Ancora una volta, in riva allo Stretto, si ricorda la figura del grande corso, un meridionale, per poco non italiano e che la storia a torto o a ragione, noi protendiamo per la seconda ipotesi, fa ancora parlare di se.
La nuova giornata di studi ha posto l'attenzione sui fatti e sui personaggi che ruotarono intorno alla battaglia di Maida, anche in questo caso un incontro confronto, un'agorà nell'agorà, dove la grande storia prosegue parallelamente con la microstoria, dando quindi nuove letture, nuove interpretazioni, altre verità: cifre queste che danno nuova linfa alla memoria ed al suo recupero.
«Parlare del periodo napoleonico – dice Gianni Aiello – è come assistere all’impeto di una lunga onda d’urto che possiamo collocare cronologicamente oltre la data fatidica del 5 maggio del 1821:  di Napoleone Bonaparte ancora si parla e se ne parlerà, visto il ruolo che ha avuto nella storia non solo europea».
Il presidente del Circolo Culturale L’Agorà ha esposto i presenti le motivazioni che hanno spinto il sodalizio reggino ad organizzare questa ricerca su tale personaggio e su tutto ciò che ruota intorno ad egli ma anche la nascita del Centro Studi “Gioacchino e Napoleone”, laboratorio di ricerca sul periodo in questione, per meglio significare ed approfondire tale importante momento storico.
Ma nel contempo è stato un modo di mettersi in discussione, creando un’”agorà” nell’”agorà”, un momento di riflessione, di ricerca, un incontro-confronto anche con una certa storiografia che incorniciava in modo diverso fatti e personaggi.
I tanti convegni fino al momento realizzati hanno avuto il merito di dare una lettura diversa su tali aspetti, fatti, personaggi, se vogliamo anche una sorta di revisionismo, grazie anche al ritrovamento di preziosi ed interessanti documenti archivistici che sono stati oggetto di discussioni nelle tante giornate di studio organizzate dal sodalizio culturale reggino.
Tale fase per il relatore riveste delle connotazioni di un certo rilievo, visto che in essa risiedono delle cifre come quella relativa all’epicità: infatti Napoleone Bonaparte aveva una passione, quasi morbosa, per tale periodo storico-letterario che poi metteva in atto nelle sue battaglie.
Un metodo, naturalmente adeguato ai tempi, quindi attualizzato e che lo si può evincere, ad esempio durante il passaggio delle Alpi, il riferimento con Annibale è evidente, oppure le strategie che ricordano i grandi condottieri del passato, Giulio Cesare, Alessandro Magno e che rivivono nei risultati che scaturiscono da battaglie da risultati impossibili e che invece vanno a buon punto e che aumentano la gloria, le gesta del grande corso.
Altro elemento è l’aspetto romantico che si coglie in questo periodo: il tentativo di riconquista di un Regno perduto, pur nella consapevolezza di ostacoli i varia natura a cui si andava incontro come ad esempio Gioacchino Murat.
Ma da non sottovalutare la “fuga dall’isola d’Elba” che fuga non fu ma i “famosi” cento giorni, segno anche di una auto-dimostrazione, un modo di mettersi in forte discussione con se stesso: “Io chi sono, chi ero, cosa ho lasciato?”: queste sicuramente le domande che si è posto l’Imperatore.
Ma anche il dopo il “chi sono stato”, l’impatto emotivo dei funerale dell’imperatore dei francesi, ampiamente descritti da Victor Hugo.
Altro elemento di interessante lettura è stato quello relativo all’ “Egalitè” dove i figli del popolo rivestivano alte cariche nelle pubbliche amministrazioni, nei ranghi dell’esercito, per propri meriti, capacità, quindi invertendo quelle direzioni di scelta degli antichi regimi dove, solo una parte elitaria poteva beneficiarne, non per capacità ma solo perché appartenente ad una certa classe sociale, quindi lo spirito rivoluzionario prendeva forma anche nel periodo napoleonico.
