

Nelle  settimane che hanno preceduto l'incontro sono apparsi alcuni servizi  giornalistici, sulla stampa locale, secondo i quali si sarebbe fatto troppo  silenzio sul decennio francese in Calabria e nella fattispecie sulla resistenza  nei confronti dei napoleonidi.
    La cosa  che rincuora il nostro sodalizio culturale è il ricordo che sin dal lontano 1995 a Reggio, nella parte  più meridionale della Penisola, esso ha organizzato, analizzando entrambi le  parti (napoleonidi ed angloborboni), numerosi incontri culturali  sull'argomento: si ricorda, in particolare un convegno sul tema "Reggio  nel periodo borbonico", datato 1996.
    L'odierno  incontro vuole rievocare, attraverso la lettura di interessanti documenti  storici, l'entrata nella provincia reggina di Giuseppe, fratello maggiore  dell'Imperatore Bonaparte.   
    Nella parte iniziale della giornata di studi è  stata evidenziato l'importanza e la rilevanza storica dell'appuntamento  organizzato dal sodalizio reggino e gli influssi che il decennio francese ha  avuto nel Meridione.
    «Il  brigantaggio  - afferma Zangari-  ha avuto due fasi storiche che hanno  caratterizzato il periodo relativo ai napoleonidi e poi quello successivo alla  fine della seconda restaurazione borbonica, con occasione dell'unità d'Italia»  .
    Il  relatore ha fatto un breve excursus sul termine "BRIGANTE" che  secondo lo stesso venne adottato durante l'amministrazione francese per  indicare quegli individui,sovvenzionati logisticamente dagli  "esiliati" borbonici e dagli inglesi per contrastare il loro operato  . 
    Sfogliando  idealmente le pagine di un qualsiasi dizionario della lingua italiana, alla  voce brigantaggio troviamo la seguente definizione " 
    L'insieme  delle azioni delittuose (contro le proprietà private e le persone) compiute da  bande di briganti, a mano armata".
    L'analisi  deve ricadere anche sui fuoriusciti, gli ex-galeotti, combattuti  in precedenza dall'amministrazione borbonica  e poi improvvisamente al servizio di quella stessa casata che combatteva il  nuovo e quella ventata di idee progettuali che venivano d'oltralpe.
    Lo stesso  metodo, era stato adottato in precedenza per i fatti della Repubblica  napoletana: infatti nel 1799 i "lazzari" meridionali si erano  contraddistinti per le loro zioni "militari" costituite da saccheggi  durante il percorso dell'Armata della Santa Fede del Cardinale Ruffo, che  dall'estremità della penisola portava alla Capitale.
    Orlando  Sorgonà ha trattato il tema su “Il   brigantaggio in Calabria ai tempi del generale Manhes” analizzando, durante  il suo intervento, anche  gli aspetti  socio-antropoligici del fenomeno brigantesco in Calabria e  parlando anche di alcuni episodi verificatisi  prima del periodo del generale Carlo Antonio Manhes.
    Sorgonà  ha riferito ai presenti che «..per  molto  tempo la storiografia liberale italiana non ha voluto, per tema forse di  apparire filoborbonica ed antiliberale, considerare  conquistatori i francesi scesi in Italia  Meridionale con il proposito di porre un nuovo sovrano sul trono di Napoli.  Troppe volte la storiografia ufficiale ha presentato come  brigantaggio comune la lotta iniziata per  scuotere il giogo straniero e restituire al paese il suo legittimo sovrano... »
    Tra i  personaggi che troviamo in azione nel Meridione d'Italia tra il 1799, periodo  della Rivoluzione partenopea e la seconda entrata nel Regno delle Due Sicilie  da parte dell'esercito francese - il cosiddetto "decennio"  (1806-1815) - ,  troviamo la figura  carismatica di Frà ìDiavolo, alias Michele Pezza (Itri, Latina, 1771 ì Napoli  1806). 
    Tanta era  l'ammirazione che tale figura riscuoteva nel ceto popolare che al famoso  brigante gli vennero inneggiate alcune ballate tra cui quella del periodo del  1799: «...è venuto Fra Diavolo, ha portato i cannoncini pe' ammazzà i  giacobini. Ferdinando è il nostro re...».
    Il  relatore ha anche fatto un accenno alla vita di Michele Pezza che si  arruolò  nell'esercito borbonico, anche  se reo di due omicidi, nel 1799, contrapponendosi all'esercito francese.
    Venne  nominato colonnello dal sovrano Ferdinando IV   e le sue azioni militari si estesero in Calabria, Abruzzo e Campania;  venne catturato durante uno scontro armato con le truppe guidate dal generale  transalpino J. Hugo nel territorio del Sannio e poi  impiccato nel 1806 a Napoli. 
    Nel  periodo in cui vive lo scrittore Misasi, il fenomeno del brigantaggio è ormai  quasi del tutto spento;tuttavia è ancora vivo il ricordo di briganti generosi  coi deboli e crudeli coi potenti, di briganti che vendicano il popolo oppresso,  che impongono ai signori un’equa ripartizione del suolo e dei prodotti della  terra.  
    Nel libro  intitolato “Il gran bosco d’Italia”,opera in cui l’autore calabrese sintetizza  tute le osservazioni sulla Sila e il brigantaggio già espresse nelle novelle e  nei romanzi, è messo in luce quel clima di attese e di speranze che accompagnò  il brigantaggio.  
