
Presso la  sala conferenze della Biblioteca Statale di Palazzo Morpurgo in Trieste si è  tenuta la prima parte del convegno internazionale di studi avente come tema gli  aspetti risorgimentali e le tematiche gravitanti nella sfera geografica  adriatico-danubiana.
    Il  Circolo Culturale "L'Agorà" ed il Centro studi  italo-ungherese "ÀRPÁD" sono stati  coinvolti in questa operazione culturale di grosso livello,  visto anche la mole di lavoro effettuata  dagli organizzatori ma, nel contempo dalla qualità dei relatori presenti a  questo ciclo di conferenze.
    Le  giornate di studio relative ai giorni 10 ed 11 novembre si sono caratterizzate,  visto anche dal  numero degli interventi,  in una sessione mattutina ed in una pomeridiana, ad eccezione dei lavori di apertura.
    La  manifestazione in argomento è stata promossa dalla “Pier Paolo Vergerio” e  dalla “Solidalitas” adriatico-danubiana in collaborazione e con i  patrocini dell’Ambasciata d’Ungheria presso  il Quirinale e il Consolato onorario d’Ungheria per il Friuli Venezia Giulia,  la Regione Autonoma FVG, la Provincia e il Comune di Trieste (Assessorato alla  Cultura), il Comune di Duino-Aurisina, la Società di studi storici e geografici  di Pirano, il Centro Unesco di Trieste, la Central European Iniziative,, il  Gruppo di Studi Storici e Sociali “Historia” di Pordenone, il Circolo Culturale  “L’Agorà” di Reggio Calabria, il Centro studi   italo-ungherese “Àrpàd” di Reggio Calabria, con il contributo della  Provincia di Trieste, del Comune di Trieste-Assessorato alla Cultura e del  Credito Cooperativo Carso.
    La prima  sessione ha visto l'intervento di Gizella Nemeth e di Adriano Papo (Solidalitas  adriatico-danubiana, Associazione "Vergerio") che hanno relazionato  sul tema "Unità italiana e   indipendenza ungherese. Lo spirito collaborativo  italo-magiaro nell'età del  Risorgimento".
    Nell'età  del risorgimento si forma e si cementa un vero e proprio spirito di  collaborazione tra Italia ed Ungheria per la liberazione di entrambi i paesi -  evidenziano i due relatori - per la liberazione di entrambi i paesi dal giogo  austriaco. 
    Tale  collaborazione si concretizza da un lato   nella costituzione della Legione italiana del colonnello Alessandro  Monti, che combattè, anche se tardivamente, a fianco dei rivoluzionari  ungheresi nella guerra d'indipendenza del 1848-49, dall'altro nella formazione  della Legione ausiliaria ungherese che partecipò, invero con poco fortuna, alle  guerre risorgimentali italiane (in particolare, alla seconda ed alla terza  guerra d'indipendenza ed all'impresa dei Mille). 
    La  Legione italiana in Ungheria entrò in azione soltanto verso la fine delle  ostilità; per contro, la Legione Ungherese non fu sfruttata al massimo delle  sue potenzialità soprattutto a causa delle incomprensioni esistenti tra il  governo sabaudo prima, italiano poi, e il Comitato Nazionale Magiaro e in  conseguenza delle divergenza affiorate all'interno dell'emigrazione ungherese  in Italia. 
    La  Legione fu definitivamente sciolta il 23 gennaio 1867, poco meno d'un mese  prima della conclusione dei negoziati del "compromesso"  austro-ungarico che avrebbe portato alla nascita alla Duplice Monarchia.
    La parola  è passata a Kristjan Knez (Società di studi storici e geografici, Pirano) che  ha  relazionato sul tema relativo a  "L'Adriatico orientale del 1861, Italianità, difesa dell'autonomia e  risorgimento nazionale croato sulla «Gazzetta di Fiume».
    Nel  1848 i Croati presero possesso di Fiume e la  città andò a formare una parte della Croazia-Slavonia. Dal 1860 in poi una serie  di  mutamenti portò quel Municipio a  manifestare posizioni diverse, che l'anno seguente sfociarono in un chiaro  disconoscimento dell'autorità di Zagabria. 
    I  rappresentanti della città di San Vito avanzarono la richiesta di far parte del  Regno d'Ungheria, evidenziando la necessità di garantire l'autonomia di quel  comune. 