Quello stesso spirito rivoluzionario i cui echi si sono prolungati fino al 1850, l’epoca delle “rivoluzioni romantiche” in cui i principi di libertà, uguaglianza e fraternità si svilupparono anche nelle lande del centro-europa, le cui popolazioni combatterono assiduamente contro ciò che era stato rimesso in piedi dal Congresso di Vienna del 1815 e che in precedenza era stato spazzato dall’onda d’urto rivoluzionaria in una prima fase nel 1789 e successivamente con il periodo napoleonico.  
Dopo il parallelismo tra storia e letteratura esposto durante l’intervento di Gianni Aiello si è passati alla disamina di Alessandro Ciliberto componente della Pro-Loco Maida, che ha parlato nel corso della sua relazione della località calabrese, teatro della battaglia.
Maida è un contenitore ricco di fatti e misfatti che la storia ha ermeticamente chiuso e gelosamente custodito. 
Solo a tratti ci svela segreti, strategie politiche, tattiche di guerra, complotti di battaglie mai combattute.
Quel lontano 1806 oggi è descritto dal paesaggio della valle di Maida quale scena dello scontro d’armi tra l’esercito inglese di Giorgio III diretto dal generale Sir John Stuart e l’esercito Napoleonico guidato dal Generale Reynier.
I canneti degli acquitrini, schierati per lunghi chilometri, gli uliveti e i vigneti che ornano le colline circostanti mescolati all’incolta macchia mediterranea, le acque del fiume Amato e le sparse residenze di campagna delle famiglie maidesi sono testimoni di un 4 luglio di fuoco; sono testimoni di quella che sarà ricordata come la Battaglia di Maida.
Alcuni dipinti dell’epoca illustrano il centro di Maida, abbarbicato sul colle di sfondo, spettatore dell’ evento e ansiosamente attento all’esito dello scontro.
All’indomani della battaglia, il centro abitato pullula di presenze francesi e inglesi, di svizzeri, polacchi e scozzesi, divenendo retroscena dello scontro, ma da spettatore a protagonista.
Lo scontro del giorno prima in aperta campagna laddove si discuteva con le armi, si converte l’indomani, in un incontro di civiltà e solidarietà per le vie di Maida.
 Il susseguirsi delle immagini che hanno accompagnato il precedente relatore hanno seguito anche gli ultimi due interventi che hanno reso più suggestivo ed accattivante l’incontro organizzato dal Circolo Culturale L’Agorà nella cornice della struttura liberty della Biblioteca “Pietro De Nava” di Reggio Calabria.
«La battaglia di Maida –spiega Gianni Aiello, prima di passare la parola all’autrice della tesi Gianna Maione – insieme a quella di Mileto ed allo sbarco in Sicilia rappresenta uno dei momenti più significativi del decennio francese, per quanto riguarda il tatticismo tra le opposti fazioni ma anche per quando riguarda il tatticismo degli eserciti, poi, dopo tali eventi si assisterà a scontri irregolari, ma che in ogni caso sono e saranno oggetto di ulteriore ricerca e sviluppi da parte nostra» . La Battaglia di Maida, si inquadra in un periodo storico di transizione per la Penisola e per il territorio calabrese, dove caddero le scelte di una difesa militare da parte degli anglo-borbonici sia per motivi strategici, la vicinanza alla Sicilia ma anche in relazione a ciò che avvenne nel 1799, quando la Calabria divenne un distributore di forze al seguito dei sanfestisti del Cardinale Ruffo.
Anche il Mediterraneo aveva un ruolo preciso, visto che da sempre ha rivestito un ruolo  di fondamentale importanza per l’egemonia sull’Europa, quindi al centro delle dispute tra le due potenze.
Nel 1800, l’Inghilterra, che già da un secolo controllava con le sue flotte l’accesso al Mare Nostrum, e dopo aver facilmente soggiogato la Sicilia e la Sardegna, occupò Malta, suggellando il predominio della Marina britannica sulle acque.