    L’autore,  già nella prima giovinezza, era stato vivamente impressionato dal brigantaggio.  Egli trae la materia dei suoi racconti dalle leggende narrategli e dalla  lettura degli atti processuali osservati negli archivi del tribunale di  Catanzaro.  
    Il  brigantaggio aveva influito sulla sensibilità del Misasi ragazzo. Egli ricorda:  “O dolci tempi della mia adolescenza, dolci serate trascorse a sentir la zia  Nicolanna, una vegliarda che ricordava i Francesi e la guerra al coltello  combattuta per dieci anni nelle nostre montagne, narrar le audaci imprese  brigantesche, le storie truci e insieme  pietose che poi dopo molti anni germogliarono nelle mie novelle e nei miei  romanzi, poveri d’arte, ma non di sentimento armonioso per la mia povera terra  che volli far conoscere nelle sue miserie, nei suoi vizi, nelle sue colpe, ma  anche nelle sue virtù, nelle sue sventure, nei suoi eroismi”.
    In un  documento che si trova presso la biblioteca comunale di Palmi vi è la taglia  fissata sul capo di ben 895 “briganti in campagna”, una lunga lista di  ricercati, che evidenzia in modo alquanto preciso la variegata mappatura della  ribellione nel territorio in un triste tempo, nel quale i calabresi si  scannavano tra di loro per sostenere, a seconda delle posizioni, i francesi o i  Borboni e la ferocia non doveva aver conosciuto limiti di sorta.  
    Per i 42  più pericolosi era previsto un premio di 500 ducati, ma se ad eseguire  l’operazione è “un brigante di campagna”, questi, oltre alla taglia, è  meritevole del perdono per le sue malefatte. 
    Il primo  posto nella lista è attribuito a Francesco Ariganello Ceronte di Serra,  Manhès - come disse nel suo ordine del giorno  di Monteleone - volle agire di un tratto, colpendo la causa stessa del male:  volle prendere i briganti per fame. Sotto pena di morte fuvietato a chiunque di  fornire loro viveri: e la disposizione fu applicata senza pietà. 
    Significava  colpire al cuore il male, poiché dopo la caduta delle nevi non era possibile ai  briganti durare senza avere i viveri dai borghi.
    Ordinò  che ciascun comune denunciasse i   briganti; armò i terrazzieri dividendoli in schiere; da alcuni fece  ritirare il bestiame agli agricoltori dei borghi più grandi, che erano poi  guardati a vista da truppe regolari; da altri fece sospendere tutti i lavori  campestri; e dichiarò la pena di morte verso tutti coloro che nelle campagne  nascondevano dei viveri; tolse così ai malfattori ogni assistenza o connivenza  da parte dei proprietari e dei contadini.
    Nello  stesso anno  hanno inizio in Calabria le  prime avvisaglie di rivolta anti-francese ed Orlando Sorgonà inizia il suo  resoconto con i fatti di Soveria Mannelli,   quando Carmine Caligiuri  insorse  con la sua banda contro le truppe napoleoniche, tra il 22 ed il 25 marzo del  1806. 
    A tal  proposito narra il Monitore Napoletano nell'edizione di venerdì 18 aprile 1806  numero 15 ebbe così a riportare: Cosenza 12 aprile 1806: «…L’insurrezione  di  Soveria, che avea per qualche momento  turbata la quiete di una porzione della provincia di Cosenza, è interamente  finita.. Gl’insurgenti parte sono stati uccisi, parte sbandati. Questi sono  andati a rintanarsi nelle caverne, e ne’ boschi, donde scappar più non  potranno, essendo circondati  da truppe  francesi, e da numerose  pattuglie  di  cittadini, che montano al numero  1200. Soveria e Confluenti, centro dell’insurrezione, - si tiene a precisare  nel giornale governativo -  sono state  divorate dal fuoco. Atterriti da questi esempi gli altri paesi, che avevano  mostrato qualche pendenza alla novità, hanno mandato in folla deputazioni ad  implorare perdono da Generali. Il commercio, che era stato interrotto tra le  Calabrie, si è riaperto: il capo-massa Vitale, e il famoso Gio:Battista di  Michele sono in balia della giustizia. Tutto è oramai  tranquillo…» 
    Nel  giugno del 1806 insorgono Cotronei, Savelli , Cerenza, cui seguono   Longobucco,   Corigliano ed altri centri della Sila ma anche in altre  aree che molte volte venivano finanziate dai  fuori usciti borbone e le azioni di guerriglia venivano supportate  logisticamente dal  generale inglese  Stuart che raggiunto il suo scopo l'alto graduato albionico lasciando  i calabresi insorti al loro destino, si  ritirò in Sicilia.
    Altri  episodi  in chiave antinapoleonica si  verificano a Verbicaro , cui fa seguito uno sbarco inglese a Scalea nella notte  tra il 23 e il 24 maggio e, nei primi giorni di giugno, l'attacco inglese alla  marina di Cetraro e la spedizione di una banda di duecento in direzione di  Crotone. 