    I suoi  reggitori erano degli strenui difensori dell'italianità linguistica e culturale  (soprattutto in questi termini) della città quarnerina, intesa come un elemento  imprescindibile, che doveva essere conservato in quanto costituiva una  caratteristica della specifica identità di quell'angolo dell'area 
    adriatica. 
    Quella  posizione fu difesa con veemenza dalla testata giornalistica della «Gazzetta di  Fiume», quotidiano fondato verso la fine del 1860 dall'editore e giornalista di  origine genovese Ercole Rezza. 
    Fin dal  primo numero - evidenzia il relatore -   il foglio riservò particolare attenzione alle questioni politiche in  modo da soddisfare i bisogni della cittadinanza fiumana. Benché l'attenzione  principale fosse rivolta al capoluogo liburnico, si proponevano anche  corrispondenze e commenti relativi alle questioni che riguardavano le aree del  Quarnero, la Dalmazia, l'Istria e Trieste. 
    Il giornale  prestò attenzione alle cosiddette elezioni del "Nessuno". 
    Affinché  da quella località adriatica giungessero i quattro deputati previsti alla Dieta  di Zagabria. 
    A tal proposito le autorità croate proposero  delle elezioni dirette in modo che la popolazione votasse per i rappresentanti  alla Dieta croato-slavona.
    Il  risultato fu però diametralmente opposto a quello sperato. Infatti alle  elezioni che furono indette in data del 22 aprile del 1861 la stragrande  maggioranza dei votanti scrisse sulla scheda "Nessuno" in modo da  evitare l'invio dei loro rappresentanti in seno ad una Dieta che non  riconoscevano.
    Il 20 e  21 maggio di quell'anno si svolsero le nuove elezioni ma il risultato fu  identico. Il terzo tentativo fu ripetuto il 13 giugno dello stesso anno senza  però riuscire nell'intento.
    É stata  la volta del docente universitario di Szeged Alessandro Rosselli che ha  argomentato su "Una reciproca inimicizia: l'Italia e la monarchia  austroungarica dopo l'unità italiana in alcuni contributi storiografici".
    L'Italia  la sua unità anche se alcune regioni italiane resteranno sotto dominio  austroungarico fino al 1918) il 20 settembre 1870, con la presa di Roma. 
    Ma  proprio tale avvenimento le crea subito problemi di collocazione  internazionale, poiché l'occupazione della capitale d'Italia è avvenuta -  prosegue il professore Alessandro Rosselli - grazie al crollo della Francia di  Napoleone III, sua tradizionale alleata, sconfitta dalla Prussia che poi  diverrà Germania. 
    L'Italia  quindi è isolata in Europa, anche perché i suoi due possibili alleati  (l'Inghilterra e la Russia zarista) sono  troppo lontani. 
    Perciò,  anche per lo sdegno suscitato nel 1881 dall'occupazione francese della Tunisia,  ritenuta terra italiana, l'Italia aderirà nel 1882 alla Triplice Alleanza con  la Germania imperiale e la vecchia nemica tradizionale, l'Austria-Ungheria. 
    A tale  alleanza l'Italia si manterrà in sostanza fedele fino al 1914 ma, conscia di  contare poco o nulla fra gli altri due paesi, spesso e volentieri si  contrapporrà di fatto alle sue alleate, con un progressivo riavvicinamento alla  Francia, all'Inghilterra e alla Russia zarista che sarà definito proprio dagli  storici  "politica dei giri di  valzer" .
    Ed è  proprio in tal senso che, in questo lavoro, si vuol ricostruire, come è stata  vista da alcuni storici italiani del '900, questa tradizionale inimicizia fra  Italia ed Austria-Ungheria che datava dall'epoca del Risorgimento italiano e  che doveva durare fino allo scioglimento di tutte le ambiguità avvenuto con la  prima guerra mondiale.
    Il tema  relativo a "L'Unità sofferta: la narrativa fuori tema" è stata la  relazione tratta dal professore Antonio Sciacovelli (Università dell'Ungheria  Occidentale, Polo di Szombathely).
    L'Unità  italiana - spiega il docente universitario- è stata vista  e raccontata anche con la sofferenza dei  vinti, o di coloro che hanno visto tutto sommato traditi i loro ideali dagli  sviluppi immediati della politica dei Savoia. 