Per la Francia l’interesse verteva non solo per il  Mare, ma anche per il Mezzogiorno d’Europa, per l’Italia, vista come ponte naturale per l’espansione verso il Nord Europa e verso Oriente.
A nord, infatti, la conquista dell’Austria avrebbe permesso l’espansione nell’Europa settentrionale, il centro sud adagiato sul mare, garantiva con i suoi porti, il dominio sia sulle coste balcaniche, sia sulla Grecia e l’Egeo.
«La storia dei territori periferici, non sempre viene presa in considerazione e studiata dalla storiografia ufficiale, - spiega Gianna Maione - abitualmente orientata ai grandi avvenimenti.
E’ cosi uno scontro avvenuto in Calabria, nel Golfo di Sant’Eufemia due secoli fa non trova riscontri e studi ufficiali, ma solo interesse da parte di chi, appassionato di storia locale, ha la fortuna e la voglia di portarlo alla luce.
Stiamo parlando nello specifico della Battaglia di Maida del 4 luglio 1806.»
Nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio, la nave da battaglia “Pompeo”, la fregata “Apollo” e venticinque imbarcazioni minori- agli ordini del Contrammiraglio Sidney Smith - gettarono l’ancora nel Golfo di Sant’Eufemia.
Scese a terra il corpo di spedizione, circa 5000 uomini comandato dal Generale John Stuart.
Si accamparono nei pressi del Bastione di Malta.
Il giorno seguente, secondo quanto si trova scritto in racconti coevi, vennero raggiunti da folti gruppi di rivoltosi e con il loro aiuto distribuirono il proclama che inneggiava alla battaglia.
Dopo una attenta ispezione, all’alba del 4 luglio l’esercito inglese lasciò  la sua posizione e si mosse lungo la costa fino le rive del fiume Amato.
I francesi, accampati sul pianoro di Campolongo, visti i movimenti delle truppe inglesi atteso il momento opportuno sferrarono l’attacco.
Attaccò per primo il Generale Compére francese, con la sua colonna d’assalto, facendo fuoco sull’ala destra inglese, seguendo le più classiche manovre di guerra.
La prima linea inglese, rispose al fuoco, aspettando che il nemico fosse distante non meno di trenta passi. 
Per la prima volta l’esercito francese, esperto nelle lotte terrestri, era in difficoltà.
A nulla valse riprovare con una seconda carica, i francesi furono costretti alla ritirata.
Lo scontro fu immediato, cruento, e distruttivo per l’esercito francese, che vide morire sul campo circa 1300 uomini, contro i 45 dell’esercito inglese.
I francesi sconfitti ripiegarono all’interno della Regione verso Catanzaro.
I morti furono sepolti sul campo di battaglia in località Balzano, in fosse comuni. 
Lo Stuart vincitore, dopo la battaglia si recò a Maida, dove la cronaca lo vuole ospite della Famiglia Vitale, nel suo palazzo, in cui scrisse i verbali e il proclama di vittoria.
La Battaglia di Maida si era compiuta.
Dal punto di vista strategico non ebbe immediate conseguenze, in fondo non cambiò nulla, o, quasi nei domini dei singoli imperi.
Ebbe, tuttavia, la sua importanza, da un punto di vista tattico, e sociale.
Dal punto di vista tattico, la prima cosa che balza agli occhi, è l’immediatezza e la totalità del successo inglese. 
Uno storico inglese, Richard Hopton, titola il suo testo di recente pubblicazione, “The Battle of Maida 1806 Fifteen minutes of glory”, Ebbe, tuttavia, la sua importanza, da un punto di vista tattico, e sociale.
Dal punto di vista tattico, la prima cosa che balza agli occhi, è l’immediatezza e la totalità del successo inglese. 
Uno storico inglese, Richard Hopton, titola il suo testo di recente pubblicazione, “The Battle of Maida 1806 Fifteen minutes of glory”, al fine di rendere al meglio la brevità dello scontro.
L’esercito inglese, anche se non esperto in attacchi a terra, fondava la sua azione sulla potenza del fuoco.