    In questo  arco di tempo vengono pubblicati numerosi proclami da parte di Ferdinando IV  che esorta i calabresi ad unirsi con gli inglesi contro i francesi ma questo  non ebbe lo stesso enorme seguito di adesioni come  si verificò con l'Armata sanfedista del  cardinale Ruffo per i fatti del 1799, forse dovuto anche alle tante promesse  non mantenute.
    Nonostante  ciò la lotta fu alquanto cruenta con diversi fatti  militari, come lo sbarco inglese nel golfo di  Sant'Eufemia e la sconfitta subita il 4 luglio a Maida dal generale Reynier.
    Le  notizie della sconfitta di Maida innescarono nella popolazione nuovi input,  anche grazie al "supporto" del clero e degli anglo-borbonici, ma  anche all'esito delle azioni logistiche dei vari Genialitz, del colonnello  Carbone, Gualtieri e di altri capi-massa che fomentarono i loro odio contro i  militari napoleonici cui seguirono numerose rappresaglie e vendette. 
    Si  verificarono diversi capovolgimenti di fronte con i centri abitati che venivano  persi e successivamente riconquistati dalle opposte fazioni: il 9 luglio i  francesi lasciano Cosenza per stabilire   il quartiere generale a Rossano, per poi riconquistare Cosenza il 14  agosto, guidati dal generale Massena.
    Altri  focolai anti-francesi si ebbero a Pedace,   Longobardi, Fiumefreddo, Amantea che dopo un assedio di alcuni mesi, dal  27 settembre 1806, capitolò alcuni mesi dopo, il 7 febbraio del 1807. 
    La città  tirrenica cosentina rappresenta un caso interessante non soltanto dal punto di  vista storico ma anche per quanto riguarda quello emotivo;  infatti nonostante la capitolazione di molti  centri abitati che erano prettamente per una serie di motivi in chiara chiave  anti-francese, gli irriducibili si concentrarono ad Amantea. 
    Nella  cittadina tirrenica cosentina si riversano quindi sia i resti dell’esercito  borbonico che diversi briganti tra cui Fra Diavolo, il capitano Necco di  Scalea, il Francatrippa, Panedigrano, il frate francescano di Amantea, tale  Michele Ala e naturalmente diversi capi massa De Michele di Longobardi e  Raffaele Falsetti di Lago, detto "Centanni". 
    Dopo il  lungo assedio di circa due mesi, effettuato da parte di ingenti e ben  equipaggiate forze napoleoniche, guidate dal Amantea, quindi ha rappresentato  un esempio di eroismo in chiave anti francese.
    Il 27  settembre del 1810,  visti i numerosi  ed  incresciosi fenomeni relativi al  brigantaggio, venne deliberato un Decreto, atto a contrastare tale fenomeno, da  parte del Re di Napoli Gioacchino Murat, a seguito dei numerosi ed accorati  appelli da parte dei Comuni interessati da tali eventi.  
    A tal  fine venne indicata come  figura  esecutrice quella del generale Carlo Antonio Manhès che già si era distinto per  il suo operato nelle zone del Cilento e nelle lande degli Abruzzi. 
    In quel  di Monteleone il Manhès, in data 9 ottobre dello stesso anno, pubblicò un bando  nel quale: 
    “La  lista dei banditi sarà pubblicata in ogni Comune. È ordinato ai cittadini di  ucciderli o di prenderli; Ogni uomo in stato di portar le armi deve accorrere  al servizio del governo; Chiunque avrà tenuto corrispondenza coi briganti, o  avrà somministrato loro cosa qualunque, quando pure ci fosse avvenuto tra  marito e moglie, tra padre e figlio, sarà punito di morte; I padri ed i  fratelli dei briganti sono obbligati di correre in armi contro i loro figli ed  i loro fratelli; I bestiami saranno trasportati in luoghi ove saranno  custoditi; I lavori della campagna sono permessi, se i lavoratori non portano  seco loro quello che è assolutamente necessario per il loro mantenimento di un  giorno; Gendarmi e soldati saranno situati nei luoghi infetti dal brigantaggio  non già per perseguitare i briganti, ma per vigilare acciò i cittadini  adempiano esattamente le loro obbligazioni. E ciò avrò luogo il giorno in cui  per tutta la Calabria da Rotonda a Reggio comincerà la caccia dei briganti.” 
    Come si  può evincere dal dettato dei sette articoli vi è un percorso molto restrittivo  in tal senso, non dovuto alla prepotenza degli “invasori” , come gli storici di  regime ci hanno tramandato dal loro angusto angolo visuale, ma bensì nei  confronti dei mandatari di coloro che erano restii alle innovazioni sociali ed  amministrative. 
    Il Re di  Napoli Murat cercò di applicare un metodo morbido e permissivo nei confronti di  chi non gradiva il “nuovo” ma visto che tale attitudine non riusciva ad  ottenere i risultati previsti, venne attuato un duro metodo per debellare il  dilagante fenomeno del brigantaggio che lo storico Umberto Caldora  così riporta «… il generale Manhès ha  eliminato verso la fine del famigerato decennio ben 470 briganti, catturandoli  ed impiccandoli malgrado la promessa di condono… ».   