    Soprattutto  nell'Italia meridionale, tradizionalmente collegata alle nazioni adriatico-danubiane,  si sentono gli echi della narrativa fuori dal coro, nelle opere di quegli  scrittori che forse già da qualche decennio non vengono più visti come gli  "eretici", ma come interpreti altrettanto autentici di quel periodo.
    A  concludere i lavori della prima giornata è toccato a Davide Zaffi (Associazione  "Vergerio" che ha argomentato su "Solidarietà latina  italo-rumena. Solo un'illusione?".
    É noto  che italiani e rumeni hanno vissuto l'epopea dell'unificazione nazionale negli  stessi anni, intorno al 1861.
    L'importante  esperienza storica avveniva sullo sfondo della medesima ideologia, quella che  Giuseppe Mazzini poteva definire "italiana" e che si incentrava sulla  concezione democratica della nazione.
    A questi  elementi legati all'epoca, se ne aggiungeva un terzo di più lunga durata e che,  dal punto di vista dei rapporti bilaterali, dava sostanza ai primi due: le  comuni origini latine.
    Il tema  della parentela ritorna spesso negli scritti coevi.
    Quanto  esso ha inciso sulle scelte concrete di politica estera italiana ovvero rumena?  Ha facilitato gli scambi? É entrato nel set di valori in base ai quali l'uno o  l'altro popolo agiscono, consapevolmente o meno? - questa la rosa di domande  che si pone il professore Davide Zaffi.
    La  discussione in argomento è proseguita su documenti archivistici grazie ai quali  il relatore ha evidenziato una sostanziale estraneità spirituale fra le parti,  tendendo a dare una risposta negativa ai quesiti sopra menzionati.
    La  seconda sessione, presieduta da Kristjan Knez, quella di venerdì 11 novembre ha  inizio con l'intervento di Gianni Aiello (Circolo Culturale "L'Agorà"  - Centro studi italo-ungherese «Árpád» ha relazionato sul tema relativo a  "Prigionieri austro-ungarici in Calabria durante il primo conflitto mondiale".
    Ringrazio  gli organizzatori di questo importante appuntamento culturale - esordisce il  presidente del sodalizio di Reggio Calabria - per avermi dato oggi la  possibilità oggi, in questa sede ed in questa Città di portare una  testimonianza a riguardo la presenza di prigionieri austro-ungarici.
    Il titolo  della relazione - continua Gianni Aiello - doveva essere circoscritto alla  città di Reggio Calabria, ma poi per una serie di circostanze dovute alla  ricerca di nuovi documenti il tema si è esteso ad alcune aree della regione  calabrese.
    I motivi  che hanno causato lo scoppio del primo conflitto mondiale sono noti così come  le motivazioni logistiche che hanno indotto il governo italiano del periodo ad  ubicare i campi di prigionia anche nella parte meridionale della penisola. 
    La  collocazione sul territorio italiano dei campi di prigionia era dovuta alle  esigenze logistiche del periodo bellico in questione, dovute anche ai timori  del governo sabaudo relativi alle incertezze che lo scenario della guerra  offriva.
    Infatti  dopo l'ubicazione dei primi luoghi atti ad ospitare i prigionieri  austro-ungarici nel Nord Italia, si pensò di distribuirli in altre parti del  territorio ben lontani dai luoghi di combattimento, visto che vi era il forte  timore che potessero verificarsi azioni di sfondamento da parte del nemico.
    Tra  l'altro c'è da evidenziare che oltre ai problemi derivanti dai continui  cambiamenti di fronte vi era anche quello relativo al forte sovrappopolamento  delle strutture che ospitavano i prigionieri e, quindi, la necessità di ubicare  altrove altre strutture anche per motivi di ordine pubblico derivanti da quanto  detto in precedenza. 
    I  documenti ritrovati, dopo accurate ricerche, arricchiscono il tema dei  prigionieri di guerra austro-ungarici durante le fasi della prima guerra  mondiale (1914-1918), proprio con la presenza di un campo di prigionia nella  parte più peninsulare dell'Italia, cambiando così la “geografia” relativa  all'ubicazione di tali strutture militari.