I soldati erano addestrati a limitare al minimo le perdite.
Il fulcro dell’azione francese era un attacco di sfondamento delle schiere nemiche, basato sull’ordinamento delle truppe in colonne, strette, compatte, e caratterizzate dal più classico combattimento alla baionetta.
Il dispendio di vite umane era enorme, ma era sostenibile dalla Francia, che poteva contare sulla coscrizione per colmare le perdite.
A Maida, accadde l’impensabile: i  francesi schierarono l’esercito secondo i canoni sopra descritti., mentre gli inglesi spiegarono in ordine di battaglia, quella che fu definita: “La sottile linea rossa”.
Ogni battaglione schierava, 600 uomini in doppia fila, spalla e spalla per una lunghezza di circa 320 metri.
La colonna francese, poteva contare su una prima linea di 50 metri, con 132 combattenti.
La “sottile linea rossa “ aveva, quindi un volume di fuoco molto superiore, proporzionalmente 4-5 volte più potente.
I Francesi si trovarono di fronte un nemico poderoso, esperto, e deciso.
La tattica denominata sottile linea rossa, è fondamentale nella storia militare del periodo fu in seguito inserita nei testi di arte militare, ed è tutt’oggi studiata nei college militari inglesi.
La Battaglia di Maida nella sua breve e intensa “rappresentazione”, sconvolge la vita delle popolazioni calabresi.
Il centro di Maida, era stato sino ad allora il fulcro del Feudo omonimo.
Nel periodo in questione (1806) come avviene del resto in tutta la Calabria, il territorio del Feudo e Maida in particolare sono costretti ad accettare la presenza del nemico e un po’ per costrizione, un po’ per interesse si accolgono le truppe francesi nelle proprie dimore.
Gli atti dell’Intendenza Comunale del comune di Maida datati 1806-1807, e conservati nell’Archivio di Stato di Catanzaro, testimoniano tale realtà.
In tali atti si legge che la popolazione maidese accolse l’esercito francese nelle proprie abitazioni, affittando loro semplicemente dei vani o intere case. 
Si equipaggiarono le truppe di vetture e guide locali.
Si rifornirono i soldati di ogni sorta di conforto e si sfruttò la presenza nemica a proprio vantaggio, economico, per l’introito di utili, e soprattutto per favorire la tranquillità quotidiana.
Molti i giacobini presenti e tante le manifestazioni di fedeltà al principe Giuseppe Bonaparte. 
Tuttavia ciò non ostacola la partecipazione di parte della popolazione alla rivolta.
Perché se tanta era la benevolenza verso il francese occupante, altrettanta era l’ostilità, e numerosi furono i maidesi che parteciparono allo sbarco e alla scacciata del nemico, così come era già era avvenuto nel 1799 quando il Cardinale Ruffo passando da Maida, arruolo un folto numero di valorosi.
Se tanti sono quelli che partecipano, molti di più sono quelli che la battaglia la osservano da lontano, ma non appena si esaurisce l’ultimo fuoco e i francesi si lanciano nella ritirata, la popolazione tutta accorre in soccorso, o cosa non detta, per saccheggiare i corpi inermi.
Tralasciando gli episodi di sciacallaggio, negli atti sono testimoniati gli interventi sui feriti e si legge che la cura e la dedizione verso le vittime portò a investire anche propri soldi per l’acquisto del necessario; forbici, bende, filacce….
I morti vengono seppelliti sul posto, “curati” anch’essi dal conforto della preghiera.
Non si fa distinzione di “colore”, e vengono curati in egual misura sia gli inglesi che i francesi, ospitati nei palazzi signorili di Maida.
Queste architetture ancora oggi sono presenti nel centro di Maida
e raccontano la loro storia.
Storia appassionante, quella della Battaglia di Maida.
Dimenticata dalle istituzioni e dagli storici.
Di immediata risoluzione, se si guarda solo l’aspetto militare, e pur così ricca di retroscena, avvenimenti e personaggi.