    Tra i  tanti briganti e capi massa che si distinsero durante il triste Decennio, oltre  ai vari Parafante, Ronca,Orlando vi erano anche due abati di Rosarno: Gaetano  De Paola e Francesco Candidone.  In  seguito alla sanguinosa battaglia di S. Eufemia De Paola “prese e alzò bandiera  napoletana con grande solennizzazione” esortando la popolazione della Piana a  prendere le armi contro i francesi e a difendere il re Ferdinando  IV di Borbone che aveva dovuto rifugiarsi in  Sicilia. 
    Il prete  De Paola riesce, con la sua ardente parola, a radunare circa 235 uomini e  condurli ad espugnare il castello di Scilla, ritenuto, assieme a quello di  Reggio e Crotone, uno dei punti più strategici della Calabria e, perciò,  occupato in quell’anno da una guarnigione francese del generale Reynier, che  costantemente sorvegliava lo Stretto di Messina per sbarrare il passo alle navi  inglesi giunte in aiuto della monarchia borbonica. 
    Durante  l’assedio alla fortezza, il sacerdote rosarnese rimase ferito alla fronte, ad  una mano e ad una coscia per cui ritenne opportuno ritirarsi nella sua Rosarno,  dove trovò pieno appoggio, per essere curato.
    Ma  incalzato dalle spie francesi, don Gaetano De Paola fu costretto a fuggire di  notte e a rifugiarsi a Messina, aspettando momenti migliori per contribuire con  la sua azione alla restaurazione borbonica.   
    La lotta  fu abbastanza cruenta tra le truppe regolari francesi e gli irregolari tra i  quali i numerosi capi-massa sparsi sul territorio calabresi ed i molti nomi  eccellenti tra i quali Francesco Mosca o (Moscato), detto il Bizzarro, il  Parafanti, il Benincasa, tutti operanti nella Calabria Ulteriore tra le attuali  province di Reggio e Vibo Valentia, ma anche di "Re Coremme", di  "Ciccilla", di "Pietro Monaco", "Franca trippa" e  "Friddizza", "Cipulla", "Pane di grano" e di  altri che operavano nel resto della regione.
    Il  relatore Orlando Sorgonà ha posto la sua attenzione sulla figura di Francesco  Mosca o Moscato detto il "Bizzarro" o "Vizzarro" proprio  per la sua indole aggressiva ed originario di Vazzano, secondo alcuni, mentre  per altri di Filogaso, entrambi centri del Vibonese."'U Vizzarro" era  all'epoca garzone della casa baronale De Santis e successivamente passò nelle  file del brigantaggio, in quanto si rese reo di alcuni omicidi per quali venne  incarcerato ma successivamente ne uscì in seguito ad  una amnistia generale voluta da Ferdinando  IV, il quale si servì di tale manovalanza per combattere per combattere i  francesi.
    Sulla  ferocia delle azioni del Vizzarru si raccontano diversi episodi. Come quando  usava dare in pasto ai suoi cani, ufficiali francesi, trucidati barbaramente,  abituando in questo modo i mastini a dare la caccia agli uomini.
    A  riguardo tale figura il relatore nel corso del   suo intervento dichiara che «Talvolta uccideva anche senza motivo, come  quella volta che sparò ad uno della sua stessa banda per provare l’efficacia  della polvere, che come si vantava, i suoi amici inglesi gli avevano mandato.»
    Il 29  giugno del 1808 si ebbe una sorta di summit nella zona boschiva della Lacina  alla quale parteciparono diverse centinaia di personaggi del periodo, noti tra  l'altro alle forze dell'ordine sia della precedente che dell'attuale  amministrazione e da un rapporto del periodo si evince che "... fu formato  con altri capi briganti un Corpo di cinquecento assassini e complotta(rono)  dare scacco a Satriano ...".
    Tali  organizzazioni erano strutturate in gruppi di persone che variavano  numericamente dalle 20 alle 50 unità che dandosi alla macchia nelle zone  boschive successivamente ne uscivano per effettuare delle incursioni nei  diversi centri abitati del territorio, rivendicandone, con tale operato, la  matrice politica.
    Non vi fu  soltanto l'azione atta al perseguimento fisico dei briganti ma anche quello  relativo alla confisca dei beni, azione scaturita dall'emanazione di leggi  eccezionali atte a colpire le proprietà dei briganti o della loro parentela,  tramite l'azione della confisca dei beni dei "fuorgiudicati" e  distribuirli a quelle popolazione che avevano subito dei danni.
    La  resistenza antifrancese fu lunga, accanita e feroce, ma alla fine gli invasori  riuscirono, con altrettanta ferocia, ad avere ragione dei “briganti.” Uno degli  ultimi fatti di sangue che si verificò a Caccuri in quel periodo fu  l’agguato al capitano Pier Maria Scigliano di  San Giovanni in Fiore, punito, evidentemente, per i suoi trascorsi al servizio  dei Francesi e per aver arrestato o ucciso numerosi briganti. 
    Il  capitano Scigliano fu assassinato la mattina del 18 ottobre del 1812 in località Cimitella,  nei pressi del vecchio ponte delle Monache, mentre si recava a Bordò per  eseguire alcuni lavori nella vigna del generale Manhès. 
    La dura  azione svolta da Carlo Antonio Manhès fu tale che nel breve arco di tempo  di circa un anno aveva ottenuto la presentazione  spontanea di migliaia di soggetti atti al brigantaggio e nel contempo  l’esecuzione di numerose condanne a morte.       