    Infatti  nell'Italia peninsulare i luoghi di detenzione posizionati più a Sud erano  quelli ubicati nella zona dell'alto cosentino, del catanzarese mentre per la  parte insulare quelli della Sicilia.
    Dalla  struttura dei documenti ritrovati - prosegue Gianni Aiello - risulta il decesso  di sei prigionieri austro-ungarici a Reggio Calabria (età compresa tra i 23 ed  i 46 anni) e dalla lettura degli stessi documenti risultano anche i dati  relativi alle loro competenze di servizio dei militari menzionati, ma nel  contempo anche le loro origini, grado di parentela, luogo e data di nascita.
    I  prigionieri dell'esercito austro-ungarico presenti a Reggio Calabria  alloggiavano in alcuni baraccamenti ubicati nei pressi del Castello Aragonese.
    Essi  erano utilizzati per lavori di opere   civili, come la manutenzione ordinaria delle strade, come ad esempio la  messa in opera dei muraglioni lungo la Via Possidonea.
    A tal  proposito Gianni Aiello ha menzionato la circolare n.  24112, datata Roma 14 novembre 1916 inoltrata  da Ministero della Guerra – Commissione per i prigionieri di guerra alle  Prefetture territoriali ed avente per oggetto “Norma sull’impiego della mano  d’opera di prigionieri di guerra” .
    Il  relatore ha poi posto l'attenzione dell'uditorio alla struttura dei documenti  relativi  allo Stato Civile – Atti di  morte di Catanzaro, dove, oltre alle voci sopra riportate, si trovano altre  importanti informazioni come quelle relative ai luoghi militari dove i  prigionieri erano detenuti e nello specifico Stilo (Reggio Calabria),  Corigliano Calabro (Cosenza), Settingiano e Villaggio Ponte Grande (Catanzaro)  e Casale Altamura (Bari).
    Inoltre,  sempre negli stessi atti risultano riportati luoghi di edifici civili, dove i  prigioni austro-ungarici risiedevano. 
    Il  secondo intervento è stato quello di Costantin Ardeleanu (Università  Statale  degli Studi del Danubio  Meridionale, Dunărea de Jos, Galaţi) che ha relazionato su "Le comunità  italiane nei porti 
    del  Danubio Meridionale durante il Risorgimento (1830-1856). Il loro ruolo  economico e cultural-nazionale".
    Con la  conclusione delle pace tra la Russia e l'Impero Ottomano, siglata attraverso il  trattato di Adrianopoli (1829), il commercio estero dei principati di Valacchia  e Moldavia registrò un ampio sviluppo.
    I porti  di Brăila e Galaţi diventarono centri nodali degli scambi di merci nell'ambito  del traffico internazionale dei cereali.
    Insieme  con i greci, tra i più dinamici mercanti che intuirono le opportunità di un  mercato così emergente, furono anche alcuni abili capitalisti italiani che  fondarono proficue compagnie commerciali impegnate attivamente negli scambi di  merci tra l'Oriente ed i porti dell'Europa Mediterranea e Settentrionale. 
    Così, ben  presto, si segnalarono per la loro attività le compagnia mercantili fondate dai  fratelli piemontesi Pedemonte, da Pasquale Lamberti, da Rocco e Chichizolle.
    Essi  risultarono impegnati in vari commerci presso i porti di Costantinopoli,  Genova, Napoli, Livorno, Trieste, Messina, Marsiglia, Malta e Londra.
    Questi  mercanti, dediti al lucroso commercio internazionale, furono altrettanto  impegnati in  notevoli iniziative  culturali di stampo nazionale, seguendo con vivo interesse i fermenti politici  della Penisola italiana. 
    Il primo  giornale a stampa apparso regolarmente a Galaţi, intitolato «Dunărea - Il  Danubio» (1846-1849), in edizione bilingue italo-romena, conteneva  prevalentemente notizie di carattere economico, ma anche nutrite informazioni  riguardanti la situazione politico-militare della 
    madrepatria. 
    Ester  Capuzzo (Università di Roma "La Sapienza" ha relazionato su  "Trieste e l'unificazione italiana" evidenziando nella stessa le  ripercussioni che l'unificazione nazionale ha avuto nei territori con la  presenza italiana nell'Impero asburgico e, segnatamente, a Trieste.