Lo studio del periodo storico contestuale di cui ho dato una ampia se pur sintetica descrizione, accompagnato allo studio degli atti, è stato punto di partenza della mia ricerca.
Diverse analisi mi hanno permesso di poter giustificare la possibilità di far diventare uno scontro in campo aperto, strumento valido per una tesi di architettura.
Infatti oltre alla localizzazione del campo di battaglia, attraverso gli atti e i racconti dei testimoni ho estrapolato un numero consistente di edifici, che essendo entità permanenti diventano gli attori, i narratori del racconto.
Il passo dello stivale”, cioè la marciadell’esercito francese acquartierato all’interno di Maida, e  “la sottile linea rossa”, strategia che ha permesso agli inglesi di vincere la battaglia, diventano il nodo del racconto, attraverso due percorsi distinti di narrazione che trovano, il loro fulcro  nel palazzo che ospitò i vincitori, nella persona di Sir John Stuart, cioè Palazzo Vitale.
Sicuramente un modo azzardato e insolito, fatto di ipotesi, e reso in qualche modo rigido, dall’identificazione e scelta di un percorso piuttosto che un altro.
Non sapremo mai realmente quali e come vennero vissute le vie e gli edifici di Maida.
Se gli “ospiti” contribuirono o meno alla vita del centro.
La narrazione viene spiegata attraverso lo studio e il ridisegno particolareggiato degli edifici citati nei documenti, o resoconti.
Gianni Brandolino, dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, relazionerà su “Nessuno e Napoleone”: un parallelismo tra la nave di Odisseo e la campagna francese nelle Terre dello Stretto.
Il docente universitario dell’ateneo reggino nel corso del suo intervento pone l’attenzione ai presenti sulle caratteristiche della sua relazione in questa essa è un testo anfibio, una parte saggio, una parte  racconto.
Si rivolge ad un ascolto doppio, o meglio ad un ascolto polimorfo.
Non solo ad un creativo che si fa uditore, ma ad un uditore che sia anche creativo. (1)
E' una lettura che si esprime su alcune considerazioni di voci narranti, tra mito e leggenda su personaggi che non hanno solcato il suolo ma appartengono al dizionario del mito.

Un parallelo senza identità, tra sono le figure di Ulisse e Napoleone Bonaparte.
Un discorso, quindi, tra Epica ed Epopea, che cerca di legare indissolubilmente alcune pagine che, in Calabria e nell'Area dello Stretto, si relazionano, come avviene tra intermediari di un processo comune; ovvero, il poema immaginario e la dimensione del reale.
Avvenimenti appartenenti entrambi a due latitudini latine, espresse sia dal  tempo che da un fugace parallelo mediterraneo, e che incontrano storia e vicende di un territorio che coesiste, in modo marginale, tra il periplo di Ulisse e le conquiste di Napoleone Bonaparte.
Letteratura e storia, alla ricerca di un mito, poste nella terra di mezzo, in cui vicine dissolvenze alludono alla distanza che permette di trascrivere narrazioni di gesta indissolubili su territori di area vasta.
Geometrie e geografie mediterranee, poste, tra la Calabria e il mare.
Alterne equidistanze, tra Itaca e Parigi, che riflettono tracciati e
itinerari intermedi di appartenenza tra le culture che permangono alla rilevante distanza di un extra-muros.
Una dimensione tutta europea, che, nel sud d'Italia, trascina il mare
nostrum, in una sola geografia, posta al centro del Mediterraneo
occidentale.
Una sorta di “Sliding Doors” cinematografico che, nel volgere di un'istante atemporale, segna la distanza incommensurabile del divenire, tra analogie e dissonanze: un dialogo attivo nel viaggio al margine di un confine incerto.
Il poeta narra l'errare della nave di Odisseo e la lotta contro esseri ostili: il Ciclòpe, i Mostri, le Sirene e l'otre di Eòlo. (2)

E' l'odissea di un eroe, fiducioso nella forza dell'intelletto fino ad accettare la sfida della natura e delle divinità avverse.