    Per i  servizi resi dal Manhès, il sovrano Murat in data 28 febbraio 1812 lo nominò  primo ispettore della gendarmeria del Regno.  
    Dal punto  di vista dei risultati immediati, l’opera di Manhès ebbe pieno successo,  essendo egli riuscito in pochi mesi e senza impiego di grosse forze militari in  un compito che per anni un intero esercito di occupazione non era riuscito ad  assolvere.
    Un taglio  netto era stato operato ed il grande brigantaggio politico estirpato. 
    Negli  anni successivi, con l’affievolirsi della violenza persecutrici e col  sopravvenire di una nuova crisi internazionale- da cui, alla fine, il regime  murattiano sarebbe stato travolto- il malcontento ed il fermento popolari per  la difficile situazione economica e per la gravosa e odiata coscrizione  militare si espressero in un diffuso e virulento banditismo comune, ad opera  soprattutto di refrattari e disertori, ma il grande brigantaggio politico non  risorse. Era questa una indubbia riprova, oltre che del successo della  repressione di Manhes, del rafforzamento dell’egemonia della borghesia nelle  campagne grazie alle grandi riforme del decennio.
    Il  brigantaggio calabrese nel Decennio fu la risultante di un complesso di cause  non sempre generalizzabili poichè molto incidevano nelle motivazioni le  situazioni locali.
    Alla sua  origine furono, fondamentalmente, le irrisolte questioni politiche, sociali ed  economiche che agitavano il regno nella fase di transizione dall’ancien regime  al nuovo sistema. 
    La  repressione murattiana riuscì a sopprimerlo fisicamente ma non potè  sradicarlo  definitivamente perché  irrisolte rimasero le questioni che ne erano state all’origine.
    Gianni  Aiello prima di trattare l'argomento relativo a "L’entrata di Giuseppe  Bonaparte nella provincia reggina”, si ricollega a quanto descritto dal  precedente relatore ed in  particolare  alla figura del generale Manhes, affermando con documenti alla mano che l'alto  graduato francese non era poi tale come descritto da alcuni storici di regime  ma il contrario, avendo salvato la vita ad alcuni religiosi, come testimoniato  da alcuni documenti proiettati durante la manifestazione culturale.  
    Il 17  marzo del 1805 Napoleone si proclama Re di d'Italia ed il 26 maggio dello  stesso anno riceve l'incoronazione nella cattedrale di Milano.
    L'8  ottobre dello stesso anno Ferdinando di Borbone mentre firma il trattato di  pace con Napoleone contemporaneamente invita gli alleati del Regno di Napoli a  considerare nullo tale patto e ne sollecita l'intervento armato per  il liberare il suo Regno in mano  francese;  infatti il 19 novembre di  registra lo sbarco a Napoli degli anglo-russi ma tale azione non ebbe gli esiti  sperati. 
    Il 26  dicembre Francia ed Austria firmano la pace di Presburgo e successivamente  l'Imperatore Napoleone Bonaparte dichiara decaduta l'amministrazione borbonica  nel Regno di Napoli.
    L'anno  successivo, il 3 gennaio Napoleone nomina il fratello Giuseppe suo luogotenente  e comandante supremo dell'esercito del Regno di Napoli.
    Il 14  febbraio del 1806 l'esercito  francese, guidato dal maresciallo Massena e composto da un nutrito esercito  munito da diversi pezzi di artiglieria, entra in Napoli dopo la data del 21  settembre dell'anno precedente in seguito   al trattato firmato  tra  l'ambasciatore Del Gallo ed il ministro transalpino Talleyrand, i napoleonici  erano entrati in Napoli anche durante i fatti relativi della Repubblica  Napoletana del 1799.
    Il 15  febbraio Giuseppe Bonaparte fa il suo ingresso nella capitale del Regno e,  successivamente, il suo obiettivo primario rimane quello di incalzare senza  dare respiro all'esercito borbonico che prendeva la via della  ritirata verso il Sud del Meridione, nei  territori lucani e calabresi. 
    In  Calabria, diecimila Francesi, comandati dal generale Reynier, dopo aver  surclassato a Campestrino i borbonici si ripetono in un'altra vittoriosa  battaglia in quel di Lagonegro, il 6 marzo, sulle milizie guidate dal  colonnello Sciarpa.
    A  Campotenese, il 9 maggio, in uno scenario  meteorologico alquanto inconsueto sconfiggono durante una bufera di neve i  14.000 napoletani, rimasti fedeli al generale Damas ed ai principi reali  Francesco e Leopoldo.   
    Da questo  momento inizia l'operazione relativa all'entrata in territorio calabrese e  l'azione logistica del generale Reynier durò appena ventinove giorni. In appena  quattro settimane si risolse la campagna di Calabria anche se inframezzata  dalla rivolta in chiave antifrancese come descritto dal precedente relatore. 