    Nel  contempo ha posto l'attenzione sul periodo relativo al 1861, quale momento fondante,  allargando poi il tema sino al 1882, anno che, con la firma della Triplice  Alleanza, viene considerato dalla storiografia come una sorta di spartiacque  nei rapporti tra il Regno d'Italia e l'Impero austro-ungarico.
    Infatti  da tali situazioni si ebbe a determinare l'allontanamento nel tempo della  prospettiva di un completamento dell'unificazione nazionale italiana.
    L'intervento  ha analizzato nella sua specificità la situazione creatasi a Trieste con  riferimento al momento fondativo del Regno d'Italia ed ai rapporti che la città  giuliana intesse nell'arco di un tempo considerato con uno dei suoi padri  fondatori, Giuseppe Garibaldi, e alla cultura politica cittadina, divisa fra  lealismo asburgico e contestuale sviluppo di un'identità nazionale, fra la difesa  dell'autonomia municipale e adesione alla idealità dell'irredentismo.
    Giovanni  Cerino-Badone (Università del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro")  ha relazionato su "L'esercito imperiale austriaco 1859-1866".
    Nel 1866 l'esercito austriaco fu  protagonista di una campagna militare dai due volti.
    Infatti  il 24 giugno trionfava inaspettatamente contro l'esercito italiano a Custoza,  mentre il 3 luglio veniva duramente sconfitto dall'esercito prussiano a  Königgrätz che fu la causa della sua distruzione.
    Tre  settimane più tardi, con le colonne prussiane attestate sulle rive del Danubio,  l'imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo richiedeva la pace, scioglieva la  Confederazione Germanica e concedeva l'annessione alla Prussia di tutta la  Germania settentrionale.
    Nel corso  del suo intervento il relatore ha analizzato i seguenti punti:
    l'esperienza  del 1859;
    nuove  tattiche e nuove dottrine di impiego: l'Exercitium del 1861;
    gli  ufficiali e i loro soldati, i problemi si un esercito multietnico;
    i  combattimenti contro gli italiani in Veneto;
    i  combattimenti contro i prussiani in Boemia;
    soluzioni  e compromessi.
    Antonio  D'Alessandri (università Roma Tre) è intervenuto su "Una rilettura dei  rapporti tra serbi e italiani nel Risorgimento".
    Nel corso  del XIX secolo i rapporti fra serbi ed italiani si fecero particolarmente  significativi in ragione, in primo luogo, della comune spirazione alla  formazione dei rispettivi stati nazionali che dovevano dare riconoscimento  politico alla nazione già elaborata, invece, dal punto di vista culturale.
    Gli esiti  di questi percorsi storici furono piuttosto dissimili - continua il relatore -  a causa delle differenti condizioni politiche ed economiche in cui si trovavano  serbi ed italiani ma anche per le differenti tradizioni storiche e culturali.
    Eppure a  partire dalla "Primavera dei popoli", grazie all'iniziativa del ceto  dirigente del Regno di Sardegna, le relazioni fra i serbi e gli italiani  divennero concrete e, nell'arco temporale   compreso tra il 1849 ed il 1878, il Principato e le comunità serbe della  Monarchia asburgica erano visti dalle élites politiche italiane (moderate e  democratiche) come il centro nevralgico della questione orientale e il luogo  dove maggiori erano le possibilità che si definissero i mutamenti degli  equilibri internazionali.
    La  relazione di Antonio D'Alessandri si è concentrata su alcuni passaggi decisivi  della storia serba e di quella italiana alla metà dell'Ottocento con un duplice  obiettivo: tracciare un quadro ragionato della storiografia disponibile sull'argomento  e spiegare modalità, sviluppi ed esiti della storia di quelli che lo storico  Nikša Stipĉević; ha chiamato Dva Preporoda ovvero "I due  Risorgimenti".
    Si  intende inoltre mettere in luce le reazioni che vi furono fra le élites  politiche e culturali serbe alla proclamazione dell'Unità italiana, cercando di  stabilire se il 1861 fu davvero, per quelle popolazioni, un modello da imitare.
    I lavori  di apertura della III sessione di venerdì 11 novembre hanno riguardato la  relazione del docente magiaro Imre Madarász (Univerisità di Debrecen) che ha  trattato il tema relativo a "Risorgimento italo-ungherese nel romanzo di  Giovanni Verga «Sulle lagune»".