Non pochi sono i luoghi comuni che uniscono episodi e vicende ma è la salda tempra dell'animo e sottigliezza dell'ingegno che rende simili i condottieri: per mare e per terra, vi si ritrova la fenomenologia dello spirito.
La stessa fenomenologia dello spirito che Hegel descrive parlando di una tribù immaginaria, lo si ritrova in Napoleone e nella sua potenza sul territorio della materia.
La leggenda vuole che, come scrive Antonio Gnoli1, egli stesso finisse di scrivere la Fenomenologia dello Spirito, il giorno stesso in cui Napoleone entrò a Iena vincitore annotando l'evento in una lettera.
«Ho visto l'imperatore, quest'anima del mondo - cavalcare attraverso la città per andare in ricognizione: è davvero un sentimento meraviglioso la vista di un tale individuo che, concentrato qui in un punto, seduto su un cavallo, abbraccia il mondo e lo domina».
Erano stati gli anni decisivi di Iena: il tuonare dei cannoni, le soste
delle truppe francesi che occupavano la città, i fuochi che appaiono dalla finestra dello studio, ne destavano la fantasia.

Nulla è più infido e più instabile di quel suolo coperto di polvere e sangue, sovrastato dal rumore della battaglia, dagli echi dei passi dei soldati: non è solo Iena.
Si dice che il filosofo deve bagnare il proprio pensiero nella tempesta.
Altre vicende sono a latere nel declino epico dell'Imperatore.

Una sensibilità tutta francese, che nel ruolo sublime delle vanità, a volte descritte nel regolamento sull'abbigliamento, i copricapo, i distintivi e mostrine, il grosso e minuto equipaggiamento e le armi delle truppe di terra e delle sellerie, e dei finimenti dei cavalli, si pone solenne attenzione al costume militare.
Dopo l'intervento dell'ultimo relatore ed un susseguirsi di autorevoli interventi è stata la volta delle conclusioni dalle quali si è potuto evincere che l'inattesa sconfitta fu dovuta ad alcuni fattori che hanno giocato un ruolo decisivo per gli esiti finali della stessa. Forse la tattica alquanto precipitosa del Reynier che eseguì un attacco sul modello classico, costituito da una colonna d'assalto molto leggera atta ad attaccare subito il punto debole dell'avversario "Faut jeter les anglais à la mer" era l'obiettivo del Reynier,  ma in quella occasione esercito inglese rimase sulle posizioni attendendo l'avversario.
A tal proposito ebbe a scirvere il Courier in un rapporto epistolare del 2 ottobre del 1806 "... il combattimento durò 10 minuti e in 10 minuti perdemmo un terzo dei nostri uomini (circa 2000), la nostra artiglieria, i nostri effetti, i magazzini, la cassa, le intendenze, in poche parole tutto quello che si può perdere…".
Giorgio VI conferì a Stuart il titolo di duca di Maida ed ai principali comandanti furono concesse speciali decorazioni.
A conferma del grande entusiasmo per quella vittoria e dell'importanza assegnatale, il nome di Maida fu poi dato a due strade di Londra: la Maida Vale (tra Kilburn Higt Road e Edgware Road) e la Maida Avenue.
ShinyStat
3 maggio 2007

(1) Il testo anticipa e trasforma le analogie di un discorso posto in sinergia tra due epiloghi che sono il lascito di un poema, l'Odissea di Omero, e la storia di Francia nell'era napoleonica che, entrambe guardano al territorio calabrese e dell'area dello Stretto. La frase iniziale traguarda uno di Lorenzo Marini, Questo libro non ha titolo perché è scritto da un'art director, Lupetti Editori di Comunicazione, Milano 2006, quarta di copertina;
(2) "Quello di Odisseo (Ulisse per i latini) è il viaggio più importante della cultura occidentale, ispiratore di altri viaggi successivi.", da Rosa Calzecchi Onesti (versione di), Omero. Odissea, Einaudi, Torino 1963, quarta di copertina.