    «L'entrata  in Calabria di Giuseppe Bonaparte - sottolinea Gianni Aiello - è salutata  ovunque con grande esultanza da parte di quelle popolazioni che avevano subito  diversi soprusi ed abusi dalle precedenti amministrazioni, come naturalmente si  può evincere sin dalla sua entrata in Cosenza e come pubblicato sul numero 15  del Monitore Napoletano di venerdì 18 aprile 1806,così come riportato: Napoli  18 aprile 1806: "Nel viaggio di S.A.I. i Calabresi hanno osservato con  meraviglia, essere stata questa la prima volta, che un Principe destinato a  governarli, siasi degnato di andare a vederli d’appresso, e ad informarsi de’  loro bisogni. Per l’addietro non hanno mai conosciuto  altrimementi, che di nome, i loro sovrani.  Questa idea ha destato in essi un entusiasmo sì vivo, che han fatto a gara per  dimostrare a S.A.I. l’energia de’ loro sentimenti, e la  sincera lor gratitudine…" » 
    Fatta  questa premessa il Presidente del sodalizio organizzatore ha tratteggiato la  figura di Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone. 
    Egli era  nato a Corte, Corsica, il7 gennaio 1768 e sposò Julie Clary, figlia di un  commerciante di Marsiglia, nel 1794   a Corte, Corsica.  
    Dal  questo matrimonio nacquero tre figlie, di cui solo due sopravvissero: Zenaida e  Carlotta. 
    Studiò  legge a Pisa e nel 1796 prese parte con l’imperatore Napoleone alla I Campagna  d’Italia e combatté nelle guerre napoleoniche rappresentando il fratello in  tutte le conferenze di pace e nei cento giorni che seguirono l'esito finale di  Waterloo. Morì  a Firenze il 28  luglio1844 . 
    Nel 1806  fu nominato da questi re di Napoli e due anni dopo re di Spagna ma, sconfitto  nella guerra peninsulare, dovette lasciare il trono ai Borbone. Fu ancora  accanto a Napoleone durante i Cento giorni e, dopo la sconfitta di Waterloo,  riparò negli Stati Uniti, stabilendosi infine in Italia. Dal 1806 al 1808,  Giuseppe Bonaparte governò il Regno di Napoli in nome di suo fratello mentral  suo posto subentrò a Napoli Gioacchino Murat, cognato di Napoleone per averne  sposato la sorella Carolina.
    Dopo tale  resoconto storico relativo alla figura di Giuseppe Bonaparte, Gianni Aiello  passa al  tema centrale della sua  relazione e cioè  "L’entrata di  Giuseppe Bonaparte nella provincia reggina”, descrivendo con documenti in  suo possesso ed attraverso l'ausilio di interessanti immagini, il percorso del  fratello maggiore dell'Imperatore Napoleone.
    Il 17  aprile il Principe Giuseppe parte da Palmi in mattinata salutato  dall’entusiasmo della popolazione, del clero e dalle autorità locali e mentre  si trova a Bagnara, viene raggiunto da un corriere che gli consegna un decreto  imperiale (promulgato a Parigi il 30 marzo) che lo proclama Re di Napoli.
    Giunto a  Scilla, dove sosta per alcune ore, visita la Chiesa maggiore, dove viene  officiata una messa in suo onore, poi visita il castello ed alcune postazioni  militari, in serata parte alla volta di Reggio, dove, dopo la tappa di Gallico,  giunge nel pomeriggio del giorno successivo. 
    L’intera  città è addobbata a festa con le finestre dei palazzi adornate da fiori ed  arazzi: “S.M. è stata condotta alla Chiesa Metropolitana e quindi al Palazzo,  dove è stato servito dalla guardia nobile a piedi unitasi alla guardia a  cavallo, e da dodici paggi delle più insigni famiglie, leggiadramente vestiti .  S.M. ha dato udienza a differenti Magistrati, ed ai principali abitanti del  paese egualmente che alle molte deputazioni delle altre Città, e villaggi. La  sera vi è stata grandissima illuminazione, fuochi d’artifizio, e serenate date  fino a notte avanzata sopra un palco espressamente costruito in faccia al  Palazzo …”. 
    Il 20  aprile parte dalla Città dello Stretto per dirigersi successivamente nella  fascia jonica  reggina , visitando i  centri di Brancaleone (20  aprile),  Monasterace (22 aprile), il 25 aprile la popolazione di Mammola accolse  Giuseppe Bonaparte e durante il suo passaggio gli abitanti indossavano sul capo  delle corone di spine e si battevano il petto con pietre rotonde: questo è un  dato storico-antropologico importante, in quanto notizie relative all’esistenza  di confraternite dei “battentes” o “fustigantes” nella provincia  reggina se ne hanno soltanto qualche secolo prima. 
    Infatti  ciò si può evincere dalla lettura de “La pietà popolare in Calabria” di M.  Pretto che parla dell’esistenza presso la Chiesa di S.Gregorio di Gerace,ed  anche di altre confraternite di battenti presso Roccella  Jonica. 
    Il 28  aprile  Giuseppe Bonaparte visitò Gerace  ed ebbe un incontro con l’Arciprete della diocesi.