    Il breve  romanzo giovanile di Giovanni Verga - esordisce il relatore ungherese -  "Sulle lagune"  è generalmente  sottovalutato dalla critica e dalla storiografia letteraria. Questa opera  pubblicata nel 1863 è, dal punto di vista estetico, lontana dai capolavori  verghiani scritti all'insegna del verismo, ma  è importante come documento letterario dell'amicizia e dell'alleanza  italo-ungherese nell'età del Risorgimento.
    La storia  dell'amore fra l'ufficiale ungherese Stefano De Keller, costretto a servire  l'esercito imperiale austriaco da lui odiato perché oppressore del suo paese, e  la patriota italiana Giulia Collini simboleggia l'idea mazziniana della  fratellanza dei popoli, dell'Europa delle nazioni della "santa alleanza  dei popoli" contro quella dei principi e dei tiranni, rappresenta la  comunanza della missione e del destino delle nazioni e delle patrie che lottano  per la loro indipendenza e per la libertà comune.
    Il  racconto è ricco di riferimenti storici: inizia con la notizia dell'impresa  gloriosa dei Mille di Garibaldi, la figura di Keller è modellata su quelle di  Tüköry e di Türr, vengono ricordati i martiri di Arad, e la conclusione è una  esortazione alla liberazione, alla "redenzione" del Veneto. Il  centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia è forse il momento ideale -  conclude Imre Madarász - per una rilettura di questo romanzo di Verga ante  litteram, per la scoperta del suo valore e della sua attualità. 
    La parola  è passata a Gianluca Pastori (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)  che ha argomentato su "Alla ricerca di un nuovo equilibrio. L'Italia unita  e il mondo adriatico-danubiano fra pulsioni irredentiste e bisogno di  sicurezza".
    Dopo le  enfasi irredentiste - afferma il docente dell'ateneo meneghino prof. Gianluca  Pastori - del primo quinquennio unitario, le vicende politiche e militari del  1866 comportano un drastico ridimensionamento delle pulsioni più 'movimentiste'  del Risorgimento e spingono i vertici politici e militari italiani alla ricerca  di un difficile modus videndi con l'Austria.
    Questa  normalizzazione delle relazioni non implica però la fine delle tensioni,  destinate a proseguire (seppure a livello latente) anche dopo la conclusione,  nel 1882, della Triplice Alleanza.
    Il  contributo proposto intende analizzare nelle sue linee generali - continua il  relatore - le dimensioni diplomatiche e militari di questo quadro 'a luci e  ombre' , prendendo le mosse dai piani elaborati dallo Stato Maggiore italiano  nell'ipotesi (mai del tutto esclusa) di un nuovo confronto armato con Vienna.
    In questo  quadro, una particolare attenzione sarà dedicata al tema della 'securizzazione'  della  frontiera orientale, tema  destinato ad avere importanti ricadute - pratiche e simboliche - sui rapporti  dell'Italia con il mondo adriatico-danubiano almeno fino allo scoppio della  prima guerra mondiale.
    Altro  argomento interessante è stato quello di László Pete (Università di Debrecen)  relativo a "La Legione ungherese contro il brigantaggio negli anni  1860".
    Negli  ultimi anni la nuova interpretazione del brigantaggio ha suscitato discussioni  serie nella storiografia italiana, sembra di poter essere testimoni di una  rivalutazione notevole della questione. 
    In questa  situazione vale la pena prendere in esame il ruolo non secondario della Legione  Ungherese svolto durante la guerra contro il brigantaggio in due periodi: prima  dall'aprile 1861 fino all'agosto 1862 in Campania, poi dall'ottobre del 1865  fino al giugno del 1866 in  Abruzzo.
    I  legionari ungheresi si distinsero per il coraggio, per la bravura personale e  per la prontezza delle decisioni aumentando la fama del valore ungherese, nello  stesso tempo però questo impegno ritenuto indegno deluse i legionari, i quali -  conclude László Pete - perseguivano l'obiettivo di tornare a lottare per la  libertà ungherese.
