,  per opera della guerra, nelle terribili lotte dei popoli, ha una valore  speciale, per il quale esso coopera al Governo divino del mondo. Lo spargimento  di tanto sangue innocente è una forma di espiazione della colpa del genere  umano, espiazione che ha valore di rigenerare non solo individui, ma anche le  Nazioni”. E di fronte alle numerose morti di soldati  il frate  usa parole che sfiorano la retorica:” La  vostra vita ci passa innanzi come in un quadro. Quanta attività, quante  speranze, quanti ideali! Ma noi sentiamo che non è fuggito tutto; che voi non  avete lasciata la vita che per impreziosirla; che voi non siete caduti per  sempre, che siete caduta nelle braccia di Dio, il quale vi ha raccolti e vi ha  sollevati e che le vostre speranze , i vostri sogni, i vostri ideali, di  giovani credenti riprendono calore e vita nel governo provvidenziale  dell’universo”.
    Alcuni preti finirono prigionieri nei campi di  concentramento. Qui erano abbandonati al freddo, alle malattie, alla fame, alla  sporcizia. Un prete bresciano don Peppino tedeschi ci ha lasciato diverse  descrizioni di quell’inferno, che faceva rimpiangere finanche la vita in  trincea. Una notte disperato, prese una manata di erba e se la cacciò in bocca  “con ansia e fretta come consumassi un furto. Ho capito che con quel pugno di  verde tra i denti ero diventato bestia”. Lo stesso sacerdote racconta di aver  contribuito a dare la caccia ai topi e a mangiarli dopo averli arrostiti sulla  brace.
    A guerra finita si manifestò in molti sacerdoti una crisi  profonda. L’impatto con quanto avevano visto fu devastante. Tante certezze  maturate nei seminari e negli ambienti ecclesiastici vennero meno. Il piccolo  mondo spirituale di ieri non basta al sacerdote che ritorna dalla  guerra,scrisse don Mazzolari. La Chiesa da parte sua non colse subito i  cambiamenti che erano avvenuti, non concepì l’idea di cambiare la sua visione  della figura del prete e non si accorse che il reinserimento era reso più  difficile nel mondo totalmente cambiato rispetto all’inizio del conflitto. Il  risultato fu che tra i sacerdoti arruolati ben trecentocinquanta furono sospesi  a divinis perché sotto le armi erano cambiati e tanti lasciarono  volontariamente la Chiesa.
    Per concludere il bilancio alla fine del conflitto fu di 845  morti, 795 feriti e 1243 decorati al valore militare per meriti di guerra.