    Tra i  documenti commentati da Gianni Aiello hanno avuto un notevole interesse storico  quelli relativi alla data del 15 febbraio 1806 dal Quartier Generale di Napoli  , firmato Giuseppe Bonaparte, quando “Ordina che tutte le Autorità civili,  giudiziarie, ed amministrative, che sono presentemente in attività nel Regno di  Napoli continueranno ad esercitare le loro funzioni
    Ma anche  quello del 23 maggio 1806 relativo alla celebrazione di una messa nella Chiesa  del Santissimo Rosario di Ortì Superiore ed officiata dal curato del paese  Sebastiano Roscitano “… nel giorno di Sabato Santi si fece la pubblica  pregherai nominatam: a favore dell’Augustissimo Imperatore di Francia , che Dio  sempre lo feliciti per il bene universale…” 
    Il  relatore nel corso del suo intervento ha   tratteggiato come i viaggiatori del periodo descrivevano la provincia  reggina, come il comandante d’artiglieria Paul Luois Courier “… siamo in  fondo allo stivale, nel più bel paese del mondo … vedendo queste rocce coronate  di mirto e d’aloe, e le palme nelle valli, vi credereste in riva al Gange o al  Nilo, tranne che non ci sono né piramidi, né elefanti …” o Lubin Griois,  colonnello d’artiglieria “… Reggio è in una posizione incantevole … ha le  strade ancora fiancheggiate in molti punti da macerie deliziosi giardini  d’aranci e limoni circondano  la città ed  anche diverse case dell’interno; alla sera il loro profumo riempie l’aria…”  .  
    Di  notevole rilievo anche la riforma amministrativa attuata da Giuseppe Bonaparte  :  il 2 agosto 1806 venne decretata  "... l'eversione della feudalità" con la quale fu abolito il feudalesimo  con tutte le sue competenze e fu stabilito che "le città, terra e  castella, dovevano essere governate secondo la legge comune ..." .
    Con  il  decreto dell'8 agosto 1806  il Regno venne organizzato secondo la  legislazione francese mentre quello dell'8 dicembre dello stesso anno con il  quale si definiva la divisione delle province in distretti  governi.
    La  Calabria venne divisa in due province:   Calabria Citeriore con capoluogo Cosenza, e Calabria Ulteriore con  capoluogo Monte Leone (l'attuale Vibo Valentia), mentre ognuna delle due  province erano suddivise in quattro distretti, ognuna delle quali si articolava  in circondari. 
    La  provincia di Cosenza era composta dai distretti di Cosenza, Castrovillari,  Rossano ed Amantea, mentre quella Ulteriore era composta dai distretti di Monte  Leone, Catanzaro, Gerace e Reggio.
    Altro  passaggio legislativo di notevole rilievo fu quello del 18 ottobre dello stesso  anno  inerente la riforma delle leggi  municipali e ne riordinava la figura del decurionato e la sfera entro la quale  esso agiva.
    Per non  parlare della legge n. 238 datata 8 novembre 1806 con la quale veniva  introdotta la fondiaria, le cui fonti d'entrata andavano a confluire nelle  casse reali.
    Altro  decreto importante quello datato 8   dicembre 1806 con il quale le province furono suddivise in distretti e  per quanto riguarda la Calabria Ulteriore si ebbe questa conformazione  amministrativa con Reggio (45 comuni), Gerace (49), Catanzaro (62) e Monte  Leone (73) 
    Quindi  notevole è stato il dinamismo riformista attuato dall'amministrazione francese  nonostante i fatti bellici di Campotenese, Maida, Mileto e la continua  guerriglia finanziata e supportata dagli anglo-borbonici.
    Gli  interventi del governo dei napoleonidi per migliorare e creare ex-novo le  infrastrutture essenziali per una società civile sono notevoli anche se entro  l’arco del decennio le opere avviate non giungono, per i fatti sopra elencati,  a giusta conclusione. 
    Gianni  Aiello ha concluso il suo intervento dicendo che «Appena un decennio, non  consentì profonde modificazioni nella società e nell’economia della regione  calabrese, poiché i processi evolutivi, che richiedono tempi lunghi, trovarono  una naturale resistenza nel retaggio del feudalesimo ed un’azione frenante in  molti fattori contingenti, le azioni di disturbo degli anglo-borbonici, la  guerriglia, il brigantaggio,la carenza di mezzi finanziari, il blocco  continentale, non riuscirono tuttavia a fermare il corso impetuoso delle  riforme.»  .
    «Un  ultimo sguardo - prosegue Gianni Aiello -   bisogna darlo anche all'aspetto dell'economia ed in particolare alle  colture di cotone, lino, patata, e all'industria della pasta di  liquirizia.  
    L'estrazione  del ferro fu voluta dallo stesso Giuseppe Bonaparte nel 1807 e,  dopo un triennio  di sforzi, quindi sotto l'amministrazione  murattiana,  si ebbero buoni risultati  per la produzione del ferro nella Mongiana   come afferma lo storico Umberto Caldora in  “Calabria Napoleonica – 1806-1815” . 
    La  manifestazione è stata arricchita dalla presenza a manifestazione è stata  arricchita dalla presenza N.H. Luciano Giovene di Girasole del Foro di Napoli,  in rappresentanza dell’Unione della Nobiltà Napoleonica, che è stato premiato  con una targa ricordo da parte del Presidente Gianni Aiello. 
    L'Unione  della Nobiltà Napoleonica è una associazione dalle finalità storiche-culturali  inerenti lo studio e l'approfondimento delle tematiche relative al periodo  napoleonico in tutta Europa. 
    Scopo  dell'Unione è quello di mantenere vivi i ricordi, i principi, i valori e gli  ideali dell'epopea napoleonica. 