    Tra gli  altri intervenuti nelle due giornata di studio tenutosi presso la sede  istituzionale della Biblioteca Statale di Palazzo Morpurgo in Trieste quelli  relativi a:
    Roberto  Spazzali (Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia) ha argomentato su  "Uno sguardo dall'Adriatico. Note e commenti di politica estera di Silvio  Benco";
    Gianluca  Volpi (Università degli Studi di Udine) ha trattato il tema relativo a  "L'elmo di Scipio. Gli italiani in armi dal Risorgimento all'Unità  (1815-1870)";
    Stefano  Pilotto (Università degli Studi di Trieste) che ha trattato il tema avente come  titolo "Cavour e Andrassy: due personalità al servizio dell'unificazione  nazionale.
    La  manifestazione si è conclusa sabato 12 novembre presso la prestigiosa sede del  Castello di Duino dove si assistito alla relazione di Davide Zaffi  che ha argomentato su "L'esercito  asburgico e la questione ungherese: la «Tiroli Katona Ujság» (Bolzano, 1916).
    L’Impero  austro-ungarico durante il primo conflitto mondiale oltre ad organizzare  l’aspetto militare ebbe il merito di predisporre un accurato apparato dedito  all’aspetto propagandistico. 
    La modernità  significa soprattutto individualismo e la prima guerra mondiale segna  l’ingresso della modernità anche nella conduzione della guerra.  
    L’esercito  doveva ormai rifornire i soldati non soltanto di uniformi, armi e vivande ma  anche di motivazioni. 
    La psicologia  dei soldati divenne un fattore di grande importanza e oggetto di deliberazioni  ministeriali. 
    A Vienna,  dove la scienza della nuova epoca, la psicanalisi, era appena stata scoperta,  il governo e i vertici militari riconobbero subito, fin dall’autunno 1914 la  necessità di curare anche l’anima dei soldati. Occorreva combattere la  nostalgia e la noia, suscitare e motivare sentimenti aggressivi. 
    A tal  proposito strutturò un apparato informativo composto da scrittori, giornalisti,  pubblicisti che fecero parte di un’apposita struttura che aveva il suo quartier  generale a Vienna: tale ufficio era il Kriegspressquartier.
    Fecero  parte di tale organismo famosi uomini di cultura del periodo come  Franz Blei, Franz Theodor Csokor, Egon Erwin  Kisch, Hugo von Hofmannstahl, Alfred Polgar, Rainer Maria Rilke, Franz Werfel e  Stefan Zweig. 
    Diverse  furono le uscite giornalistiche come HEIMAT, il periodico illustrato  DONAURARUM, questi alcune delle espressioni informative  edite dal Kriegspressquartier. 
    Tale  struttura, che successivamente assunse l'acronimo di Kpq, fu il punto  d'incontro comunicativo tra i vari enti della Monarchia austro-ungarica, quali  ministeri, quotidiani, associazionismo, ranghi militari.
    Tutto ciò  aveva il compito di organizzare la propaganda austro-ungarica, di svolgere  azioni di censura, di organizzare i compiti dei corrispondenti di guerra.
    Il  Kriegspressquartier venne istituzionalizzato  nel giorno dell'entrata in guerra nei confronti della Serbia (28 luglio 1914) e  diretto dal colonnello Maximilian von Hoen sino al 15 marzo 1917, data in cui  venne sostituito dal colonnello Wilhelm Eisner-Bubna.
    Tale  apparato si strutturava in tre sezioni:
    1.  Kommandantur und Adjutantur , con funzioni di censura nei confronti dei  resoconti stilati dai corrispondenti di guerra destinati ai giornali;
    2.  Platzkommando, con funzioni di controllo nei confronti dei corrispondenti;
    3.  Berichterstattergruppe,  il team dei  corrispondenti di guerra.
    Al di  fuori della sfera editoriale del Kriegspressquartier vi era un’altra realtà  propagandistica che stampava una rivista edita dal Landesverteidigungskommando  del Tirolo e prendeva il nome di Tiroler Soldaten-Zeitung.
    Questa  pubblicazione venne diretta dallo scrittore Robert Musil e, tra l’altro la  Tiroler Soldaten-Zeitung per un breve periodo venne pubblicato anche nella  versione italiana il “Giornale del Soldato Tirolese” ed anche in quella in  lingua ungherese la “Tiroli Katona Ujság”.
    L’aspetto  grafico della “Tiroler Soldaten-Zeitung” risultava abbastanza elegante ed era seguita  da abili e noti curatori come Hans Joseph Weber-Tyrol ed Arthur Nikodem.
    In tale  periodico venivano curati diverse tematiche come gli aspetti letterari , ma  anche ebbe il merito di ospitare anche argomenti relativi a temi pittorici di  diversi artisti  come Albin Egger-Lienz,  quindi si può dire che la TSZ   rappresentò una vetrina per la sfera artistica tirolese di quegli anni.
    A  riguardo la “Tiroler Soldaten-Zeitung” essa venne fondata nel giugno del 1915 e  tale pubblicazione di propaganda continuò il suo percorso sino all'aprile del  1917: essa non era rivolta soltanto alle truppe ma anche alla popolazione  civile che poteva riceverlo tramite abbonamento.
    Essa  veniva distribuita ad un basso costo sul settore tirolese del fronte  sud-occidentale ma era anche inviata, su abbonamento, nelle città  dell’entroterra austriaco. Il grado della sua popolarità può misurarsi sul  fatto che ne vennero redisposte edizioni anche in ungherese e in  italiano. 
    Diretta  dallo scrittore Robert Musilla la TSZ aveva lo scopo di creare un clima  positivo tra i militari al fronte e, nel contempo anche tra i civili,  attraverso la pubblicazione di articoli, recensioni che avevano il compito di  creare delle condizioni propositive e di distensione nei vari ranghi militari. 
    La  Tiroler Soldaten-Zeitung per un breve periodo venne stampata anche nella  versione italiana, il “Giornale del Soldato Tirolese” ed anche in quella  ungherese la “Tiroli Katona Ujság”.
    Quella  ungherese fu inaugurata nei primi mesi del 1916, alla vigilia della così detta  Strafexpedition (Spedizione punitiva) ovvero della grande offensiva  austro-ungarica che superando da nord le Alpi trentine e poi un tratto della  Val Padana avrebbe dovuto condurre a Venezia. 
    Per  questo notevole sforzo bellico erano stati concentrati nel Tirolo meridionale  poco meno di mezzo milione di uomini, fra cui quasi centomila provenienti dalla  parte ungherese della Monarchia. 
    Per loro  e nella loro lingua venne edita ad opera del Comando del Gruppo d’Armata  dell’Arciduca Eugenio la Tiroli Katona Ujság. 
    Essa era  in gran parte una traduzione della versione tedesca del giornale. 
    Nei  numeri che si sono conservati, tuttavia, si nota ben presto la tendenza a farsi  sempre più un giornale ungherese non solo nella lingua ma anche nei contenuti. 
    La TKU  pubblicò dunque articoli di interesse transleitano e non perse mai di vista il  fatto che l’anima ovvero la psicologia del soldato ungherese aveva le sue  particolarità rispetto a quella del soldato austriaco. 
    In altre  parole anche dalla stampa di guerra si evince che la Monarchia asburgica si  componeva di due metà piuttosto eterogenee. 
    I numeri  della TKU che si credevano ormai per sempre perduti e che sono stati  avventurosamente ritrovati a Budapest sono adesso fotocopiati in integro e  raccolti nel working paper n. 125 del Centro Studi sulla Storia dell’Europa  Orientale di Levico (Trento) intitolato Un’ungherese in Tirolo. 
    La Tiroli  Katona Ujság. 
    Un’ampia  introduzione storica, firmata dallo stesso Davide Zaffi, permette di  contestualizzare la vita del giornale sullo sfondo degli avvenimenti militari  coevi e della peculiare organizzazione dell’esercito asburgico durante la prima  guerra mondiale. 
    Nella  medesima introduzione vengono altresì descritti e commentati i singoli  contributi della TKU, anche tramite ampie traduzioni.
    Di  seguito si è assistito alla parte finale della manifestazione con la tavola  rotonda avente come tema "Risorgimenti. Identità nazionale, federalismo,  europeismo" .
  Nella  parte finale della giornata di studi si è assistito agli interventi di  Guglielmo Cedolin, Andrea Griffante, Imre Madarász, Alessandro Rosselli,  Antonio Sciacovelli e Davide Zaffi che sono stati coordinati, dopo  l'introduzione di Adriano Papo, da Francesco Leoncini (Università Cà Foscari di  Venezia).




adria danubia, anno III, n.2, dicembre 2011