    Il  gradito ospite nel corso del suo breve intervento ha detto: «L'Unione della  Nobiltà Napoleonica racchiude in se tutte quelle persone che al di là dei  rapporti che hanno avuto, quindi dei titoli posseduti durante il periodo, oggi sono  i discendenti di coloro che hanno combattuto con l’esercito napoleonico o  coloro i quali,in quel periodo, rivestivano  delle cariche pubbliche, quindi hanno conservato certe tradizioni, che evolute  poi da un periodo che per molti sia potuto essere fausto o infausto, dipende da  quale punto di vista lo si guardi, ha creato le premesse cambiare completamente  quegli assetti politico, economici, giuridici dell’Europa intera degli ultimi  duecento anni.   
    Quindi  ancora oggi scopro che sono associati e ne fanno richieste persone che studiano  quel periodo e ne sono appassionati di quella storia che è un po’ dimenticata  perché anche se limitata a dieci appena , quindi se idealmente andiamo a  sfogliare qualsiasi libro di storia, noi notiamo che ci sono appena tre righe  che parlano del decennio francese, ed è triste tutto questo, perché se si  vedesse la storia al di là della colorazione politica, al di là di quelle che  sono le proprie ideologie, si comprenderebbe che anche quel breve periodo è  servito per  trasformare radicalmente la  nostra società sotto diversi punti di vista, non solo letterario, non solo del  feudalesimo, non solo della giustizia, il Codice Napoleonico ha creato le basi  per la giurisprudenza moderna. 
    Ma c’è un  aspetto che ci terrei a sottolineare, anche quello architettonico, e ricordo  quel luogo che oggi viene ricordato per convegni o altre manifestazioni -  Piazza Plebiscito - , ma nessuno ricorda che quella una volta veniva chiamata  Largo Murat ed era stata iniziata proprio in quel periodo proprio da Giuseppe  Bonaparte. ». 
    La  giornata di studi è stata infine impreziosita  dal graditissimo intervento della  N.D.  Zenaide Giunta, discendente diretta di Giuseppe Bonaparte (Re di Napoli, Re di  Spagna e delle Indie) e di Luciano Bonaparte (Principe di Canino e di  Musignano), entrambi fratelli dell’ Imperatore Napoleone I.   
    La  Nobildonna, che ha voluto generosamente accettare l'invito del Circolo  Culturale L'Agorà e, nell'occasione, una targa ricordo donata dal Comune di  Reggio Calabria, ha voluto puntualizzare, a commento di quanto espresso da  Orlando Sorgonà nella sua relazione, che   « ... a proposito dei briganti partigiani dei borboni e degli  inglesi  il governo francese si trovò  in  una situazione così disastrosa che  ovviare a  tale situazione anticipò i la  legge sui pentiti, nei confronti cioè di coloro che si  consegnavano   e denunciavano  i propri compari.  Questa è una delle innovazioni che il decennio francese portò all’evoluzione  storica  di tale fenomeno..» 
    E si può  osservare, d'altra parte, che la storiografia   successiva, relativa alla tematica del "pentitismo", ci  illustra che tale dibattito ebbe ulteriori sviluppi verso la seconda metà  dell’Ottocento: nel 1866 giungono i primi segnali dal Prefetto di Palermo  Filippo Gualtiero che anticipano di dieci anni il dibattimento parlamentare da  parte del Bonfadini che relaziona sulle condizioni in cui si trovava la Sicilia  nel 1876.
    Altri  cambiamenti in tal senso si ebbero durante l'amministrazione fascista per  passare, più  recentemente alla Legge  Cossiga del 1980, un  importante  strumento legislativo, voluto  fortemente  dal generale Dalla Chiesa e sorto in una delicata fase storica  dell'Italia, quello del terrorismo.
    Si passa  poi alla Legge n. 304 del 1982 che riguardava l'attitudine dello Stato nei  confronti degli ex terroristi che rientravano nella sfera di  "pentiti" o "dissociati", anche se c'è da sottolineare che  tale strumento legislativo non conteneva nessun termine atto ad indicare la  dicitura relativa a "pentito" o "pentimento". 
    L'illustre  ospite ha concluso il suo intervento dicendo «...Io sono  molto grata nel  partecipare a questa manifestazione che  L’Agorà organizza, di ricerca di approfondimento, di diffusione delle notizie ,  dell’informazione sulla storia del decennio francese che viene purtroppo  sottovalutato, preso poco in considerazione all’infuori di questa  manifestazione organizzata in modo impeccabile dall’associazione reggina.».
    Un  incontro quindi che ha rievocato attraverso la lettura di interessanti  documenti storici un periodo, quello del "decennio francese" , che  nonostante le diverse operazioni militari che si verificarono nel Regno di  Napoli, vide l'attuazione di  una seria  ed incessante politica di rinnovamento messa in atto da Giuseppe Bonaparte e  perseguita poi da Gioacchino Murat.
    Nonostante  tutto ciò ancora vi sono, purtroppo a causa di una certa storiografia di  regime,  molte lacune informative su tale  periodo storico e molti tendono erroneamente, a puntare i loro  riferimenti, la loro ammirazione verso quelle  amministrazioni, che a dir il vero, non si ispirarono certo agli ideali di  unità, libertà ed eguaglianza, che, sanciti  dalla rivoluzione francese, caratterizzarono invece l'operato dei napoleonidi.









